Cass. Sez. IV n. 34365 del 3 dicembre 2020 (CC 25 nov 2020)
Pres. Piccialli Est. Pezzella Ric. Auricchio ed altri
Urbanistica. Lottizzazione abusiva e buona fede del terzo acquirente
La condizione di buona fede, che nel caso di accertamento del reato di lottizzazione abusiva preclude la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite nei confronti del terzo acquirente di tali beni, presuppone non solo che questi abbia partecipato inconsapevolmente all'operazione illecita e che, quindi, non sia concorrente nel reato, ma anche che abbia gestito la propria attività contrattuale e precontrattuale assumendo le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo e sulla compatibilità dell'intervento agli strumenti urbanistici, dovendosi anche tenere conto, sotto questo profilo, del comportamento della pubblica amministrazione
RITENUTO IN FATTO
1. Il 25.11.1997, il Tribunale di Nola definiva il processo a carico di P.P. più altri con la sentenza n. 468/97, emessa ex art. 129 c.p.p., di non doversi procedere per essersi i reati estinti per intervenuta prescrizione, senza in alcun modo motivare circa la sussistenza o meno del contestato reato di lottizzazione abusiva e senza provvedere in ordine agli immobili in sequestro.
Con successiva ordinanza del 17.1.2001, emessa ex art. 130 c.p.p., il medesimo tribunale disponeva integrarsi la citata sentenza, ritenendo che, per mero errore materiale, non si fosse provveduto sui beni in sequestro, con conseguente confisca del terreno e dei due fabbricati oggetto di lottizzazione abusiva siti in (OMISSIS) e di proprietà della Domus s.r.l.. Tale provvedimento, tuttavia, rimaneva ineseguito, non risultando dagli atti nè la trascrizione nè la notifica agli interessati.
Con ulteriore ordinanza del 30.10.2002, emessa ex art. 666 c.p.p., su richiesta del pubblico ministero, il Tribunale di Nola, quale giudice dell'esecuzione, sulla scorta degli atti di causa (rapporto Carabinieri di Terzigno, perizia tecnica di ufficio), concludendo che "sussistevano, pertanto, all'atto dell'adozione della sentenza dichiarativa di prescrizione elementi che non solo escludevano la possibilità di un proscioglimento nel merito, ma che, anzi, confermavano l'articolata richiesta punitiva", confermava la confisca dei due fabbricati, motivando, quanto a D.M.E. (imputato nel processo), che a nulla valeva che dal novembre 2000 il predetto non fosse più amministratore della Domus trattandosi di confisca obbligatoria connessa alla oggettiva illiceità delle cose che colpisce i beni anche in capo a terzi possessori.
Avverso la suddetta ordinanza, la difesa del D.M. proponeva opposizione, rigettata dal Tribunale di Nola con ordinanza del 7.10.2003, divenuta definitiva l'11.10.2004, a seguito di ricorso per cassazione dichiarato inammissibile.
Il provvedimento di confisca veniva, pertanto, trasmesso al Comune e ai Carabinieri di Terzigno per i relativi adempimenti in data 22.10.2004 e trascritto nei registri immobiliari in data 4.5.2007.
2. In data 26.4.2013 - dopo sei anni dalla trascrizione e dieci dalla confisca - tuttavia, erano A.G., S.A. e S.C., a mezzo dei relativi difensori, nella qualità di terzi estranei in buona fede (la prima sostenendo di essere acquirente di due appartamenti del fabbricato B in via delle (OMISSIS) riportati in catasto al foglio (OMISSIS) particella (OMISSIS) sub (OMISSIS) e (OMISSIS) siti al terzo piano e di due box auto riportati in catasto al foglio (OMISSIS) particella (OMISSIS) sub 41 e 42, la seconda di essere acquirente di due appartamenti del medesimo fabbricato riportati in catasto al foglio (OMISSIS) p.lla (OMISSIS) sub 38 e 39 e due box auto riportati in catasto alle particelle sub 55 e 56 e il terzo quale liquidatore della Domus s.r.l. e dante causa nell'atto di vendita alle predette), a chiedere la revoca della confisca evidenziando, da un lato, l'omessa motivazione in sentenza circa la sussistenza degli elementi oggettivi del reato di lottizzazione e l'attribuibilità dello stesso, anche sotto un profilo di mera colpa, ai relativi imputati, e, dall'altro, l'assenza di male fede in capo agli istanti.
I medesimi evidenziavano che il Tribunale di Nola aveva erroneamente adottato la procedura di correzione dell'errore materiale per l'adozione del provvedimento ablatorio e in ogni caso sostenevano che l'attivazione della procedura ex artt. 666 c.p.p., ad opera del p.m. presupponeva che vi fosse stata l'impugnazione della sentenza per difetto di motivazione sugli elementi oggettivi del reato di lottizzazione e sull'attribuibilità, anche sotto il profilo della mera colpa, agli imputati, impugnazione non avvenuta nel caso in esame.
Deducevano inoltre l'assenza di malafede di essi istanti, soggetti estranei alla condotta lottizzatoria, allegando l'atto di vendita in data 28.2.2003 dei quattro appartamenti e relativi box auto effettuato dalla Domus s.r.l. in favore di A.G. e S.A., e la visura camerale relativa alla Domus s.r.l. attestante la qualità di socio rivestita da S.C. dal 27.12.2000.
Tale istanza veniva tuttavia dichiarata inammissibile dal Tribunale di Nola, con ordinanza del 26.6.2013, in quanto ritenuta mera riproposizione di istanza precedente, già decisa con provvedimento divenuto irrevocabile.
Avverso la suddetta ordinanza, il difensore proponeva ricorso per cassazione, deducendo violazione del principio del contraddittorio in quanto il Tribunale nell'emettere de plano il provvedimento non aveva tenuto conto che la richiesta di revoca della confisca era fondata su motivi diversi rispetto a quelli posti a base del ricorso definito con ordinanza del giudice dell'esecuzione del 30 ottobre 2002; ribadiva l'illegittimità della procedura di correzione di errore materiale e in ogni caso della confisca, emessa con la procedura ex art. 666 c.p.p., nonostante non fosse stato dal p.m. proposto appello avverso la sentenza di prescrizione che aveva omesso di provvedere sulla confisca, ma non aveva in alcun modo argomentato sulla sussistenza del reato e sulla responsabilità degli imputati.
Rilevavano peraltro gli interessati che in ogni caso la confisca non avrebbe potuto produrre effetti nei loro confronti, in quanto persone estranee al reato che non erano state messe in condizione di interloquire, nella vicenda, tenuto anche conto del sopravvenuto mutamento giurisprudenziale intervenuto in tema di confisca urbanistica (sent. della Corte Europea dei diritti dell'Uomo, sez. II del 20.1.09 n. 75909 caso Sud Fondi s.r.l Altana e sent. della C. Cost n. 239/2009), qualificata come sanzione di natura penale ex art. 7 CEDU e inapplicabile, in caso di sentenza dichiarativa di prescrizione, in assenza di accertamento della sussistenza sotto il profilo oggettivo e soggettivo del reato di lottizzazione abusiva, nonché in danno di terzi estranei al reato, qualora fosse stata accertata la loro buona fede.
La Terza Sezione Penale di questa Suprema Corte, con la sentenza 27702/14 del 1.4.2014, accoglieva il ricorso e annullava l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame, valorizzando anche l'intervento della Corte di Strasburgo (sent. del 29.10.2013 nel caso Varvara contro Italia) secondo cui l'applicazione della confisca urbanistica nell'ipotesi di assenza di condanna costituisce violazione del principio di legalità di cui all'art. 7 Cedu, pronuncia contro cui era stata sollevata questione di legittimità costituzionale, dichiarata inammissibile con sentenza del 14.1.2015.
Pertanto, alla luce del nuovo orientamento giurisprudenziale, sia della Corte di legittimità che della Corte Europea, in termini di confisca urbanistica, sopravvenuto al 2004, la III Sezione Penale annullava la citata ordinanza di inammissibilità della sopra indicata istanza, non potendosi ritenere, pur in presenza di provvedimenti del giudice dell'esecuzione definitivi, preclusa la questione, tenuto conto del citato, stabile e sopravvenuto mutamento dell'indirizzo giurisprudenziale in materia.
Il Tribunale di Nola, in composizione collegiale, quale giudice del rinvio, all'esito del procedimento in camera di consiglio nel corso del quale veniva svolta attività istruttoria attraverso l'acquisizione di documentazione, con ordinanza in data 4-10.6.2015, rigettava l'istanza sotto un duplice profilo:
1) la ritenuta sussistenza del reato di lottizzazione abusiva sulla scorta di quanto emergeva dagli atti (in particolare dal rapporto dei Carabinieri di Terzigno e dalla perizia tecnica d'ufficio disposta nel corso del dibattimento), che attestavano l'illegittimità della concessione edilizia in base alla quale erano stati costruiti i fabbricati, trattandosi di zone sottoposte a vincoli di inedificabilità a scopo residenziale la prima e a destinazione rurale l'altra;
2) la comprovata malafede degli acquirenti.
In ordine al primo profilo, veniva rilevato che il tribunale, precedentemente investito della questione, aveva motivato congruamente la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva, che dagli atti risultava integrato dalla avvenuta trasformazione edilizia del territorio e urbanizzazione dello stesso, attraverso la costruzione dei due fabbricati in oggetto, suddivisi in pluralità di appartamenti in contrasto con gli strumenti urbanistici dell'epoca che prevedevano vincoli di in edificabilità a scopo residenziale e destinazioni dell'area contrastanti con le opere eseguite.
In ordine al secondo profilo, assumeva il tribunale nolano che la malafede degli acquirenti emergeva con chiarezza dall'atto di vendita del 28.2.2003 essendo stato espressamente indicato nell'atto di vendita dal cedente S.C., amministratore della Domus s.r.l. subentrato al D.M., che i due appartamenti, con relativi box, ceduti a S.A. e A.G., insistenti nei fabbricati in questione erano stati realizzati su zona sottoposta a vincoli senza alcuna concessione edilizia e che in relazione agli stessi era stata presentata nel 1995 istanza di condono e versate le somme dovute a titolo di oblazione.
