Cass. Sez. III n. 30038 del 28 luglio 2011 (Ud 16 giu. 2011)
Pres. Ferrua  Est. Teresi Ric. Pasquali ed altro
Urbanistica.  Interventi di restauro o di risanamento conservativo

Nella categoria degli “interventi di restauro o di risanamento conservativo”, per i quali non occorre concessione, possono essere annoverate soltanto le opere di recupero abitativo, che mantengono in essere le preesistenti strutture, alle quali apportano o un consolidamento o un rinnovo di elementi costitutivi, anche attraverso l'inserimento di nuovi, sicché la demolizione dell'intero fabbricato non consente la sua ricostruzione, senza la necessaria verifica da parte dell'autorità amministrativa nell'ambito del procedimento concessorio e nel rispetto della normativa urbanistica vigente al momento del rilascio del provvedimento abilitativo

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale

Composta dagli III.mi Sigg.ri Magistrati:

dott. Giuliana Ferrua Presidente

dott Alfredo Teresi Consigliere rel

dott. Aldo Fiale Consigliere

dott. Renato Grillo Consigliere

dott Elisabetta Rosi Consigliere

ha pronunciato la seguente


SENTENZA

sul ricorso proposto da Pasquali Irma, nata a Verona il 27.11.1947, e da Wucherpfenning Paul, nato a Bohmenkirch [D] il 20.03.1944, avverso la sentenza della Corte di Appello di Lecce in data 4.12.2009 che ha confermato la condanna alla pena di mesi 7 di arresto €. 35.000 di ammenda loro inflitta nel giudizio di primo grado per i reati di cui agli art. 44 lettera c) d.P.R. n. 380/2001; 181 d. lgs. n. 42/2004;

Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;

Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere dott. Alfredo Teresi;

Sentito il PM nella persona del PG, dott. Vincenzo Geraci, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

OSSERVA

Con sentenza 4.12.2009 la Corte di Appello di Lecce confermava la condanna alla pena dell'arresto e dell'ammenda inflitta nel giudizio di primo grado a Pasquali Irma e a Wucherpfenning Paul quali colpevoli dei reati di cui agli art. 44 lettera c) d.P.R. n. 380/2001; 181 d. lgs. n. 42/2004 per avere concorso nell'esecuzione in zona soggetta a vincolo paesaggistico, senza permesso di costruire e senza nulla osta paesaggistico, di un fabbricato di circa 250 mq. [in XXXXXXX il 21 .09.2006].

Proponevano ricorso per cassazione gli imputati denunciando violazione di legge e vizio d motivazione

  • sulla disapplicazione della legge n. 326/2003 per non essere stata disposta la sospensione de procedimento al fine di attivare la procedura di sanatoria;

  • sulla ritenuta configurabilità del reato poiché l'opera, eseguita previa demolizione di un fabbricato rurale costituito da vecchi trulli, era la mera riedificazione dell'edificio preesistente [restauro e risanamento conservativo] con le stesse dimensioni, sagoma e volumetria con la trasformazione delle corti in servizi, sicché non necessitava di permesso di costruire;

  • sulla disposta demolizione con uso di potestà riservata dalla legge a organi amministrativi Trattandosi d'ìnte1'vento di restauro con aggiunta di servizi non poteva essere demoliti l'intera opera, non essendo possibile ripristinare lo stato dei luoghi; non potendo i ricorrenti essere privati del diritto al mantenimento del fabbricato preesistente, la statuizione di ripristino poteva essere sostituita con l'irrogazione di una sanzione pecuniaria secondo parametri della legge n. 372/ 1978;

  • sulla subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive;

  • sul diniego delle attenuanti generiche.

    Chiedevano l'annullamento della sentenza.

    1. Infondata è la censura sulla mancata sospensione del processo ai sensi della normativa su condono edilizio perché il giudice che disponga di elementi per escludere la sanatoria dell'abuso non ha ragione di sospendere il processo.

