Cass. Sez. III n. 23183 del 23 maggio 2018 (Ud 29 mar 2018)
Presidente: Di Nicola Estensore: Ramacci Imputato: Erbaggio
Urbanistica.Nozione di pergolato

Si intende per pergolato una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore, realizzata con materiali leggeri, senza fondazioni, di modeste dimensioni  e di facile rimozione, la cui finalità è quella di creare ombra mediante piante rampicanti o teli cui offrono sostegno



RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza dell’11/1/2016 ha confermato la decisione con la quale, in data 13/10/2014, il Tribunale di Napoli – Sezione Distaccata di Capri aveva affermato la responsabilità penale di Stefano ERBAGGIO per i reati di cui agli articoli 44, lett. c), 93, 95 d.P.R. 380\01,181, comma 1-bis d.lgs. 42\2004, relativamente ad un intervento edilizio eseguito in assenza dei necessari titoli abilitativi, in zona sismica e soggetta a vincolo paesaggistico, meglio descritto nel capo di imputazione e concretatosi nella esecuzione di opere per il frazionamento in due appartamenti indipendenti di un fabbricato, la realizzazione di più manufatti (pensiline, deposito, ripostiglio, pollaio, pergolato, baracca) e la sistemazione della corte esterna previa pavimentazione in ceramica (fatti accertati in Anacapri il 17/1/2011 ed il 3/3/2011).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la nullità della sentenza per illegalità della pena sopravvenuta a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 56/2016, in quanto, alla luce di tale decisione, le opere realizzate non consentirebbero di ritenere configurato il delitto paesaggistico.

3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta l’erronea applicazione della disciplina urbanistica relativamente alle opere descritte nei punti 9 e 10 dell’imputazione (sostituzione di un pergolato di m. 4,25 X 3,65 X 3,15 di altezza, in legno di castagno grezzo con struttura in legno levigato, appoggiata su due colonne circolari e sull’estradosso del solaio di copertura dell’immobile; baracca di m. 3,05 X 0,90 X 2,00 di altezza in legno assemblato, chiusa per tre lati e coperta da fogli in plexiglas trasparenti, posta nel giardino annesso al fabbricato), in quanto non rientranti tra quelle per la cui realizzazione è necessario il permesso di costruire.

4. Con un terzo motivo di ricorso denuncia l’erronea applicazione dell’art. 158 cod. pen. in quanto  tutte le opere realizzate, ad eccezione di quelle descritte ai punti 9 e 10 della rubrica, sarebbero state ultimate nel 2007, sicché sarebbe spirato il termine massimo di prescrizione, avendo la Corte territoriale errato nel richiamarsi ad un concetto unitario di costruzione riferibile soltanto ad un’unica costruzione in senso fisico e non anche a più opere che, pur ricadendo nella medesima proprietà siano tra loro separate.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.   


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è solo in parte fondato.

2. Occorre rilevare, per ciò che concerne il delitto paesaggistico, che la censura formulata nel primo motivo di ricorso risulta fondata, dovendosi effettivamente tenere conto della sentenza n. 56 del 23 marzo 2016, con la quale la Corte Costituzionale, in data successiva alla decisione della Corte di appello di Napoli, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 181, comma 1-bis, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), nella parte in cui prevede «: a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell'articolo 142 ed», sicché il reato originariamente contestato come delitto deve ora essere qualificato quale violazione di natura contravvenzionale (art. 181, comma 1 d.lgs. 42\2004).
Tale diversa qualificazione, stante la non manifesta infondatezza del motivo di ricorso, impone di rilevare l'intervenuta prescrizione della violazione suddetta, maturata dopo la sentenza di appello, con conseguente annullamento sul punto della sentenza impugnata nei termini appresso indicati.

