Cass. Sez. III n. 9075 del 6 marzo 2020 (CC 21 gen 2019)
Pres. Liberati Est. Mengoni Ric. PG in proc. Rallo
Urbanistica.Sequestro conservativo e procedimento di esecuzione

Il sequestro conservativo non può essere disposto nel corso del procedimento di esecuzione, trattandosi di provvedimento che, ai sensi dell'art. 316, comma primo, cod. proc. pen., può essere adottato esclusivamente nel processo di merito.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18/4/2019, la Corte di appello di Palermo rigettava la richiesta di sequestro conservativo di beni immobili, intestati a Crocifissa Rallo, avanzata dal Procuratore generale della Repubblica presso lo stesso Ufficio; a giudizio del Collegio, la misura cautelare in oggetto non poteva esser applicata in fase esecutiva (nella specie, a garanzia del pagamento delle spese di demolizione di un immobile abusivo), potendo esser disposta soltanto nel giudizio di merito, alla luce di elementi letterali e sistematici richiamati nel provvedimento.
2. Propone ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Palermo, deducendo i seguenti motivi:
- violazione dell’art. 316 cod. proc. pen. L’ordinanza avrebbe rigettato l’istanza con motivazione meramente adesiva alla giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 31453 del 4 novembre 2015) e senza valutare i rilievi formulati dall’Ufficio in senso contrario, volto cioè ad ammettere l’istituto di cui all’art. 316 cod. proc. pen. anche nella fase di esecuzione; pena, peraltro, un’evidente irragionevolezza del sistema, che consentirebbe un vincolo così significativo a danno di un soggetto indagato od imputato di un reato, ma non anche nei confronti di colui la cui responsabilità penale sia stata definitivamente accertata. D’altronde, anche il Supremo Collegio, con la sentenza Monterisi del 19 giugno 1996, avrebbe usato una locuzione compatibile con la tesi sostenuta dal ricorrente;
- mancanza di motivazione. La Corte di appello avrebbe omesso ogni argomento con riguardo alle questioni di legittimità costituzionale sollecitate con l’istanza, in ordine sia all’art. 316 cod. proc. pen., sia – e principalmente – all’art. 218, d. lgs. n. 271 del 1989. Nessun argomento, ancora, sarebbe stato speso quanto all’irragionevolezza di un sistema penale che, per incomprensibile scelta legislativa, si sarebbe privato dell’istituto dell’ipoteca penale. Ulteriore profilo di illegittimità costituzionale, inoltre, si rinverrebbe nella carenza di delega in favore del Governo con riferimento alla menzionata abrogazione delle disposizioni del codice di procedura penale che disponevano l’ipoteca legale, così come con riguardo alla sostituzione con il sequestro conservativo, secondo le norme del codice, dell’ipoteca legale per illeciti penali previsti da altre disposizioni di legge;
- violazione dell’art. 671 cod. proc. civ. L’ordinanza avrebbe superato i citati profili di irragionevolezza con un mero richiamo alla norma da ultimo menzionata, sì da evidenziarsi la violazione della stessa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta infondato; al riguardo, peraltro, tutte le doglianze possono esser trattate congiuntamente, emergendone evidente l’identità di ratio e, in più parti, di contenuto.
4. Osserva la Corte, in primo luogo, che il Collegio di merito ha affrontato la questione oggetto dell’istanza – ossia se il sequestro conservativo possa esser applicato in fase esecutiva – con una motivazione del tutto adeguata, priva di illogicità manifesta e, peraltro, ben aderente ad un costante indirizzo interpretativo (in particolare, tra le altre, Sez. 3, n. 31453 del 4/11/2015, La Torre, Rv. 267538), qui da ribadire; orientamento in forza del quale il sequestro conservativo non può essere disposto nel corso del procedimento di esecuzione, trattandosi di provvedimento che, ai sensi dell'art. 316, comma primo, cod. proc. pen., può essere adottato esclusivamente nel processo di merito.
