Cass. Sez. III n. 23186 del 23 maggio 2018 (Ud 29 mar 2018)
Presidente: Di Nicola Estensore: Ramacci Imputato: Lapadula
Urbanistica.Difformità totale dal titolo edilizio

La difformità totale si verifica allorché si costruisca "aliud pro alio'" e ciò è riscontrabile allorché i lavori eseguiti tendano a realizzare opere non rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale.   



RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di L’Aquila, con sentenza del 15/12/2016, riformando parzialmente la decisione  del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Vasto emessa in data 24/6/2014, ha riconosciuto Michele LAPADULA responsabile dei reati ascrittigli ai capi B) e G) della rubrica, riguardanti, rispettivamente, la contravvenzione di cui all’art. 44, lett. b) d.P.R. 380\01 (così originariamente contestata diversamente qualificata all’esito del giudizio di primo grado come violazione della lettera a) del medesimo articolo) e 19, comma 6 legge 241\90. La Corte di appello dichiarava altresì non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine al reato contestatogli al capo C) per intervenuta prescrizione e mutava la formula assolutoria relativa al capo A) da “il fatto non sussiste” a “il fatto non costituisce reato”, condannando altresì l’imputato al risarcimento dei danni in favore delle parti civili ed alla rifusione delle spese di patrocinio da loro sostenute nei gradi di giudizio.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, segnatamente dell’art. 2, comma 4 d.P.R. 380\01 in relazione con l’art. 51, comma 8 delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.G. del Comune di Vasto.
Assume, a tale proposito, che la Corte territoriale avrebbe ritenuto di valutare unitariamente gli interventi realizzati, senza distinzione tra quelli realizzati in totale difformità rispetto a quelli eventualmente costruiti in assenza di altri titoli abilitativi e giungendo alla conclusione che detti fabbricati sarebbero stati realizzati con uno o più piani rispetto a quanto previsto in progetto.
Tale conclusioni non avrebbero tuttavia tenuto conto di quanto stabilito dalle Norme Tecniche del piano regolatore, poiché, insistendo le costruzioni su area in forte declivio, l’altezza avrebbe dovuto essere calcolata secondo quanto in esse stabilito, facendo quindi riferimento non alla quota del terreno, bensì ad una “quota ideale orizzontale che passi attraverso il punto medio tra il livello posto a monte della costruzione e quello a valle della medesima”.
Aggiunge che la rilevanza della questione sarebbe stata già riconosciuta da questa Corte in sede cautelare ma i giudici dell’appello non ne avrebbero tenuto conto, sostanzialmente sposando le conclusioni del consulente del Pubblico Ministero e preferendole a quelle formulate dal consulente di parte.

3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione dell'art. 2, comma 4 d.P.R. 380\01 in relazione con l’art. 39 delle NTA, in base al quale andrebbero esclusi dalla volumetria, a determinate condizioni, i volumi interrati e quelli seminterrati, che la Corte di appello avrebbe erroneamente posto sul medesimo piano.

4. Con un terzo motivo di ricorso deduce  la violazione dell’art. 2, comma 4 d.P.R. 380\01 in relazione all’art. 52, comma 2, paragrafo primo della NTA in riferimento al numero dei piani effettivamente realizzati

5. Con un quarto motivo di ricorso deduce  la violazione dell’art. 2, comma 4 d.P.R. 380\01 in relazione all’art. 52, comma 2, paragrafo quinto della NTA sempre in ragione del numero dei piani rilevati

6. Con un quinto motivo di ricorso lamenta il vizio di motivazione ritenendo la sentenza contraddittoria laddove dapprima esclude l’elemento soggettivo ella contestata lottizzazione abusiva   per poi sostenere che i reati per i quali è intervenuta condanna sono caratterizzati dal dolo.

7. Con un sesto motivo di ricorso deduce la violazione di legge riguardo al capo G) dell’imputazione,  rilevando come la Corte territoriale avrebbe erroneamente considerato la falsità delle attestazioni contenute nella SCIA, con la quale si intendeva soltanto sanare la realizzazione di divisori interni e le relative opere come risultanti dai grafici allegati, palesemente rappresentati come già edificati in precedenza.

8. Con un settimo motivo di ricorso lamenta l’erronea applicazione dell’art. 157 cod. pen., per avere i giudici del gravame omesso di rilevare la prescrizione sulla base del fatto che i fabbricati individuati come A1, A2, A3 ed A4 sarebbero stati già ultimati come dimostrato dalle risultanze processuali.

