Consiglio di Stato Sez. VI n. 10730 del 12 dicembre 2023
Urbanistica.Caratteristiche della pertinenza

Dal punto di vista urbanistico-edilizio, la natura pertinenziale va negata in relazione agli interventi edilizi che, pur legati da un vincolo di servizio a un fabbricato principale, non siano tuttavia coessenziali ma ulteriori rispetto a esso, in quanto suscettibili di un utilizzo autonomo e separato e in quanto occupanti aree e volumi diversi dal bene principale. Il vincolo pertinenziale è riconoscibile soltanto a opere di modestissima entità e accessorie rispetto a quella principale, quali i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici “et similia”, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto a quella considerata principale e non siano coessenziali alla stessa

Pubblicato il 12/12/2023

N. 10730/2023REG.PROV.COLL.

N. 10668/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10668 del 2021, proposto da
Alessandro Oberto, rappresentato e difeso dagli avvocati Serenella Nicola e Enrico Rabino, con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia;

contro

Comune di Chivasso, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Martino, con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Torino, via Giuseppe Giusti, n. 3;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) n. 00431/2021, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Chivasso;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 novembre 2023 il Cons. Alessandro Maggio;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il Comune di Chivasso ha rilasciato, al sig. Alberto Oberto, il permesso di costruire 23/9/2004, n. 218 per la realizzazione di un fabbricato delle dimensioni di mt. 4,00 x 3,75 destinato a deposito per attrezzi agricoli.

A seguito di ispezione, l’amministrazione comunale ha, però, accertato che il fabbricato in questione era stato illecitamente adibito a servizio igienico e che erano stati realizzati, in assenza di qualsivoglia titolo edilizio, le seguenti opere: 1) una tettoia delle dimensioni di mt 10,10 x 6, con altezza di mt. 3, 75; 2) un edificio ad uso residenziale composto da due container prefabbricati appoggiati su blocchi di cemento; 3) un sistema di scarico dei reflui civili; 4) una pavimentazione in ghiaia estesa a tutto il lotto.

Con ordinanza 23/8/2013, n. 353 il comune ha, pertanto, ingiunto, al sig. Alessandro Oberto, erede del sig. Alberto Oberto, la demolizione di tali opere.

Il sig. Alessandro Oberto, ha impugnato davanti al T.A.R. Piemonte tale ordinanza, ma il ricorso è stato respinto con sentenza 5/12/2019, n. 1210.

Nelle more del giudizio, l’amministrazione comunale ha constatato che, sulla medesima area, erano stati eseguiti ulteriori interventi abusivi consistenti: i) nella posa di un prefabbricato in lamiera di mt 5,17 x 2,45, destinato a uso deposito; ii) nel rivestimento, con paramento murario di circa 6 cm di spessore, del prefabbricato a uso abitativo già sanzionato con la citata ordinanza n. 353/2013; iii) nella realizzazione di un nuovo vano in muratura delle dimensioni di circa mt 4,30 x 2,80 costituente ampliamento del prefabbricato di cui sopra. Ha, pertanto, adottato l’ordinanza 21/4/2015, n. 182, con la quale, reiterato il provvedimento ripristinatorio già emesso nel 2013, ha ingiunto al sig. Oberto la demolizione delle nuove opere eseguite.

Ritenendo l’ordinanza n. 182/2014 illegittima il sig. Oberto l’ha impugnata con ricorso al medesimo Tribunale, il quale, con sentenza 22/4/2021, n. 431, lo ha respinto.

Avverso tale seconda sentenza ha proposto appello il sig. Oberto.

Per resistere al ricorso si è costituito in giudizio il Comune di Chivasso.

Con successiva memoria la parte appellata ha ulteriormente argomentato le proprie tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 16/11/2023 la causa è passata in decisione.

Col primo motivo si denuncia l’errore commesso dal Tribunale nel ritenere che le opere eseguite successivamente all’adozione dell’ordinanza n. 353/2013, potessero essere qualificate come nuova costruzione, al contrario esse avrebbero natura pertinenziale rispetto al fabbricato preesistente, legittimamente realizzato, come si ricaverebbe dall’art. 3, lett. e.6), del D.P.R. 6/6/2001, n. 380, per cui sarebbero state autorizzabili con mera D.I.A. o S.C.I.A.

Il carattere pertinenziale delle opere in questione emergerebbe dalle non rilevanti dimensioni delle stesse rispetto al fabbricato principale, dal loro modico valore e dall’inidoneità delle medesime a creare nuovo carico urbanistico.

Recenti sentenze, anche del Tribunale piemontese, confermerebbero, inoltre, il carattere accessorio e pertinenziale delle tettoie.

La sentenza risulterebbe, comunque, erronea anche laddove si potesse negare all’intervento sanzionato natura pertinenziale.

Infatti, l’art. 31 del citato D.P.R. n. 380/2001 prevederebbe la demolizione solo in relazione alle opere abusive per cui è richiesto il permesso di costruire, ma non con riguardo a quelle per cui, come nella fattispecie, basterebbe una D.I.A. o una S.C.I.A.

