 Cass. Sez. III n. 18537 del 17 maggio 2010 (Cc.16 mar. 2010)
Cass. Sez. III n. 18537 del 17 maggio 2010 (Cc.16 mar. 2010)
Pres. Petti Est. Franco Ric. Pellis
Urbanistica. Lottizzazione e buona fede dell’acquirente
In tema di lottizzazione abusiva l'acquirente versa in una situazione quanto meno di colpa quando non sia stato cauto e attento a verificare le previsioni urbanistiche e pianificatorie della zona (nella specie si è ritenuto che l’obbligatoria allegazione all’atto di vendita del certificato di destinazione urbanistica dell’area interessata, dimostra che l’acquirente era in grado di sapere che la lottizzazione avveniva su un terreno agricolo ancora sottratto a programmi di urbanizzazione. Era infatti percepibile e concreta la predisposizione di una zona agricola in cui non era consentita l’edificazione; inoltre non esistevano opere di urbanizzazione, tanto che erano stati realizzati servizi comuni per lo smaltimento delle acque, una viabilità interna ai singoli agglomerati edificati cd avanzate richieste al comune per incrementare le opere di urbanizzazione. inoltre, la stessa individuazione degli insediamenti come “borghetti agricoli” e “atelier d’artista” avrebbe dovuto indurre sospetti negli acquirenti).
Non può determinare una situazione di immediata evidenza dì buona fede il solo fatto che il notaio abbia garantito la commerciabilità del bene o che l’istituto bancario del ricorrente abbia fatto eseguire una perizia per la concessione del mutuo, trattandosi di accertamenti aventi diverse finalità.
UDIENZA del 16.03.2010
SENTENZA N. 464
REG. GENERALE N. 42726/2009
 REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi  Sigg.:
 1. Dott. Ciro Petti                                   Presidente
 2. Dott. Aldo Fiale                                  Consigliere
 3. Dott. Amedeo Franco                         (est.) Consigliere
 4. Dott. Silvio Amoresano                       Consigliere
 5. Dott.ssa Guicla I. Mulliri                     Consigliere
 ha pronunciato la seguente:
 SENTENZA
 - sul ricorso proposto da Pellis Enrico, nato a Napoli l'11.5.1942;
 - avverso l'ordinanza emessa il 29.4.2009 dal tribunale del riesame di  Roma;
 - udita nella udienza in camera di consiglio del 16 marzo 2010. la  relazione  fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
 - udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore  Generale  dott. Alfredo Montagna, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
 Svolgimento del processo
 Il tribunale del riesame di Roma, con l'ordinanza. in epigrafe, rigettò  l'istanza di riesame proposta da Pellis Enrico avverso il decreto  30.3.2009 del  GIP del tribunale di Tivoli, che aveva rinnovato il sequestro preventivo  (già  dichiarato inefficace per vizi di procedura) di un immobile del Pellis  sito nel  comune di Riano, in relazione al reato di lottizzazione abusiva.
 L'indagato propone ricorso per cassazione deducendo violazione di legge,   incentrandosi la motivazione sui seguenti erronei rilievi:
a) circa il , fumus del reato irrilevanza in sede sommaria della sua posizione di sub acquirente in buona fede dell'immobile edificato in base a regolare concessione edilizia e la cui commerciabilità era garantita dal notaio rogante;
b) non applicabilità nella fattispecie del principio di cui alla sentenza di questa Corte n. 42741/2008;
c) non applicabilità alla fattispecie dei principi affermati dalla Corte di giustizia nella sentenza 20.1.2009;
d) irrilevanza rispetto al periculum in mora del completamento della edificazione;
e) erronea affermazione della sussistenza in re ipsa del periculum in mora.
