Cass. Sez. III n. 24478 del 23 giugno 2021 (UP 17 feb 2021)
Pres. Rosi Est. Zunica Ric. Sarcone
UrbanistIca.Intervento effettuato su una costruzione realizzata abusivamente
In tema di reati edilizi, qualsiasi intervento effettuato su una costruzione realizzata abusivamente, ancorché l’abuso non sia stato represso, costituisce una ripresa dell’attività criminosa originaria, che integra un nuovo reato, anche se consista in un mero intervento di manutenzione ordinaria, perché anche tale categoria di interventi edilizi presuppone che l’edificio sul quale si interviene sia stato costruito legittimamente, dovendosi cioè ritenere che gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale cui ineriscono strutturalmente
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 25 febbraio 2020, la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza dell’8 aprile 2019, con cui il Tribunale di Palermo aveva condannato Giuseppe Sarcone alla pena di mesi 1 di arresto ed euro 12.000 di ammenda, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b, del d.P.R. n. 380 del 2001 (così riqualificata l’orinaria imputazione di al capo A, avente ad oggetto la fattispecie di cui alla lett. C del medesimo articolo), reato che gli era stato contestato per aver realizzato, quale proprietario, in un lotto di terreno sito in Palermo alla via Falconara n. 46, in assenza del permesso di costruire, uno sbancamento con relativo movimento di terra, ottenendo una piattaforma ampia 120 metri circa e una stradina che conduce dal fronte della strada alla predetta piattaforma lunga circa 30 metri e larga 4 metri, con demolizione di una porzione della muratura di recinzione lunga circa 9 metri; fatto accertato in Palermo il 24 aprile 2015.
L’imputato veniva invece assolto, perché il fatto non sussiste, dalle residue imputazioni aventi ad oggetto i reati di cui agli art. 181, comma primo, del d. lgs. n. 42 del 2004 (capo B) e 734 cod. pen. (capo C).
2. Avverso la sentenza della Corte di appello palermitana, Sarcone, tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo con cui la difesa deduce la violazione degli art. 44, lett. b, del d.P.R. n. 380 del 2001, 125, 192 e 521 cod. proc. pen., eccependo altresì il travisamento della prova, nonché la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione anche in relazione all’art. 157 cod. pen., osservando che la Corte territoriale non aveva tenuto conto che, come evidenziato nell’atto di appello, lo sbancamento e la piattaforma erano stati realizzati prima che Sarcone divenisse proprietario del suddetto fondo, atteso che l’aereofotogrammetria prodotta, datata 5 gennaio 2015, dimostra che a tale data lo stato dei luoghi era lo stesso di quello accertato in data 24 aprile 2015, risalendo invece l’atto di compravendita al 20 marzo 2015, non essendovi in tale atto alcun cenno che legittimi il convincimento che il possesso del fondo fosse in capo a Sarcone in epoca antecedente all’acquisto; del resto, aggiunge la difesa, prima della stipula dell’atto non è stata pagata l’intera somma, essendo stato corrisposto solo l’importo di 5.500 euro, venendo il prezzo residuo saldato al momento del rogito.
Il ragionamento della Corte territoriale avrebbe determinato altresì la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., sia perchè la data di commissione del reato non è stata più individuata in quella indicata nel decreto di citazione, ovvero il 24 aprile 2015, ma è stata anticipata a un momento anteriore, cioè al 5 gennaio 2015, sia perché l’asserita realizzazione dell’abuso è stata riferita non più alla veste di proprietario indicata nell’imputazione, a ma quella di possessore del fondo.
Peraltro, conclude la difesa, la retrodatazione dell’abuso avrebbe dovuto indurre la Corte di appello a dichiarare, alla data del 25 febbraio 2020, estinto il reato per intervenuta prescrizione, stante la decorrenza dei relativi termini massimi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
1. Premesso che è in discussione non la sussistenza del reato dal punto di vista oggettivo, ma la sola ascrivibilità dello stesso all’odierno imputato, deve osservarsi che, anche rispetto a questo profilo, le due conformi sentenze di merito non presentano vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
Ed invero sia il Tribunale che la Corte di appello hanno valorizzato in tal senso la circostanza che, in occasione del sopralluogo eseguito in data 24 aprile 2015 dalla Polizia Municipale di Palermo nel terreno divenuto il 20 marzo 2015 di proprietà di Giuseppe Sarcone, questi stava effettuando lavori di sbancamento previa rimozione di un muretto di recinzione adiacente alla strada.
L’esame del fascicolo fotografico redatto al momento del controllo consentiva ai giudici di merito di apprezzare lo sradicamento di piante e la realizzazione di un muro di terra, avendo l’imputato agito con l’ausilio di un escavatore.
