Cass. Sez. III n. 1238 del 13 gennaio 2025 (CC 21 nov 2024)
Pres. Sarno Rel. Scarcella Ric. Gianni
Urbanistica.Limiti alla rilevanza della buona fede
Se è vero che la buona fede, che esclude nei reati contravvenzionali l'elemento soggettivo, ben può essere determinata da un fattore positivo esterno ricollegabile ad un comportamento della autorità amministrativa deputata alla tutela dell'interesse protetto dalla norma, idoneo a determinare nel soggetto agente uno scusabile convincimento della liceità della condotta, è tuttavia altrettanto indubbio che ove il comportamento dell’autorità amministrativa sia stato in qualche modo indotto dall’inesatta rappresentazione degli elementi fattuali operata da chi detta buona fede invoca, nessuna efficacia scusante può essere attribuita al fatto di essersi il privato conformato a quanto “risposto” dalla Pubblica amministrazione, avendo il privato dato causa all’errore volitivo di quest’ultima, ciò che esclude del tutto la buona fede (fattispecie relativa a sequestro preventivo di un'area in relazione al reato di cui agli artt. 44, lett. c), 181, D.lgs. 42 del 2004 e 733-bis, cod. pen.).
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 21 maggio 2024, il Tribunale del riesame di Sira-cusa, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero, annullava l’ordinanza del giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Siracusa del 25 marzo 2024, disponendo il sequestro preventivo dell’area in atti meglio descritta, in relazione al reato di cui agli artt. 44, lett. c), 181, D.lgs. 42 del 2004 e 733-bis, cod. pen., a carico di Giulio Gianni e Carlo De Geronimo.
2. Avverso l’ordinanza impugnata nel presente procedimento, i predetti, nella qualità di indagati e legali rappresentanti della società LE DUNE s.r.l., hanno proposto congiunto ricorso per cassazione tramite il comune difensore di fiducia, munito di procura speciale, deducendo un unico motivo, di seguito sommariamente indicato.
2.1. Deducono, con tale comune motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 321, cod. proc. pen., 733-bis, cod. pen., 6, 10 e 44, TU edi-lizia, 181, D.lgs. n. 42 del 2004, 42, commi 2 e 4, cod. pen.
In sintesi, le censure difensive si appuntano sulla mancata valutazione della insussistenza dell'elemento soggettivo in capo agli indagati che, secondo i giudici del riesame, si ricaverebbe dalla evidente illegittimità della segnala-zione certificata di inizio attività rilasciata dal Comune di Pachino. In particola-re, nell'ordinanza impugnata si osserva: a) come il mutamento di destinazione d'uso sarebbe sottoposto al preventivo rilascio del permesso di costruire; b) che l'area oggetto dell'intervento ricadrebbe a norma dell'articolo 55 delle norme tecniche di attuazione nella zona G del piano regolatore del Comune di Pachino ove sussiste un vincolo assoluto di inedificabilità in attesa dell'istitu-zione della riserva delle zone umide; c) che il vincolo in esame dovrebbe rite-nersi conformativo e non espropriativo, e dunque non scaduto per decorrenza del termine; d) che la cosiddetta valutazione di incidenza ambientale o VINCA avrebbe necessitato di un parere espresso.