Ricorrevano nuovamente per cassazione A.G., S.A. e S.C. sostenendo che la confisca non avrebbe dovuto essere disposta essendo essi ricorrenti vittime di condotte perpetrate da altri.
Ciò in quanto il S. aveva acquistato da D.M.E. le quote della Domus s.r.l. in data 18.11.2000, in epoca anteriore al provvedimento di confisca, emesso in data 30.10.02, tanto più che era stato trascritto solo nell'anno 2007 e A.G. e S.A. avevano stipulato l'atto di compravendita de due appartamenti e del box in data 28.2.2003.
I predetti pertanto - era la tesi sostenuta- non potevano essere a conoscenza delle vicende giudiziarie che avevano coinvolto i fabbricati.
Il fatto stesso che fosse stata presentata istanza di condono nel lontano 1995, con successiva integrazione nel 2003, e che fossero state pagate le oblazioni e gli oneri concessori, escluderebbe secondo la tesi difensiva la malafede in capo a S.C., cessionario delle quote della Domus s.r.l, e il fatto stesso che di tale circostanza sia stata fatta menzione nell'atto di vendita attesterebbe la buona fede delle due acquirenti.
Aggiungevano l'insussistenza degli elementi oggettivi del reato di lottizzazione abusiva, che il Tribunale avrebbe ritenuto fondandosi su clausole di stile e senza procedere a una corretta analisi circa l'impatto urbanistico delle opere e lo stravolgimento territoriale della P.A..
Con il secondo motivo di impugnazione ribadivano ancora una volta che l'errore consistente nell'omessa confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite al momento della pronuncia della sentenza di condanna non era emendabile con il ricorso alla procedura di correzione dell'errore materiale integrando un vitium in iudicando rettificabile solo dal giudice dell'impugnazione a seguito di apposito gravame del pubblico ministero, che non c'era stato.
Questa Quarta Sezione Penale, con la sentenza 17726/2016, qualificato il ricorso come opposizione ai sensi dell'art. 667 c.p.p., comma 4, ordinava la trasmissione degli atti al Tribunale di Nola.
Il Tribunale di Nola, il 7/7/2016 rigettava l'opposizione in questione.
3. Ricorrevano nuovamente in data 27/7/2016 a questa Corte di legittimità, a mezzo del proprio comune difensore di fiducia, A.G., S.A. e S.C..
Il ricorso, assegnato alla Terza Sezione Penale di questa Corte, in ragione dell'esistenza della sopra richiamata pronuncia di questa Sezione Quarta Penale n. 17726/2016, veniva fissato dinanzi a quella Sezione per l'udienza camerale dell'8/10/2019.
Prima di tale udienza, tuttavia, con provvedimento del 3/10/2019 del Presidente della Terza Sezione Penale, sul rilievo che la sentenza 17726/2016 avesse natura esclusivamente processuale e non determinasse alcuna preclusione ad un nuovo giudizio di questa Quarta Sezione Penale, il fascicolo veniva rimesso a questa Sezione (cui veniva definitivamente assegnato -in sede di risoluzione del contrasto insorto tra le due sezioni- con provvedimento del Presidente coordinatore dell'ufficio esame preliminare dei ricorsi penali dell'11/10/2019, che confermava la valutazione di pronuncia meramente processuale della sentenza 17726/2016) e fissato per questa l'udienza camerale del 11/3/2020, rinviata all'odierna udienza ai sensi del D.L. n. 18 del 2020, art. 83 a causa della sopraggiunta emergenza per la pandemia da coronavirus.
4. A.G., S.A. e S.C. deducono i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Il difensore ricorrente premette di voler operare una complessiva critica alle due ordinanze emesse dal Tribunale di Nola (una in sede di rigetto della richiesta di revoca della confisca del 4/6/2015 ed una in sede di opposizione al rigetto del 7/7/2016), intimamente connesse sotto il profilo motivazionale.
Ritiene che, ancora una volta, il tribunale nolano abbia commesso evidenti errori, discostandosi dal solco tracciato dalla sentenza di annullamento del 1.4.2014, che aveva già fornito al giudice dell'esecuzione il principio di diritto che avrebbe dovuto indirizzare il proprio decisum, ovvero un attento esame circa la sussistenza della buona fede in capo agli acquirenti dei cespiti.
Si sostiene inoltre che la Terza Sezione Penale di questa Corte si sia espressa nell'occasione, sull'allora pendente scrutinio di costituzionalità relativo alla possibilità del giudice penale, in ipotesi di lottizzazione abusiva, di disporre la confisca anche in caso di reato prescritto discostandosi dai motivi di rimessione alla Corte Costituzionale e giudicandoli, peraltro, irrilevanti ai fini della decisione della fattispecie de qua.
Ebbene, ci si duole che il Tribunale di Nola, con la prima ordinanza reiettiva, si produceva in numerosi richiami alla pronuncia della Corte Costituzionale che, alla luce della sentenza della Corte di Cassazione, nulla avrebbero a che vedere con la fattispecie sottoposta al suo scrutinio.
In secondo luogo, ritiene il ricorrente che il provvedimento impugnato abbia disatteso anche il decisum di questa Quarta Sezione Penale di cui alla sentenza n. 14726 del 2016 del 13/4/2016, quando, qualificando l'impugnazione in opposizione ai sensi dell'art. 667 c.p.p., comma 4, trasmetteva gli atti al Tribunale di Nola, in funzione di giudice dell'esecuzione, affermando: "La conversione preclude a questa Corte ogni ulteriore valutazione, anche di merito, rispetto alla conferenza delle richieste sub b, destinata ad incidere sul gravame".
Ciò significava, secondo l'interpretazione offerta in ricorso, che questa Corte, quindi, riteneva che il giudice dell'esecuzione non dovesse neppure inerpicarsi nell'indagine circa la sussistenza, in capo agli istanti, della buona fede, ma dovesse concentrarsi sull'insuperabile error in procedendo commesso nell'applicazione della confisca.
Premesso ciò, il ricorrente deduce comunque due motivi di impugnazione. Con il primo motivo lamenta erronea applicazione del D.P.R. 16 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 2, (di seguito, D.P.R. n. 380 del 2001).
Lamenta che il tribunale nolano abbia provveduto ad acquisire della documentazione che non andrebbe minimamente ad incidere sulle posizioni degli istanti.
Le considerazioni espresse nella motivazione del provvedimento impugnato in relazione al tempo trascorso tra la disposta confisca e l'istanza di revoca della stessa da parte degli odierni ricorrenti trascurerebbero il mutamento giurisprudenziale intervenuto in tema di confisca senza condanna, già oggetto delle censure elevate da questa Corte di legittimità in sede di annullamento con rinvio del 1/4/2014.
A ciò andrebbe aggiunta l'erronea conclusione che vedrebbe il S.C. legato da rapporti di parentela con le altre due istanti, il che non è.
Dopo aver riaffermato la sussistenza oggettiva del reato di lottizzazione abusiva, il Collegio si impegna ad escludere la sussistenza della buona fede sulla scorta di quelle che il ricorrente ritiene "magmatiche considerazioni, peraltro richiamando l'ordinanza gravata dalla proposta opposizione".
In buona sostanza, ci si duole che, in sede di opposizione, il Collegio abbia provato a sostenere, con ulteriori elementi, le argomentazioni sottese all'ordinanza del 4-10/6/2015. In tale sede il Tribunale dapprima considerava sussistenti gli elementi oggettivi del reato di lottizzazione abusiva, riportandosi all'ordinanza integrativa ex art. 130 c.p.p. del 17.01.2001 ed a quella ex art. 666 c.p.p. del 30.10.2002; poi escludeva la sussistenza della buona fede in capo agli acquirenti. A tale conclusione perveniva osservando che A.G. e S.A. acquistavano da S.C., a sua volta acquirente delle quote della Domus s.r.l., due appartamenti sui quali non sussisteva alcuna concessione edilizia, ma semplici domande di condono con pagamenti di oblazioni e oneri concessori. Non solo, dunque - prosegue il ricorso- un bene oggetto di domanda di condono non potrebbe essere compravenduto, ma una siffatta operazione mal celerebbe la malafede dell'acquirente (reo di non aver apprestato la dovuta diligenza).
Si lamenta che lo sforzo argomentativo perpetrato dal Collegio si spingeva sino ad applicare erroneamente le norme in tema di compravendita e la sedimentata giurisprudenza della Corte di Cassazione che le accompagna.
Ciò avrebbe prodotto una distorta interpretazione del principio di diritto reso nella sentenza di annullamento e, pertanto, l'ordinanza andrebbe certamente annullata.
Il difensore ricorrente richiama quanto affermato da questa Corte in sede civile in tema di compravendita di un bene oggetto di domanda di condono, ovvero che: "In tema di vendita di immobili, il disposto del L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, consentendo la stipulazione ove risultino presentata l'istanza di condono edilizio e pagate le prime due rate di oblazione, esige che la domanda in sanatoria abbia i requisiti minimi per essere presa in esame dalla p.a. con probabilità di accoglimento, occorrendo, quindi, l'indicazione precisa della consistenza degli abusi sanabili, presupposto di determinazione della somma dovuta a titolo di oblazione, nonché la congruità dei relativi versamenti, in difetto delle quali il promittente venditore è inadempiente e il preliminare di vendita può essere risolto per sua colpa" (il richiamo è a Sez. 3 civ. n. 20714 del 22/11/2012). Ed ancora: "La L. 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 17 e 40, comminano la nullità degli atti tra vivi con i quali vengano trasferiti diritti reali su immobili ove essi non contengano la dichiarazione degli estremi della concessione edilizia dell'immobile oggetto di compravendita, ovvero degli estremi della domanda di concessione in sanatoria, mentre non prendono in considerazione l'ipotesi della regolarità sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico, ossia della conformità o meno della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione" (Sez. 3 civ. n. 5898 del 24/3/2004).
