Cass. Sez. III n. 8067 del 27 febbraio 2025 (Up 13 nov 2024)
Pres. Liberati Est. Andronio Ric. De Santis
Urbanistica.Lottizzazione abusiva e legittimità della confisca in caso di prescrizione nonostante l'incompletezza dell'istruttoria  

E' legittima la confisca disposta dal giudice di appello con sentenza che, accerti la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva, pur dichiarandone la prescrizione, sulla base delle prove dichiarative o documentali finalizzate all’accertamento dell’esistenza dei suoi elementi oggettivi e soggettivi, acquisite nel contraddittorio delle parti, antecedentemente al maturare della causa estintiva, a nulla rilevando l’incompletezza dell’istruttoria dibattimentale, posto che è sufficiente che vi sia la possibilità, per il giudicante, di decidere allo stato degli atti fino a quel momento acquisiti, stante il divieto di svolgere attività istruttoria integrativa ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen. 

RITENUTO IN FATTO

    1. Con sentenza del 19 gennaio 2024, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del 3 marzo 2022, con la quale il Tribunale di Rieti ha dichiarato non doversi procedere nei confronti, tra gli altri, di De Santis Oreste e Roversi Giacomo, in ordine al reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001 – oltre a quello di cui all’art. 181 del d.lgs. n. 42 del 2004 – per intervenuta prescrizione, altresì confermando la statuizione relativa alla confisca del terreno oggetto di lottizzazione abusiva.

2. Avverso la sentenza, De Santis Oreste, tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1 Con un primo motivo di doglianza, si deduce la violazione degli artt. 44, commi 1, lettera c), e 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, 129 e 578-bis cod. proc. pen., 6, comma 3, lettera d), e 7 CEDU, nonché 111 Cost., per avere i giudici di merito fallacemente confermato la confisca dei terreni sequestrati, disposta malgrado l’istruttoria dibattimentale svolta fosse soltanto parziale, sull’erroneo presupposto che la necessaria pienezza del contraddittorio richiesta dalla giurisprudenza di legittimità sia stata assicurata, nel caso in esame, dalla osservanza delle regole dibattimentali di acquisizione della prova dichiarativa e documentale dell’accusa.
Nello specifico, osserva il ricorrente come il Tribunale di Rieti, nel dichiarare il reato in contestazione estinto per prescrizione all’udienza del 3 marzo 2022, abbia ritenuto raggiunta la prova dell’esistenza del presupposto della confisca, rappresentato dagli elementi costitutivi del reato di lottizzazione abusiva, sulla base di un’istruttoria incompleta, caratterizzata dall’escussione di soli quattro dei sette testimoni dell’accusa – sentiti nelle udienze del 20 aprile e del 29 settembre 2021, nonché in quella del 27 gennaio 2022 – e dalla totale pretermissione dell’acquisizione delle prove della difesa, pur debitamente ammesse nel corso dell’udienza del 4 novembre 2020 e rappresentate dal (richiesto) esame di testimoni e consulenti, chiamati a deporre in ordine alla legittimità del piano di lottizzazione approvato, alla corretta individuazione delle aree – boscate e non – in esso incluse, nonché in relazione alla legittimità e descrizione dell’intervento di mera ripulitura dalla vegetazione delle aree non boscate eseguito nell’anno 2016. Ciò tanto più in considerazione del fatto che, nel caso in esame, la contestazione del reato di lottizzazione abusiva: riguardava un Piano di lottizzazione regolarmente approvato dal comune di Rieti nell’anno 2007; era basata sulla asserita falsità, ipotizzata solo nell’anno 2016, di una perizia giurata circa la perimetrazione delle zone boscate esistenti all’interno del piano, eseguita nell’anno 2005; era desunta da un frazionamento catastale e dalla raffigurazione sulla relativa mappa di una strada da realizzare per raggiungerli, risalente all’anno 2008, e da un intervento, eseguito nel 2016, di ripulitura della vegetazione spontanea di alcune aree non boscate e da sempre catastalmente classificate come seminative e di pascolo.