Si tratterebbe di motivazioni sovrapponibili alle doglianze poste a fon-damento dell'appello del pubblico ministero, già rigettato dal giudice delle in-dagini preliminari. Richiamata giurisprudenza di questa Corte (Cass., n. 3979 del 2018), si osserva come, in seno alle note difensive depositate in occasione dell'appello cautelare, sarebbero stati evidenziati più elementi che dimostre-rebbero, da un lato, la legittimità delle autorizzazioni rilasciate dagli enti pre-posti e, dall'altro, attesterebbero la buona fede dei committenti dell'opera. In particolare, detti elementi vengono descritti alle pagine 6 e seguenti del ricor-so. Anzitutto, si fa riferimento all'articolo 55 delle richiamate NTA osservandosi come il secondo capoverso di tale norma integrerebbe un vincolo espropriativo e non conformativo, in quanto il vincolo di inedificabilità assoluta sarebbe stato subordinato alla costituzione della riserva delle zone umide. Il piano regolatore generale del Comune di Pachino risale al 1988 e, nel quinquennio o decennio successivo, la riserva non sarebbe mai stata istituita, donde la mancata attua-zione del vincolo avrebbe determinato la decadenza dello stesso e la trasfor-mazione nell'area nella zona cosiddetta bianca, richiamandosi a sostegno quanto già affermato dalla giurisprudenza amministrativa sul punto. La parti-colare prescrizione vincolistica imposta dall'ultimo capoverso dell'articolo 55 richiamato, in quanto sopprime totalmente qualsiasi possibilità di sfruttamento dell'area da parte dei privati proprietari, avrebbe reso il vincolo medesimo so-stanzialmente espropriativo e non conformativo, e dunque ormai scaduto da tempo. Si osserva come la scadenza del vincolo non sarebbe frutto di una in-terpretazione soggettiva del piano regolatore o delle sue norme tecniche attua-tive, bensì un dato fornito dal responsabile del settore lavori pubblici ed urba-nistica del Comune in calce al certificato di destinazione urbanistica dell'im-mobile rilasciato il 23 novembre 2022 nel quale, richiamandosi la legge regio-nale Sicilia n. 38 del 1973, si attesterebbe che i vincoli sarebbero scaduti. In altre parole, l'omessa approvazione o istituzione della riserva in oggetto nel termine di 10 anni dall'approvazione del piano regolatore generale del Comune di Pachino avrebbe determinato l'inefficacia del vincolo di inedificabilità assolu-ta precedentemente apposto sull'area in esame. Dunque, il Comune di Pachi-no, in ossequio alla legge regionale ed in applicazione del potere discrezionale allo stesso spettante, avrebbe correttamente legittimato gli indagati ad ese-guire un'area di sosta temporanea a servizio del Lido DUNE nel rispetto delle norme ambientali. Agli atti processuali vi sarebbe la prova del deposito, uni-tamente alla SCIA, di una relazione tecnica e di una di una VINCA a firma di un agronomo e di un geologo oltre che del nulla-osta rilasciato dalla Soprin-tendenza ai beni culturali ed ambientali di Siracusa nonché il parere favorevole dei tecnici comunali che si erano occupati di istruire la pratica edilizia in que-stione. Secondo la difesa, in particolare, il certificato di destinazione urbanisti-ca ed il parere favorevole avrebbero conferito rilievo scusante alla condotta realizzata dagli indagati, i quali sarebbero stati indotti in errore dalla Pubblica amministrazione circa la regolarità dell'iter amministrativo finalizzata all'otte-nimento delle necessarie autorizzazioni. Si aggiunge, inoltre, in ricorso che, in base al testo unico sull'edilizia, opere come quelle in esame sarebbero oggetto di attività edilizia libera, allegando copia del decreto ministeriale 2 marzo 2018 contenente l'approvazione del glossario con indicazione di un elenco non esau-stivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività libera dove, in particolare alla pagina 38, punto 58, vi è descritta proprio l'opera di cui si discute, ossia “area di parcheggio provvisorio nel rispetto della orografia dei luoghi e della vegetazione ivi presente”. Sarebbe dunque corretto affermare che le opere realizzate non avrebbero determinato alcuna trasformazione ur-banistica della particella già gravata da vincoli di edificabilità assoluta, essen-do invece stata autorizzata legittimamente un'attività temporanea e stagionale in ossequio alle prescrizioni indicate dai tecnici e ritenute valide ed efficaci da-gli enti preposti al controllo del territorio. I