Sarebbe, infine, qualificabile come intervento di manutenzione straordinaria, come tale non soggetto a permesso di costruire, il rivestimento murario del prefabbricato, già sanzionato con la precedente ordinanza n. 353/2013.

La doglianza è infondata.

Occorre premettere, che per consolidato orientamento giurisprudenziale, la valutazione degli abusi edilizi, sotto il profilo urbanistico, richiede una visione complessiva e non atomistica delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio, deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall'insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni (fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 1/3/2023, n. 2119; 18/10/2022, n.8848; 29/7/2022, n. 6681; 30/6/2020, n. 4170; 7/11/2019, n. 7601).

La suddetta valutazione unitaria è da escludersi solo laddove (ma non è questo il caso di specie) tra gli interventi realizzati, non sia configurabile alcun intrinseco e oggettivo collegamento funzionale (Cons. Stato, Sez. VI, 30/6/2020, n. 4170; 13/5/2020, n. 3036; Sez. V, 12/10/2018, n. 5887).

Orbene, nella fattispecie, come emerge dall’impugnata ordinanza di demolizione, sul punto non contestata, l’appellante ha eseguito, oltre ai lavori già sanzionati con l’ordinanza del 2013, tre ulteriori interventi edilizi, due dei quali recanti ingombro volumetrico e uno di finitura di un preesistente manufatto abusivo, idonei a provocare significative modifiche della conformazione dell’area d’intervento, e, quindi, in ogni caso soggetti a permesso di costruire.

Contrariamente a quanto parte appellante sostiene deve, poi, escludersi che ai nuovi vani realizzati possa riconoscersi natura pertinenziale.

Un consolidato orientamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, afferma che, dal punto di vista urbanistico-edilizio, la natura pertinenziale va negata in relazione agli interventi edilizi che, pur legati da un vincolo di servizio a un fabbricato principale, non siano tuttavia coessenziali ma ulteriori rispetto a esso, in quanto suscettibili di un utilizzo autonomo e separato e in quanto occupanti aree e volumi diversi dal bene principale.

Il vincolo pertinenziale è riconoscibile soltanto a opere di modestissima entità e accessorie rispetto a quella principale, quali i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici “et similia”, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto a quella considerata principale e non siano coessenziali alla stessa (Cons. Stato, Sez. VI, 27/2/2023, n.1994; 24/1/2022, n. 467; 25/3/2020, n. 2084; 13/1/2020, n. 309; 10/1/2020, n. 260; 2/1/2020, n. 12; 11/9/2013, n. 4493; Sez. IV, 13/7/2022, n. 5926; 24/8/2020, n. 5178; Sez. II, 3/11/2021, n. 7357; 6/10/2020, n. 5916; 14/1/2019, n. 323; 17/5/2017, n. 2348; 16/2/2017, n. 694; 16/6/2016, n. 2658).

In tale ottica è stato, per esempio, espressamente escluso che possa costituire pertinenza un locale adibito a deposito, il quale consta di volumetria aggiuntiva ed è, rispetto al bene principale, autonomamente fruibile (Cons. Stato, Sez. VI, 8/1/2019, n. 180).

In definitiva il vincolo pertinenziale che lega il manufatto accessorio a quello principale dev’essere tale in senso oggettivo, cosicché il primo non risulti suscettibile di alcuna diversa utilizzazione economica.

Alla luce delle descritte coordinate di diritto, è evidente che le opere oggetto dell’avversata ordinanza di demolizione, di non modeste dimensioni (un manufatto di mt 5,17 x 2,45 a uso deposito e un vano di circa mt 4,30 x 2,80, che si aggiungono a quelle già sanzionate con l’ordinanza del 2013), e suscettibili di autonomo utilizzo, non sono ascrivibili tra quelle di natura pertinenziale.

Esse, sono, invece, inquadrabili tra le nuove costruzioni, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.1, come tali soggette a permesso di costruire.

Constatato che gli interventi di che trattasi erano stati eseguiti in assenza di titolo edilizio, correttamente il comune li ha sanzionati adottando il provvedimento ripristinatorio per cui è causa.

Col secondo motivo si deduce che il giudice di prime cure avrebbe errato a escludere che l’ordinanza di demolizione debba indicare l’area di sedime da acquisire nel caso in cui la stessa rimanga ineseguita.

La doglianza è infondata.

Al riguardo è sufficiente rilevare che una consolidata giurisprudenza amministrativa, da cui non c’è motivo di discostarsi, ha chiarito che tale indicazione esula dai contenuti propri del provvedimento ripristinatorio, per cui la sua assenza o la sua eventuale erroneità non è idonea a inficiarne la legittimità (Cons. Stato, Sez. VI, 7/11/2023, n. 9572; 11/5/2022, n. 3707; 3/12/2020, n. 7672; 14/1/2019, n. 339; 23/11/2017, n. 5471).

L’appello va, pertanto, respinto.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali, in favore della parte appellata liquidandole, forfettariamente, in complessivi € 5.000/00 (cinquemila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere, Estensore

Roberto Caponigro, Consigliere

Giovanni Gallone, Consigliere