    In tema di condono edilizio, sono demandati all'autorità giudiziaria i controlli ai fini della declaratoria di estinzione del reato.

    Compete, quindi, al giudice penale il potere di accertamento di tutti gli elementi della fattispecie estintiva, tra i quali vi è l'osservanza del presupposto legale di fruibilità del beneficio.

    Il controllo sulla loro ricorrenza non costituisce esercizio di una potestà riservata alla PA, cui competono tutti gli accertamenti sulla sanatoria “amministrativa”, spettando al giudice penale i potere-dovere di svolgere ogni accertamento per stabilire l'applicabilità della causa di estinzione del reato, sicché, quando risulti che il richiesto presupposto non sussiste, l'imputato non può beneficiare del condono edilizio con la conseguente estinzione del reato.

    Pertanto, competeva ai giudici di merito la valutazione preliminare sulla condonabilità dell`abuso commesso in zona vincolata e, quindi, il giudizio sulla sospensione del procedimento che è stato correttamente espresso, oltre che per la non ricorrenza del requisito temporale, alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di reati edilizi, la sospensione del procedimento ex art. 38 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, in relazione alla domanda di condono edilizio presentata ex art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n.269, convertito con modificazioni in legge 24 novembre 2003 n. 326, non può essere disposta nel caso le opere abusive siano state realizzate su immobili sottoposti a vincoli.

    Peraltro, l'eventuale sospensione disposta erroneamente dal giudice deve essere considerata come inesistente, con le ovvie conseguenze in tema di computo dei termini prescrizionali (Cassazione Sezione III n. 3350/2004; Lasi; RV. 227217).

Nella specie, è stata eseguita nell'anno 2006 una nuova opera edilizia in assenza di titolo abilitativo in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi paesaggistici e tale ipotesi è esclusa dal condono dall'art. 32 comma 26 lett. a) della legge n. 326/2003 che, invece, considera suscettibili di condono, relativamente alle zone soggette a vincolo paesaggistico, le opere di restauro e di risanamento conservativo o di manutenzione straordinaria.

2.Sulla configurabilità del reato il ricorso non è puntuale perché censura con argomentazioni giuridiche palesemente erronee e in punto di fatto la decisione fondata, invece, su congrue argomentazioni esenti da vizi logico-giuridici, essendo stati esaminati gli elementi probatori emersi a carico dell'imputato e confutata ogni obiezione difensiva.

La prescrizione dell'obbligo di munirsi del permesso di costruire persegue le finalità di controllo del territorio e di corretto uso dello stesso ai fini urbanistici e edilizi, sicché sono assoggettati al regime del permesso di costruire tutti gli interventi che incidono sull'assetto del territorio, comportando una trasformazione urbanistica e edilizia del territorio comunale, donde l'infondatezza dei rilievi dell'appellante secondo cui l'esecuzione delle suddette opere era penalmente irrilevante, essendo la stessa una nuova costruzione per la quale occorre, ex art. 10 comma 1 lettera a) d.P.R. n. 389/2001, il permesso di costruire, come per “le opere di ogni gemme con le quali s'intervenga sul suolo o nel suolo, senza che abbia rilevanza giuridica il mezzo tecnico con cui sia stata assicurata la stabilità del manufatto, che può essere infisso o anche appoggiato al suolo, in quanto la stabilità non va confusa con l'inamovibilità dalla struttura o con la perpetuità della funzione ad essa assegnata, ma si estrinseca nell'oggettiva destinazione dell'opera a soddisfare bisogni non provvisori, ossia nell'attitudine a un'utilizzazione che non abbia il carattere della precarietà, cioè non sia temporanea o contingente [ Cassazione Sezione III 12022/1997 Fulgoni RV 209199].