giudici del riesame avrebbero, pe-raltro, errato laddove hanno affermato che il nulla-osta rilasciato dalla Sovrin-tendenza non sembrerebbe affetto da macroscopica illegittimità in quanto det-ta autorizzazione scaturiva dalle dichiarazioni effettuate in seno alla SCIA ed agli allegati nei quali veniva rimarcato il carattere stagionale degli interventi da realizzare focalizzando l'attenzione sul manufatto di sogni 6 m² in legno. Si tratterebbe, tuttavia, di un dato non corretto poiché il nulla-osta risulta essere stato rilasciato dalla Soprintendenza il 9 gennaio 2023, ossia in epoca antece-dente alla presentazione della SCIA del 6 marzo 2023, poi favorevolmente esi-tata il 4 maggio dello stesso anno. Dunque, per ottenere il nulla-osta non sa-rebbe stato necessario produrre alcuna VINCA ma una sola relazione paesaggi-stica semplificata che rappresentano fedelmente la natura delle opere che evi-denziavano altresì che, in variante alla precedente autorizzazione paesaggisti-ca del 2022, era previsto un solo manufatto di 6 mq. ossia il casotto per il cu-stode anziché l'esecuzione tra le altre, di un punto di ristoro-bar con bagni e docce, area attrezzata per noleggio di sdraio, ombrelloni giochi bimbi. La pre-sunta e infondata volontà degli indagati di focalizzare l'attenzione sul manufat-to di soli 6 mq. anziché sull'area di sosta, come si legge nell'ordinanza impu-gnata, si ricaverebbe anche dal contenuto, dal quale sarebbe possibile rilevare ancora una volta l'evidente travisamento in cui sarebbe incorso il tribunale, laddove si afferma che la predetta valutazione avrebbe riguardato la realizza-zione di un'area parcheggio dettagliatamente descritta, con la specifica indica-zione che la movimentazione della sabbia sarebbe stata limitata alla sagoma occupata dal manufatto, ossia il casotto di 6 mq. L'assenza di volontarie omis-sioni nella descrizione dei lavori da autorizzare pertanto confermerebbe la buona fede degli indagati. Infine, si censura l'ordinanza impugnata nella parte in cui ha attribuito rilievo al fatto che le opere eseguite avrebbero determinato una sostanziale movimentazione del terreno, verosimilmente attraverso mezzi meccanici con cui era stato dapprima sparso materiale calcarenitico bianco (e non come dichiarato bianco giallastro), sollevando la quota del terreno fino a 1 m., mentre la SCIA si limitava a dire che sarebbe stata sollevata la quota di un minimo di 8/10 cm. senza indicare la quota massima che sarebbe stata rag-giunta, e poi sarebbe stato livellato il terreno. Richiamato il contenuto della re-lazione paesaggistica e della VINCA, si sottolinea come l'effettiva sussistenza del fondo sabbioso nonché la presenza di canne infestanti, oltre ad essere at-testato dai professionisti incaricati dagli indagati, sarebbe riscontrata dalle foto acquisite al fascicolo e, soprattutto, dalla conoscenza dei luoghi da parte dei funzionari della sovrintendenza che avrebbero rilasciato il nulla-osta. Sarebbe dunque da escludere l'esecuzione con mezzi meccanici di ingenti movimenta-zioni di terra, laddove invece il fondo sabbioso sarebbe stato ricoperto con cal-careniti di colore giallo, come desumibile dalle foto, al fine di rendere il suolo idoneo ad essere fruito dalle auto in sosta. Non vi sarebbe stato inoltre alcun innalzamento del terreno, ma solo il ricoprimento del fondo sabbioso per circa 8/10 cm e, in ogni caso, alla Soprintendenza sarebbe stato correttamente indi-cato che l'innalzamento del fondo sabbioso avrebbe avuto uno spessore mini-mo pari a 8/10 cm. Infine, si censura ancora l'ordinanza impugnata nella parte in cui si afferma che i lavori in questione avrebbero determinato la distruzione dell'habitat 1410 ricoperto da materiale sabbioso e pietrisco, determinando anche l'innalzamento della quota di circa 1 m. Su tale profilo, si osserva come il primo accertamento sui luoghi compiuto dai consulenti tecnici del Pubblico ministero risale al 7 dicembre 2023, ossia in epoca lontana dalla realizzazione dell'area di sosta, e soprattutto non si conoscerebbero le modalità attraverso cui gli agenti di polizia giudiziaria hanno ricostruito lo stato dei luoghi antece-dente all'ultimazione dei lavori.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi, trattati in presenza a seguito di tempestiva richiesta di di-scussione orale, autorizzata dal Presidente titolare di questa Sezione, sono complessivamente infondati.
