Cass. Sez. III n. 11393 del 19 marzo 2024 (UP 28 feb 2024)
Pres. Ramacci Est. Semeraro Ric. Primiceri
Urbanistica.Necessità di valutazione unitaria delle opere

La valutazione dell'opera, ai fini della individuazione del regime abilitativo applicabile, deve riguardare il risultato dell'attività edificatoria nella sua unitarietà, non potendosi considerare separatamente i singoli componenti e ciò anche ai fini della individuazione del dies a quo per la decorrenza della prescrizione 


RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza del 13 marzo 2023 la Corte di appello di Lecce, in parziale riforma della condanna inflitta per il reato ex art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 dal Tribunale di Lecce il 10 novembre 2020, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, ha rideterminato la pena inflitta a Piero Primiceri in 2 mesi e 20 giorni di arresto ed euro 20.000 di ammenda, confermando nel resto la sentenza di primo grado. 
All'imputato sono stati ascritti, con l’imputazione, i reati ex art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 e 181 d.lgs. n. 42 del 2004 per avere omesso, in assenza di qualsiasi auto autorizzativo, quale legale rappresentante della Iride SNC, di smontare e conseguentemente rimuovere o far rimuovere le opere consistenti nelle strutture facenti parte dello stabilimento balneare denominato Iride Beach, originariamente in parte assentite con autorizzazione paesaggistica stagionale n. 43 del 2012 del 6 giugno 2012, aventi efficacia quinquennale e permesso di costruire stagionale n. 4 del 2012 del 15 giugno 2012; le opere realizzate nello stabilimento, secondo l’imputazione, sono in parte difformi rispetto ai suddetti titoli abilitativi, «concretizzatesi, anche ed in particolare, nella realizzazione di …»:
una struttura lignea porticata, costituita da quattro pilastrini in legno con sovrastante tenda in tela retrattile antistante il chiosco bar;
pedana in legno posizionata sul terreno sabbioso ben livellato, fissata ad una struttura con pareti laterali e copertura costituiti da pannelli coibentati tipo Sandwich con porte finestre incernierate,  
non provvedendo in tal modo al ripristino dello Stato dei luoghi.
Il reato risulta dalla imputazione «Accertato in Gallipoli … nelle date del 17.03.2018, 14.11.2018 e 10.04.2019».
Il Tribunale ha dichiarato estinto il reato ex art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 in virtù dell'avvenuto ripristino dello stato dei luoghi.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato proponendo otto motivi i cui titoli si riportano integralmente.
2.1. Con il primo motivo si eccepisce, ex art. 606, lett. c), cod. proc. pen., la nullità della notifica e del decreto di citazione in appello ex art. 171, lett. e), cod. proc. pen. per la violazione degli art. 157, comma 8-ter, e 181, comma 1, cod. proc. pen., come modificati dal d.lgs. n.150 del 2022, non essendo stati rivolti all’imputato gli avvertimenti di cui ai predetti articoli. 
2.2. Con il secondo motivo, ex art. 606, lett. c), cod. proc. pen., si deduce la violazione degli artt. 546, comma 3, 125, comma 3, 525, comma 2, 601, 178, lett. c), 179 e 181, 130 e 127 cod. proc. pen., 111 Cost. e 6 Cedu, atteso che la Corte di appello, una volta preso atto del vizio di nullità della sentenza di primo grado per assenza di motivazione in ordine alle presunte difformità della «struttura lignea porticata» oggetto di imputazione, ha erroneamente riconosciuto la propria competenza a supplire a detta carenza, per cercare in tal modo di sanare il vizio, laddove proprio le sentenze della Corte di cassazione, erroneamente citate dalla Corte territoriale a sostegno dei propri assunti, statuiscono che tale sanatoria sarebbe potuta scaturire soltanto a seguito di una rinnovazione dell’atto viziato ad opera del Tribunale che aveva deliberato.
2.3. Con il terzo motivo si deduce che la motivazione sia manifestamente mancante allorquando la Corte di appello non si è confrontata, e dunque non ha motivato, sui molteplici profili di censura proposti con l’appello, in ordine alla omessa rimozione della seconda struttura contestata nel capo di imputazione, ossia il chiosco-bar, ed alla modalità di realizzazione di detta struttura, limitandosi ad affermare, secondo una tesi manifestamente contraddittoria rispetto a quella propugnata dal Tribunale, che «La mancata rimozione al termine della stagione configura, di per sé, pertanto, il reato».