 In particolare deduce i seguenti motivi:
 1) illegittimità costituzionale della confisca di cui all'art. 44, comma  2,  d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, in riferimento agli am. 3, 25, comma 2,  27, comma  1, Cost., e conseguente necessità di sospendere il presente processo  fino alla  definizione da parte della Corte costituzionale della stessa questione  di  legittimità costituzionale, sollevata dalla corte d'appello di Bari il  9.4.2008  e fissata per la udienza del 23.6.2009, nonché in attesa delle  definizione da  parte di questa Corte di analoghi ricorsi relativi ai sequestri  preventivi  adottati dal Gip di Tivoli per le lottizzazioni nei comuni di Capena e  di Riano.
 2) erronea applicazione dell'art. 321 cod. proc. pen. e dell'art. 44,  comma 2,  d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, per violazione dell'art. 7 Cedu, degli  arti. 2 e 3  legge 24 novembre 1981, n. 689, nonché dell'art. 3 Cost. per la ritenuta   irrilevanza, in sede di cognizione sommaria, del fumus, della  oggettiva,  immediatamente evidente posizione del subacquirente possessore di buona  fede  rivestita dall'istante, totalmente estraneo alla ipotesi criminosa del  reato e  degli effetti della prescrizione. Osserva che il tribunale del riesame  ha errato  nel ritenere estranea alla cognizione sommaria la posizione di buona  fede di  esso ricorrente, subacquirente dell'immobile già ultimato in base a  regolare  concessione edilizia e la cui commerciabilità era stata garantita dal  notaio  rogante e dalla banca mutuante. La posizione di terzo estraneo di buona  fede  risultava quindi in modo evidente dagli atti. Inoltre, la concessione  edilizia  risaliva al 2001 ed il suo acquisto al 2003, sicché il reato sarebbe  comunque  prescritto. Aggiunge poi che, sulla base dell'art. 7 CEDU e dei principi  in tema  di illeciti amministrativi la sanzione amministrativa esige quanto meno  la  presenza dell'elemento soggettivo della colpa.
 3) violazione dell'art. 1 del Protocollo aggiuntivo CEDU e dell'art. 42  Cost.  per inadeguatezza e sproporzione della misura preventiva adottata  siccome  funzionale alla confisca ex art. 44, comma 2, d.p.R. 6 giugno 2001, n.  380, in  assenza di qualsiasi previsione indennitaria a favore dei soggetti  estranei al  reato.
 4) illegittimità della misura siccome anticipatoria rispetto alla  sanzione della  confisca ex art. 44 cit., per sua natura revocabile in presenza di  successiva  sanatoria del preteso illecito amministrativo mediante adozione di un  piano di  recupero urbanistico dell'area lottizzata, revocabilità che rende  inadeguato e  sproporzionato il provvedimento gravato.
 5) illegittimità della misura siccome anticipatoria di sanzione per sua  natura  revocabile. Osserva sul punto che il comune di Riano ha dato una  interpretazione  autentica dell'art. 34 delle NTA della variante di aggiornamento del PRG  per la  salvaguardia del territorio, approvata della Regione Lazio con DGR n.  5842 del  14\12\1999, confermando la legittimità di tutte le concessioni edilizie  rilasciate per i c.d. borghetti agricoli.
 6) violazione dell'art. 321 cod. proc. pen. per insussistenza delle  esigenze  cautelari e mancanza di motivazione.
 In data 1° marzo 2010 il ricorrente ha depositato memoria, con cui  deduce  illegittimità della disposta cautela per violazione degli artt. 405, 406  e 407  cod. proc. pen. Osserva che la misura cautelare è stata emessa dopo  oltre cinque  anni dall'acquisto, in data 18.12.2003, dell'unità immobiliare ultimata e  pronta  ad essere abitata. Il procedimento penale era aperto contro ignoti nel  2004. Il  PM disponeva il 27.10.2004 una CT che era depositata solo il 6.6.2006.  Erano  quindi iscritti nel registro degli indagati 57 soggetti in data  22.1.2007. Fra  questi soggetti non vi era l'attuale ricorrente. I suddetti indagati  ricevevano  una sola richiesta di proroga delle indagini preliminari, sicché per  essi è  scaduto il termine massimo per le indagini preliminari, senza che sia  stata  esercitata l'azione penale. Gli altri acquirenti e subacquirenti sono  stati  iscritti tardivamente e comunque prima della richiesta di sequestro  preventivo  del 20.6.2008. Esso ricorrente non ha poi mai ricevuto richiesta di  proroga  delle indagini sicché nei suoi confronti i termini per le indagini  preliminari  sono ampiamente decorsi senza che il PM abbia esercitato l'azione penale  o  richiesto l'archiviazione. Da ciò deriva l'evidenza della sua estraneità  al  reato e l'assenza del periculum in mora. Inoltre, essendo  superato il  termine massimo per le indagini preliminari, la misura cautelare è  decaduta,  quanto meno per mancanza del periculum in mora, in conformità ai  principi  del giusto processo e della ragionevole durata dei procedimenti  giudiziari.