2. Deve, anzitutto, premettersi che, in sede di incidente cautelare reale di legittimità, i motivi di impugnazione sono limitati dalla previsione dell’art. 325, cod. proc. pen. al solo vizio di violazione di legge, non essendo quindi possibile dedurre il vizio di motivazione, nemmeno sotto il profilo della con-traddittorietà o della manifesta illogicità, rientrandovi dunque il vizio di travi-samento probatorio, più volte evocato dalla difesa degli indagati nel ricorso.
Merita, pertanto, di essere ribadito che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "er-rores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radi-cali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ra-gionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico se-guito dal giudice (Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656 – 01).
2.1. La lettura dell’ordinanza impugnata esclude, in particolare, che si versi in una delle ipotesi cui la giurisprudenza ha riconnesso il predetto vizio, attesa la assoluta linearità argomentativa – salva ovviamente la valutazione dei detti travisamenti probatori da valutare nel giudizio di merito, non essendo censurabili, come detto, in questa sede cautelare reale di legittimità – dell’ordinanza impugnata che, dopo aver ricostruito i fatti, ha fondato il proprio giudizio inerente la sussistenza del fumus dei reati ipotizzati sulle emergenze processuali.
Sul punto, i giudici del riesame, dopo aver correttamente ritenuto che l’opera in questione (realizzazione di un’area a parcheggio in area vincolata paesaggisticamente a servizio di un lido privato la cui gestione è riferibile alla società amministrata dagli indagati) necessitasse di titolo edilizio e di autoriz-zazione paesaggistica (Sez. 3, n. 6930 del 27/01/2004, Rv. 227566 – 01; Sez. 3, n. 28227 del 08/06/2011, Rv. 250971 – 01), hanno ritenuto evidente l’esistenza della macroscopicità dell’errore in cui era incorsa la P.A. allorquando aveva espresso il 4.05.2023 parere favorevole sul progetto volto alla realizza-zione della predetta area di sosta servente al lido balneare, attestando il 9.05.2023 che la comunicazione, unita alla copia della SCIA completa di tutti gli elaborati presentati in Comune, costituisse “la sussistenza del titolo”. I giu-dici del riesame, segnatamente, hanno aderito alla richiesta del pubblico mini-stero che ha ritenuto il vincolo di inedificabilità assoluta come conformativo e non espropriativo, osservando come l’inedificabilità può conseguire a vincoli di carattere ricognitivo indicati nel piano regolatore generale, nonché a vincoli derivanti da ulteriori disposizioni, comunque riconducibili alla tutela del territo-rio ma indipendenti dagli strumenti urbanistici. Si legge nell'ordinanza come detti vincoli non sarebbero solamente vincoli eteronomi ma sarebbe consentito al piano regolatore stesso di disporne di nuovi a tutela dei medesimi interessi tutelati. L'incidenza di questi vincoli alla natura del bene e non alla discrezio-nalità delle scelte amministrative di piano ne determinerebbe il valore confor-mativo, a tal proposito richiamandosi la sentenza n. 56 del 1968 con cui la Corte costituzionale ha qualificato gli elementi distintivi tra le misure espro-priative derivanti dall'interesse pubblico che si contrappone ab externo alla proprietà privata, e l'interesse pubblico per i beni ambientali e similari che fin dall'origine permea tali beni per le loro caratteristiche oggettive e per la loro localizzazione in un complesso cui sono coessenziali le qualità stabilite dalla legge. In questi casi il vincolo di non trasformabilità non comprime quindi il contenuto minimo della proprietà fondiaria e la destinazione di interesse pub-blico posta dalla legge o in base al provvedimento fondato sulla legge, essendo tale vincolo intrinseco alla forma e struttura del bene. Si osserva, peraltro, nel provvedimento impugnato come la questione sull'esatta natura dei vincoli in questione, nel caso di specie, è stata ritenuta del tutto fuorviante in quanto gli interventi oggetto di SCIA necessitavano comunque del permesso di costruire, che non soltanto non veniva mai chiesto né rilasciato, ma il Comune riteneva addirittura utilmente formatosi il titolo alla luce della SCIA e delle relazioni tecniche e dei successivi pareri presentati dall'indagato Gianni al Comune di Pachino. Si aggiunge inoltre nella ordinanza impugnata come anche la VINCA avrebbe necessitato di un parere espresso. E’ pur vero che il 4 maggio 2023 il Comune di Pachino aveva rilasciato un parere favorevole inerente alla SCIA presentata e alla relazione e gli elaborati di progetto allegati che, seppur gene-ricamente, si legge nell'ordinanza, potrebbe essere considerato riferito alla VINCA allegata alla SCIA, ma lo stesso, si osserva nel provvedimento, non era supportato da alcuna motivazione inerente proprio alle argomentazioni indicate nella VINCA, e quindi non sarebbe dato conoscere l'iter logico-giuridico seguito dall'Amministrazione.