2.4. Con il quarto motivo, ex art. 606, lett. C), cod. proc. pen., si deduce l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità allorquando la Corte di appello ha ritenuto di non accogliere il motivo di appello in ordine alla declaratoria di nullità della sentenza di primo grado ex art. 604 cod. proc. pen. per l’avvenuta violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., avendo il Tribunale fondato la condanna del ricorrente su di una serie di opere asseritamente difformi, del tutto diverse ed ulteriori rispetto a quelle oggetto del capo di imputazione, e mai addebitate all’imputato, oltre che per un arco di tempo differente da quello contestato dal Pubblico Ministero. Si chiede l’annullamento della sentenza impugnata perché la Corte territoriale avrebbe condannato l’imputato per opere, asseritamente abusive, non contenute nell’imputazione. 
2.5. Con il quinto motivo si deduce l’omessa valutazione e, di conseguenza, l’omessa motivazione in risposta al motivo di appello con cui si sostenne sul carattere pertinenziale della «struttura lignea porticata» contestata nel capo di imputazione e su cui l’atto di appello aveva ampiamente dedotto, elemento fondamentale per la vicenda de qua, che, se correttamente valutato, avrebbe consentito alla Corte territoriale di prendere atto che la struttura rientrasse tra le opere della cd. Edilizia libera.
2.6. Con il sesto motivo si deduce il vizio di violazione di legge, in particolare l’erronea applicazione dell’art. 2 cod. pen., nonché di norme giuridiche extra-penali di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale laddove la Corte di appello ha ritenuto di applicare al caso in esame la disciplina di cui all’art. 6, lett. E-bis del Tue vigente al momento della commissione del fatto contestato piuttosto che quella successivamente introdotta, più favorevole all’imputato, violando così il favor rei in tema di successione di leggi nel tempo. 
2.7. Con il settimo e l’ottavo motivo si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha rigettato la richiesta di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.
2.8. Il difensore ha poi depositato una memoria di replica alle conclusioni scritte del Procuratore Generale, insistendo sui motivi del ricorso, e chiedendo infine di valutare il decorso del termine di prescrizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo, con cui si eccepisce la nullità della notifica e del decreto di citazione in appello ex art. 171, lett. e), cod. proc. pen. per la violazione degli art. 157, comma 8-ter, e 181, comma 1, cod. proc. pen., come modificati dal d.lgs. n.150 del 2022, non essendo stati rivolti all’imputato gli avvertimenti di cui ai predetti articoli, è manifestamente infondato.
La questione dedotta è del tutto irrilevante poiché risulta che all’imputato il decreto di citazione per il giudizio di appello è stato notificato «a mani proprie».
Inoltre, l’eventuale nullità sarebbe a regime intermedio e risulta dai verbali del processo di appello che non è stata eccepita, nonostante la presenza della parte all’udienza; avendovi assistito, l’eccezione avrebbe dovuto essere proposta immediatamente, all’udienza, sicché, quand’anche si volesse ritenere sussistente la nullità, si sarebbe verificata la decadenza ex art. 182, comma 3, cod. proc. pen.

2. È manifestamente infondato il secondo motivo, con cui il ricorrente deduce che la Corte di appello avrebbe violato gli artt. 125, comma 3, 604 cod. proc. pen. nel non dichiarare la nullità della sentenza di primo grado per mancanza di motivazione.
2.1. L’eccezione è manifestamente infondata in fatto perché la sentenza del Tribunale di Lecce consta di 17 pagine, ha una motivazione articolata, specificamente contestata con l’impugnazione, ed ha una sua chiara logica, come risulta anche dall’appello e dallo stesso ricorso per cassazione.
Correttamente, pertanto, la Corte di appello ha affermato che la sentenza di primo grado ha una sua esplicita ed esaustiva motivazione, rispondente all’art. 546 cod. proc. pen.; il ricorso non prova in alcun modo l’erroneità della decisione della sentenza impugnata, dimostrando, mediante le necessarie e specifiche allegazioni ed indicazioni, la sussistenza della mancanza della motivazione della sentenza di primo grado.