Dunque, sarebbe evidente che gli argomenti utilizzati nell'ordinanza opposta del 4-10/6/2015 presterebbero il fianco alla sussistenza della buona fede degli acquirenti.
Dalla documentazione versata in atti - prosegue ancora il ricorso- si è evinto che S.C. acquistava da D.M.E. le quote della Domus s.r.l. in data 18/11/2000 (in atti cessione delle quote). Successivamente, in data 28/2/2003 A.G. e S.A. (non legate da alcun rapporto di parentela con il S.C.) acquistavano due appartamenti con relativi box.
Ebbene, la confisca disposta con le ordinanze del 17/1/2001 e del 30/10/2002 veniva trascritta dal Comune di Terzigno soltanto nell'anno 2007.
Sarebbe allora evidente che sia S.C., acquirente delle quote della Domus s.r.l., sia le due acquirenti dei singoli appartamenti, tutti soggetti estranei al processo penale, nulla sapessero della vicenda giudiziaria che aveva coinvolto i fabbricati.
Il fatto stesso che fosse stata presentata istanza di condono e che fossero state pagate le oblazioni e gli oneri concessori escluderebbe la mala fede in capo a S.C., cessionario delle quote della Domus s.r.l..
Ancor di più sarebbe da ritenere sussistente la buona fede in capo a A.G. e S.A. in quanto compivano un acquisto a titolo oneroso su due appartamenti oggetto di domanda di condono, operazione certamente permessa dalla legge e neppure inusuale.
Invero la stasi dell'Ente Comunale avrebbe consentito, a chi aveva realizzato i due fabbricati, di cedere la società a S.C., acquirente di buona fede, e lucrare prima della trascrizione della confisca.
Ne deriva che i ricorrenti, loro malgrado, si sarebbero trovati vittime di condotte perpetrate da altri.
Rebus sic stantibus, non potrebbe certamente ritenersi che gli istanti ebbero a contribuire all'integrazione del reato di lottizzazione mediante l'acquisto da loro effettuato.
La sussistenza di un sequestro - è la tesi proposta in ricorso- non impediva certamente la compravendita del bene, a differenza di quanto sarebbe avvenuto in caso di tempestiva trascrizione della confisca nei registri immobiliari.
Lo stesso Collegio ammette che, a fronte dell'acquisto in costanza di sequestro, "...non risulta pervenuta alcuna annotazione circa l'eventuale violazione dei sigilli e la prosecuzione della costruzione..." (cfr. pag. 10 ordinanza impugnata). Dunque, si domanda il ricorrente, come potrebbe evincersi quanto meno la colpa in capo agli acquirenti se. non vi è stato alcun elemento atto a costituire un marker del reato lottizzatorio?
Inoltre, sarebbe illogica la conclusione che vedrebbe gli istanti quali acquirenti in malafede mossi dallo scopo di sottrarre i beni alla confisca.
Il Tribunale di Nola, sul punto, cadrebbe nell'evidente errore di applicare la giurisprudenza attuale in tema di confisca a comportamenti risalenti nel tempo (anno 2003), ove l'indirizzo giurisprudenziale era più stringente.
Ancora, non si comprenderebbe per quale motivo gli istanti avrebbero dovuto esporsi ad un gravissimo pregiudizio economico (derivante dall'acquisto dei beni) per addivenire all'incerto risultato di scongiurare una confisca per fatti a loro estranei.
In realtà, si sostiene che gli acquirenti siano semplicemente soggetti estranei a tutta la vicenda che ha coinvolto i fabbricati, che hanno sostenuto dei gravi esborsi economici certamente evitabili in caso di pronta trascrizione del provvedimento di confisca.
In buona sostanza, gli stessi sono vittime incolpevoli dell'inerzia statica nell'emissione e nell'attuazione dei provvedimenti.
A differenza di quanto sostenuto dal Tribunale, gli stessi, meri proprietari di alcuni appartamenti, sono soggetti esterni al processo penale e, pertanto, la confisca non può provocare effetti nei loro confronti.
Quanto va affermandosi trova conferma ad avviso del difensore ricorrente nella giurisprudenza di questa Corte di Cassazione secondo la quale: "Il soggetto che rivendichi l'illegittimità, nei suoi confronti, della disposta confisca - qualora non abbia partecipato ai procedimento nel quale è stata applicata la misura e sia quindi rimasto estraneo al giudizio di merito - pur non avendo ovviamente diritto di impugnare la sentenza nella quale la sanzione ablatoria è stata applicata, può chiederne la restituzione esperendo incidente di esecuzione, nell'ambito del quale può svolgere le proprie deduzioni e chiedere l'acquisizione di elementi utili ai fini della decisione; restano precluse le valutazioni di merito riferite alla configurazione della lottizzazione abusiva, qualora sia stata oggettivamente riscontrata in sede di merito; ma il giudice dell'esecuzione potrà sicuramente valutare, sia pure ai soli fini riguardanti la confisca, la implicazione (caratterizzata quanto meno da profili di colpa) nella lottizzazione medesima del soggetto che, dichiarandosi "terzo estraneo", chiede la restituzione della parte di sua pertinenza del terreno confiscato. La persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono inoltre proporre autonomamente richiesta di riesame; possono partecipare all'udienza camerale del riesame eventualmente proposto dall'indagato, quali soggetti interessati ex art. 127 c.p.p.; possono avanzare in qualsiasi momento autonoma istanza di restituzione" (il richiamo è a Sez. 3 n. 34882 del 22/4/2010, Usai, non mass.). Ed ancora: "In tema di lottizzazione abusiva, la confisca può essere applicata anche al di fuori dei casi di condanna, a condizione che nella condotta del terzo acquirente, sui cui patrimonio la misura viene ad incidere, siano riscontrabili quantomeno profili di colpa. (il richiamo è a Sez. 3 n. 45833 del 18/10/2012 Fattispecie nella quale è stata ritenuta la buonafede dell'acquirente desunta dall'avvenuta allegazione al rogito del certificato di destinazione urbanistica, oltre che per il fatto che lo stesso aveva riposto legittimo affidamento sulla prassi comunale di rilasciare le concessioni pur in assenza del piano di lottizzazione)" (Sez. 3, n. 45833/2012).
Da quanto considerato discenderebbe che deve ritenersi certamente sussistente il requisito della buona fede in capo a S.C., A.G. e S.A..
Brevi cenni, poi, vanno sviluppati circa l'assenta sussistenza degli elementi oggettivi del reato di lottizzazione abusiva.
Ebbene, il Tribunale ritiene che con le ordinanze applicative della confisca sia stata ben argomentata la fondatezza del reato di lottizzazione abusiva sotto il profilo degli elementi oggettivi.
Nulla di più inconsistente, secondo la tesi proposta in ricorso.
Sul punto la Suprema Corte di Cassazione ritiene che: "La confisca dei terreni può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato (nella specie, della prescrizione), purchè sia accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell'ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, e che verifichi l'esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l'aspetto dell'imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza dei soggetti nei confronti dei quali la misura viene ad incidere. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta legittima la confisca dei terreni nonostante la prescrizione del reato, all'esito dell'accertamento della rimproverabilità della condotta degli imputati e della illegittimità della concessione edilizia rilasciata in zona di inedificabilità assoluta)" (Sez. 3, n. 17066/2013).
Alla luce del succitato arresto giurisprudenziale apparirebbe evidente, secondo la tesi proposta dai ricorrenti, che in nessun provvedimento sia stata compiutamente analizzata la sussistenza oggettiva del reato. Per corretta analisi si intende un attento scrutinio tecnico circa l'impatto urbanistico delle opere e lo stravolgimento della pianificazione territoriale della P.A..
Nulla di ciò sarebbe avvenuto nel caso di specie: le motivazioni circa la sussistenza della lottizzazione abusiva poggerebbero su inconsistenti e magmatiche forme stilistiche che, sebbene genericamente applicabili in casi simili, non si addentrano nello studio tecnico della fattispecie.
A nulla varrebbe il tentativo compiuto dal tribunale, ovvero di emendare una sentenza monca nella parte motiva.
Ci si duole che il Collegio, attraverso l'acquisizione documentale, avrebbe operato una rivalutazione dei fatti oggetto del processo travalicando i limiti della competenza del giudice dell'esecuzione.
L'insufficienza motivazionale della sentenza - prosegue il ricorso- non può essere certo oggetto di emendatio successiva: ragionare diversamente significherebbe attribuire al Giudice dell'Esecuzione funzioni cognitive di merito, e, dunque, consentire l'emissione di una nuova sentenza, sostitutiva di quella passata in giudicato.
Quanto dedotto nell'interesse dei ricorrenti -si sostiene- andrebbe ad inficiare pesantemente l'ordinanza gravata, della quale il ricorrente chiede l'annullamento.
Con un secondo motivo si lamenta l'erronea applicazione dell'art. 130 c.p.p., art. 676 c.p.p. e art. 666 c.p.p., comma 4 e art. 665 c.p.p., comma 5.
Secondo il difensore ricorrente tale motivo sarebbe assorbente ed il tribunale nolano avrebbe disatteso le implicite indicazioni della sentenza 17726/16, secondo cui tale motivo era destinato ad incidere sul gravame.
Ancora una volta, come sopra argomentato, nell'ordinanza resa in sede di opposizione, il tribunale avrebbe provato ad emendare una sentenza che, seppur giudicata frettolosa, compie uno scrutinio della vicenda processuale.
In buona sostanza il tribunale nolano travalicherebbe i limiti cognitivi devoluti al giudice dell'esecuzione, provando a correggere delle asserite insufficienze motivazionali e producendosi in una rivalutazione del materiale probatorio confluito nel processo, in tal guisa rivalutando il merito ed esulando dal limite cognitivo tracciato dall'art. 676 c.p.p., art. 666 c.p.p., comma 4 e art. 665 c.p.p., comma 5, violandone il disposto.
Si ricorda ancora una volta che con la sentenza n. 468/97 il Tribunale di Nola pronunciava declaratoria di non doversi procedere essendo intervenuta l'estinzione dei reati per prescrizione.
