Cass. Sez. III 36107 del 1 settembre 2016 (Ud 30 giu 2016)
Presidente: Ramacci Estensore: Mocci Imputato: Arrigoni e altro
Urbanistica.Manufatto avente carattere precario

In materia edilizia, al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire la realizzazione di un manufatto, l'asserita precarietà dello stesso non può essere desunta dal suo carattere stagionale, ma deve ricollegarsi - a mente di quanto previsto dall'art. 6, comma secondo, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, come emendato dall'art. 5, comma primo, D.L. 25 marzo 2010, n. 40 (convertito, con modificazioni, nella l. n. 73 del 2010) - alla circostanza che l'opera sia intrinsecamente destinata a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee, e ad essere immediatamente rimossa al venir meno di tale funzione.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 7 febbraio 2014 il Tribunale di Bergamo condannava A.M.C. e Ag.Gi. - reputandoli colpevoli dei reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31 e art. 44, lett. b), accertati in (OMISSIS) il (OMISSIS) - alla pena di giorni sette di arresto ed Euro 4.000 di ammenda per ciascuno.

Ai prevenuti era contestato di aver realizzato - quali comproprietari - opere edilizie abusive, in assenza del permesso di costruire ed in difformità dagli strumenti urbanistici vigenti.

2. Su gravame degli imputati, la Corte d'Appello di Brescia confermava integralmente la sentenza del Tribunale.

Affermava il giudice di secondo grado, con riguardo alla dedotta precarietà del manufatto, che il portico realizzato a fianco dell'abitazione era destinato a soddisfare esigenze perduranti almeno per tutta la stagione primaverile-estiva.

3. Hanno proposto ricorso per cassazione l' A. e l' Ag., sulla scorta di cinque motivi (violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b); violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b); violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e); violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e); violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b)).


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Mediante il primo motivo, i ricorrenti lamentano inosservanza e mancata applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6, comma 2, lett. b): la Corte territoriale non avrebbe preso in considerazione il termine di novanta giorni, tanto più che la stagione primaverile-estiva in alta montagna sarebbe notevolmente ridotta.

2. La seconda censura s'impernia sulla considerazione che la natura temporanea avrebbe potuto ricavarsi dagli stessi elementi di diritto richiamati dalla sentenza di questa Suprema Corte citata dai giudici di merito (n. 966 del 2014).

3. Il terzo mezzo d'impugnazione è volto a rimarcare l'erronea valutazione della prova costituita dalla presenza dell'impianto elettrico, circostanza che i testi P. e B. avrebbero invece smentito.

4. La quarta doglianza si rivolge alla carente indicazione di specifici elementi di colpa ricollegabili alla condotta dell' A..

5. Da ultimo, i ricorrenti osservano che, con riguardo alla posizione dell' Ag., la configurazione giuridica del reato sarebbe destituita di fondamento, giacchè egli sarebbe chiamato a rispondere di concorso doloso in una fattispecie di natura colposa.

Il ricorso è infondato.

Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6, comma 2, lett. b) - dopo le modifiche introdotte dal D.L. 25 marzo 2010, n. 40, convertito con modificazioni nella L. 22 maggio 2010, n. 73 - prevede che possono essere installate, senza alcun titolo abilitativo ma previa comunicazione dell'inizio dei lavori all'Amministrazione comunale (anche per via telematica), le opere dirette a soddisfare obiettive esigerne contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a 90 giorni. Non implica precarietà dell'opera, però, il carattere stagionale di essa, potendo essere la stessa destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione (Sez. 3 n. 34763 del 21/06/2011 (dep. 26/09/2011), Mulas, Rv. 251243)).

Nella fattispecie in esame i giudici del merito hanno escluso il requisito della temporaneità, non ravvisando un uso realmente precario di manufatti abusivamente realizzati, asseritamente destinati ad essere rimossi al termine della stagione primaverile-estiva, ed a tale esclusione sono pervenuti con motivazione adeguata, coerente ed immune da vizi logico-giuridici.

I primi due rilievi sono dunque privi di pregio.

Il terzo motivo si traduce in una richiesta di rivalutazione delle prove assunte che, a fronte dell'impostazione logica e coerente della motivazione della sentenza qui impugnata, è inammissibile in sede di legittimità.

Quanto alla quarta doglianza, essa era già stata sollevata avanti la Corte territoriale, che ha fornito in proposito una risposta del tutto congrua, circa la scelta dell'imputata di affidarsi a consigli di "tecnici", senza verificare aliunde la congruità di tali consigli. In ogni caso, la suddetta valutazione costituisce una questione rimessa al giudice di merito.

L'ultimo motivo non ha ragion d'essere, giacchè, in tema di reati edilizi, l'individuazione del comproprietario non committente quale soggetto responsabile dell'abuso edilizio può essere desunta da elementi oggettivi di natura indiziaria della compartecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto, desumibili dalla presentazione della domanda di condono edilizio, dalla piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo, dall'interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, dai rapporti di parentela o affinità tra terzo e proprietario, dalla presenza di quest'ultimo "in loco" e dallo svolgimento di attività di vigilanza nell'esecuzione dei lavori o dal regime patrimoniale dei coniugi (Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014 (dep. 15/12/2014), Langella, Rv. 261522). E la Corte territoriale ha in proposito chiarito come l' Ag., oltre ad aver firmato tutte le domande di condono, avesse fruito stabilmente della casa di vacanza.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2016