2.2. Tralasciata - per le ragioni già evidenziate ex art. 325 cod. proc. pen., la censura difensiva secondo cui sarebbe evidente un travisamento pro-batorio nella parte in cui il Collegio ha ritenuto che l'autorizzazione rilasciata dalla Sovrintendenza non sarebbe affetta da macroscopica illegittimità -, vi è comunque che il tenore dei lavori di realizzare, come si legge nel provvedi-mento impugnato, sarebbe emerso dalle stesse affermazioni testuali in cui si afferma che la struttura in legno prefabbricata sarebbe stata appoggiata sul suolo, che sarebbe stata effettuata una leggera sistemazione del terreno per uniformare il piano, senza l'effettuazione di scavi e di interventi progettuali, opere da non realizzarsi su habitat prioritari e senza interferire con le specie individuate negli allegati alle direttive europee. Nel paragrafo riguardante i materiali di risulta si legge, inoltre, che, non prevedendosi i lavori di sbanca-mento, la movimentazione della sabbia sarebbe stata limitata alla sagoma oc-cupata dal manufatto sopra descritto lasciando alla fauna e alla flora autoctona la maggior parte della superficie interessata. Sulla base di tali dati, i giudici del riesame ritengono che, così facendo, gli indagati avrebbero volutamente ridimensionato la concreta portata dei lavori che si accingevano a realizzare inducendo la Sovrintendenza ad autorizzarli essendo, tra l'altro, emerso, dalle indagini, che le opere seguite avevano determinato una sostanziale movimen-tazione di terra, verosimilmente attraverso mezzi meccanici con i quali era sta-to dapprima sparso materiale calcarenitico bianco (e non già, come invece di-chiarato, bianco giallastro per non alterare la coloritura originaria del fondo), sollevando la quota del terreno fino a 1 m (mentre nella SCIA si limitavano a dire che avrebbero sollevato la quota di minimo 8/10 cm senza indicare la quota massima che avrebbero raggiunto), e poi avevano livellato il terreno: ta-li opere, proprio perché avevano determinato la radicale modifica della desti-nazione del luogo, non potevano, quindi, per i giudici del riesame, essere ri-condotte a quelle di edilizia libera. A ciò si aggiunge che dette opere, come si legge nell'ordinanza impugnata, avevano avuto l'effetto di estirpare tutta la vegetazione ivi presente e, anche sotto il profilo paesaggistico ed ambientale, questa attività non era consentita. I giudici del riesame danno altresì atto di come, a seguito della consulenza tecnica esperita da parte del pubblico mini-stero, era emerso come nell'area non era consentito effettuare movimenti di terra e che le trasformazioni dei caratteri morfologici e paesistici dei versanti anche ai fini del mantenimento dell'equilibrio idrogeologico, prescrizione ri-chiamata nella VINCA da loro presentata e che, pertanto, doveva ritenersi ben nota agli indagati. Sul punto, si legge nell'ordinanza impugnata come, proprio in relazione a quest'ultimo aspetto, i lavori realizzati avevano ridotto l'integrità ecologica del Pantano Ponterio per via del restringimento dell'area umida. La vegetazione ivi presente era indicativa di un'area umida soggetta stagional-mente anche ad eventuali allagamenti, oltre che alla presenza di determinate tipologie di uccelli legate alla presenza di zone umide, che avevano determina-to l'istituzione delle ZSC e ZPS, osservandosi come l'ambiente del Pantano ol-tre allo specchio d'acqua comprendeva anche le fasce di vegetazione alo igrofi-la che lo circondavano.