2.2. L’eccezione è manifestamente infondata anche in diritto perché il ricorrente, in realtà, non deduce il vizio di radicale mancanza della motivazione della sentenza del Tribunale ma l’omessa risposta ad una questione proposta nel giudizio di primo grado – la contestata difformità della «struttura lignea porticata» oggetto di imputazione, ritenuta dalla difesa una pergotenda e la sua rilevanza penale – ed intende estendere a tale ipotesi la giurisprudenza sulla mancanza assoluta di motivazione della sentenza di primo grado.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, correttamente richiamato dalla Corte di appello, cfr. Sez. U, n. 3287 del 27/11/2008, dep. 2009, R., Rv. 244118 – 01, la mancanza di motivazione della sentenza di primo grado ex art. 546 cod. proc. pen. è causa di nullità della sentenza e non, invece, di sua inesistenza; tale causa non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall'art. 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, come invece sostiene il ricorrente. 
La Corte di appello, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, deve infatti redigere, anche integralmente, la motivazione mancante (cfr. in tal senso Sez. U, n. 3287 del 27/11/2008, dep. 2009, R., Rv. 244118 – 01; Sez. 6, n. 58094 del 30/11/2017, Amorico, Rv. 271735 – 01), in quanto i poteri di decisione nel merito sono stati attribuiti dall’imputato nel momento in cui ha con l’appello chiesto una decisione di merito sulle questioni dedotte, alle quali la Corte territoriale è tenuta a rispondere, integrando ove occorra la decisione di primo grado. 
La giurisprudenza ha anche affermato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 604 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede che il giudice di appello, in caso di mancanza grafica della motivazione della sentenza appellata, ne dichiari la nullità e trasmetta gli atti al giudice di primo grado, in quanto non sussiste contrasto né con l'art. 111, comma 2, Cost. che, limitandosi a stabilire che tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati, demanda alla legge ordinaria la disciplina delle conseguenze dell'inosservanza di tale prescrizione, né con l'art. 24 Cost., posto che la garanzia del doppio grado di giurisdizione di merito non ha copertura costituzionale e, in ogni caso, va intesa nel senso che deve essere data la possibilità di sottoporre tali questioni a due giudici di diversa istanza, anche se il primo non le abbia decise tutte (Sez. 5, n. 341 del 18/11/2021, dep. 2022, Pirrottina, Rv. 282381 – 01).
La giurisprudenza (cfr. Sez. 3, n. 34943 del 15/10/2020, Gettapietra, Rv. 280443 – 01) solo nel caso, del tutto specifico, in cui al giudice d'appello sia devoluta esclusivamente la cognizione della nullità o inesistenza della sentenza di primo grado - la cui motivazione sia palesemente riferibile a soggetto diverso dall'imputato – ha affermato che la Corte territoriale non può sostituirsi al primo giudice redigendo la motivazione omessa ma deve trasmettere a quest'ultimo gli atti per non privare l'imputato di un grado del giudizio. 
La Corte di appello ha correttamente deciso nel merito, a seguito dell’appello dell’imputato che tale valutazione richiedeva.
2.3. È, poi, erroneo il richiamo alla sentenza di Sez. V, n.42379 del 2009: a tali dati corrisponde una sentenza della Sez. 6 sull’estradizione.
La sentenza a cui fa riferimento il ricorrente è quella di Sez. 5, n. 42379 del 23/09/2004, Cozzolino, Rv. 230362 – 01 che si riferisce al diverso caso della totale mancanza di motivazione della sentenza di primo grado rispetto alla quale era stato proposto ricorso per cassazione dall’accusa. In quel caso, tenuto conto della peculiarità del giudizio di legittimità, la Corte di cassazione affermò il principio per cui la completa mancanza della motivazione – della sentenza di primo grado, deve aggiungersi - determina la nullità assoluta della sentenza e, in sede di giudizio di legittimità, l'annullamento senza rinvio del provvedimento e la trasmissione degli atti al giudice che lo ha emesso, poiché l'integrazione di una motivazione mancante non può essere demandata al giudice della legittimità, né di tale compito può essere investito il giudice di appello. 