Ora, già tale accertamento è sufficiente a ritenere integrato il reato in coerenza con il tenore dell’imputazione, che cristallizza il fatto alla data del 24 aprile 2015, quella del sopralluogo appena citato, e individua le opere nello sbancamento con relativo movimento di terra e con demolizione della muratura di recinzione.
Sotto tale profilo, va quindi esclusa la dedotta violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., dovendosi evidenziare che, ai fini dell’attribuzione della condotta illecita al ricorrente, non assume rilievo dirimente il fatto che i lavori abusivi fossero iniziati già prima del momento in cui Sarcone è diventato proprietario del fondo in questione, dovendosi richiamare l’affermazione costante di questa Corte (Sez. 3, n. 48026 del 10/10/2019, Rv. 277349, Sez. 3, n. 38495 del 19/05/2016, Rv. 267582 e Sez. 3, n. 51427 del 16/10/2014, Rv. 261330), secondo cui, in tema di reati edilizi, qualsiasi intervento effettuato su una costruzione realizzata abusivamente, ancorché l’abuso non sia stato represso, costituisce una ripresa dell’attività criminosa originaria, che integra un nuovo reato, anche se consista in un mero intervento di manutenzione ordinaria, perché anche tale categoria di interventi edilizi presuppone che l’edificio sul quale si interviene sia stato costruito legittimamente, dovendosi cioè ritenere che gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale cui ineriscono strutturalmente.
In applicazione di tale premessa ermeneutica, è dunque irrilevante che la realizzazione dello sbancamento e della piattaforma di 120 mq. sia iniziata quando Sarcone non era ancora proprietario del fondo, essendo invece decisiva la circostanza che, all’atto del controllo della Polizia Municipale, il ricorrente, che all’epoca era proprietario del terreno, era intento a proseguire i lavori abusivi, non essendo necessario stabilire in che misura rispetto all’iniziale intervento, atteso che, quantomeno, si è trattato di lavori di manutenzione che comunque non potevano essere realizzati, stante l’illeceità delle opere inizialmente avviate.
E ciò senza considerare che, secondo quanto emerso nelle sentenze di merito, con accertamento non adeguatamente smentito nel ricorso, Sarcone non si è limitato a ripulire il terreno, ma ha implementato ulteriormente lo sbancamento.
Ciò rende dunque superfluo l’esame della questione su se, in epoca anteriore all’acquisto dell’immobile, vi sia stato un diretto coinvolgimento dell’imputato nell’esecuzione iniziale delle opere abusive, atteso che la contestazione risulta cristallizzata all’epoca (24 aprile 2015) in cui Sarcone era già divenuto proprietario del fondo e incentra il suo disvalore nella circostanza, comprovata dall’istruttoria dibattimentale (verbale di sequestro del 24 aprile 2015 ed esame del teste Vito Lo Russo), che egli, in quella veste, ha effettuato sine titulo, i lavori di sbancamento del terreno e di rottura della recinzione, a nulla rilevando che tali interventi, al pari della realizzazione della piattaforma, fossero iniziati alcuni mesi prima che egli acquisisse la veste formale di proprietario del terreno.
2. In definitiva, in quanto sorretta da considerazioni razionali e coerenti con gli elementi probatori acquisiti, l’attribuzione all’imputato della condotta illecita contestata resiste ampiamente alle censure difensive, che invero si concentrano su questioni fattuali non pertinenti ai fini della configurabilità della responsabilità penale del ricorrente, alla luce delle richiamate coordinate interpretative elaborate circa l’illiceità della prosecuzione dei lavori abusivi da altri iniziati, a ciò dovendosi solo aggiungere che, nel caso di specie, alcuna retrodatazione dell’epoca del fatto è stata operata dai giudici di merito, atteso che la data della condotta è stata correttamente individuata nell’imputazione in quella in cui è stata accertata la prosecuzione degli interventi sine titulo da parte di Sarcone.
Ciò consente di escludere che al momento della sentenza impugnata (25 febbraio 2020), il reato per cui si procede, accertato il 24 aprile 2015, fosse già prescritto, non essendo maturato il termine massimo di 5 anni, mentre non ha rilievo il fatto che la prescrizione sia maturata nelle more, essendo la declaratoria di estinzione del reato comunque inibita dal rilievo della manifesta infondatezza delle doglianze sollevate, non consentendo l’inammissibilità originaria dei ricorsi per cassazione la valida instaurazione dell’ulteriore fase di impugnazione (cfr. in termini, ex multis, Sez. 7, ord. n. 6935 del 17/04/2015, Rv. 266172).
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3. In conclusione, il ricorso proposto nell’interesse di Sarcone deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 17/02/2021