2.3. Si osserva, altresì, nel provvedimento impugnato, come la stessa VINCA, ad avviso dei consulenti, doveva ritenersi generica e imprecisa sotto il profilo tecnico scientifico: a) errata nella misura in cui concludeva nel senso che gli interventi da realizzare dovevano essere considerati direttamente con-nessi alla gestione del sito, mentre quest'ultima non comprendeva le opere di trasformazione del territorio, né rientrava tra quelli previsti nel piano di ge-stione del sito; b) errata inoltre allorquando concludeva per la presenza di ve-getazione selvatica di basso pregio ambientale, mentre invece la vegetazione presente prima degli interventi realizzati era costituita in gran parte dall'habi-tat 1410, ossia pascoli inondati mediterranei, come emergeva dalle foto estra-polate da Google earth nel mese di gennaio 2023, e più in generale da habitat di interesse comunitario; c) carente perché non trattava il profilo dell'incidenza della fauna presente sui luoghi sulla base del presupposto che quest'ultima non sarebbe stata interessata dai lavori che ci si accingeva a realizzare.
Ed allora, proseguiva l'ordinanza impugnata, condivisibilmente, i consu-lenti del Pubblico ministero avevano ritenuto che i lavori realizzati avessero de-terminato la distruzione dell'habitat 1410 che era stato ricoperto da materiale sabbioso e pietrisco determinando anche un innalzamento della quota del ter-reno di circa 1 m. per renderlo non allagabile dal Pantano, e ciò aveva favorito l'insediamento di una pianta invasiva che, prima degli interventi suddetti, po-teva essere presente solo sporadicamente e comunque al di fuori dell'area di interesse, caratterizzata da vegetazione a giunchi, con conseguente perdita e frammentazione di habitat per l'avifauna stanziale migratrice legata alle aree umide. D'altra parte, osserva l'ordinanza impugnata, l'innalzamento della quo-ta del terreno non poteva ritenersi opera di tipo stagionale e, dunque, oggetto di agevole rimessione in pristino, e, conseguentemente, il sostanziale impedi-mento dell'esondazione del Pantano era idoneo ad impedire il ricrearsi dell'ha-bitat.
2.4. Proprio alla luce dei predetti elementi i giudici del riesame hanno ritenuto sussistere gli elementi indiziari relativi ai reati oggetto di contestazio-ne, tenuto conto, peraltro, che gli indagati non avevano rappresentato in ma-niera chiara l'esatta tipologia dei lavori che intendevano effettuare così otte-nendo anche l'autorizzazione della Sovrintendenza, aggiungendosi nel provve-dimento impugnato come i lavori in esame non avevano riguardato solo la par-ticella numero 1473, in relazione alla quale erano state chieste le autorizzazio-ni, ma erano stati estesi anche alle particelle limitrofe. Dunque, sulla base di tali argomentazioni, i giudici del riesame hanno espresso il loro convincimento secondo il quale il quadro soggettivo emergente, lungi dal configurare la buo-na fede, era maggiormente tendente al dolo piuttosto che alla colpa, donde l'illegittimità del provvedimento del giudice delle indagini preliinari.
3. Al cospetto di tale apparato argomentativo le doglianze della difesa dei ricorrenti si appalesano prive di pregio, in quanto si risolvono nel “dissen-so” sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dal giudice dell’appello cautelare, operazione vietata in sede di legitti-mità, attingendo la ordinanza impugnata e tacciandola per presunte violazioni di legge con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sinda-cato da parte di questa Corte, criticando la decisione sul risultato valutativo delle emergenze processuali, piuttosto che censurare reali violazioni di legge sostanziali o processuali.
