Cass. Sez. III n. 35123 del 19 settembre 2024 (UP 12 giu 2024)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Biancuzzi
Urbanistica.Reato di cui all’art. 75 TUE e soggetti responsabili

Il reato di cui all’art. 75 d.P.R. n. 380 del 2001 ha natura di reato permanente a condotta mista in quanto comprende, da un lato, un aspetto commissivo costituito dall'utilizzazione dell'edificio e, dall'altro, un aspetto omissivo, costituito dalla mancata richiesta di collaudo all'autorità competente, con la conseguenza che il momento di cessazione della condotta antigiuridica, da cui far decorrere il termine di prescrizione, coincide con il momento di dismissione dell'utilizzo dell'immobile ovvero con il collaudo. Quanto ai profili di responsabilità, il reato è configurabile a carico del costruttore, del committente o del proprietario ma anche del direttore dei lavori il quale, in qualità di primo garante della sicurezza, è soggetto all'obbligo specifico di inibire l'utilizzazione dell'edificio prima del rilascio del certificato di collaudo.

RITENUTO IN FATTO

            1. Francesco Paolo Blancuzzi ricorre per l’annullamento della sentenza del 3 luglio 2023 del Tribunale di Ravenna che lo ha condannato alla pena di 400 euro di ammenda per il reato di cui all’art. 75 d.P.R. n. 380 del 2001 perché, in concorso con altra persona, quale direttore dei lavori, realizzava in zona sismica tre edifici residenziali (per complessive 28 unità abitative) permettendone l’utilizzo in assenza del certificato di collaudo statico. Il fatto è contestato come commesso in data anteriore e prossima all’anno 2007 con permanenza in atto.
                1.1. Con il primo motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 75 d.P.R. n. 380 del 2001 osservando che il direttore dei lavori non solo non ha l’obbligo di effettuare il collaudo statico, come si evince dagli artt. 65, comma 6, e 67 d.P.R. n. 380 del 2001, ma è attività che gli è espressamente preclusa; né la nomina è atto che gli compete, con conseguente insussistenza di responsabilità a titolo omissivo.
                1.2. Con il secondo ed il terzo motivo lamenta la mancanza assoluta e comunque la manifesta illogicità della motivazione in relazione alle questioni proposte con la memoria difensiva trasmessa via pec il 26 aprile 2022 (presente nel fascicolo del dibattimento ma completamente negletta dal Tribunale) con cui deduceva: a) la non configurabilità del concorso nel reato commissivo; b) la non configurabilità del reato omissivo proprio o improprio a carico del direttore dei lavori (per le ragioni indicate con il primo motivo); c) la verifica di posizioni diverse rispetto a quella del direttore dei lavori; d) la cessazione della permanenza, quantomeno nei suoi confronti. 
                1.3. Con il quarto motivo lamenta la mancanza assoluta di motivazione in ordine alla richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen.