 Motivi della decisione
 Il primo motivo è infondato, o meglio superato, perché le richiamate  questioni  pendenti sono state già decise dalla Corte costituzionale con la sent.  n. 239  del 2009 e da questa Corte con la sentenza 14 luglio 2009, n. 39078,  Apponi.
 Il secondo motivo è anch'esso infondato.
L'ordinanza impugnata ha invero osservato che l'attuale ricorrente è indagato per i reati lottizzazione abusiva e di costruzione abusiva, sicché non risulta estraneo al reato. Il tribunale del riesame ha altresì ritenuto, con adeguata motivazione, che l'indagato versava in una situazione quanto meno di colpa, perché non era stato cauto e attento a verificare le previsioni urbanistiche e pianificatorie della zona. Invero, l'obbligatoria allegazione all'atto di vendita del certificato di destinazione urbanistica dell'area interessata, dimostrava che l'acquirente era in grado di sapere che la lottizzazione avveniva su un terreno agricolo ancora sottratto a programmi di urbanizzazione. Era infatti percepibile e concreta la predisposizione di una zona agricola in cui non era consentita l'edificazione; inoltre non esistevano opere di urbanizzazione, tanto che erano stati realizzati servizi comuni per lo smaltimento delle acque, una viabilità interna ai singoli agglomerati edificati ed avanzate richieste al comune per incrementare le opere di urbanizzazione. D'altra parte, la stessa individuazione degli insediamenti come "borghetti agricoli" e "atelier d'artista" avrebbe dovuto indurre sospetti negli acquirenti.
 La motivazione dell'ordinanza impugnata è conforme ai principi affermati  sul  punto dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «l'acquirente  non può  sicuramente considerarsi, solo per tale sua qualità, "terzo estraneo" al  reato  di lottizzazione abusiva, ben potendo egli tuttavia, benché compartecipe  al  medesimo accadimento materiale, dimostrare di avere agito in buona fede,  senza  rendersi conto cioè - pur avendo adoperato la necessaria diligenza  nell'adempimento degli anzidetti doveri di informazione e conoscenza -  di  partecipare ad un'operazione di illecita lottizzazione. Quando, invece,  l'acquirente sia consapevole dell'abusività dell'intervento - o avrebbe  potuto  esserlo spiegando la normale diligenza - la sua condotta si lega con  intimo  nesso causale a quella del venditore ed in tal modo le rispettive  azioni,  apparentemente distinte, si collegano tra loro e determinano la  formazione di  una fattispecie unitaria ed indivisibile, diretta in modo convergente al   conseguimento del risultato lottizzatorio» (v., da ultimo, Sez. III, 14  luglio  2009, n. 39078, Apponi).
 In sede cautelare, poi, la eventuale carenza dell'elemento soggettivo  del reato  può essere valutata soltanto allorquando emerga ictu oculi in  modo  immediatamente evidente e si riverberi sulla componente materiale,  incidendo  sulla configurabilità stessa del reato (Sez. III, 17.3.2009, n. 17865,  Quarta).  Non può poi determinare una situazione di immediata evidenza di buona  fede il  solo fatto che il notaio abbia garantito la commerciabilità del bene o  che  l'istituto bancario del ricorrente abbia fatto eseguire una perizia per  la  concessione del mutuo, trattandosi di accertamenti aventi diverse  finalità. Deve  quindi ritenersi che nemmeno dalle prospettazioni difensive è  immediatamente  deducibile una condizione dell'indagato di ignoranza incolpevole circa  la  corretta destinazione urbanistica dell'immobile da lui acquistato.