3.1. L’emersione di elementi, quali quelli sopra descritti, tendenti a sor-reggere il fumus dei reati contravvenzionali ipotizzati, del resto, legittimava il Tribunale del riesame ad esercitare il sindacato sugli atti amministrativi rila-sciati, essendo pacifico in giurisprudenza che qualora emerga una difformità tra la normativa urbanistica ed edilizia e l'intervento realizzato, per il quale sia stato rilasciato un titolo abilitativo, il giudice penale è in ogni caso tenuto a ve-rificare incidentalmente la legittimità di quest'ultimo, senza che ciò comporti la sua eventuale "disapplicazione", in quanto tale provvedimento non è suffi-ciente a definire di per sé - ovvero prescindendo dal quadro delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, e dalle rappresentazioni di progetto alla base della sua emissione - lo statuto di legalità dell'opera realizzata (tra le tante: Sez. 3, n. 36366 del 16/06/2015, Rv. 265034 – 01).
3.2. Che, poi, il vincolo di inedificabilità esistente sull’area non fosse di natura espropriativa ma conformativa discende proprio dalla circostanza che l’area in questione è paesaggisticamente vincolata, come più volte affermato dalla Corte costituzionale, essendosi infatti più volte ribadito, nella giurispru-denza del Giudice delle Leggi, che non sono inquadrabili negli schemi dell'e-spropriazione, dei vincoli indennizzabili e dei termini di durata i beni immobili aventi valore paesistico-ambientale "in virtù della loro localizzazione o della lo-ro inserzione in un complesso che ha in modo coessenziale le qualità indicate dalla legge" (Corte cost., sentenze n. 417 del 1995; n. 56 del 1968, da inter-pretarsi in maniera unitaria con la coeva sentenza n. 55 del 1968, n. 9 del 1973; n. 202 del 1974; n. 245 del 1976; n. 648 del 1988; n. 391 del 1989; n. 344 del 1990). Proprio pronunciandosi sulla questione dell’indennizzabilità dei vincoli, la Corte costituzionale (sentenza n. 179 del 1999), ha ritenuto che la Legge può non disporre indennizzi quando i modi ed i limiti imposti - previsti dalla legge direttamente o con il completamento attraverso un particolare pro-cedimento amministrativo - attengano, con carattere di generalità per tutti i consociati e quindi in modo obiettivo (sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968), ad intere categorie di beni, e per ciò interessino la generalità dei sog-getti con una sottoposizione indifferenziata di essi - anche per zone territoriali - ad un particolare regime secondo le caratteristiche intrinseche del bene stes-so.
Non si può porre un problema di indennizzo se il vincolo, previsto in base a legge, abbia riguardo ai modi di godimento dei beni in generale o di intere ca-tegorie di beni, ovvero quando la legge stessa regoli la relazione che i beni ab-biano rispetto ad altri beni o interessi pubblici preminenti.
Devono, di conseguenza, essere considerati come normali e connaturali alla proprietà (dunque, vincoli conformativi), quale risulta dal sistema vigente, i limiti non ablatori posti normalmente nei regolamenti edilizi o nella pianifica-zione e programmazione urbanistica e relative norme tecniche, quali i limiti di altezza, di cubatura o di superficie coperta, le distanze tra edifici, le zone di ri-spetto in relazione a talune opere pubbliche, i diversi indici generali di fabbri-cabilità ovvero i limiti e rapporti previsti per zone territoriali omogenee e simi-li.
3.3. Nella specie, trattandosi di vincolo richiamato dall’art. 55 della NTA del Comune di Pachino riguardante le zone classificate come “G”, in cui “nelle more di decisioni sulla costituenda riserva di zone umide, il vincolo deve in-tendersi assoluto di modifica del territorio”, era evidente come nessun inter-vento avrebbe potuto essere autorizzato, donde, attesa la natura di vincolo conformativo e non espropriativo, lo stesso non poteva dirsi scaduto a seguito della mancata istituzione della “riserva” in considerazione del periodo trascorso dall’adozione del PRG (1988), non essendo quindi pertinente la giurisprudenza amministrativa richiamata in ricorso che presuppone la natura “espropriativa” del vincolo.