CONSIDERATO IN DIRITTO

            2. Il ricorso è infondato.

            3. Si imputa al ricorrente di aver consentito l’utilizzazione di 28 unità abitative in assenza di certificato di collaudo (art. 75 d.P.R. n. 380 del 2001), collaudo che deve essere eseguito da un ingegnere o da un architetto, iscritto all’albo da almeno dieci anni, che non sia intervenuto in alcun modo nella progettazione, direzione, esecuzione dell’opera (art. 67, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001). 
                3.1. Il reato di cui all’art. 75 d.P.R. n. 380 del 2001 ha natura di reato permanente a condotta mista in quanto comprende, da un lato, un aspetto commissivo costituito dall'utilizzazione dell'edificio e, dall'altro, un aspetto omissivo, costituito dalla mancata richiesta di collaudo all'autorità competente, con la conseguenza che il momento di cessazione della condotta antigiuridica, da cui far decorrere il termine di prescrizione, coincide con il momento di dismissione dell'utilizzo dell'immobile ovvero con il collaudo (Sez.3, n. 36095 del 30/06/2016, Ercoli, Rv. 267917 - 01; Sez. 3, n. 1411 del 03/11/2011, Iazzetta, Rv. 251880 - 01). Nel caso di specie, il certificato di collaudo, datato 25/11/2021, è stato allegato alla memoria difensiva depositata in primo grado (e allegata al ricorso) ma, per quanto possa rilevare, non è stata fornita la prova della sua presentazione allo sportello unico, né della certezza della data del rilascio.
                3.2. Quanto ai profili di responsabilità, il reato è configurabile a carico del costruttore, del committente o del proprietario (Sez. 3, n. 10235 del 15/02/2024, Paolini, Rv. 286035 - 01; Sez. 3, n. 8579 del 15/01/2003, Zullino, Rv. 224170 - 01), ma anche del direttore dei lavori il quale, in qualità di primo garante della sicurezza, è soggetto all'obbligo specifico di inibire l'utilizzazione dell'edificio prima del rilascio del certificato di collaudo (Sez. 3, n. 22291 del 15/02/2011, Ferranti, Rv. 250368 - 01).
                3.3. Sono pertanto del tutto infondate le deduzioni difensive oggetto del primo motivo posto che la rubrica imputa al ricorrente, non già di non aver proceduto al collaudo, bensì di aver consentito l’utilizzo delle ventotto unità abitative senza il rilascio del certificato di collaudo. 

            4. Le considerazioni che precedono rendono infondate (perché non decisive) le deduzioni oggetto del secondo e del terzo motivo.
                4.1. Secondo il prevalente e condivisibile indirizzo interpretativo, l’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, non trattandosi di ipotesi prevista dalla legge, ma può influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, Cilia, Rv. 279578 - 01; Sez. 3, n. 23097 del 08/05/2019, Capezzuto, Rv. 276199 - 03; Sez. 5, n. 24437 del 17/01/2019, Armeli, Rv. 276511 - 01; Sez. 4, n. 18385 del 09/01/2018, Mascaro, Rv. 272739 - 01; Sez. 3, n. 5075 del 13/12/2017, dep. 2018, Buglisi, Rv. 272009 - 01).
                4.2. Peraltro, nel caso di specie, la memoria difensiva più che sollecitare l’esame di questioni di fatto, proponendo una diversa ricostruzione della vicenda oggetto di regiudicanda, poneva prioritariamente questioni di diritto la cui soluzione è prioritaria e decisiva.
                4.3. Non v’è dubbio, infatti, che la responsabilità del direttore dei lavori per il reato di cui all’art. 75 d.P.R. n. 380 del 2001 non deriva in alcun modo dalla posizione di garanzia attribuitagli, a tutt’altri fini, dall’art. 29 d.P.R. n. 380 del 2001 (che lo costituisce garante della conformità dell’opera alle previsioni del permesso di costruire) e che dunque la motivazione della sentenza sia errata sul punto, ciò nondimeno - come detto - la memoria difensiva non indicava argomenti decisivi a favore dell’imputato posto che: a) non si tratta di concorso in reato commissivo, bensì di responsabilità a titolo diretto e personale (supra § 3.2); b) secondo quanto risulta dalla lettura della sentenza (incontestata sul punto), il collaudo non era stato effettuato perché il direttore dei lavori non aveva mai dichiarato la fine dei lavori, non ancora ultimati alla data di scadenza del permesso di costruire del 9 gennaio 2006; c) il collaudatore viene nominato dal committente in base ad un atto che deve essere depositato presso lo sportello unico dal direttore dei lavori contestualmente all’atto di accettazione della nomina e alla documentazione di cui al sesto comma dell’art. 65 d.P.R. n. 380 del 2001; d) tale documentazione deve essere presentata dal direttore dei lavori entro il termine di sessanta giorni dalla ultimazione delle parti della costruzione che incidono sulla stabilità della stessa (nella formulazione della norma vigente all’epoca dei fatti il termine decorreva dalla ultimazione delle opere) e deve essere costituita da una relazione sull'adempimento degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 65 d.P.R. n. 380, cit., (il deposito della denunzia dei lavori con gli allegati di cui al capo 3, lett. a e b) con allegazione: (i) dei certificati delle prove sui materiali impiegati emessi da laboratori di cui all'articolo 59; (ii) per le opere in conglomerato armato precompresso, di ogni indicazione inerente alla tesatura dei cavi ed ai sistemi di messa in coazione; (iii) dell'esito delle eventuali prove di carico, allegando le copie dei relativi verbali firmate per copia conforme); e) in assenza di questi adempimenti propri del direttore dei lavori (e della loro documentazione) la nomina del collaudatore non è possibile; f) il ricorrente non si è mai dimesso dalla carica di direttore dei lavori (dimissioni, peraltro, mai dedotte), non sussistendo alcun automatismo tra la cessazione dei lavori (anche per la scadenza del titolo) e la cessazione dalla carica, tanto più che il diniego della proroga di un anno della durata del permesso di costruire non impediva la presentazione della richiesta di un nuovo titolo per portare a termine i soli lavori non ultimati (come espressamente indicato nel provvedimento di diniego di proroga indicato e riportato nella memoria difensiva); g) la rinunzia all'incarico - o le dimissioni - devono essere rigorosamente provate e risultare ufficialmente, non essendo sufficiente nemmeno un semplice accordo intervenuto tra gli interessati (Sez. 3, n. 4535 del 16/04/1997, Bordato, Rv. 207612 - 01; Sez. 3, n. 5470 del 23/02/1981, Perone, Rv. 149176 - 01); h) il reato ha natura permanente, come già detto, e il ricorrente rivestiva ancora l’incarico di direttore dei lavori alla data del fatto (tant’è che dalla sentenza impugnata risulta che, a fronte della contestazione degli acquirenti circa la mancanza del certificato di collaudo, il venditore degli immobili li aveva rassicurati rappresentando che avrebbe chiesto al direttore dei lavori - odierno ricorrente - la documentazione necessaria per procedere in tal senso; la circostanza non è contestata ed è anzi comprovata dall’effettivo, postumo rilascio del certificato di collaudo dal quale risulta che il ricorrente era ancora direttore dei lavori alla data del 25/11/2021).