Il Collegio non provvedeva in merito alla confisca prevista dalla L. n. 47 del 1985, ma, successivamente, la disponeva con riferimento al terreno ed ai due fabbricati della Domus s.r.l. azionando il procedimento di correzione dell'errore materiale (ordinanza del 17.1.2001). Poi, con ulteriore ordinanza dei 30 ottobre 2002, sollecitata dalla Procura della Repubblica, veniva nuovamente disposta la confisca dei due fabbricati oggetto di lottizzazione.
Ebbene, si lamenta che, alla luce del tenore della sentenza n. 468/97, essendosi pronunciato solo ed esclusivamente circa l'intervenuta prescrizione dei reati, il Tribunale di Nola non poteva adottare la procedura della correzione dell'errore materiale per provvedere alla confisca delle opere contestate.
Nella suindicata sentenza - è il punto nodale della doglianza- non si produrrebbe un percorso logico argomentativo tale da valutare, con la necessaria compiutezza, la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva.
In materia - prosegue il ricorso- insisterebbe il principio sedimentato nella giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, secondo il quale il Giudice deve compiere una puntuale valutazione del reato di lottizzazione abusiva, seppure lo stesso sia prescritto, ai fini della confisca delle opere oggetto dell'imputazione.
Il richiamato principio sarebbe ben delineato nella pronuncia della Suprema Corte, secondo la quale: "Nell'ipotesi di declaratoria di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per prescrizione, il giudice, per disporre legittimamente la confisca, deve svolgere tutti gli accertamenti necessari per la configurazione sia della oggettiva esistenza di una illecita vicenda lottizzatoria sia di una partecipazione, quanto meno colpevole, alla stessa del soggetti nei confronti dei quali la sanzione venga adottata, e di ciò deve dare conto con motivazione adeguata" (il richiamo è a Sez. 3 n. 21188/2009).
Ebbene, da un attento esame della sentenza del Tribunale di Nola emergerebbe ictu oculi che nella stessa non si compie un percorso logico argomentativo tale da accertare l'effettiva sussistenza del reato contestato.
Solo qualora fosse stato compiuto il già menzionato certosino scrutinio, il Tribunale avrebbe potuto procedere alla correzione dell'errore materiale in quanto il provvedimento di confisca ne costituirebbe una naturale e logica conseguenza.
A conferma di ciò, secondo il ricorrente soccorre Sez. 3 n. 25011/2011 secondo cui: " L'errore consistente nell'omessa confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite, al momento della pronuncia della sentenza di condanna, non è, di regola, emendabile con il ricorso alla procedura di correzione dell'errore materiale, integrando un "vitium in iudicando" rettificabile solo dal giudice dell'impugnazione a seguito di apposito gravame del p.m." (In motivazione la Corte ha, tuttavia, precisato che il ricorso alla procedura di cui all'art. 130 c.p.p. è ammesso quando la motivazione della sentenza sia estesa ai profili oggettivi e soggettivi della vicenda lottizzatoria e configuri la partecipazione, quanto meno colpevole, dei soggetti sui quali incombe il provvedimento ablatorio: solo in tal caso, secondo la Corte, la correzione integrativa non comporta la modifica essenziale o la sostituzione della decisione già assunta).
Ed ancora si evidenzia che questa Sez. 4 con la sentenza 25035/2007, ha affermato che: "La procedura della correzione dell'errore materiale della sentenza, ai sensi degli artt. 130 e 547 c.p.p., può avere luogo solo quando si sia in presenza di errore od omissione materiale e non concettuale, giacchè diversamente anche la mancanza di una statuizione pur dovuta non può aver luogo con il ricorso alla procedura della correzione dell'errore materiale, potendo disporre modifiche o integrazioni solo il giudice d'appello mediante la relativa determinazione sul punto".
Dunque, in aderenza al dictum della Suprema Corte, a nulla rileverebbe l'avvenuta proposizione, da parte della Procura, della richiesta ex art. 666 c.p., in quanto nel caso di specie la confisca sarebbe potuta avvenire soltanto a seguito di impugnazione della sentenza e di successiva pronuncia nel merito della Corte di Appello.
Nella fattispecie, invece, si evidenzia che la sentenza di prescrizione è passata in giudicato il 6 aprile 1998, senza che sia stato proposto alcun appello da parte della Procura della Repubblica.
Tale tesi trova conforto -prosegue il ricorso- nella stessa ordinanza del 30.01.2002 ove sostiene che nel caso in cui vi sia prescrizione del reato di lottizzazione abusiva è necessaria un compiuta disamina della vicenda al fine di provvedere o meno alla confisca delle opere.
Tuttavia, in tale ordinanza il Tribunale sarebbe caduto in errore nel valutare effettivamente, compiuta la valutazione richiamata dalla Suprema Corte di Cassazione.
Viene evidenziato, peraltro, che non è sufficiente affermare sic et simpliciter la sussistenza del reato in questione, ma è necessario supportarne l'intervento attraverso chiare valutazioni logico-giuridiche tali da giustificare il successivo provvedimento di confisca. Lo stesso principio, infatti, troverebbe sostegno nella pronuncia di Sez. 3 n. 5857/2011 secondo cui:"...la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite, pur potendo essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato, non è tuttavia consentita se la prescrizione del reato di lottizzazione abusiva sia. maturata in data antecedente all'esercizio dell'azione penale".
Tutto ciò troverebbe conferma nelle stesse ordinanze del Tribunale di Nola che, affannandosi in una postuma rivalutazione degli elementi probatori, cercherebbe di giustificare con motivazioni nuove la sussistenza dei reati contestati.
Il tutto perché, come dallo stesso Tribunale di Nola ammesso, si era "in presenza dello sciagurato errore omissivo... posto in essere nella frettolosità di una sentenza dichiarativa di prescrizione..." (il richiamo è pag. 2 dell'ordinanza del Tribunale di Nola del 27.7.2006).
Ebbene, il difensore ricorrente si domanda come sia possibile, a fronte dell'ammessa frettolosità della sentenza, integrare la pronuncia con una mera correzione dell'errore materiale.
Non era assolutamente possibile -- si sostiene- dichiarare la confisca delle opere in presenza di una motivazione monca, insufficiente ed inidonea ad accertare la sussistenza di reati seppure prescritti.
Di nessun valore emendativo sarebbero, infine, le ulteriori osservazioni prodotte nelle successive ordinanze emesse dal Tribunale quale Giudice dell'Esecuzione, difatti esse si fermano, alla luce dei succitati arresti giurisprudenziali, innanzi al muro invalicabile del giudicato.
Ne deriva per i ricorrenti che la disposta confisca è assolutamente illegittima e, pertanto, va revocata, non potendo essere disposta in quanto produce effetti nei confronti di soggetti estranei alla condotta lottizzatoria.
Chiedono, pertanto, l'annullamento senza rinvio o, in subordine, con rinvio, del provvedimento impugnato.
5. In data 27-29/7/2019 ha reso le proprie conclusioni scritte ex art. 611 c.p.p., chiedendo che questa Corte rigetti il ricorso.
Evidenzia il P.G. che la giurisprudenza di legittimità in tema di confisca conseguente a lottizzazione abusiva disposta al di fuori dei casi di condanna, ha chiarito che il giudice dell'esecuzione, investito della opposizione del terzo rimasto estraneo al procedimento, è tenuto ad accertare, dal punto di vista oggettivo, l'effettiva esistenza della lottizzazione e, dal punto di vista soggettivo, l'insussistenza della buona fede nella condotta del terzo acquirente dell'immobile, sulla base di quanto provato dalla pubblica accusa (il richiamo è a Sez. 3, n. 32363 del 24/5/2017, Rv. 27044301). Ancor più specificatamente - si ricorda- questa Suprema Corte ha puntualizzato che in tema di reati edilizi, la confisca di un immobile abusivamente lottizzato può essere disposta anche nei confronti dei terzi acquirenti, qualora nei confronti degli stessi siano riscontrabili quanto meno profili di colpa nell'attività precontrattuale e contrattuale svolta, per non aver assunto le necessarie informazioni circa la sussistenza di un titolo abilitativo e sulla compatibilità dell'intervento con gli strumenti urbanistici (il richiamo è a Sez. 3, n. 51429 del 15/9/2016.
Per il P.G. nel caso in esame il giudice dell'opposizione ha chiaramente evidenziato tutta una serie di elementi (cfr. pag. 9 dell'impugnato provvedimento), desunti dall'istruttoria, svolta all'uopo, da cui emerge come sia da escludere in capo ai ricorrenti, la totale ignoranza della situazione giuridica degli immobili.
Le differenti valutazioni in punto di fatto espresse dalla difesa, senza specifico confronto con i passaggi esplicitati dal giudice dell'opposizione, non vengono ritenute idonee a disarticolare il percorso argomentativo dell'impugnata ordinanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, i proposti ricorsi vanno rigettati.
2. Per ragioni sistematiche va analizzato, in primis, il secondo motivo di impugnazione, di natura processuale, in quanto effettivamente, come sostiene il ricorrente, qualora fosse fondato, sarebbe assorbente rispetto ad ogni altra doglianza.
Tuttavia, lo stesso si palesa infondato.
Rilevano i ricorrenti che la confisca non poteva essere disposta con provvedimento reso ai sensi dell'art. 130 c.p.p., quale correzione di errore materiale. E richiamano il condivisibile dictum, tra le altre, di Sez. 3 n. 25011/2011 e Sez. 4 n. 25035/2007. Evidenziano, anche che la fondatezza di tale motivo si rinverrebbe implicitamente nella sentenza n. 17726/2016 di questa Corte che aveva convertito l'originario ricorso per cassazione contro l'ordinanza del Tribunale di Nola del 4-10/6/2015 in opposizione ex art. 667 c.p.p., comma 4. In realtà, così non è, perchè quella sentenza, di natura meramente processuale, dava conto delle modalità con cui si era proceduto a disporre la confisca e proprio perchè, come si dirà di qui a poco, non si era proceduto ai sensi dell'art. 130 c.p.p., riteneva che si fosse di fronte ad una opposizione ex art. 667 c.p.p., comma 4.