5. In particolare, questo Giudice di legittimità – diffusamente richiamato nell’ordinanza impugnata - ha evidenziato che il limite di cui alla norma appena citata deve essere interpretato in senso rigoroso, così da non esserne consentita l’applicazione nel corso delle indagini preliminari (quantomeno sino al promovimento dell’azione penale) o del giudizio di legittimità. Di seguito, la Corte di appello ha contestato la tesi, di cui all’istanza, secondo la quale anche la fase dell’esecuzione costituirebbe stato o grado del “processo di merito”, evidenziando al riguardo che, talvolta, anche il giudice per le indagini preliminari è chiamato ad adottare decisione che involgono il merito del procedimento, così come – per le questioni processuali – è giudice del merito anche questa Corte di cassazione; ciò, tuttavia, senza che i momenti procedimentali o processuali nei quali questi organi intervengano possano, invero, definirsi parte del “processo di merito”.
6. Ancora riprendendo la giurisprudenza di legittimità, la Corte di appello ha poi evidenziato un ulteriore, solido argomento a sostegno della tesi accolta: ha sottolineato, cioè, che, ai sensi dell’art. 320 cod. proc. pen., il sequestro conservativo si converte in pignoramento quando diventa irrevocabile la sentenza di condanna al pagamento di una pena pecuniaria ovvero quando diventa esecutiva la sentenza che condanna l’imputato e il responsabile civile al risarcimento del danno in favore della parte civile, fatto salvo quanto previsto dal comma 2bis dell’art. 539 cod. proc. pen. Dal che deriva che, divenuta irrevocabile la sentenza di condanna ed avvenuta ipso iure la conversione, ogni questione relativa alla perdurante efficacia di tale vincolo, di natura cautelare, nei confronti della parte ovvero dei terzi spetta esclusivamente al giudice civile (tra le molte, Sez. 1, n. 39947 del 27/4/2018, PG/FE.MA.R.).
7. Sì da concludere, con argomento immeritevole di censura, che è dunque evidente “che lo strumento in questione è suscettibile di essere adottato nel corso di un procedimento tendenzialmente volto alla emissione di un provvedimento destinato a divenire definitivo ed irrevocabile. Caratteristica specifica del procedimento di esecuzione è, viceversa, la sua inidoneità a concludersi con una atto idoneo a divenire definitivo, essendo il provvedimento emesso al termine del procedimento di esecuzione un provvedimento adottato, come sul dirsi, "allo stato degli atti"; il che vuol dire che il procedimento in questione potrà essere sempre riproposto, purché vengano dal ricorrente dedotti fatti o questioni che non hanno formato oggetto di precedente decisione adottata nell'ambito di altro analogo precedente procedimento (Corte di cassazione, Sez. 3, 1° dicembre 2014, n. 50005; Sez. 1, 13 giugno 2014, n. 25345; Sez. 3, 10 febbraio 2004, n. 5195)”.
8. Le conclusioni appena richiamate, peraltro, appaiono sostenute anche dal Supremo Collegio di legittimità (n. 38670 del 21/7/2016, Culasso, Rv. 267592), che – rispondendo affermativamente al quesito se le questioni attinenti alla pignorabilità dei beni sottoposti a sequestro conservativo siano deducibili con la richiesta di riesame e debbano essere decise dal tribunale del riesame – ha sviluppato argomenti perfettamente conferenti al motivo di ricorso in esame.