Secondo la prospettazione difensiva, dunque, se, da un lato, è indubbia la possibilità di procedere alla confisca del bene pur in presenza di una declaratoria di estinzione del reato di lottizzazione abusiva, a condizione che il reato stesso sia accertato sotto il profilo oggettivo e soggettivo all’esito di un giudizio che abbia assicurato il pieno contraddittorio e la più ampia partecipazione delle parti, dall’altro, parimenti indubbio è che l’esame dei soli testi d’accusa, avvenuto alla presenza e nel contraddittorio tra accusa e difesa nonostante la difesa non avesse potuto difendersi provando, si ponga in evidente contrasto con il principio del giusto processo sancito dagli art. 111 Cost e 6, comma 3, lettera d), CEDU.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di appello, d’altra parte, nessun argomento a favore potrebbe ravvisarsi nelle sentenze da questa richiamate nel provvedimento impugnato, riferite: l’una (Sez. 3, n. 42235 del 14/09/2023), al diverso caso in cui, non solo l’istruttoria era proseguita per l’accertamento di un altro reato non prescritto, ma veniva lamentata dai ricorrenti una riforma in peius da parte della Corte di appello della pronuncia di primo grado, che non aveva disposto la confisca; l’altra (Sez. 3, n. 9456 del 19/01/2024), alla dichiarazione di inammissibilità dell’appello proposto dall’imputato avverso la sentenza di primo grado giacché richiedente l’esame di complesse questioni giuridiche ed approfondimenti istruttori.
2.2. Con un secondo motivo di impugnazione, si censurano la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza dei presupposti per poter disporre la confisca.
In primo luogo, si ritiene che le condotte ritenute sussistenti in sentenza non siano idonee a dimostrare l’esistenza del reato di lottizzazione abusiva sul rilievo che la Corte di appello avrebbe erroneamente omesso qualsivoglia valutazione in ordine alla contestata legittimità del predetto piano di lottizzazione, approvato nell’anno 2007, tralasciando di verificare, in particolare se, nel caso di specie, fosse o meno ravvisabile la contestata falsità della perizia, relativa alla delimitazione delle zone boscate presenti all’interno della lottizzazione medesima in prossimità delle aree sequestrate, pur trattandosi di profilo essenziale ai fini del giudizio.
In secondo luogo, si lamenta che le deposizioni dei testi della pubblica accusa siano state solo parzialmente valutate dai giudici di merito, con conseguente travisamento del materiale probatorio in atti. A parere del ricorrente, infatti, i verbali dei sopralluoghi del 16 e del 31 maggio 2016, su cui il Tribunale avrebbe fondato il proprio convincimento in ordine alla sottoposizione dell’area sequestrata negli anni ad una vasta operazione di taglio di alberi su una porzione della sommità della collina costituente un’area boschiva, nulla direbbero circa la possibile esistenza di altri accertamenti eseguiti in precedenza. Inoltre, non si avrebbe alcuna dimostrazione del fatto che l’area sequestrata avrebbe dovuto considerarsi boscata ai sensi dell’art. 10, comma 3, della legge regionale n. 24 del 1998, e 4, comma 1, della legge regionale n. 39 del 2002, essendo tale affermazione basata solo su due aerofotogrammetrie risalenti al 2011 e al 2015, come tali inidonee sia a dimostrare la contestata illegittimità del piano regolatore sia a consentire raffronti utili per comprendere la natura boschiva o meno dell’area, non potendosi ritenere a tal fine sufficiente l’assertiva relazione del luogotenente Di Biagio, messa in dubbio dall’incontestata classificazione catastale dei terreni come adibiti a pascolo e seminativi, risultante dalla stessa sentenza impugnata e, in ogni caso, prodotta senza il confronto con i consulenti tecnici delle difese. Peraltro, premesso che l’asserito taglio di 127 alberi nel periodo intercorrente tra il 2003 ed il 2015 non avrebbe comunque potuto ritenersi sintomatico della natura boscata dell’area, segnala infine la difesa che, in ogni caso, l’unico taglio effettivamente accertato nel corso dei due sopralluoghi non avrebbe avuto rilevante entità, riguardando esso piante secche e consentendo di realizzare soltanto 150 quintali di legna.
Né, infine, può ritenersi che dalle fotografie emerga che il disboscamento sia proceduto dal 2003 al 2015, atteso che, per un verso, queste sono state effettuate nei sopralluoghi del 2016 e del 2017, mentre, per altro verso, le aerofotogrammetrie sono relative soltanto agli anni 2011 e 2015.