Naturalmente, trattandosi di pronuncia avente natura processuale, quella sentenza -e non poteva essere diversamente- indicava anche che "la conversione preclude a questa Corte ogni ulteriore valutazione, anche di mero rito, rispetto alla conferenza delle richieste sub b, destinata ad incidere sul gravame".
Quella pronuncia, in altri termini, invitava il giudice del rinvio a pronunciarsi in sede di opposizione anche sulle doglianze che già in quella sede gli odierni ricorrenti proponevano in ordine alla ritualità della procedura seguita per disporre la confisca perchè -come si è ribadito poc'anzi- qualora fossero state fondate sarebbero state destinate a condizionare le sorti del gravame.
Quella pronuncia di legittimità imponeva al giudice del rinvio un onere di motivazione, ma con tutta evidenza, trattandosi di pronuncia processuale, il che ha mantenuto la competenza a pronunciarsi di questa Sezione, non poteva e non ha anticipato conclusioni in ordine alla fondatezza di qualsivoglia motivo.
Ebbene, l'onere motivazionale richiesto al Tribunale nolano risulta adempiuto con il provvedimento oggi impugnato, che confuta in modo argomentato e corretto la doglianza di natura procedurale.
Ed invero, come spiega il provvedimento oggi impugnato, l'originario provvedimento reso dal Tribunale di Nola il 17.1.2001, ex art. 130 c.p.p., è rimasto ineseguito, non risultando dagli atti nè la trascrizione nè la notifica agli interessati. Quel provvedimento -errato - non ha dunque prodotto alcun effetto giuridico.
Poichè, tuttavia, dopo la sentenza del 25.11.1997, con cui il Tribunale di Nola definiva il processo a carico di P.P. più altri con la sentenza 468/97, emessa ex art. 129 c.p.p., di non doversi procedere per essersi i reati estinti per intervenuta prescrizione, senza in alcun modo motivare circa la sussistenza o meno del contestato reato di lottizzazione abusiva, restava da provvedere sugli immobili in sequestro, sulla scorta evidentemente proprio della riconosciuta impossibilità che potesse essere risolutiva in tal senso la pronuncia ex art. 130 c.p.p., del 2001, nel 2002 il Pubblico ministero chiedeva al Tribunale di Nola di provvedere quale giudice dell'esecuzione.
Gioverà ricordare che l'art. 676 c.p.p., attribuisce al giudice dell'esecuzione, tra le altre, la competenza a decidere "...in ordine alla confisca o alla restituzione delle cose sequestrate...". E prevede che in questi casi "il giudice dell'esecuzione procede ai sensi dell'art. 667, comma 4".
Seguendo correttamente tale procedura, con l'ordinanza del 30.10.2002, il Tribunale di Nola, quale giudice dell'esecuzione, sulla scorta degli atti di causa (rapporto carabinieri di Terzigno, perizia tecnica di ufficio) disponeva senza formalità la confisca degli immobili in sequestro, ai sensi dell'art. 667 c.p.p., comma 4, concludendo che "sussistevano, pertanto, all'atto dell'adozione della sentenza dichiarativa di prescrizione elementi che non solo escludevano la possibilità di un proscioglimento nel merito, ma che, anzi, confermavano l'articolata richiesta punitiva", motivando, quanto a D.M.E. (imputato nel processo) che a nulla valeva che dal novembre 2000 il predetto non fosse più amministratore della Domus, trattandosi di confisca obbligatoria connessa alla oggettiva illiceità delle cose che colpisce i beni anche in capo a terzi possessori.
Avverso la suddetta ordinanza, la difesa del D.M. proponeva opposizione ai sensi del medesimo art. 667 c.p.p., comma 4, rigettata dal Tribunale di Nola con successiva ordinanza del 7.10.2003, e divenuta definitiva l'11.10.2004, a seguito di ricorso in cassazione dichiarato inammissibile.
Nel 2004, pertanto, si perfezionava l'iter della confisca, disposta ritualmente dal giudice dell'esecuzione.
La confisca in questione, stavolta, veniva trascritta nei registri immobiliari (sebbene solo in data 4.5.2007).
Sei anni più tardi, come illustrato in premessa (il 26.4.2013) - cominciava, sempre davanti al giudice dell'esecuzione, la procedura incidentale promossa dagli odierni ricorrenti A.G., S.A. e S.C., terzi estranei in buona fede.
Tale procedura, come ricordava la più volte citata sentenza 17726/16 di questa Sez. 4, vedeva una prima declaratoria di inammissibilità del Tribunale di Nola, in funzione di giudice dell'esecuzione, con ordinanza del 26.6.2013 (che riteneva l'istanza mera riproposizione di istanza precedente, già decisa con provvedimento divenuto irrevocabile) reso ai sensi del combinato disposto dell'art. 676 c.p.p. e art. 667 c.p.p., comma 4.
Quella ordinanza veniva annullata con rinvio dalla Terza Sezione Penale di questa Suprema Corte, con la sentenza 27702/14 del 1.4.2014
Al rinvio seguiva l'ulteriore rigetto del 4-10.6.2015, e, dopo quella che la sentenza 17726/16 di questa Corte qualificava come opposizione ex art. 667 c.p.p., comma 4, il rigetto del 7/7/2016 operato con il provvedimento oggi impugnato.
Alla luce di quanto sin qui detto, pertanto, ritiene il Collegio che non sussista il lamentato error in procedendo di cui al secondo motivo di ricorso.
3. Detto della ritualità delle procedure con cui è stata disposta la confisca degli immobili di cui ci si occupa, va a questo punto analizzato il primo motivo di ricorso proposto dagli odierni ricorrenti, che pure si palesa infondato.
Per un esame compiuto dello stesso occorre premettere quello che è lo stato della giurisprudenza nazionale e sovranazionale circa la possibilità che il giudice penale che abbia dichiarato con sentenza la prescrizione del reato di lottizzazione abusiva possa confiscare gli immobili che ne sono stato oggetto (cfr. sul punto, ex multis, Sez. 4 n. 26903 del 15/5/2019, Concu, non mass).
La confisca di quanto in sequestro, anche in presenza di prescrizione del reato di lottizzazione abusiva, nel nostro ordinamento, è tuttora consentita, anche alla luce della giurisprudenza sovranazionale.
Va ricordato l'arresto giurisprudenziale costituito da Sez. 3, n. 16803 del 8/4/2015, Boezi, Rv. 263585 secondo cui, in tema di lottizzazione abusiva, il giudice, anche quando pronuncia sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato, può disporre, sulla base di adeguata motivazione sull'attribuibilità del fatto all'imputato, la confisca del bene lottizzato, atteso quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 49 del 2015, anche considerata la pronuncia della Corte EDU del 29 ottobre 2013 nel caso Varvara c/Italia.
Il principio, peraltro, è stato ribadito dalla decisione della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018 (caso G.I.E.M. S.r.l. e altri v. Italia) che ha affermato che la confisca urbanistica non viola l'art. 7 CEDU qualora sia disposta all'esito di un accertamento giurisdizionale che presenti perlomeno i requisiti sostanziali della condanna (id est, in assenza di un giudicato formale di condanna) e, quindi, nonostante l'intervenuta maturazione del termine di prescrizione per il reato contravvenzionale di lottizzazione abusiva e la conseguente pronuncia liberatoria.
Una motivazione siffatta, pertanto, soddisfa il principio, anche successivamente ribadito da questa Corte di legittimità secondo cui il proscioglimento per intervenuta prescrizione maturato nel corso del processo non osta, sulla base di una lettura costituzionalmente (cfr. Cort. Cost., sent, n. 49 del 2015) e convenzionalmente orientata, alla confisca del bene oggetto di lottizzazione abusiva, a condizione che il suddetto reato venga accertato, con adeguata motivazione, nei suoi elementi oggettivo e soggettivo, posto che l'obbligo di accertamento imposto al giudice per l'adozione del provvedimento ablativo prevale su quello generale della immediata declaratoria della causa di non punibilità, ex art. 129 c.p.p. (Sez. 3, n. 53692 del 13/7/2017, Martino, Rv. 272791; conf. Sez. 3, n. 15126 del 5/4/2018, Settani, non massimata). Principio consolidato, anche alla luce delle nuove pronunce sovranazionali dal dictum che ha chiarito che in tema di reati edilizi, il proscioglimento per intervenuta prescrizione maturata nel corso del processo, non osta, in base alla disposizione di cui all'art. 578-bis c.p.p., introdotto dal D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, art. 6, comma 4, ed anche alla luce della pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia, alla conferma della confisca del bene oggetto di lottizzazione abusiva, a condizione che la relativa decisione abbia accertato l'esistenza del reato e la responsabilità dell'imputato, garantendo il diritto di difesa secondo i parametri di cui all'art. 6 CEDU. (così Sez. 3, n. 5936 del 08/11/2018 dep. il 2019, Basile, Rv. 274860).
Le Sezioni Unite di questa Corte di legittimità hanno poi definitivamente affermato che, in tema di lottizzazione abusiva, la confisca di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 2, può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato determinata dalla prescrizione, purchè la sussistenza del fatto sia stata già accertata, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell'ambito di un giudizio che abbia assicurato il pieno contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio, in applicazione dell'art. 129 c.p.p., comma 1, non può proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento (così Sez. Un. 13539 del 30/01/2020, Perroni, Rv. 278870).
Del resto, già nella condivisibile sentenza della Terza Sezione Penale di questa Corte di Cassazione del 1/3/2019, n. 8969, si era affermato che l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione non è ostativa alla confisca, qualora sia stato assicurato il contraddittorio e il diritto alla prova (Sez. 3, n. 47280 del 12/09/2019, Cancello, Rv. 277363). Contraddittorio e diritto alla prova che sono stati garantiti all'imputato, oltre che nel processo, nella procedura dinanzi al giudice dell'esecuzione terminata con l'ordinanza del 7/10/2003, divenuta irrevocabile il 6/10/2004.
Quanto agli odierni ricorrenti, analogo diritto è stato garantito con la procedura che ha portato al provvedimento oggi impugnato.