 E' poi irrilevante la circostanza che il ricorrente sia stato  subacquirente. Ed  infatti, «neppure l'acquisto del sub-acquirente può essere considerato  legittimo  con valutazione aprioristica limitata alla sussistenza di detta sola  qualità,  allorché si consideri che l'utilizzazione delle modalità dell'acquisto  successivo ben potrebbe costituire un sistema elusivo, surrettiziamente  finalizzato a vanificare le disposizioni legislative in materia di  lottizzazione  negoziale» (Sez. III, 14 luglio 2009, n. 39078, Apponi; Sez. III,  8.11.2000,  Petracchi).
 Il terzo motivo è manifestamente infondato perché nella specie il  tribunale del  riesame ha accertato che allo stato il ricorrente non è terzo estraneo  bensì  concorrente nel reato.
 E' manifestamente infondato anche il quarto motivo.
Invero, il fatto che la confisca, una volta disposta, possa in seguito essere eventualmente revocata in presenza di successive sanatorie mediante un piano di recupero urbanistico dell'area illecitamente lottizzata, non esclude certamente (ma anzi implica) che la misura possa essere per intanto applicata e che quindi possa in via preventiva essere disposto il sequestro finalizzato ad assicurare l'effettività della applicazione stessa. Il motivo è comunque irrilevante perché nella specie il sequestro non è stato disposto solo ai sensi dell'art. 321, comma 2, cod. proc. pen. in vista di una futura confisca, ma anche ai sensi dell'art. 321, comma 1, per l'esigenza di prevenire il completamento delle opere e la prosecuzione della attività edilizia illecita nonché l'aggravio del carico urbanistico, l'ulteriore frazionamento dei terreni e le vendite delle abitazioni in corso di completamento.
 Il quinto motivo è irrilevante per le ragioni appena esposte e comunque è   infondato per i motivi indicati nella citata sentenza Sez. III, 14  luglio 2009,  n. 39078, Apponi, e che qui sinteticamente si riportano.
 Il Consiglio comunale di Riano, in data 12.5.2009, ha adottato una  deliberazione  avente ad oggetto la "Interpretazione autentica dell'art. 34 delle N.  T.A.  della Variante al P.R.G. approvata con delibera di Giunta regionale n.  5842/1999  - Borghetti agricoli ed atelier per artisti". Con la detta sentenza  al  deliberato consiliare in esame è stata riconosciuta natura di atto a  contenuto pianificatorio e si è rilevato che l'atto stesso:
- si pone anzitutto in contrasto con la caratterizzazione conferita alle zone agricole dal PTP - ambito territoriale n. 4 Valle del Tevere;
- non "interpreta" l'art. 34 della Variante di PRG ma lo modifica, in quanto elide la previsione dello stesso che riserva agli addetti all'agricoltura l'edificazione di residenze nelle zone agricole E3: non delimita, infatti, il novero dei soggetti ai quali detta qualifica possa essere attribuita ma estende in senso generalizzato la legittimazione a costruire. In tal modo l'atto in questione apporta una innovazione sostanziale ad una previsione di piano e ad essa viene illegittimamente attribuito effetto retroattivo.
 Si è inoltre rilevato che, sotto il profilo procedimentale, il PRG è un  atto  complesso sicché, dal momento dell'approvazione regionale, non è più  possibile  l'interpretazione unilaterale da parte del Comune o della Regione ma  essa va  effettuata d'intesa tra le due autorità. Nella specie, invece, non  risulta  intervenuto alcun provvedimento regionale (di concerto preventivo o di  approvazione), necessario per il completamento dell'iter formativo e per   l'integrazione dell'efficacia.