4. Resta, infine, da esaminare il profilo centrale su cui insiste il ricorso, ossia la carenza dell’elemento psicologico del reato, posto che, secondo gli in-dagati, proprio il comportamento tenuto dall’Amministrazione (certificato di destinazione urbanistica; parere favorevole; nulla-osta paesaggistico della So-printendenza), li avrebbe indotti in errore sulla regolarità dell’iter amministra-tivo finalizzato all’ottenimento delle necessarie autorizzazioni.
4.1. Sul punto – in disparte il dato emergente dal provvedimento impu-gnato, ossia che proprio gli indagati, nella rappresentazione dei lavori da ese-guire, non avrebbero rappresentato in maniera chiara l’esatta tipologia degli interventi che intendevano effettuare (tanto che, si legge nell’ordinanza, la stessa difesa aveva ammesso in udienza che gli indagati, nella loro qualità, avevano intenzione di acquistare almeno una delle ulteriori particelle attinte dai lavori oltre alla p.lla 1473 in relazione alla quale erano state richieste le au-torizzazioni, sicché, per tale ragione, avevano deciso di estendere i lavori an-che in esse ancorché non fossero stati ancora autorizzati, ciò che rende quanto meno ragionevole il dubbio sulla “colposità” della condotta, tanto da far affer-mare al Tribunale del riesame di trovarsi di fronte, più che ad una condotta ispirata a buona fede, ad un comportamento in realtà doloso – deve eviden-ziarsi che, nell’attuale fase cautelare, il giudice è senza alcun dubbio tenuto ad esaminare la configurabilità del fumus dei reati ipotizzati considerando anche l’eventuale mancanza dell’elemento psicologico normativamente richiesto, purché di immediato rilievo (tra le tante: Sez. 4, n. 23944 del 21/05/2008, Rv. 240521 – 01); v. Corte cost., ord. n. 153 del 2007).
4.2. Alla stregua della ricostruzione della vicenda operata dai giudici del riesame, in particolare, detta “evidenza” non può certo ritenersi sussistere, te-nuto conto del dato, di per sé dirimente, costituito, da un lato, dalla inesatta rappresentazione degli interventi da realizzarsi (al netto dei travisamenti pro-batori riservati alla competente sede di merito, non denunciabili, come detto, nell’incidente cautelare reale di legittimità) e, dall’altro, dalla circostanza, fat-tuale ed emergente da dati oggettivi, dell’esistenza di vincoli di inedificabilità assoluta che avrebbero imposto una più ponderata valutazione, non potendo il privato cittadino giustificare la propria condotta illecita invocando un principio di affidamento alla valutazione operata dalla Pubblica Amministrazione, ove emergano elementi – come quelli evidenziati dai giudici del riesame nel caso in esame – idonei a ritenere che detta valutazione sia stata alterata proprio dall’inesatta rappresentazione da parte degli indagati degli interventi realiz-zandi.
4.3. In altri termini, se è vero che la buona fede, che esclude nei reati contravvenzionali l'elemento soggettivo, ben può essere determinata da un fattore positivo esterno ricollegabile ad un comportamento della autorità am-ministrativa deputata alla tutela dell'interesse protetto dalla norma, idoneo a determinare nel soggetto agente uno scusabile convincimento della liceità del-la condotta (tra le tante: Sez. 1, n. 47712 del 15/07/2015, Rv. 265424 – 01), è tuttavia altrettanto indubbio che ove il comportamento dell’autorità ammini-strativa sia stato in qualche modo indotto dall’inesatta rappresentazione degli elementi fattuali operata da chi detta buona fede invoca, nessuna efficacia scusante può essere attribuita al fatto di essersi il privato conformato a quanto “risposto” dalla Pubblica amministrazione, avendo il privato dato causa all’errore volitivo di quest’ultima, ciò che esclude del tutto la buona fede.
5. I ricorsi devono essere, dunque, rigettati, con condanna di ciascun ri-corrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese pro-cessuali.
Così deciso, il 21 novembre 2024