    2. Avverso la sentenza, anche Roversi Giacomo, tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con un unico motivo di doglianza, la violazione dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, sul rilievo che, nel caso di specie – nel quale i reati in contestazione risultavano prescritti alla data del 4 febbraio 2022, allorquando erano stati escussi solo quattro dei sette testimoni del Pubblico Ministero e doveva ancora iniziare l’acquisizione delle prove richieste dalle difese – il Tribunale di primo grado, una volta dichiarata l’intervenuta prescrizione dei reati predetti, non avrebbe potuto disporre la confisca.
Nello specifico, osserva l’imputato come i limiti entro i quali è consentita la confisca urbanistica di cui all’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 siano stati chiariti dalla Sezioni Unite n. 13539 del 30/01/2020, Rv. 278870-01 – le quali hanno concluso che la predetta misura può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva determinata dalla prescrizione del reato purché sia stata accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati – e come tuttavia, nel caso di specie, tali limiti non risultino rispettati, non potendosi parlare di accertamento in contraddittorio laddove l’istruttoria dibattimentale non sia terminata con l’acquisizione di tutte le prove ammesse e ritenute rilevanti e non superflue dal giudice. Secondo la prospettazione difensiva, infatti, in tanto un fatto potrebbe dirsi accertato nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, in quanto le parti siano state poste nelle condizioni sia di interrogare le persone che rendono dichiarazioni accusatorie sia di interrogare le persone a loro difesa e, dunque, soltanto all’esito di una istruttoria completa. Di talché, contrariamente a quanto statuito dalla Corte di appello di Roma, qualora la prescrizione del reato di lottizzazione abusiva maturi prima della conclusione dell’istruttoria e le prove ancora da assumere non siano state revocate, il giudice è tenuto a dichiarare immediatamente la sussistenza di una causa di estinzione del reato ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., senza tuttavia poter in alcun modo disporre la confisca urbanistica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi proposti nell’interesse di De Santis e di Roversi – che possono trattarsi congiuntamente giacché sostanzialmente sovrapponibili nella parte in cui censurano entrambi la presunta violazione dell’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 – sono inammissibili perché basati su doglianze in parte generiche e dirette a sollecitare una diversa lettura delle risultanze probatorie concretamente restituite dagli atti di indagine, preclusa in sede di legittimità, in parte manifestamente infondate.
1.1. Il primo motivo di De Santis e l’unico motivo di Roversi sono inammissibili poiché privi di specificità, oltre che manifestamente infondati. 
1.1.1. Come correttamente rilevato anche dalle prospettazioni difensive, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte – Sez. U., n. 13539 del 30/01/2020, Perroni, Rv. 278870 – hanno riaffermato la valenza, rispondente a principi di ordine costituzionale, dell’obbligo di immediata declaratoria della causa di estinzione del reato posto dall’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., unicamente derogabile, in melius, dal comma 2 della stessa norma, laddove già risulti con evidenza la sussistenza di una causa di proscioglimento nel merito e, in peius, nel senso, cioè, di consentire ugualmente la prosecuzione del processo ai fini dell’adozione di provvedimenti lato sensu sanzionatori, solo in presenza di norme che espressamente statuiscano in tal senso.
In proposito è stato ricordato opportunamente il rilievo, di ordine anche costituzionale, che l’art. 129 cod. proc. pen. riveste anche secondo questa Corte a Sezioni Unite. 
Due sono, infatti, secondo quanto affermato in particolare da Sez. U. n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221403, le funzioni fondamentali che assolve tale norma: la prima essendo quella di favorire l’imputato innocente (o comunque da prosciogliere o assolvere), prevedendo l’obbligo dell’immediata declaratoria di cause di non punibilità in ogni stato e grado del processo; la seconda, quella di agevolare in ogni caso l’exitus del processo, ove non appaia concretamente realizzabile la pretesa punitiva dello Stato. Implicita in tali funzioni ve ne sarebbe poi una terza, consistente nel fatto che l’art. 129 citato rappresenta, sul piano processuale, la proiezione del principio di legalità stabilito sul piano del diritto sostanziale dall’art. 1 cod. pen. Secondo tale prospettiva, «l’art. 129 si muove nella prospettiva di troncare, allorché emerga una causa di non punibilità, qualsiasi ulteriore attività processuale e di addivenire immediatamente al giudizio, anche se fondato su elementi incompleti ai fini di un compiuto accertamento della verità da un punto di vista storico». 
Il principio dell’immediata operatività della causa estintiva, fatto salvo il limite dell’evidente innocenza dell’imputato, è dunque il frutto di una scelta legislativa che trova la sua ratio nell’intento di evitare la prosecuzione infruttuosa di un giudizio e nella finalità di assicurare la pronta definizione dello stesso, evitando così esasperati, dispendiosi ed inutili formalismi.