La sentenza Cozzolino è, però, precedente alla sentenza delle Sezioni Unite prima citata ed i suoi principi sono stati superati dalla giurisprudenza successiva: più recentemente, si è affermato che (cfr. Sez. 5, n. 1076 del 21/10/2022, dep. 2023, Di Lella, Rv. 283894 – 01) in ipotesi di ricorso per saltum, all'annullamento della sentenza di primo grado per difetto assoluto di motivazione consegue il rinvio al giudice di appello, che, dovendo redigere ex novo la motivazione mancante, è investito di una devoluzione totale del merito.
2.4. Del tutto errata è, poi, la lettura della sentenza di Sez. 3, n. 37116 del 17/06/2021, B., Rv. 282387 – 01, che ha affermato il principio per cui la nullità della sentenza derivante dalla mancanza totale della motivazione e del dispositivo (nella specie, perché riferiti ad altro imputato ed a diversa imputazione), in quanto vizio che attiene soltanto alla formazione del documento nel quale è trasfusa la deliberazione, è di carattere relativo e può essere sanata - non travolgendo il giudizio, della cui regolarità fanno fede il processo verbale di dibattimento ed il dispositivo pubblicato in udienza - con la mera rinnovazione dell'atto viziato, vale a dire con una nuova redazione del medesimo. 
Nel caso esaminato, era la sentenza della Corte di appello – non quella di primo grado – ad essere priva di motivazione, perché riferita ad altro imputato ed a diversa imputazione.

3. Il terzo motivo, nella parte in cui si deduce la contraddittorietà della motivazione - nella parte in cui si afferma che «La mancata rimozione al termine della stagione configura, di per sé, pertanto, il reato» - con quella del Tribunale, che sarebbe giunto a conclusioni diametralmente opposte – è manifestamente infondato perché è contrario al costante orientamento della giurisprudenza secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, la contraddittorietà della motivazione di cui all'art.606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., deve essere interna alla sentenza impugnata sicché la stessa va esclusa nel caso di difforme valutazione di uno stesso fatto da parte delle sentenze dei due gradi di merito, essendo anzi questa la naturale conseguenza della libertà di apprezzamento e di giudizio degli organi giurisdizionali, che, mediante la motivazione, espongono, in maniera autonoma ed indipendente, le ragioni delle decisioni adottate (Sez. 3, n. 13678 del 20/01/2022, Perrotta, Rv. 283034 – 01).

4. Il terzo, il quinto ed il sesto motivo sono infondati.
Con il terzo motivo si deduce, in sostanza, che avendo la Corte di appello emesso una sentenza con una logica del tutto difforme da quella di primo grado, non avrebbe risposto ai motivi di appello, riportati nel terzo motivo di ricorso, sulla amovibilità delle opere.
Il quinto ed il sesto motivo concernono la realizzazione della «struttura lignea porticata» di cui si assume il carattere pertinenziale e la natura di opera di cd. Edilizia libera. 
Le due sentenze di merito, anche se sono partite da prospettive diverse, sono però concordi nella ricostruzione del fatto che, senza alcun dubbio, concretizza il reato ex art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 come contestato.
4.1. Dalle sentenze di merito risulta che l’opera complessivamente realizzata era composta dal chiosco-bar, la cui costruzione era stata autorizzata con il permesso di costruire «stagionale» - è incontestato che tale opera non sia mai stata rimossa – e da quelle, realizzate senza alcun titolo abilitativo, oggetto degli accertamenti di polizia giudiziaria.
In particolare, il 17 marzo 2018 la polizia giudiziaria accertò la realizzazione della struttura lignea porticata, costituita da quattro pilastrini in legno con sovrastante tenda in tela retrattile antistante il chiosco bar; il 14 novembre 2018 si accertò che la struttura era stata ancorata al chiosco-bar; il 10 aprile 2019 fu accertata l’esistenza di una pavimentazione costituita da tavelle poggiate sul terreno sabbioso e di una pedana in legno, posizionata sul terreno sabbioso ben livellato, fissata ad una struttura con pareti laterali e copertura costituiti da pannelli coibentati tipo Sandwich con porte finestre incernierate.
Le condutture degli scarichi erano state interrate nel primo tratto di collegamento delle varie utenze, per poi passare sotto la pedana a mezzo di apposite tubazioni e raggiungere i vari punti di allaccio degli impianti tecnologici ubicate all'interno della struttura. 