Nel caso in esame, i giudici di merito hanno assolto l'obbligo della motivazione spiegando esaurientemente le ragioni del proprio convincimento e ritenendo infondati i rilievi dell'imputato secondo cui per l'esecuzione dell'opera non occorreva il permesso di costruire, trattandosi, invece, di un nuovo organismo [ottenuto previo abbattimento di un manufatto preesistente] di mq 246, di cui 80 mq di veranda, totalmente difforme dal precedente per estensione, volumetria e sagoma che ha determinato immutazione dell'assetto urbanistico del territorio.

3. Secondo l'orientamento di questa Corte, l'ordine di demolizione ex art. 7 legge n. 47/ 1985 (ora art. 31 n. 9 d. lgs. n. 380/2001), che ha natura di sanzione amministrativa a contenuto ripristinatorio, è un provvedimento giurisdizionale dovuto, privo di contenuto discrezionale e necessariamente consequenziale alla sentenza di condanna o ad altra alla stessa equiparata [cfr. Cassazione Sezione III n. 64/1998, Corrado, RV.210l28; Cassazione SU, n. 15/1996, Monterisi, RV. 205336], sicché palesemente infondata la censura difensiva che muove dall°insussistente presupposto che, nella specie, sia stato attuato, su un edificio demolito, un restauro o un risanamento conservativo trattandosi, invece, di una nuova costruzione abusiva che è interamente investita dal suddetto ordine.

Nella categoria degli “interventi di restauro o di risanamento conservativo”, per i quali non occorre concessione, possono essere annoverate soltanto le opere di recupero abitativo, che mantengono in essere le preesistenti strutture, alle quali apportano o un consolidamento o un rinnovo di elementi costitutivi, anche attraverso l'inserimento di nuovi, sicché la demolizione dell'intero fabbricato non consente la sua ricostruzione, senza la necessaria verifica da parte dell'autorità amministrativa nell'ambito del procedimento concessorio e nel rispetto della normativa urbanistica vigente al momento del rilascio del provvedimento abilitativo [cfr. Cassazione Sezione III n. 10392/1997 RV. 209414].

4. In tema di reati edilizi è legittima la subordinazione della sospensione condizionale della pena all'esecuzione della demolizione da parte del condannato, come affermato dalle S.U. di questa Corte [n. 714/1997, Luongo, V. 206659] che ha risolto in tal senso l'esistente contrasto giurisprudenziale considerando che l'ordine di demolizione ha una funzione ripristinatoria del bene offeso [il territorio] e che, quindi, si riconnette all'interesse sotteso all'esercizio stesso dell'azione penale con conseguenza che la clausola normativa “se non altrimenti eseguita” [la demolizione] di cui all'ultimo comma dell'art. 7 legge n. 47/1985 [ora art. 31, ultimo comma, decreto legislativo n. 380/2001] non attiene un limite estrinseco al potere del giudice tale da influenzarne la natura, ma considera l'eventualità del suo esercizio che può considerarsi inutiler datum quando l'offesa sia rimossa anche mediante acquisizione del bene al patrimonio del Comune.

5. E' generica la censura sul diniego delle attenuanti generiche.

Le attenuanti generiche hanno lo scopo di adeguare la pena in senso favorevole al reo in considerazione di particolari circostanze o situazioni che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità a delinquere, sicché le stesse possono essel riconosciute quando siano provati elementi favorevoli all'imputato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la concessione o il diniego delle attenuanti generiche rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti di fare emergere sufficientemente il pensiero dello stesso giudice circa l'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo.

Il giudice, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive, non è tenuto a un'analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, valutando globalmente i dati processuali, è sufficiente che indichi quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri.

Nella specie, il Tribunale, esclusa la valenza positiva degli elementi indicati dalla difesa correttamente ha dedotto prevalenti significazioni negative, anche con riferimento all'intensità del dolo collegato all'imponenza dell'abuso e all'assenza di segni di resipiscenza.

Il rigetto del ricorso comporta condanna al pagamento delle spese del procedimento.

P Q M

La Corte rigetta il ricorso e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

Cosi deciso in Roma nella pubblica udienza del l6.06.2011

 

 

 

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