Lo stesso ricorrente ricorda come questa Corte di legittimità abbia chiarito che il soggetto che rivendichi l'illegittimità, nei suoi confronti, della disposta confisca - qualora non abbia partecipato ai procedimento nel quale è stata applicata la misura e sia quindi rimasto estraneo al giudizio di merito - pur non avendo ovviamente diritto di impugnare la sentenza nella quale la sanzione ablatoria è stata applicata, può chiederne la restituzione esperendo incidente di esecuzione, nell'ambito del quale può svolgere le proprie deduzioni e chiedere l'acquisizione di elementi utili ai fini della decisione; restano precluse le valutazioni di merito riferite alla configurazione della lottizzazione abusiva, qualora sia stata oggettivamente riscontrata in sede di merito; ma il giudice dell'esecuzione potrà sicuramente valutare, sia pure ai soli fini riguardanti la confisca, la implicazione (caratterizzata quanto meno da profili di colpa) nella lottizzazione medesima del soggetto che, dichiarandosi "terzo estraneo". chiede la restituzione della parte di sua pertinenza del terreno confiscato. La persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono inoltre proporre autonomamente richiesta di riesame; possono partecipare all'udienza camerale del riesame eventualmente proposto dall'indagato, quali soggetti interessati ex art. 127 c.p.p.; possono avanzare in qualsiasi momento autonoma istanza di restituzione (Sez. 3 n. 34882 del 22/4/2010, Usai, non mass.).
4. Orbene, il tema che oggi il ricorrente pone è se il giudice dell'esecuzione, a fronte di una sentenza di merito che si sia limitata a dichiarare la prescrizione del reato di lottizzazione abusiva, senza provvedere sugli immobili in sequestro, possa operare degli approfondimenti istruttori nel contraddittorio delle parti al fine di decidere della sorte di tali immobili, se cioè gli stessi vadano dissequestrati o confiscati.
Ad avviso del Collegio, alla luce dei principi sopra richiamati, ciò è possibile.
Non si comprenderebbe, altrimenti, la portata dell'art. 666 c.p.p., comma 5, secondo cui, il giudice dell'esecuzione "può chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno" e "se occorre assumere prove, procede in udienza nel rispetto del contraddittorio".
Non va trascurato, peraltro, il condivisibile dictum di Sez. 3, n. 1503 del 22/6/2017, dep. 2018, Di Rosa e altro, Rv. 273535 secondo cui lo svolgimento degli accertamenti nell'ambito del procedimento di esecuzione per verificare la sussistenza delle condizioni per la confisca non si pone in contrasto con alcun principio costituzionale o convenzionale atteso che in tale fase il giudice ha ampi poteri istruttori ai sensi dell'art. 666 c.p.p., comma 5, assicurando il contraddittorio ed il diritto di difesa, anche attraverso la nomina di un difensore di ufficio, che può essere sentito su sua richiesta.
Le Sezioni Unite di questa Corte di legittimità, in una prima pronuncia, pur analizzando la diversa questione dell'applicabilità, dopo il passaggio in giudicato della sentenza, della confisca prevista dal D.L. n. 306 del 1992, art. 12-sexies, hanno chiarito che la confisca può essere disposta anche dal giudice dell'esecuzione che provvede de plano, a norma dell'art. 676 c.p.p. e art. 667 c.p.p., comma 4, ovvero all'esito di procedura in contraddittorio a norma dell'art. 666 dello stesso codice, salvo che sulla questione non abbia già provveduto il giudice della cognizione, con conseguente preclusione processuale. (Sez. Un., n. 29022 del 30/5/2001, Derouach, Rv. 219221).
Rilevavano le Sezioni Unite Derouach, in relazione alla atipica misura di sicurezza patrimoniale introdotta dall'art. 12-sexies, che proprio la fase dell'esecuzione è sede elettiva per affrontare la questione della confisca e deciderla nel contraddittorio delle parti, in un momento successivo al realizzarsi del requisito soggettivo di "condannato" per uno dei delitti indicati dalla norma.
Le Sezioni Unite affermavano che la confisca in esame potesse essere anche disposta dal giudice dell'esecuzione con procedura "de plano", come espressamente previsto dall'art. 676 c.p.p.; l'interessato potrà, quindi, attivare il procedimento in contraddittorio e con possibilità di acquisizioni probatorie mediante l'opposizione avverso il provvedimento emesso.
E poi, nella già citata sentenza Perroni del 2020, le Sezioni Unite, nel riaffermare il principio che le questioni relative alla conformità della confisca al principio di protezione della proprietà di cui all'art. 1 del Prot. n. 1 CEDU, come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia possono essere proposte dagli interessati al giudice dell'esecuzione, anche chiedendo la revoca della misura limitatamente alle aree o agli immobili estranei alla condotta illecita, hanno precisato, in motivazione, che, in tale fase, al fine di compiere l'accertamento richiesto, il giudice gode di ampi poteri istruttori ai sensi dell'art. 666 c.p.p., comma 5, (Sez. Un. 13539 del 30/01/2020, Perroni, Rv. 278870).
Nulla vieta, peraltro, in quel caso come in quello che ci occupa, al giudice dell'esecuzione di azionare sin dall'inizio il meccanismo del contraddittorio ai fini di un immediato accertamento probatorio.
Del resto, anche la giurisprudenza più recente conduce verso tale conclusione, laddove afferma che gli elementi di prova acquisiti nel corso del giudizio di cognizione, all'esito del quale è stata disposta la confisca, possono essere utilizzati anche nel procedimento di esecuzione intentato dai terzi proprietari dei beni oggetto della misura ablativa, i quali, ove rimasti estranei a suddetto giudizio, sono abilitati a fornire prove valide e conducenti in proprio favore (Sez. 1, n. 30319 del 15/7/2013 in un caso relativa all'opposizione verso il provvedimento di rigetto della richiesta di restituzione di beni confiscati ai sensi del D.L. n. 306 del 1992, art. 12-sexies, conv. in L. n. 356 del 1992).
Nè pare condurre a conclusioni diverse l'affermato principio secondo cui, in tema di lottizzazione abusiva, il giudice del dibattimento non è tenuto all'immediata declaratoria della causa di estinzione del reato per intervenuta prescrizione nel corso del giudizio ai sensi dell'art. 129 c.p.p., dovendo proseguire l'istruttoria per accertare il reato nei suoi elementi oggettivi e soggettivi al fine di disporre la confisca urbanistica del bene sottoposto a sequestro (così, ex multis, Sez. 3, n. 22034 del 11/4/2019, Pintore, Rv. 275969).
O quello secondo cui, anche alla luce della pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. ed altri contro Italia, il proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla confisca del bene lottizzato qualora sia stata comunque accertata, con adeguata motivazione e nel contraddittorio delle parti, la sussistenza del reato nei suoi elementi costitutivi, oggettivo e soggettivo. (così Sez. 3, n. 47280 del 12/09/2019, Cancelli Rv. 277363 in un caso in cui la Corte ha annullato la sentenza di appello, limitatamente alla statuizione relativa alla confisca, con rinvio al collegio di merito per valutare la proporzionalità della misura rispetto alla tutela degli interessi generali per cui è previsto dalla legge tale provvedimento ablatorio, così come richiesto per la sua legittimità dall'art. 1 Prot. n. 1 della CEDU, come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dapprima indicata).
Il contraddittorio, infatti, è garantito sia che il processo di cognizione prosegua, pur se il reato è prescritto per accertare il reato nei suoi elementi oggettivi e soggettivi al fine di disporre la confisca urbanistica del bene sottoposto a sequestro, sia se la Corte di legittimità rinvia al giudice di appello per consentire tali accertamenti, che gli consentano di motivare sulla confisca e sia nel caso tutto ciò avvenga dinanzi al giudice dell'esecuzione, che peraltro è l'unico giudice cui possono rivolgersi i terzi controinteressati che del processo non erano parti.
5. Dunque, presupposto essenziale ed indefettibile, per l'applicazione della confisca in oggetto, è (secondo l'interpretazione giurisprudenziale costante) che sia stata accertata l'effettiva esistenza di una lottizzazione abusiva; ulteriore condizione, però, che si riconnette alle recenti decisioni della Corte di Strasburgo, investe l'elemento soggettivo del reato ed è quella del necessario riscontro quanto meno di profili di colpa (anche sotto gli aspetti dell'imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza) nella condotta dei soggetti sul cui patrimonio la misura viene ad incidere.
Questa Corte di legittimità ha precisato che, in tema di confisca conseguente a lottizzazione abusiva disposta al di fuori dei casi di condanna, il giudice dell'esecuzione, investito come nel caso che ci occupa della opposizione del terzo rimasto estraneo al procedimento, è tenuto ad accertare, dal punto di vista oggettivo, l'effettiva esistenza della lottizzazione e, dal punto di vista soggettivo, l'insussistenza della buona fede nella condotta del terzo acquirente dell'immobile, sulla base di quanto provato dalla pubblica accusa (così Sez. 3, n. 32363 del 24/05/2017, Mantione, Rv. 270443 nella cui motivazione, la Corte ha, altresì, precisato che lo svolgimento delle suddette verifiche nell'ambio del procedimento di esecuzione non si pone in contrasto con alcun principio costituzionale o convenzionale affermato in materia). Ed è stato anche chiarito che lo svolgimento degli accertamenti nell'ambito del procedimento di esecuzione per verificare la sussistenza delle condizioni per la confisca non si pone in contrasto con alcun principio costituzionale o convenzionale atteso che in tale fase il giudice ha ampi poteri istruttori ai sensi dell'art. 666 c.p.p., comma 5, assicurando il contraddittorio ed il diritto di difesa, anche attraverso la nomina di un difensore di ufficio, che può essere sentito su sua richiesta (Sez. 3, n. 1503 del 22/06/2017 dep. 2018, Di Rosa ed altro, Rv. 273535).