4.2. Il Tribunale non ha assolto l’imputato dalla prima parte dell’imputazione, quella relativa all’aver omesso di smontare il chiosco-bar, ma ha ritenuto che l’omesso smontaggio sia una condotta assorbita dalla realizzazione complessiva di un’opera del tutto difforme da quella oggetto del permesso di costruire.
Secondo il Tribunale, le opere erano state realizzate in parte - quelle non contemplate dai titoli - in assenza di autorizzazione e permesso di costruire e in parte - quelle con carattere di inamovibilità - in totale difformità da essi, che ne prescrivevano l’imprescindibile natura amovibile e non stabile e duratura.
Il Tribunale ha dichiarato estinto il reato ex art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 in virtù dell'avvenuto ripristino dello stato dei luoghi mediante la rimozione degli abusi e delle difformità rispetto a quanto assentito, mentre ha ritenuto sussistente il reato edilizio affermando che «… l'accertata consumazione dell'ipotesi contestata (realizzazione di opere ulteriori e difformi rispetto all'assentito) assorbe ogni altra valutazione e statuizione in ordine alla restante porzione di ipotizzata condotta (omessa rimozione, nel periodo invernale, di struttura stagionalmente assentita per il periodo estivo)».
4.3. La Corte di appello ha analizzato sia la condotta ritenuta assorbita dal Tribunale – quella relativa all’omessa rimozione delle opere assentite - sia le opere ulteriori realizzate dall’imputato. 
La Corte territoriale, tenuto conto che l’elemento oggettivo della condotta è incontestato, in punto di diritto, ha correttamente ritenuto che l’omesso smontaggio del chiosco-bar, autorizzato per altro quale opera precaria, al termine della stagione estiva concretizzi il reato ex art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, in applicazione della giurisprudenza per cui, in tema di reati edilizi e paesaggistici, la mancata rimozione dell'opera edilizia insistente in zona vincolata legittimamente installata sulla base del permesso di costruire per soddisfare esigenze stagionali integra il reato previsto dall'art. 44, comma 1, lett. c), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e quello punito dall'art. 181, comma 1, d. lgs. 21 gennaio 2004, n. 42; cfr. in tal senso Sez. 3, n. 846 del 19/11/2019, dep. 2020, Ferrara, Rv. 278376 – 01, alla cui motivazione si rimanda quando alle argomentazioni sulla struttura e tipicità del reato.
4.4. Il motivo di appello a cui la Corte di appello non avrebbe risposto, secondo quanto riportato nel motivo ed in particolare nelle pagine 17 e ss. del ricorso, era volto a dimostrare che il chiosco-bar prefabbricato era un’opera precaria e facilmente amovibile mentre, correttamente, il Tribunale ha valutato l’opera realizzata nella sua unitarietà prendendo in esame non solo il chiosco-bar, ma le modificazioni avvenute nel tempo che hanno determinato, rispetto all’originario prefabbricato, la realizzazione di un’opera del tutto diversa. 
4.4.1. Per il Tribunale, ma sul punto non vi è difformità con la ricostruzione del fatto operata dalla Corte di appello, rispetto alla struttura assentita - il chiosco-bar avente natura precaria tale da poter essere smontato alla fine della stagione - era stata realizzata un’opera del tutto diversa, essendo stabile non solo il volume destinato più specificamente al bar ma anche la volumetria destinata alla ricezione delle persone ed al passaggio ed alla copertura degli impianti.
4.4.2. Risulta dalle sentenze di merito che, nella parte antistante, al chiosco bar è stata ancorata la struttura lignea porticata, costituita da quattro pilastrini in legno con sovrastante tenda in tela retrattile antistante; è stata realizzata la pavimentazione costituita da tavelle poggiate sul terreno sabbioso e la pedana in legno, posizionata sul terreno sabbioso ben livellato, fissata ad una struttura con pareti laterali e copertura costituiti da pannelli coibentati tipo Sandwich con porte finestre incernierate.