Di qui la conclusione delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui «il principio di adozione in via immediata del proscioglimento (in esso compreso quello dovuto ad estinzione del reato) va dunque riaffermato, sicché il giudice di primo grado potrà disporre la confisca solo ove, anteriormente al momento di maturazione della prescrizione, sia stata accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio non può, in applicazione dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento. In caso di declaratoria, all’esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per prescrizione, il giudice di appello e la Corte di cassazione sono tenuti, in applicazione dell’art. 578-bis cod. proc. pen., a decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001» (Sez. U., n. 13539 del 30/01/2020, Perroni, Rv. 288870).
1.1.2. Ribadito ciò, occorre allora svolgere alcune precisazioni strettamente afferenti alla questione sollevata, relativa alla possibilità, o meno, di disporre la confisca sulla base di un’istruttoria dibattimentale non completa.
Le citate Sezioni Unite Perroni hanno escluso che il processo, dopo il maturare del termine di prescrizione, possa proseguire per raccogliere ulteriori dati utili per accertare il fatto lottizzatorio in funzione della confisca, a fronte della impossibilità di procedere alla formulazione di alcuna condanna in ragione della intervenuta causa di estinzione, ma nulla hanno detto nel senso che il giudizio sulla intervenuta prescrizione del reato – e, dunque, sulla sussistenza dei suoi elementi costitutivi – e sulla correlata confisca debba presupporre, in ogni caso, di per sé, l’integrale acquisizione di tutte le prove proposte, dall’accusa come dalla difesa. L’attenzione della Corte si è incentrata, in ragione dei principi richiamati e come sopra indicati, esclusivamente sulla necessità che sia solo il materiale probatorio raccolto prima della scadenza del termine di prescrizione, ovviamente nel pieno rispetto delle garanzie difensive e del contraddittorio, a costituire il parametro del giudizio finale formulato dal giudice in rapporto alla contestata lottizzazione, in funzione tanto della prescrizione che della eventuale confisca.
Ebbene, sul punto, il Collegio intende innanzitutto ribadire il principio generale per il quale l’accertamento del fatto e, conseguentemente, quello relativo alla ricorrenza degli elementi costitutivi del reato in contestazione, deve necessariamente essere completo, tanto al fine di accertare la sostanziale responsabilità penale dell’imputato, quanto allo scopo di disporre, eventualmente, la confisca ex art. 578-bis cod. proc. pen. Secondo le già citate Sezioni Unite Perroni, del resto, ai fini dell’adozione di un provvedimento di confisca di terreni abusivamente lottizzati, non è necessaria la pronuncia di una sentenza di condanna, ma occorre comunque un «pieno accertamento del fatto». Ed egualmente questa Corte anche di recente (Sez. 3, n. 5816 del 28/01/2022, Rv. 282833) ha evidenziato come la possibile coesistenza di statuizioni di prescrizione e di confisca risponde ad un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, ed espressamente ritenuto compatibile sia con i principi costituzionali da Corte cost., sent. n. 49 del 2015, sia con i principi della CEDU da Corte EDU, GC, 28 giugno 2018, G.I.E.M. s.r.l. c. Italia, purché vi sia stato un «pieno accertamento del fatto».
1.1.3. Tale accezione, tuttavia, non si correla in alcun modo ad una data tipologia di prove da esaminare (tantomeno necessariamente e congiuntamente a tutte quelle proposte dall’accusa e dalla difesa) e tantomeno ad una ritenuta completezza del quadro probatorio come primariamente ammesso dal giudice procedente.