3. A diversa soluzione deve invece pervenirsi in merito agli ulteriori motivi di impugnazione.

4. Osserva a tale proposito il Collegio che, riguardo alle opere descritte nei punti 9 e 10 dell’imputazione, la Corte di appello ha motivatamente rappresentato i dati fattuali sulla base dei quali ha ritenuto tali interventi soggetti a permesso di costruire, rilevandone la stabilità e la produzione di nuovi volumi.
Tali evenienze, pacifiche per ciò che concerne il manufatto descritto come “baracca” al punto 10 dell’imputazione, risultano condivisibili anche con riferimento all’altro manufatto, indicato al punto 9 come “pergolato”.
In effetti il ricorrente, pur richiamando, nel secondo motivo di ricorso, entrambi gli interventi, incentra tuttavia la propria attenzione sul pergolato, lamentando l’inesattezza del riferimento operato dai giudici del gravame alla giurisprudenza di questa Corte, perché riguardante altra tipologia di opera (la chiusura di un portico) mentre, nella fattispecie in esame, l’intervento edilizio sarebbe consistito nella “sostituzione di un preesistente pergolato agricolo con altro pergolato, sempre in legno”.
La descrizione dell’opera contenuta nell’imputazione è, tuttavia, alquanto differente, perché descritta come “sostituzione di un pergolato di m. 4,25 X 3,65 X 3,15 di altezza, in legno di castagno grezzo con struttura in legno levigato, appoggiata su due colonne circolari e sull’estradosso del solaio di copertura dell’immobile”. Tale manufatto risulta definito, sempre nell’imputazione, come “scoperto ed ultimato”. La Corte di appello evidenzia, peraltro, che la copertura era stata effettuata sostituendo la precedente con travi di legno squadrate, tali da assicurare alla struttura una particolare consistenza ed una stabile destinazione, essendo poggiata su colonne in muratura.
Tale descrizione, ad avviso del Collegio, porta ad escludere che possa trattarsi, nella fattispecie, di un “pergolato”.

4.1. Va a tale proposito ricordato che la giurisprudenza di questa Corte ha preso in considerazione la nozione di “pergolato” per distinguerla dalla “tettoia”, osservando che la diversità strutturale delle due opere è rilevabile dal fatto che, mentre il pergolato costituisce una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore ed è destinato a creare ombra, la tettoia può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta l'abitabilità dell'immobile (Sez. 3, n. 19973 del 16/4/2008, Lus, Rv. 240049. Conf. Sez. 3, n. 10534 del 25/2/2009, Accongiagioco, non massimata).
Tali definizioni sono state peraltro ribadite prendendo in considerazione le nozioni di “tettoia” e “pensilina”, rilevandone la sostanziale identità ricavabile dalle medesime finalità di arredo, riparo o protezione anche dagli agenti atmosferici e riconoscendo la necessità del permesso di costruire nei casi in cui sia da escludere la natura precaria o pertinenziale dell'intervento (Cass. Sez. F, n. 33267 del 15 luglio 2011, De Paola, non massimata).
Anche la giurisprudenza amministrativa si è, in più occasioni, interrogata sulla nozione di “pergolato”.
Il Consiglio di Stato, in particolare, dando atto dell’assenza di una definizione normativa, ha affermato che tale opera si caratterizza come manufatto avente natura ornamentale, realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni (Cons. Stato Sez. 4, n. 5409 del 29 settembre 2011. Conf. Consiglio di Stato, Sez. 6, n. 2134 del 27 aprile 2015. V. anche Cons. di Stato, Sez. 6, n. 306 del 25 gennaio 2017).
Considerando tali caratteristiche, ha pure escluso che possa rientrare nella nozione di “pergolato” una struttura realizzata mediante pilastri e travi in legno di significative dimensioni, tali da renderla solida e robusta facendone presumere una permanenza prolungata nel tempo (Cons. Stato Sez. 4, n. 4793 del 2 ottobre 2008), diversamente da quanto ritenuto riguardo ad un manufatto precario, facilmente rimovibile, costituito da una intelaiatura in legno non infissa al pavimento né alla parete dell’immobile (cui è solo addossata), non chiusa in alcun lato, compreso quello di copertura (Cons. Stato Sez. 5, n. 6193 del 7 novembre 2005).
A conclusioni identiche sono pervenute altre decisioni, che hanno individuato il pergolato come  manufatto in struttura leggera di legno che funge da sostegno per piante rampicanti o per teli, senza comportare un aumento di volumetria e senza determinare trasformazione edilizia ed urbanistica (TAR Umbria Sez. 1, n. 499 del 28 ottobre 2010, con richiami a precedenti), tale da realizzare un’ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni, destinate ad un uso del tutto momentaneo (TAR Lazio (LT), Sez. 1, n. 568 del 18 giugno 2013; TAR Campania (NA) Sez. 4, n.1746 del 25 marzo 2011), ribadendo poi (TAR Campania (NA), Sez. 7, n. 3972, del 29 luglio 2013) che,  qualora il pergolato sia costituito da una struttura leggera facilmente amovibile perché priva di fondamenta e destinato al riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni, non è richiesto il permesso di costruire, mentre tale titolo è necessario nel caso in cui l’opera sia costituita da pilastri ancorati al suolo e da travi in legno di importanti dimensioni in modo da renderla solida e robusta e non facilmente amovibile (si richiama al riguardo, ex pl., TAR. Trento Trentino Alto Adige sez. 1, n. 342 del 21 novembre 2012).
E’ stata altresì posta in evidenza anche la differenza tra “pergolato” e “tettoia”, in termini analoghi a quelli indicati dalla giurisprudenza di questa Corte, facendo ricorso al linguaggio comune ed evidenziando che la tettoia si caratterizza come  struttura pensile, addossata al muro o interamente sorretta da pilastri, di possibile maggiore consistenza e impatto visivo rispetto al pergolato, il quale  è normalmente costituito da una serie parallela di pali collegati da un’intelaiatura leggera, idonea a sostenere piante rampicanti o a costituire struttura ombreggiante, senza chiusure laterali (Cons. Stato Sez. 6, n. 825, del 18 febbraio 2015).