Il provvedimento impugnato dà atto di tutti gli elementi che fanno ritenere sussistente da un punto di vista oggettivo e soggettivo, pur in presenza di una dichiarazione di estinzione del reato, la lottizzazione abusiva come prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 18 e riprodotto nel D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, che per giurisprudenza costante di questa Corte di legittimità si ha materialmente tutte le volte in cui vengano realizzate opere che comportino la trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni in violazione degli strumenti urbanistici vigenti, stravolgendo l'assetto del territorio o realizzando un insediamento abitativo in zone non urbanizzate.
La lottizzazione abusiva materiale -la cui sussistenza, peraltro, il ricorso non contesta- viene dedotta, in assenza di un riconoscimento di conformità postuma della lottizzazione agli strumenti urbanistici derivante da un nuovo piano regolatore, da numerosi elementi: 1. la natura agricola con precisi indici volumetrici dell'area su cui vennero realizzati i fabbricati all'atto del primo sequestro; 2. l'esistenza di un atto di compravendita del terreno dall'originaria proprietaria Z.T. alla quale risultavano intestate le concessioni rilasciate nel mese di giugno 1987 stipulato nel settembre 1987 con la Domus s.r.l. in persona del D.M., congiunto della Z.; 3. la circostanza che la Domus s.r.l. risulta costituita per interventi nel settore edilizio proprio nel 1987 e venne messa in liquidazione il 22.10.2004; 4. la cessione delle quote della Domus s.r.l. dal D.M. al S. nel novembre 2000 e il frazionamento del terreno con relativo accatastamento dei fabbricati nel novembre 2002; 5. la cessione di quote della Domus s.r.l. a S.A. nell'aprile 2003; 6. dal 2003 la progressiva stipula di numerosi atti di compravendita degli appartamenti realizzati in tali fabbricati a vari soggetti tra cui gli attuali ricorrenti; 7. i rapporti di parentela esistenti tra questi ultimi; 8. l'avvenuta trascrizione del contratto di compravendita avente ad oggetto gli immobili in questione in data 10.4.2003 e del provvedimento di confisca il 4.5.2007 dopo innumerevoli sollecitazioni ad opera dell'Autorità Giudiziaria competente; 9. la persistenza del sequestro sul cantiere, sul terreno e su detti immobili all'atto della cessione delle quote sociali al S. e all'atto della compravendita del febbraio 2003; 10. l'impossibilità di reperire la richiesta di condono effettuata nel lontano 1995 e della nota integrativa di condono che si sostiene essere intervenuta nel 2003; 11. lo stato incompleto dei fabbricati all'atto dell'atto di compravendita;
12. l'intervento di un nuovo sequestro su uno dei fabbricati in data 28.4.2003 in costanza dello svolgimento di ulteriori lavori ad opera del S. rinvenuto sul posto; 13. la qualifica di S.A. di rappresentante legale della SEA che ebbe ad effettuare la vendita di numerosi appartamenti insistenti nei fabbricati in oggetto e ad attivarsi sin dal 2005 unitamente a S.C. per opporsi alla esecuzione del provvedimento di confisca.
6. Correttamente il tribunale notano, anche a confutazione del rilievo secondo cui l'esistenza di una richiesta di condono non può avere ingenerato aspettative negli odierni ricorrenti, rileva che non bisogna confondere il reato di lottizzazione abusiva, che non comporta, per espresso dettato normativo, la possibilità di presentare istanza di condono o di fruire di una sanatoria a meno che vi sia un riconoscimento di conformità postuma agli strumenti urbanistici, con il reato di costruzione senza concessione o in difformità della stessa che invece è suscettibile di condono o di concessione in sanatoria.
L'eventuale titolo abilitante legittima difatti l'opera edilizia che ne costituisce l'oggetto ma non rende lecita la lottizzazione in ordine alla quale alcun rilevo assume l'eventuale istanza di condono presentata dagli interessati.
Viene anche ricordato che la sanatoria per condono edilizio delle costruzioni abusive eseguite non è incompatibile con il provvedimento di confisca delle aree lottizzate, mentre esplica influenza a tali effetti l'eventuale autorizzazione a lottizzare concessa in sanatoria, atteso che pur non estinguendo il reato di lottizzazione abusiva dimostra ex post la conformità della lottizzazione agli strumenti urbanistici e la volontà dell'amministrazione di rinunciare alla acquisizione al patrimonio indisponibile comunale.
L'eventuale titolo abilitante sopravvenuto - va ribadito- legittima solo l'opera edilizia che ne costituisce l'oggetto ma non comporta alcuna valutazione di conformità di tutta la lottizzazione alle scelte generali di pianificazione urbanistica con la conseguenza che il rilascio di più concessioni edilizie non renderebbe lecita un'attività che tale non è. Ciò in quanto la concessione edilizia (oggi permesso per costruire) non ha una funzione strumentale urbanistica di pianificazione dell'uso del territorio.
Ebbene, nel caso che ci occupa, rileva il provvedimento impugnato che la zona nella quale ebbero ad essere realizzati al rustico nel lontano 1987 i fabbricati in questione, per come emerso dal rapporto dei Carabinieri di Terzigno e dalla consulenza di ufficio redatta dai consulenti C. e C. nonchè dagli atti acquisiti, ricade nel perimetro del Parco del Vesuvio e in particolare in zona all'epoca inedificabile per scopo residenziale e sottoposta a precisi vincoli volumetrici in quanto qualificata nel piano di fabbricazione del 1987 zona rurale.
In ragione di alcuni provvedimenti illegittimi rilasciati dagli amministratori dell'epoca, era scaturito il procedimento penale che aveva portato al sequestro dell'area e degli immobili ancora in fase di costruzione, poi conclusosi con la sentenza di prescrizione anche nei confronti degli amministratori.
Nell'occasione era stata accertata la massiccia lottizzazione a scopo edilizio di alcuni terreni, tra cui quello oggi in esame attraverso il rilascio delle concessioni n. 66/87 e 142/87 prima sospese con ordinanza 25.1.1988 e quindi annullate con ordinanza del 27.9.1994.
Nè è stata provata un'approvazione ex post della lottizzazione dell'area ad opera dell'autorità amministrativa, che riconoscendo la conformità della lottizzazione agli strumenti urbanistici vigenti sul territorio, dimostri di voler lasciare il terreno lottizzato alla disponibilità dei proprietari rinunciando ad acquisirlo al patrimonio indisponibile del Comune.
Logica appare allora la conclusione cui perviene il provvedimento impugnato che, in presenza di un programma di fabbricazione (cui fanno riferimento i carabinieri di Terzigno e i periti) che non consentiva il frazionamento del fondo e l'esecuzione di opere edilizie di quella volumetria e le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, la vendita del terreno che era stata effettuata dall'originaria proprietaria Z.T. immediatamente dopo il rilascio delle concessioni dichiarate illegittime, la qualità personale dell'acquirente iniziale (la Domus s.r.l.), società della quale era amministratore proprio un cugino della Z. e non era dedita ad attività agricola bensì ad attività edilizia, la vicinanza temporale di tale cessione, prossima alla costituzione di detta società, la successiva cessione delle quote sociali della Domus s.r.l. al S., soggetto che risultò poi pienamente coinvolto nella realizzazione abusiva, il frazionamento in lotti, attestato dall'accatastamento degli immobili sin dal 2002 epoca in cui era stata già disposta la confisca, la realizzazione di due fabbricati con numerosi appartamenti e box su un'area di 6.000,00 mq. destinata a zona rurale, con il coinvolgimento dei relativi amministratori locali, in uno con la successiva vendita a vari soggetti, tra cui gli attuali ricorrenti, integrino pienamente il reato di lottizzazione abusiva materiale in contestazione, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.
7. Punto nevralgico dell'odierno decidere è la tenuta motivazionale del provvedimento impugnato sotto il profilo della buona fede degli odierni ricorrenti, tema su cui il difensore incentra il proprio ricorso.
Pacifico è che, in tema di lottizzazione abusiva, la confisca possa essere applicata anche al di fuori dei casi di condanna, a condizione che nella condotta del terzo acquirente, sul cui patrimonio la misura viene ad incidere, siano riscontrabili quantomeno profili di colpa (il richiamo è a Sez. 3 n. 45833 del 18/10/2012 relativa ad un caso nel quale è stata ritenuta la buona fede dell'acquirente desunta dall'avvenuta allegazione al rogito del certificato di destinazione urbanistica, oltre che per il fatto che lo stesso aveva riposto legittimo affidamento sulla prassi comunale di rilasciare le concessioni pur in assenza del piano di lottizzazione)".
Il reato di lottizzazione abusiva - secondo concorde interpretazione giurisprudenziale - nella molteplicità di forme che esso può assumere in concreto, può essere posto in essere da una pluralità di soggetti, i quali, in base ai principi che regolano il concorso di persone nel reato, possono partecipare alla commissione del fatto con condotte anche eterogenee e diverse da quella strettamente costruttiva, purchè ciascuno di essi apporti un contributo causale alla verificazione dell'illecito (sia pure svolgendo ruoli diversi ovvero intervenendo in fasi circoscritte della condotta illecita complessiva) e senza che vi sia alcuna necessità di un accordo preventivo.
La lottizzazione abusiva negoziale - in particolare - ha carattere generalmente plurisoggettivo, poichè in essa normalmente confluiscono condotte convergenti verso un'operazione unitaria caratterizzata dal nesso causale che lega i comportamenti dei vari partecipi diretti a condizionare la riserva pubblica di programmazione territoriale.
La condotta dell'acquirente, in particolare, non configura un evento imprevisto ed imprevedibile per il venditore, perchè anzi inserisce un determinante contributo causale alla concreta attuazione del disegno criminoso di quegli (vedi Cass., Sez. Unite, 27.3.1992, n. 4708, ric. Fogliari) e, per la cooperazione dell'acquirente nel reato, non sono necessari un previo concerto o un'azione concordata con il venditore, essendo sufficiente, al contrario, una semplice adesione al disegno criminoso da quegli concepito, posta in essere anche attraverso la violazione (deliberatamene o per trascuratezza) di specifici doveri di informazione e conoscenza che costituiscono diretta esplicazione dei doveri di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost. (vedi, sul punto, le argomentazioni svolte dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 364/1988, ove viene evidenziato che la Costituzione richiede dai singoli soggetti la massima costante tensione ai fini del rispetto degli interessi dell'altrui persona umana ed è per la violazione di questo impegno di solidarietà sociale che la stessa Costituzione chiama a rispondere penalmente anche chi lede tali interessi non conoscendone positivamente la tutela giuridica).