Le Sezioni Unite Perroni, infatti, pur richiedendo il predetto «pieno accertamento del fatto» conseguito sulla base di un’attività istruttoria che, nel momento in cui viene compiuta, è funzionale innanzitutto ad una verifica delle condizioni per adottare una decisione sul merito dell’imputazione (Sez. 3, n. 5816 del 18/01/2022, Rv, 282833), cionondimeno non obbligano il giudice a concludere l’istruttoria dibattimentale così come originariamente ammessa dal giudice, a condizione che sia data adeguata contezza della completezza dell’istruttoria medesima. Ed invero, è legittima la confisca disposta dal giudice di appello con sentenza che, accerti la sussistenza del reato, pur dichiarandone la prescrizione, sulla base delle prove dichiarative o documentali finalizzate all’accertamento dell’esistenza dei suoi elementi oggettivi e soggettivi, acquisite nel contraddittorio delle parti, antecedentemente al maturare della causa estintiva, a nulla rilevando l’incompletezza dell’istruttoria dibattimentale, posto che è sufficiente che vi sia la possibilità, per il giudicante, di decidere allo stato degli atti fino a quel momento acquisiti, stante il divieto di svolgere attività istruttoria integrativa ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen. (ex multis, Sez. 3, n. 42235 del 14/09/2023, Rv. 285165; Sez. 3, n. 9456 del 19/01/2024, Rv. 286025, in motivazione). E di ciò è dimostrazione la circostanza che, in linea di principio, la mancata acquisizione in dibattimento di una prova già ammessa, perché ritenuta in precedenza utile e rilevante, non è di per sé illegittima, in quanto, da un lato, ciascuna parte può, con il consenso dell’altra, rinunciare all’assunzione delle prove ammesse a sua richiesta, dall’altro, il giudice, sentite le parti, può revocare ex art. 495, commi 4 e 4-bis, cod. proc. pen., l’ordinanza di ammissione di prove che risultano superflue (Sez. 1, n. 44114 del 22/06/2021, in motivazione). 
1.1.4. In materia di prova e di istruttoria dibattimentale, del resto, rilevano sia l’articolo 190, comma 1, cod. proc. pen., ai sensi del quale «Il giudice provvede senza ritardo con ordinanza escludendo le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti», sia l’art. 495, comma 4, cod. proc. pen., secondo cui «Nel corso dell’istruzione dibattimentale, il giudice decide con ordinanza sulle eccezioni proposte dalle parti in ordine alla ammissibilità delle prove. Il giudice, sentite le parti, può revocare con ordinanza l’ammissione di prove che risultano superflue o ammettere prove già esclude». Il diritto alla prova, riconosciuto alle parti dall’art. 190, comma 1, cod. proc. pen., implica evidentemente la corrispondente attribuzione del potere di escludere le prove manifestamente superflue ed irrilevanti, secondo una verifica di esclusiva competenza del giudice di merito, che sfugge al sindacato di legittimità quando abbia formato oggetto di apposita motivazione che abbia dato conto del provvedimento adottato attraverso una spiegazione immune da vizi logici o giuridici (Sez. U., n. 15208 del 25/02/2010, Rv. 246586). Il potere del giudice di escludere le prove già ammesse successivamente rivelatesi superflue, previsto dall’art. 495, comma 4, cod. proc. pen., invece, è dipendente e costituisce null’altro che un limite del principale diritto della parte di difendersi provando, sancito dal precedente comma 2, anche come riflesso processuale del diritto-dovere che le parti del processo hanno a provare i fatti che si riferiscono alla imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena oltre a quelli dai quali dipende l’applicazione delle norme processuali. E il diritto stabilito dall’art. 495, comma 2, ben può essere oggetto di una interpretazione conforme al principio della “parità delle armi” che è sancito dall’art. 6, comma 3, lettera d), della CEDU, a sua volta ripreso anche dall’art. 111, comma 2, della Costituzione in tema di contraddittorio tra le parti, e che consiste, come è scritto nel precetto sovranazionale, nel diritto dell’accusato di ottenere non solo la citazione ma anche l’interrogatorio dei testimoni a discarico, a pari condizioni dei testimoni a carico. Anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte Edu, sent. 22 febbraio 1996, Bulut c. Austria) pone in evidenza che il principio della parità delle armi implica che a ciascuna delle parti debba essere consentita una ragionevole opportunità di presentare la sua posizione, incluse le prove, in condizione tale da non risultare collocata in sostanziale svantaggio rispetto al suo contraddittore (Sez. 5, n. 51522 del 30/09/2013, Rv. 257891, in motivazione).
Il principio del contraddittorio, sancito in tema di prove dall’art. 111, comma 4, Cost., va tuttavia inevitabilmente incontro, sia pure nei limiti della compatibilità normativa, a limitazioni legislative che integrano necessariamente la riserva costituzionale in tema di ragionevole durata, quale quella, appunto, afferente al potere di revoca della prova divenuta superflua. Con la conseguenza che il provvedimento con il quale il giudice revochi prove già ammesse dovrà ritenersi nullo per violazione del diritto della parte di difendersi provando – stabilito dal comma secondo dell’art. 495 cod. proc. pen., corrispondente al principio della parità delle armi sancito dall’art. 6, comma terzo, lettera d), della CEDU, al quale si richiama l’art. 111, comma secondo, della Costituzione, in tema di contraddittorio tra le parti – soltanto allorquando difetti di qualsivoglia motivazione sul necessario requisito della loro superfluità (ex multis, Sez. 5, n. 16976 del 12/02/2020, Rv. 279166; Sez. 5, n. 2511 del 24/11/2016, dep. 2017, Rv. 269050).