 Una "variante di piano" nel senso dianzi illustrato - d'altro canto - si   porrebbe in contrasto con l'art. 55 della legge 22.12.1999, n. 38 della  Regione  Lazio [come modificato dalle leggi regionali 30.1.2002, n. 4 e 17 marzo  2003, n.  8], a norma del quale - (a decorrere dal 30.6.2002): -"Fermo restando   l'obbligo di procedere prioritariamente al recupero delle strutture  esistenti,  la nuova edificazione in zona agricola è consentita soltanto se  necessaria alla  conduzione del fondo e all'esercizio delle attività agricole e di quelle  ad esse  connesse"; -"Le strutture adibite a scopo abitativo, salvo quanto  diversamente e  più restrittivamente indicato dai piani urbanistici comunali, dai piani  territoriali o dalla pianificazione di settore, non possono, comunque,  superare  il rapporto di 0,01 metri quadri per metro quadro, fino ad un massimo di  300  metri quadri per ciascun lotto inteso come superficie continua  appartenente alla  stessa intera proprietà dell'azienda agricola. Il lotto minimo è  rappresentato  dall'unità aziendale minima di cui all'articolo 52, comma 3. È ammesso,  ai fini  del raggiungimento della superficie del lotto minimo, l'asservimento di  lotti  contigui, anche se divisi da strade, fossi o corsi d'acqua"; -"L'unità  aziendale  minima non può, in ogni caso, essere fissata al di sotto di 10 mila  metri  quadri. In mancanza dell'individuazione dell'unità aziendale minima, il  lotto  minimo è fissato in 30 mila metri quadri".
 La ricordata sentenza Sez. III, 14 luglio 2009, n. 39078, Apponi, ha  infine  evidenziato che, nella vicenda in esame, la valutazione sulle  possibilità di  edificazione non si ricollega ad una distinzione tra cittadini, ma alla  particolare destinazione dei terreni per prevalenti esigenze ambientali,  che  sono state disattese e tralignate; e che resta violato il c.d. "rapporto  di  copertura", cioè il rapporto tra l'area coperta dalla costruzione e  l'area del  lotto di pertinenza, tra l'edificio singolarmente compravenduto e la  porzione di  terreno agricolo che costituisce imprescindibile presupposto di  legittimazione  della costruzione di esso.
 E' infondato anche il sesto motivo in quanto il tribunale del riesame ha  dato  ampia motivazione sulla sussistenza del periculum in mora,  evidenziando  che il sequestro è finalizzato non solo ad assicurare una successiva  eventuale  confisca, ma anche a prevenire l'ulteriore aggravamento del reato, in  quanto non  erano ancora completate le opere di edificazione ed era necessario  impedire la  prosecuzione della attività illecita. D'altra parte, anche per i nuclei  residenziali in cui era stata completata l'attività edilizia, sussisteva   l'esigenza di evitare un ulteriore aggravio del carico urbanistico in  una zona  priva di opere infrastrutturali adeguate, stante anche la diffusa  offensività  del reato che riguarda l'intero territorio interessato dall'insediamento   edilizio non consentito.
 Sono infine infondati anche i motivi aggiunti esposti nella memoria da  ultimo  depositata. Come esattamente osservato dal tribunale del riesame, il  reato  riguarda l'intero territorio interessato dall'insediamento e la sua  permanenza  quindi non era ancora cessata alla data di applicazione della misura  cautelare,  non essendo state ancora completate le opere di edificazione, o comunque  era  cessata solo in epoca prossima agli accertamenti della polizia  giudiziaria.
 Il fatto che fosse o meno scaduto il termine massimo per le indagini  preliminari  è irrilevante perché «il decorso dei termini delle indagini preliminari  non  impedisce l'esercizio del potere cautelare» (Sez. II, 28.11.2007, n.  45988,  Tripodi, m. 238519).
 Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del  ri-corrente al pagamento delle spese processuali.
 Per questi motivi
 La Corte Suprema di Cassazione
 rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese  proces-suali.
 
 Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 16  marzo  2010.
 
 
 DEPOSITATA IN CANCELLERIA il  17 MAG. 2010
 
                    