5. Le argomentazioni sopra richiamate sono pienamente condivise dal Collegio, potendosi quindi affermare il principio di diritto secondo il quale “si intende per pergolato una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore, realizzata con materiali leggeri, senza fondazioni, di modeste dimensioni  e di facile rimozione, la cui finalità è quella di creare ombra mediante piante rampicanti o teli cui offrono sostegno”.
Date tali premesse, risulta di tutta evidenza che la struttura realizzata dall’odierno ricorrente per come descritta nell’imputazione e sulla base delle caratteristiche costruttive accertate in fatto nel giudizio di merito, con apprezzamento non sindacabile in questa sede di legittimità, non poteva in alcun modo essere qualificata come pergolato.
Il motivo di ricorso risulta, pertanto, manifestamente infondato.

6. Va comunque osservato, venendo così a trattare il terzo motivo di ricorso, che indipendentemente dalla qualificazione delle singole opere realizzate, l’intervento realizzato andava comunque unitariamente considerato alla luce del principio giurisprudenziale correttamente richiamato dalla Corte territoriale e secondo il quale il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso attraverso la suddivisione dell’attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più limitate per la loro più modesta incisività sull’assetto territoriale. L’opera deve essere infatti apprezzata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti e ciò ancor più nel caso di interventi su preesistente opera abusiva (Sez. 3, n. 30147 del 19/4/2017, Tomasulo, Rv. 270256; Sez. 3, n. 16622 del 8/4/2015, Pmt in proc. Casciato, Rv. 263473; Sez. 3, n. 15442 del 26/11/2014 (dep. 2015), Prevosto e altri, Rv. 263339; Sez. 3, n. 5618 del 17/11/2011 (dep.2012), Forte, Rv. 252125; Sez. 3 n. 34585 del 22/4/2010, Tulipani, non massimata; Sez. 3, n. 20363 del 16/3/2010, Marrella, Rv. 247175;  Sez. 3, n. 4048 del 6/11/2002 (dep. 2003), Tucci, Rv. 223365).