1.1.5. In linea di principio, dunque, pur non essendo necessario che l’istruttoria si concluda così come giudizialmente ammessa, per il potere, espressamente riconosciuto al giudice dall’art. 495, comma 4, cod. proc. pen., di revocare con ordinanza l’ammissione di prove che risultano superflue, è tuttavia necessario dare conto della completezza dell’istruttoria medesima, nonché della superfluità o irrilevanza delle prove eventualmente revocate, ancorché originariamente ammesse. Di talché deve ritenersi immanente nel nostro ordinamento, il principio per cui l’accertamento di un fatto possa avvenire anche solo con parte delle prove prospettate – ancorché ammesse – persino in funzione di condanna, purché il giudice dia ragione della completezza dell’attività istruttoria espletata, anche laddove ciò derivi dalla irrilevanza o superfluità di prove originariamente ammesse.
In altri termini, è necessario che il giudice, ove sancisca la prescrizione del reato, ne illustri la sussistenza, anche in funzione di un’eventuale confisca, secondo una valutazione che dia conto in maniera idonea dei profili oggettivi e soggettivi del reato, opportunamente rappresentando, in tali casi, la inadeguatezza o sub valenza delle prove proposte dalla difesa, a fronte del quadro probatorio già ritenuto indissolubilmente raggiunto con le prove assunte prima del termine di prescrizione, senza che la mancanza del contributo difensivo – come anche eventualmente di parte delle prove prospettate dalla accusa – possa, di per sé, e in via meramente pregiudiziale ed astratta, inficiare in alcun modo la portata degli elementi raccolti (Sez. 3, n. 43235 dell’11/10/2023, Rv. 285287).
1.1.6. Orbene, nel caso in esame, dalla lettura delle sentenza di secondo grado emerge compiutamente la ritenuta completezza dell’istruttoria – e quindi della implicita superfluità delle prove prodotte dalla difesa – allorché si è evidenziato come dalla documentazione in atti – e, segnatamente, dalla planimetria catastale aggiornata – dalle deposizioni dei testi Di Biagio, Gianfelice e Scipioni, nonché dalle riprese aree e dai verbali di sopralluogo, risultasse con evidenza la previsione di realizzazione ex novo di una strada di collegamento tra i vari lotti, oggetto della convenzione di lottizzazione sottoscritta tra il Comune di Rieti ed il Consorzio del Colle, e della lavorazione, mediante operazioni di aratura, fresatura e disboscamento, dell’area, che aveva recuperato la sua naturale destinazione boschiva, come tale sottoposta a vincoli ex artt. 10, comma 3, della legge regionale n. 24 del 1998 e 4, comma 1, della legge regionale 39 del 2002, senza che vi fosse alcuna autorizzazione al riguardo; con condotte come tali sufficienti ad integrare il contestato reato di lottizzazione abusiva, il quale ultimo, giova ricordarlo, è reato a forma libera e progressivo nell’evento, che può realizzarsi sia attraverso l’esecuzione di opere che comportino, di fatto, una trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione – c.d. lottizzazione materiale o fisica – sia in presenza di una trasformazione urbanistica o edilizia del territorio effettuata in assenza del previsto piano di lottizzazione, o in presenza di piano contrastante per mezzo del frazionamento e delle vendita, o di atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio – c.d. lottizzazione negoziale o cartolare (ex plurimis, Sez. 3, n. 11389 del 14/12/2023, dep 19/03/2024, Rv. 286049; Sez. 3, n. 36397 del 17/04/2019, Rv. 277169). 