In sostanza, rispetto al prefabbricato, per la fabbricazione del quale è necessario ex lege il permesso di costruire – che difatti è stato rilasciato - è stata realizzata un’opera più complessa, destinata all’attività recettiva ma caratterizzata da stabilità, con collegamenti di natura permanente al terreno e, per come è stata costruita, non è stata autorizzata sotto i profili edilizio e paesaggistico, qui previsto. Un’opera che rientra dunque nell’art. 3, lett. e.5), d.P.R. n. 380 del 2001.
4.4.3. A tale conclusione è, sostanzialmente giunta anche la Corte di appello, a pag. 7 della sentenza, laddove ha rilevato che le opere realizzate non possono essere qualificate quali opere stagionali, perché destinate a soddisfare un bisogno ricorrente della struttura balneare che permane ben oltre la stagione estiva. 
4.5. Sono errate le tesi esposte nel ricorso, che ribadiscono quella dell’appello, nel terzo, quinto e sesto motivo, perché sono volte a frazionare le opere realizzate, distinguendo il chiosco-bar, di cui si afferma la precarietà nel terzo motivo, e la pergotenda nel sesto motivo, di cui si afferma la pertinenzialità.
4.5.1. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, in tema di reati edilizi, la valutazione dell'opera, ai fini della individuazione del regime abilitativo applicabile, deve riguardare il risultato dell'attività edificatoria nella sua unitarietà, non potendosi considerare separatamente i singoli componenti (Sez. 3, n. 21192 del 04/04/2023, Orlando, Rv. 284626 – 01, fattispecie relativa all'edificazione, in area vincolata, di una parete adibita ad uso doccia e del solaio di un bagno esterno, manufatti per la cui realizzazione, complessivamente considerata, era necessario il rilascio del permesso di costruire e dell'autorizzazione paesaggistica) e ciò anche ai fini della individuazione del dies a quo per la decorrenza della prescrizione (Sez. 3, n. 30147 del 19/04/2017, Tomasulo, Rv. 270256 – 01).
Si veda anche Sez. 3, n. 2833 del 13/06/2018, dep. 2019, Sabatini, Rv. 274819 – 01, secondo cui, in tema di reati edilizi, qualora per la consistenza complessiva dell'opera da edificare, sia necessario il permesso di costruire, gli interventi eseguiti in parziale difformità dal titolo autorizzativo integrano il reato di cui all'art. 44, comma 1, lett. a), del d.P.R. n. 380 del 2001, anche se riguardano porzioni dell'opera che, prese singolarmente, avrebbero potuto essere autorizzate con s.c.i.a., poiché l'intervento edilizio, incidendo sull'assetto del territorio, deve essere valutato nel suo complesso e non può essere parcellizzato artificiosamente in una moltitudine di «micro-interventi», al fine di seguire un regime autorizzatorio (o, eventualmente, sanzionatorio) più favorevole.
4.5.2. La tesi difensiva, esposta nel motivo di appello riportato nel terzo motivo, non si confronta neanche con la giurisprudenza secondo cui, in materia edilizia, ai fini della integrazione del reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, si considera in «totale difformità» l'intervento che, sulla base di una comparazione unitaria e sintetica fra l'organismo programmato e quello che è stato realizzato con l'attività costruttiva, risulti integralmente diverso da quello assentito per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche, di utilizzazione o di ubicazione, mentre, invece, in «parziale difformità» l'intervento che, sebbene contemplato dal titolo abilitativo, all'esito di una valutazione analitica delle singole difformità risulti realizzato secondo modalità diverse da quelle previste a livello progettuale (Sez. 3, n. 40541 del 18/06/2014, Cinelli, Rv. 260652 – 01).
4.6. Pertanto, tenuto conto che l’opera, per come realizzata nel suo complesso, richiede il rilascio del permesso di costruire, è del tutto irrilevante definire le ulteriori opere edificate quali pertinenze o pergotenda, dovendo guardarsi a ciò che è stato effettivamente costruito.

5. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
5.1. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza (cfr. Sez. 5, n. 32785 del 13/05/2016, Di Benedetto, Rv. 267398), nel fatto devono intendersi gli elementi identificativi dell'azione sanzionata dall'ordinamento e quelli circostanziali, che servono a precisare il rimprovero mosso all'imputato, affinché possa adeguatamente difendersi, e a delimitare il thema decidendum: condotta contestata; data e luogo di consumazione; circostanze che aggravano il reato; norme violate. 