6.1. Obietta tuttavia il ricorrente che tale concezione unitaria dell’intervento edilizio può assumere rilevo solo con riferimento ad un’unica costruzione in senso fisico, altro essendo la realizzazione di plurimi interventi, tra loro fisicamente separati, all’interno di un’unica proprietà.
L’assunto è tuttavia, manifestamente infondato.
Se, infatti, può, in astratto, ritenersi suscettibile di valutazione una situazione riferita ad interventi aventi una loro individualità, tra loro del tutto autonomi ed eseguiti in tempi diversi, tale possibilità deve invece immediatamente escludersi quando riferita ad un insieme di opere, realizzate anche in tempi diversi, le quali pur non essendo parte integrante o costitutiva di un altro fabbricato, costituiscano, di fatto, un complesso unitario rispetto al quale ciascuna componente contribuisce a realizzarne la destinazione.
In tal senso si è orientata la Corte di appello nel caso in esame, richiamando quanto già rilevato dal primo giudice e considerando tutte le opere come tra loro correlate e funzionali all’utilizzazione residenziale del fabbricato frazionato, circostanza, questa, che appare evidente anche dalla mera descrizione contenuta nell’imputazione.
Per tale ragione, i giudici del gravame hanno posto in evidenza che alla data dell’ultimo accertamento (3 marzo 2011) era stata riscontrata la sostituzione delle travi del pergolato, evidentemente eseguita dopo il precedente sopralluogo (17 gennaio 2011).
Di tale arco temporale deve pertanto tenersi conto ai fini del calcolo dei termini massimi di prescrizione.
Ciò posto, occorre a questo punto richiamare quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 6903 del 27/5/2016 (dep. 2017), Aiello e altro, Rv. 268965), secondo le quali la sentenza di condanna che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, è idealmente scindibile, in ragione di ogni capo di imputazione, in altrettante autonome statuizioni di condanna, con la conseguenza che, sebbene i diversi capi siano contenuti in un unico documento-sentenza, ognuno di essi conserva la propria individualità ad ogni effetto giuridico. Da ciò discende che, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilità dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello.   
Applicando tali principi al caso in esame, va pertanto rilevata la prescrizione della contravvenzione di cui all’art. 181, comma 1 d.lgs. 42\2004, così dovendosi riqualificare l’originaria imputazione di cui al capo B) della rubrica riferita al delitto di cui al comma 1-bis del medesimo articolo in considerazione della già rilevata fondatezza del motivo di ricorso.
Avuto riguardo alla data di consumazione dei reati indicata nel capo di imputazione (17/1/2011 e 3/3/2011) il termine massimo di prescrizione risulta spirato il 17/1/2016, dopo la pronuncia della sentenza di appello.
Alla declaratoria di prescrizione del reato paesaggistico segue la revoca del solo ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi impartito con la sentenza di condanna.

7. Per ciò che riguarda, invece, le residue imputazioni concernenti la violazione della disciplina urbanistica ed antisismica, contestate, rispettivamente, ai capi A) e C) del capo di imputazione, la inammissibilità dei residui motivi di ricorso non consente di rilevare la prescrizione maturata dopo la pronuncia della sentenza impugnata.
Va tuttavia rilevato che, per tali residui reati, la pena dovrà essere rideterminata dal giudice del merito cui gli atti vanno rinviati a tal fine.
Resta ovviamente ferma l'irrevocabilità della presente sentenza per ciò che concerne l'accertamento dei suddetti reati e della responsabilità, nonché per la disposta demolizione delle opere abusivamente realizzate.

P.Q.M.

Qualificato il delitto di cui all’art. 181, comma 1-bis d.lgs. 42\2004 come contravvenzione, annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo B) dell’imputazione per essere il reato estinto per prescrizione.
Revoca l’ordine di rimessione in pristino.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per la rideterminazione della pena.
Così deciso in data 29/3/2018