Né, nella specie, la rilevanza e decisività delle prove ammesse ma non acquisite al dibattimento risulta mai essere stata chiarita, nemmeno con il ricorso in cassazione in via di mera prospettazione, dai ricorrenti.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che la parte che intende censurare con ricorso per cassazione l’ordinanza del giudice che non abbia ammesso o abbia revocato una prova testimoniale già ammessa è tenuta, in ossequio al principio di specificità di all’art. 581, comma primo, lettera c), cod. proc. pen., a spiegare il livello di decisività delle prove testimoniali che il giudice ha ritenuto superflue (Sez. 6, n. 15673 del 19/12/2011, dep. 2012, Rv. 252581 - 01), non potendosi dunque lamentare la lesione del proprio diritto di difesa se non si consente di apprezzarne la portata nel contesto processuale di riferimento (ex plurimis, Sez. 5, n. 10425 del 28/10/2015, dep. 2016, Rv. 267559; Sez. 5, n. 39764 del 29/05/2017, Rv. 271849). Nel caso in esame, invece, ritiene il Collegio che i ricorrenti non abbiano in alcun modo dato conto della concreta inerenza al tema oggetto del processo, delle circostanze su cui i testi avrebbero dovuto deporre, limitandosi a prospettare genericamente aspetti – quali la legittimità o meno del piano di lottizzazione approvato, la corretta individuazione delle aree boscate, e non, in esso incluse, nonché la descrizione dell’intervento di mera ripulitura della vegetazione – da un lato, apertamente smentiti dalla sentenza impugnata (pag. 6) – con la quale i ricorrenti, tuttavia, omettono di confrontarsi – dall’altro, comunque non dirimenti ai fini di causa, giacché, meramente afferenti alle presunte modalità del realizzato disboscamento.
1.2. Il secondo motivo di ricorso di De Santis, riferito a vizi della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei presupposti per poter disporre la confisca, è inammissibile, perché formulato in modo aspecifico – in quanto meramente reiterativo di quanto già prospettato con l’atto di appello e motivatamente disatteso dai giudici di secondo grado – articolato in fatto ed altresì diretto a sollecitare una diversa lettura delle risultanze probatorie concretamente restituite dagli atti di indagine, come tale preclusa in sede di legittimità.
Sul punto, va ribadito che, nel giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice di merito. Infatti, nel ricorso per cassazione non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che riguardano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (ex plurimis, Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
Tanto premesso in termini generali, quanto alla ritenuta inidoneità delle condotte contestate a dimostrate l’esistenza del reato, ritiene il Collegio che la Corte di appello abbia correttamente evidenziato (pag. 6), ancorché in maniera implicita, la falsità della perizia che ha determinato la caducazione della convenzione di lottizzazione pur debitamente stipulata, allorché ha precisato come dalle risultanze probatorie emerga con evidenza la natura boschiva dell’area interessata. Ciò che, nello specifico, è emerso sia dall’esame effettuato dal luogotenente del corpo forestale dei carabinieri Di Biagio, mediante la visione delle aerofotogrammetrie e con l’ausilio di sistemi di rilevazione GPS, dal quale si è ricavato doversi considerare l’area come boscata ai sensi degli artt. 10, comma 3, della legge regionale n. 24 del 1998, e 4, comma 1, della legge regionale 39 del 2002, sia dal piano territoriale paesistico della regione Lazio, che parimenti classifica l’area in questione come totalmente boscata, corroborato altresì dall’opera di spianamento e disboscamento concretamente posta in essere dalla ditta Scipioni, il cui titolare ha espressamente confermato di aver proceduto ad un’aratura di circa 50 cm di profondità e al taglio di piante.
La sentenza impugnata risulta, poi, adeguatamente motivata anche con riguardo alla valutazione delle deposizioni di testi dell’accusa.
In primo luogo, infatti, i verbali dei sopralluoghi danno atto del fatto che alle date, rispettivamente, del 16 e del 31 maggio 2016, fosse ancora in atto l’attività di intervento sui terreni interessati, mediante il taglio di alcuni alberi; di talché del tutto coerente risulta l’iter logico seguito dai giudici dell’appello, in ordine alla riferibilità degli esiti dei predetti verbali ad attività che, per la loro consistenza materiale, necessariamente dovevano impegnare anche periodi precedenti ai sopralluoghi medesimi. In secondo luogo, dall’esame effettuato dal luogotenente Di Biagio mediante la visione delle aerofotogrammetrie e con l’ausilio di sistemi di rilevazione GPS, oltre che dalla documentazione fotografica in atti, emerge – come già chiarito – l’inequivoca natura boschiva dell’area interessata, così classificata anche dal piano territoriale paesistico regionale.

2. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della 00,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. 


Così deciso il 13/11/2024.