Di conseguenza si è definito «fatto nuovo» un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo thema decidendum, trattandosi di un accadimento naturalisticamente e giuridicamente autonomo. 
Per «fatto diverso», invece, deve intendersi non solo un fatto che integri una imputazione diversa, restando esso invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, rendendo necessaria una puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato (cfr. in tal senso Sez. 6, n. 26284 del 26/03/2013, Tonietti, Rv. 256861).
Dunque, il fatto a cui fanno riferimento tutte le norme sull’imputazione e le sue vicende, compresi gli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. richiamati dalla difesa, è il fatto storico, è la fattispecie concreta su cui il giudice deve verificare la sussumibilità nella fattispecie astratta. 
Come affermato dalle Sezioni Unite (n. 36551 del 15/07/2010, Rv. 248051, Carelli), per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa.
L'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione. 
Ai fini della valutazione di corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all'art. 521 cod. proc. pen. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione (cfr. Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, Di Guglielmi, Rv. 257278). 
5.2. Applicando i principi della giurisprudenza, risulta che non vi è stata nessuna violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen.
5.2.1. Ed invero, come correttamente rilevato dalla Corte di appello, il Tribunale ha valutato anche le opere impiantistiche (la conduttura degli scarichi, le mandate d’acqua, l’impianto elettrico e la fossa imhoff) le quali non sono specificamente descritte nel capo di imputazione ma che, secondo quanto indicato nella sentenza di primo grado, sono emerse nel corso dell’accertamento del 10 aprile 2019.
5.2.2. Orbene, l’errore logico-giuridico del ricorso è, nuovamente, quello di frazionare le opere compiute, mentre il Tribunale ha fatto riferimento agli impianti per dimostrare che il complesso delle opere realizzate aveva una sua stabilità che si poneva in aperto contrasto con la precarietà del solo, assentito, chiosco-bar.
L’accertamento relativo alla realizzazione di tali impianti è avvenuto nel corso del sopralluogo del 10 aprile 2019: a tale accertamento fa specificamente riferimento il capo di imputazione.
Pertanto, tenuto conto della ratio del riferimento agli impianti della sentenza del Tribunale, dell’indicazione specifica dell’accertamento del 10 aprile 2019 nel capo di imputazione, non si è verificata alcuna condanna per fatti diversi né la violazione del diritto di difesa.

6. Il ricorso è manifestamente infondato anche quanto al tempus commissi delicti. 
6.1. I reati ex art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001 e 181 d.lgs. 42/2004, relativi alla edificazione di un manufatto abusivo, se commessi mediante una condotta che si protrae nel tempo, sono permanenti, con la conseguenza che il termine di prescrizione decorre dal completamento dell'opera o dalla totale sospensione dei lavori a seguito di provvedimento autoritativo o dalla desistenza volontaria del soggetto agente, consistente in un comportamento inequivoco di definitiva cessazione della condotta antigiuridica.
Per Sez. 3, n. 46215 del 03/07/2018, N., Rv. 274201, deve ritenersi ultimato solo l'edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, coincidendo l'ultimazione con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci, gli infissi e le parti annesse all'abitazione, come i locali destinati a garage o magazzino.
Inoltre, in tema di reati edilizi, la prosecuzione di lavori edili su manufatti abusivamente realizzati concretizza una nuova condotta illecita, a prescindere dall'entità dei lavori eseguiti ed anche quando per le condotte relative alla iniziale edificazione sia maturato il termine di prescrizione, atteso che i nuovi interventi ripetono le stesse caratteristiche di illegittimità dall'opera principale alla quale strutturalmente ineriscono (Sez. 3, n. 30673 del 24/06/2021, Saracino, Rv. 282162 – 01).
