Cass. Sez. III n.25113 del 19 giugno 2008 (Ud. 20 mar. 2008)
Pres. Altieri Est. Marmo Ric. Castriciano
Urbanistica. Nozione di pertinenza

In materia urbanistico- edilizia la nozione di pertinenza, sottratta al regime del permesso di costruire ed assoggettata a quello dell\'autorizzazione gratuita, deve essere preordinata ad una esigenza effettiva dell\'edificio principale al cui servizio deve essere posta in via funzionale ed oggettiva. Non deve quindi essere possibile una destinazione autonoma e diversa da quella al servizio dell\' immobile cui accede e conseguentemente un autonomo valore di mercato.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico - Presidente -

Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere -

Dott. GENTILE Mario - Consigliere -

Dott. FIALE Aldo - Consigliere -

Dott. MARMO Margherita - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.L. N. il (OMISSIS);

Avverso SENTENZA del 29/06/2007 CORTE APPELLO di MESSINA;

Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;

Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott.

MARMO MARGHERITA;

Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Montagna Alfredo che ha concluso chiedendo dichiararsi

il ricorso inammissibile.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza pronunciata il 4 luglio 2006 il Tribunale di Messina dichiarava C.L. responsabile: A) della contravvenzione prevista e punita dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, lett. b) per avere eseguito i lavori di realizzazione di un vano sulla terrazza di preesistente fabbricato e un manufatto in muratura adibito a deposito, su una superficie di mq 15+30, rispettivamente in via (OMISSIS) il primo e in (OMISSIS) il secondo (per fatto accertato in (OMISSIS)) e B) della contravvenzione prevista e punita dall'art. 81 cpv. c.p. e dalla L. 2 febbraio 1974, n. 64, artt. 20, 17 e 18 punto C.S. del D.M. 16 gennaio 1996 con riferimento alle opere descritte al capo A) e, unificati i reati dal vincolo della continuazione e concesse le circostanze attenuanti generiche, condannava l'imputata alla pena di due mesi di arresto ed Euro 5.000,00 di ammenda, oltre che al pagamento delle spese processuali.

Con sentenza pronunciata il 29 giugno 2007 la Corte di Appello di Messina, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, dichiarava non doversi procedere nei confronti della C. in ordine al reato di cui al capo B perchè estinto per prescrizione e rideterminava la pena in ordine al restante reato nella misura di un mese e quindici giorni di arresto ed Euro 4.000,00 di ammenda.

Ha proposto ricorso per cassazione l'imputata chiedendo l'annullamento dell'impugnata sentenza per i motivi che saranno nel prosieguo analiticamente esaminati.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

Per motivi di logica e giuridica priorità va previamente esaminato il secondo motivo di ricorso con il quale la ricorrente lamenta la violazione di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e con riferimento alla carenza di motivazione circa la natura pertinenziale dell'opera.

Deduce la ricorrente che i giudici di merito avrebbero dovuta assolverla perchè il fatto non costituisce reato, tenuto conto della natura pertinenziale dell'opera, destinata a deposito per attrezzatura agricola, in relazione alla quale non era necessaria la concessione edilizia.

Il motivo è palesemente infondato e va dichiarato inammissibile.

Come ha precisato questa Corte (v. per tutte Cass. pen. sez. 3^ sent.

21 dicembre 2005, n. 2768) in materia urbanistico - edilizia la nozione di pertinenza, sottratta al regime del permesso di costruire ed assoggettata a quello dell'autorizzazione gratuita, deve essere preordinata ad una esigenza effettiva dell'edificio principale al cui servizio deve essere posta in via funzionale ed oggettiva.

Non deve quindi essere possibile una destinazione autonoma e diversa da quella al servizio dell'immobile cui accede e conseguentemente un autonomo valore di mercato.

Nel caso in esame la Corte di merito ha adeguatamente motivato, conformemente al suindicato principio di diritto, in quanto ha affermato che il vano terrazza ed il manufatto adibito a deposito di mq 30 costruiti dall'imputata, risultavano, sia per le caratteristiche tecniche e funzionali che per l'estensione, certamente non contenuta, destinati non al servizio di un immobile principale ma al soddisfacimento di ulteriori finalità.

Va a questo punto esaminato il terzo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente lamenta la carenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine all'entità della pena, rilevando che i giudici di appello, al di là della minima riduzione di pena rispetto a quella inflitta dal giudice di primo grado in conseguenza della declaratoria di estinzione del reato di cui al capo B) per prescrizione, si erano acriticamente uniformati al giudizio del primo giudice.

Anche il terzo motivo è palesemente infondato e va dichiarato inammissibile.

Considerato che la pena irrogata non si discosta in misura elevata dai minimi edittali e che la Corte Territoriale ha ritenuto congrua la pena irrogata dal primo giudice, trova applicazione il principio affermato da questa Corte (v. per tutte Cass. pen. sez. 4^ sent. 20 settembre 2004, n. 41702) secondo cui la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 c.p. Anzi non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale.

In proposito questa Corte (v. per tutte Cass. pen. sez. 3^ sent. 29 maggio 2007, n. 33773) ha specificato che "nell'ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali il giudice ottempera all'obbligo motivazionale di cui all'art. 125 c.p., comma 3 anche ove adoperi espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congruo aumento" ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo.

L'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. (v. per tutte S.U. sent. n. 32 del 2000).

Va quindi dichiarato inammissibile anche il primo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente eccepisce l'intervenuta prescrizione del reato per il decorso dei termini di legge.

Giova comunque precisare che il termine massimo di prescrizione di quattro anni e sei mesi di cui al combinato disposto degli artt. 157 e 160 ante novellam, scadente il 13 marzo 2006, si è infatti prorogato, per effetto delle sospensioni dovute a rinvii e domande di condoni, di un anno, quattro mesi e 5 giorni (dal 27 marzo 2003 al 9 luglio 2003, dal 4 dicembre 2003 al 21 aprile 2004, dal 30 giugno 2004 al 7 ottobre 2004 e dal 7 dicembre 2005 al 10 maggio 2006), sicchè il termine ultimo risulta essere il 18 luglio 2007, successivo alla data di pronuncia della sentenza impugnata.

Consegue alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende nella misura indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 20 marzo 2008.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2008