            5. Anche l’ultimo motivo è infondato.
                5.1. Il Tribunale ha implicitamente escluso la particolare tenuità del fatto allorquando, pur applicando le circostanze attenuanti generiche, ha irrogato al ricorrente una pena pecuniaria (euro 400,00 di ammenda) superiore al minimo edittale (euro 103). 
                5.2. La Corte di cassazione ha costantemente affermato la non censurabilità, in sede di legittimità, della sentenza che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione difensiva, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza e dallo stesso trattamento sanzionatorio, quando superiore al minimo edittale (Sez. 3, n. 5396 del 15/11/2022, dep. 2023, Lakrafy, Rv. 284096 - 01; Sez. 3, n. 43604 del 08/09/2021, Cincolà, Rv. 282097 - 01; Sez. 4, n. 27595 del 11/05/2022, Omogiate, Rv. 283420 - 01; Sez. 5, n. 15658 del 14/12/2018, dep. 2019, D. Rv. 275635 - 02; Sez. 3, n. 24358 del 14/05/2015, Ferretti, Rv. 264109 - 01).
                5.3. Nel caso di specie, il dato del trattamento sanzionatorio, si coniuga alla consistenza numerica degli immobili occupati (ben ventotto unità abitative), alla persistente durata della violazione (ultradecennale; il certificato è stato rilasciato nel 2021), alla circostanza che si trattava di immobili realizzati in zona sismica, totalmente privi dei certificati di conformità degli impianti e che nel 2013 erano stati fatti sgomberare. 


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12/06/2024.