6.2. Spetta all'accusa di individuare la data di cessazione della permanenza e, quindi, della data di inizio della decorrenza del termine di prescrizione; ove nell’imputazione non sia specificamente indicata, tale data coincide con quella della contestazione della violazione. Grava sull'imputato che voglia giovarsi della prescrizione l'onere di allegare gli elementi in suo possesso dai quali poter desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli atti; non è sufficiente una mera e diversa affermazione da parte dell'imputato a fare ritenere che il reato si sia realmente estinto per prescrizione e neppure a determinare l'incertezza sulla data di inizio della decorrenza del relativo termine con la conseguente applicazione del principio in dubio pro reo, atteso che, in base al principio generale per cui ciascuno deve dare dimostrazione di quanto afferma, grava sull'imputato che voglia giovarsi della causa estintiva, in contrasto o in aggiunta a quanto già risulta in proposito dagli atti, l'onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per determinare la data di inizio del decorso del termine di prescrizione, data che in tali ipotesi coincide con quella di esecuzione dell'opera incriminata.
Cfr. Sez. 3, n. 20795 del 18/03/2021, Secci, Rv. 281343 – 01, per cui, in tema di reati edilizi, l'assoluta incertezza sulla data di commissione del fatto o, comunque, sulla decorrenza del termine di prescrizione del reato, che consente l'applicazione del principio del favor rei, deve risultare da dati obiettivi, non ammettendo alcun automatismo, sicché il giudice è tenuto all'indicazione delle ragioni per le quali non è possibile pervenire, anche in base a deduzioni logiche, a una più puntuale collocazione temporale dell'intervento abusivo. 
6.3. Poiché occorre valutare l’opera nella sua unitarietà, si è accertata la prosecuzione delle opere, complessivamente e certamente in parte non assentite, il 10 aprile 2019: tale data è specificamente indicata nel capo di imputazione, sicché non vi è stata alcuna condanna per opere per un tempo ulteriore a quello indicato nell’imputazione. 
6.4. Né rileva che tale accertamento sia stato posto in essere durante la stagione estiva, tenuto conto che in punto di fatto si è certamente accertato che l’opera nel suo complesso era abusiva, perché in totale difformità rispetto al permesso di costruire.
6.5. È manifestamente infondata la questione, dedotta nella memoria difensiva, sulla prescrizione del reato, in quanto il termine di prescrizione, in assenza di altre indicazioni, deve farsi decorrere dal 10 aprile 2019, data dell’ultimo accertamento, attesa la descrizione di uno stato di fatto diverso da quello precedentemente verificato. Il termine massimo di prescrizione di 5 anni non è, pertanto, ancora decorso.

7. Il settimo e l’ottavo motivo, relativi al rigetto della richiesta di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. sono infondati.
7.1. Per la giurisprudenza, cfr. Sez. 7, n. 10481 del 19/01/2022, Deplano, Rv. 283044, ai fini dell'applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità dell'offesa dev'essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all'art. 133, comma 1, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti. 
Inoltre, ai fini dell'esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell'assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dall'art. 131-bis ritenuto, evidentemente, decisivo (Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta, Rv. 273678 – 01).
7.2. La richiesta di applicazione dell’art. 131-bis cod. proc. pen. era stata formulata, con il quinto motivo di appello, in base alla impostazione, erronea in diritto, secondo cui non si dovesse valutare il complesso delle opere realizzate, ma frazionarle, ritenendo la pergotenda lecita e l’avvenuta rimozione delle opere.
7.3. La motivazione della sentenza impugnata è corretta in diritto ed immune da vizi logici perché ha effettuato la valutazione della gravità del fatto in base alla consistenza dell’intervento edilizio, ampiamente descritto nella motivazione della sentenza, all’incidenza sull’assetto del territorio, in relazione al tempo, come risulta dal complesso della motivazione, alla commissione di condotte diverse ed ha ritenuto recessiva la rimozione delle opere rispetto agli elementi valutati.
Tale motivazione si fonda sugli elementi ex art. 133 cod. pen., adoperati nel giudizio di gravità, ed è priva di vizi logici; va ricordato che, in tema di particolare tenuità del fatto, il reato permanente, in quanto caratterizzato dalla persistenza, ma non dalla reiterazione, della condotta, non è riconducibile nell'alveo del comportamento abituale che preclude l'applicazione di cui all'art. 131-bis cod. pen., anche se importa una attenta valutazione con riferimento alla configurabilità della particolare tenuità dell'offesa, la cui sussistenza è tanto più difficilmente rilevabile quanto più a lungo si sia protratta la permanenza (fattispecie relativa a reati edilizi e paesaggistici; così Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, Derossi, Rv. 265448 – 01).

8. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 28/02/2024.