9. Con un ottavo motivo di ricorso denuncia l’erronea applicazione dell’art. 442 cod. proc. pen. poiché, essendo stato il processo celebrato in primo grado nelle forme del giudizio abbreviato, la Corte di appello, nel quantificare la pena, avrebbe dovuto comunque operare la riduzione di un terzo per il rito.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
In data 27\1\2018 ha depositato in cancelleria motivi aggiunti ad ulteriore sostegno di quelli già prospettati con l’impugnazione principale.    

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è solo in parte fondato.

2. Occorre preliminarmente richiamare nel dettaglio, per una migliore comprensione della vicenda, il contenuto delle imputazioni.
Al capo B) viene contestata al ricorrente, quale legale rappresentante della società proprietaria dei lotti e committente, l’esecuzione di opere in totale difformità dai titoli abilitativi rilasciati ed in contrasto con la disciplina urbanistica. I diversi corpi di fabbrica (denominati A1, A2, A3, A4, B1, B2 e B3) sarebbero stati realizzati, secondo l’accusa, “in violazione dell’art. 52 delle NTA,  perché i piani di tutti i corpi di fabbrica previsti come interrati si ponevano ad una quota tale da essere a tutti gli effetti considerati piano terra, poiché ad est insistevano totalmente fuori terra, mentre negli altri versanti risultavano interrati mediante riporto di terrapieni artificiali, sorretti da muri di contenimento, così da implicare un aumento del numero dei piani rispetto a quelli autorizzati;  in violazione dell’art. 39 delle NTA poiché i piani terra, (definiti interrati), sviluppavano una maggiore volumetria rispetto a quella autorizzata e calcolata nella misura di 10.753 metri cubi, non defalcabili neppure se destinati a parcheggi pertinenziali, giacché la non computabilità in questi casi è ammessa solo se effettuata al di sotto del piano di campagna”.
Il falso contestato al capo G) riguarda invece il deposito di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), definita “in sanatoria”, con la quale venivano comunicata l’avvenuta realizzazione di opere edili in assenza di autorizzazioni, eseguite nei locali sottotetto non abitabili degli edifici denominati A1, A2, A3, A4, asseverando che detti interventi erano consistiti nella sola realizzazione di muri divisori dei predetti ambienti praticabili, ma non abitabili, nonostante gli stessi locali, già alla data del 4/11/2011, risultassero modificati in otto unità abitative dotate tutte di impianti tecnologici per assicurare il comfort abitativo.

3. Ciò premesso, con riferimento al primo, secondo, terzo e quarto motivo di ricorso ne va rilevata l’inammissibilità perché articolati in fatto e sostanzialmente finalizzati ad ottenere una rivalutazione delle emergenze processuali non consentita in questa sede,.
Invero, sebbene il ricorrente abbia avuto cura di precisare più volte che oggetto di censura era la erronea applicazione della disciplina urbanistica e delle Norme Tecniche di Attuazione del PRG del Comune di Vasto, sviluppa in realtà le proprie considerazioni con riferimenti a dati fattuali, quali, ad esempio, la morfologia del terreno ove insistono le opere, le caratteristiche costruttive, lo stato di avanzamento dei lavori, l’altezza dei sottotetti, che non possono essere prese in considerazione in questa sede.
Del resto la Corte di appello, nel ritenere la sussistenza del reato urbanistico, ha preso compiutamente in considerazione la situazione in concreto accertata, dando espressamente atto dell’esistenza di differenti caratteristiche plano-volumetriche rispetto a quanto originariamente assentito, con realizzazione di nuovi volumi derivanti anche dalla trasformazione di sottotetti in plurime unità abitative.

3.1. Si tratta, pacificamente, di interventi che rientrano a pieno titolo nella nozione di totale difformità.
La definizione di totale difformità è contenuta nell’articolo 31 del TU edilizia, il quale precisa che sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile.
La giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 3593 del 25/11/2008 (dep. 2009), Orru' e altro, Rv. 242738, non massimata sul punto. V. anche Sez. 3, n. 40541 del 18/6/2014, Cinelli e altri, Rv. 260652) ha già chiarito che l'espressione "organismo edilizio" indica sia una sola unità immobiliare, sia una pluralità di porzioni volumetriche e la difformità totale può riconnettersi tanto alla costruzione di un corpo autonomo, quanto all'effettuazione di modificazioni con opere, anche soltanto interne, tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica in quanto incidente sull’assetto del territorio attraverso l'aumento del c.d. "carico urbanistico”.
Difformità totale può aversi, inoltre, anche nel caso di mutamento della destinazione d'uso di un immobile o di parte di esso, realizzato attraverso opere implicanti una totale modificazione rispetto al previsto.
Il riferimento alla "autonoma utilizzabilità" non impone che il corpo difforme sia fisicamente separato dall'organismo edilizio complessivamente autorizzato, ma ben può riguardare anche opere realizzate con una difformità quantitativa tale da acquistare una sostanziale autonomia rispetto al progetto approvato.
La difformità totale si verifica allorché si costruisca "aliud pro alio'" e ciò è riscontrabile allorché i lavori eseguiti tendano a realizzare opere non rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale.    
Nel caso di specie, i giudici dell’appello hanno preso in considerazione l’effettiva consistenza delle opere, dando conto degli elementi di fatto sui quali hanno fondato le loro conclusioni, tenendo comunque conto dei rilievi difensivi riguardanti le questioni concernenti il calcolo delle altezze, dei volumi e del numero dei piani.