L'acquirente, dunque, non può sicuramente considerarsi, solo per tale sua qualità, "terzo estraneo" al reato di lottizzazione abusiva, ben potendo egli tuttavia, benchè compartecipe al medesimo accadimento materiale, dimostrare di avere agito in buona fede, senza rendersi conto cioè - pur avendo adoperato la necessaria diligenza nell'adempimento degli anzidetti doveri di informazione e conoscenza - di partecipare ad un'operazione di illecita lottizzazione.
Quando, invece, l'acquirente sia consapevole dell'abusività dell'intervento -o avrebbe potuto esserlo spiegando la normale diligenza - la sua condotta si lega con intimo nesso causale a quella del venditore ed in tal modo le rispettive azioni, apparentemente distinte, si collegano tra loro e determinano la formazione di una fattispecie unitaria ed indivisibile, diretta in modo convergente al conseguimento del risultato lottizzatorio. Le posizioni, pertanto, sono separabili se risulti provata la malafede dei venditori, che, traendo in inganno gli acquirenti, li convincono della legittimità delle operazioni (cfr. le risalenti, ma ancora attuali, Sez. 3, 22/5/1990, Oranges e 26/1/1998, Cusimano).
La contravvenzione di lottizzazione abusiva, sia negoziale sia materiale, ben può essere commessa per colpa (cfr. Sez. 3 n. 39916 del 13/10/2004, Lamedica ed altri; 11/5/2005, Stiffi ed altri; 10/1/2008, Zortea; 5.3.2008, n. 9982, Quat-trone; 26.6.2008, Belloi ed altri).
Non è ravvisabile, infatti, alcuna eccezione al principio generale stabilito per le contravvenzioni dall'art. 42 c.p., comma 4, dovendo ovviamente valutarsi i casi di errore scusabile sulle norme integratrici del precetto penale e quelli in cui possa trovare applicazione l'art. 5 c.p. secondo l'interpretazione fornita dalla pronuncia n. 364/1988 della Corte Costituzionale.
Il venditore non può predisporre l'alienazione degli immobili in una situazione produttrice di alterazione o immutazione circa la programmata destinazione della zona in cui gli stessi sono situati ed i soggetti che acquistano devono essere cauti e diligenti nell'acquisire conoscenza delle previsioni urbanistiche e pianificatone di zona: "Il compratore che omette di acquisire ogni prudente informazione circa la legittimità dell'acquisto si pone colposamente in una situazione di inconsapevolezza che fornisce, comunque, un determinante contributo causale all'attività illecita del venditore" (così testualmente Sez. 3, 26/6/2008, Belloi ed altri).
8. Con motivazione logica e congrua, nonchè corretta in punto di diritto - e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità - il tribunale nolano confuta la tesi difensiva secondo cui la buona fede degli odierni ricorrenti sarebbe documentata dalla indicazione della presentazione delle istanze di condono nell'atto di compravendita e dalla trascrizione del provvedimento di confisca successiva a quella dell'atto dispositivo.
Il provvedimento impugnato rammenta che tale ultima circostanza è irrilevante, dal momento che, al fine di escludere il coinvolgimento del terzo nella lottizzazione, è necessaria l'inderogabile condizione che il titolare del bene si sia trovato in buona fede o in situazione di affidamento incolpevole dovendosi individuare in quest'ultimo requisito la base giustificativa della tutela del terzo di fronte a un provvedimento di confisca.
Costituisce ius receptum di questa Corte di legittimità il principio che la condizione di buona fede, che nel caso di accertamento del reato di lottizzazione abusiva preclude la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite nei confronti del terzo acquirente di tali beni, presuppone non solo che questi abbia partecipato inconsapevolmente all'operazione illecita e che, quindi, non sia concorrente nel reato, ma anche che abbia gestito la propria attività contrattuale e precontrattuale assumendo le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo e sulla compatibilità dell'intervento agli strumenti urbanistici, dovendosi anche tenere conto, sotto questo profilo, del comportamento della pubblica amministrazione (così la recente Sez. 3, n. 36310 del 05/07/2019, Motisi, Rv. 277346 che ha annullato con rinvio la decisione di merito che aveva escluso la buona fede del terzo acquirente in base alla sola esistenza di rapporti personali o di parentela con l'autore del reato, senza tener conto del comportamento da questi tenuto nella fase precontrattuale e contrattuale, rilevante, a maggior ragione se, come nel caso di specie, la dichiarazione dell'illegittimità della lottizzazione interviene molti anni dopo l'acquisto).
La confisca di un immobile abusivamente lottizzato può essere disposta anche nei confronti dei terzi acquirenti, qualora nei confronti degli stessi siano riscontrabili quantomeno profili di colpa nell'attività precontrattuale e contrattuale svolta, per non aver assunto le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo e sulla compatibilità dell'intervento con gli strumenti urbanistici (così Sez. 3, n. 51429 del 15/09/2016, Brandi ed altro, Rv. 269289 in cui la Corte, nell'annullare con rinvio l'ordinanza di rigetto dell'istanza di revoca della confisca di un immobile abusivo, ha escluso che la carenza di buona fede potesse essere desunta esclusivamente dal rapporto di parentela degli acquirenti con un soggetto affiliato ad un'organizzazione criminale di stampo mafioso, direttamente collegato agli assetti imprenditoriali che avevano realizzato la lottizzazione abusiva).
Ebbene, facendo buon governo di tali principi, il Tribunale nolano dà articolatamente conto, quanto meno, della mancanza da parte degli odierni ricorrenti di tale diligenza nell'assumere le necessarie informazioni sui beni oggetto di trasferimento, in particolare in relazione alla piena consapevolezza in ordine alla assenza di concessione e alla natura dei beni acquistati, quali frutto di lottizzazione, alla quale gli istanti finirono per contribuire, dal punto di vista della lottizzazione c.d formale, proprio attraverso l'acquisto.
A tale conclusione portano, secondo i giudici nolani, vari elementi.
Il primo è che, all'epoca della cessione delle quote e della nomina del S. quale amministratore della Domus s.r.l. (2000) e all'epoca della presunta stipula dell'atto di compravendita (febbraio 2003), i fabbricati e l'area erano in sequestro ed affidati in giudiziale custodia all'uomo di fiducia del D.M., circostanza questa che non poteva essere ignorata dal nuovo amministratore e dalle acquirenti risultate rispettivamente sorella e nipote del S. (il richiamo è alla comunicazione dei Carabinieri di Terzigno del 2 maggio 2008), tanto più che il 28/4/2003 venne effettuato un nuovo sequestro dei fabbricati in costanza dell'accertamento della prosecuzione dei lavori alla presenza del S..
Quanto all'affermazione circa le parentele tra le due acquirenti e il S. si tratta certamente di circostanza non dirimente, che il difensore ricorrente nega, in contrasto con gli atti pubblici sopra riportati, senza offrire a sostegno di tale diniego alcun elemento.
Nel contratto di compravendita, inoltre, veniva attestata, in riferimento ai fabbricati acquistati da A.G. e S.A., peraltro indicati come in corso di costruzione, la mancanza della concessione edilizia, in quanto insistenti in zona inedificabile e sottoposta a vincoli, e la presentazione di istanza di condono che, come sopra specificato, se ha rilievo per i fabbricati realizzati senza permesso per costruire, alcun rilievo per legge assume in tema di lottizzazione abusiva.
Peraltro, si rileva nel provvedimento impugnato che, come attestato dalla relazione dell'U.T.C. del Comune di Terzigno in data 21/4/2005 delle istanze di condono citate nell'atto e di quelle integrative non è traccia agli atti del Comune di Terzigno in quanto si sostiene siano state trafugate.
Viene poi posto l'accento sulla circostanza che la S. -peraltro genitrice della A. per come evidenziato dalle relate di notifica in atti - e sorella di S.C. per come sopra evidenziato- risulta essere una delle titolari delle quote sociali della Domus s.r.l. (come documentato dalla difesa) dal 28/4/2003, ovvero proprio due mesi dopo il sostenuto acquisto degli appartamenti e dei box in premessa e direttamente interessata nella cessione di altri appartamenti del medesimo complesso.
La cessione delle quote a S.C. e la stessa compravendita ad opera della S. e della A. intervennero, dunque, in costanza del sequestro e poco prima del passaggio in giudicato dell'ordinanza che disponeva la confisca dei fabbricati.
Tali elementi, in uno con la circostanza che nonostante la trascrizione della confisca intervenuta nel 2007, solo nel 2013 le opponenti ebbero a effettuare la richiesta di revoca del provvedimento ablatorio, depongono univocamente, secondo la logica conclusione del provvedimento impugnato, per l'insussistenza della vantata buona fede, tanto più che, come sopra evidenziato, all'epoca dell'acquisto i beni erano ancora in sequestro e si trovavano -per come descritto nel contratto di compravendita prodotto dagli interessati- nello stato di fatto esistente nel lontano 1988.
A fronte di tali argomentazioni e in particolare dell'acquisto in costanza di sequestro- in relazione al quale non risulta pervenuta alcuna annotazione circa l'eventuale violazione dei sigilli e la prosecuzione della costruzione- alcun rilievo assume per i giudici nolani la deduzione difensiva volta a sostenere la buona fede degli odierni ricorrenti che secondo la difesa sarebbe attestata dalla trascrizione della confisca in epoca successiva all'acquisto ovvero in data 10.4.2003 (cfr. documentazione trasmessa dalla Conservatoria dei registri Immobiliari).
Ciò risultando evidente, secondo la motivata conclusione del provvedimento impugnato, che le cessioni agli istanti sarebbero state determinate dallo scopo di sottrarre i beni alla confisca e quindi da malafede dei "terzi opponenti".
9. Al rigetto dei ricorsi consegue, ex lege, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.