4. Anche il quinto motivo di ricorso risulta infondato, in quanto, nella valutazione dell’elemento soggettivo del reato contravvenzionale la Corte del merito non è incorsa in alcuna contraddizione, avendo ben specificato le ragioni per le quali lo stesso doveva ritenersi mancante rispetto alla contestata lottizzazione abusiva e quelle per le quali l’esecuzione degli interventi in difformità erano stati posti in essere in piena consapevolezza da parte dell’imputato.

5. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riferimento al sesto motivo di ricorso ove, ancora una volta, il ricorrente formula censure sostanzialmente in fatto che non possono avere ingresso in questa sede.
Per contro, la Corte territoriale, dando conto della ritenuta sussistenza del fatto da parte del primo giudice e dell’assenza di contrarie deduzioni della difesa, ha compiutamente posto in evidenza le emergenze processuali ritenute certamente indicative della presenza dell’elemento soggettivo del reato in capo all’imputato, giungendo alla ragionata conclusione che i sottotetti di cui tratta la SCIA erano stati predisposti fin dall’inizio per il successivo cambio di destinazione.

6. Quanto al settimo motivo di ricorso, va osservato che la Corte del merito, nell’accertare la data di consumazione del reato, ha compiuto un accertamento in fatto anch’esso non sindacabile in questa sede.
La prescrizione della contravvenzione urbanistica deve comunque essere rilevata in questa sede, come si dirà appresso.  

7. Fondato risulta, invece, l’ottavo motivo di ricorso, perché la Corte di appello, pur dando atto in premessa che il giudizio di primo grado era stato celebrato nelle forme del rito abbreviato condizionato, nella quantificazione della pena non ha poi provveduto ad applicare la riduzione di un terzo.
Tale riduzione era comunque dovuta come già chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha chiarito che la riduzione del terzo della pena correlata al giudizio abbreviato va operata anche in caso di condanna in sede di appello a seguito di impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di proscioglimento pronunciata con il rito speciale (Sez. 6, n. 34559 del 10/5/2012, V., Rv. 253277; Sez. 3, n. 13812 del 12/2/2008, Giacometti, Rv. 239685).
Ciò posto, va considerato che, avuto riguardo alla data di consumazione del reato urbanistico, correttamente indicata dalla Corte territoriale come corrispondente a quella dell’esecuzione del sequestro, risulta ormai spirato, in assenza di sospensioni, il termine massimo quinquennale.
Ciò comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al reato contravvenzionale di cui al capo B) della rubrica per essere lo stesso estinto per prescrizione.
L’ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna deve essere revocato, mentre vanno confermate le statuizioni civili.
La pena può inoltre essere rideterminata in questa sede ai sensi dell’art. 620, lett. l) cod. proc. pen. dovendosi eliminare dalla pena finale irrogata dalla Corte di appello, pari ad anni uno e mesi cinque di reclusione, l’aumento per la continuazione stabilito per la contravvenzione, pari a mesi cinque di reclusione.
La pena così determinata, pari ad anni uno di reclusione, deve essere ulteriormente ridotta di un terzo per il rito, pervenendo alla pena finale di mesi otto di reclusione.
Il ricorso va dichiarato inammissibile nel resto.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo B) dell’imputazione per essere il reato estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi cinque di reclusione, nonché relativamente la capo G) della rubrica in ordine alla quantificazione della pena che ridetermina, con la diminuente del rito abbreviato, in mesi otto di reclusione.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese sostenute nel grado dalle costituite parti civili D’ORSI Massimo Mario e FILIPPELLI Maria Teresa, che liquida in complessivi euro 3.000,00 oltre a spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Così deciso in data 29/3/2018