In particolare, le Sezioni Unite hanno innanzitutto ripercorso la ratio dell’istituto del sequestro conservativo di cui al codice di rito del 1989, evidenziando che “si è venuto così a delineare un istituto che, nelle sue connotazioni, ambisce a contemperare i vari interessi coinvolti, dovendo equilibrare la tutela della persona danneggiata dal reato, i diritti dei terzi creditori e di quelli che sono titolari apparenti dei beni sequestrati all'imputato uti dominus, la pretesa risarcitoria dello Stato e, non ultimo, il diritto dell'imputato a vedere esaminati i profili di legittimità della misura, particolarmente afflittiva perché destinata ad inibirgli in concreto l'esplicazione di diritti anche di rilevanza costituzionale: ciò che risulta evidente dalla avvenuta assimilazione, quanto al regime e alla collocazione nel codice, alle misure cautelari personali (v. Relazione al Progetto preliminare del codice di rito, pag. 79)”.
Una conclusione che, a giudizio del Collegio, assume ulteriormente rilievo decisivo nella decisione del ricorso in esame, specie laddove si lamenta la presunta irragionevolezza di un sistema reale che colpirebbe l’indagato o l’imputato, non anche il soggetto ormai condannato.
9.  Ancora la sentenza “Culasso”, infatti, ha precisato – sempre con riguardo al sequestro conservativo – che l'adozione della misura cautelare reale in sede penale comporta l'accertamento - che può essere operato tanto dal giudice emittente, in un non previsto ma neppure vietato contraddittorio preventivo, quanto dal giudice dell'impugnazione cautelare - dei presupposti applicativi che anche la dottrina classifica come "presupposti di legittimità" di pari dignità e rilevanza: il periculum in mora, descritto come fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie dei crediti erariali elencate nell'art. 316 cod. proc. pen. e (per quanto riguarda la parte civile) delle obbligazioni civili derivanti da reato; la pendenza del processo penale nella fase di merito e la presenza di un soggetto al quale il reato venga ascritto, così intesi i limiti di individuazione del fumus boni juris; la deduzione ad opera delle parti legittimate, di uno dei crediti garantiti dalla norma; la disponibilità del bene da sequestrare (o sequestrato ad altro titolo), da parte dell'imputato. Ulteriore e imprescindibile requisito, previsto dallo stesso art. 316, comma 1, è che il bene di cui si chiede il sequestro sia suscettibile di pignoramento, posto che il successivo art. 320, comma 1, stabilisce – come già sopra rilevato - che il sequestro si converte in pignoramento, una volta divenuta irrevocabile la sentenza di condanna al pagamento di una pena pecuniaria ovvero quella che condanna l'imputato al risarcimento del danno.
10. Ad ulteriore conferma, quindi, del limite – normativo e di sistema –all’applicabilità dell’istituto del sequestro conservativo alla fase di esecuzione, come correttamente argomentato dalla Corte di appello nel provvedimento impugnato.
11. E senza che, peraltro, possa valere in termini contrari il richiamo – contenuto nel ricorso – ad un precedente arresto delle Sezioni Unite di questa Corte (n. 15 del 19/6/1996, Monterisi, Rv. 205336), nel quale un’espressione non certo univoca nel senso sostenuto dal Procuratore ricorrente (“Va osservato, infine, - quanto all'aspetto delle spese che la cancelleria del giudice dell'esecuzione deve provvedere al recupero delle spese del procedimento dell'esecuzione nei confronti del condannato (art. 181 norme att. c.p.p.), previa eventuale garanzia reale a seguito di sequestro conservativo imposto sui beni dell'esecutato (art. 316 C.P.P.), trattandosi di spese processuali”) non può di per sé valere a superare le più che articolate e congrue considerazioni di cui all’ordinanza impugnata, oltre che della giurisprudenza di legittimità.
12. Con riguardo, infine, alle questioni di legittimità costituzionale richiamate con il secondo e terzo motivo, osserva il Collegio che già il Giudice di appello le ha qualificate come manifestamente infondate, con argomento che richiama le valutazioni in precedenza espresse. Giudizio che, peraltro, questa Corte deve ulteriormente ribadire, specie evidenziando che i profili agitati ancora con l’impugnazione concernono primariamente (“in via principale”) una norma estranea al presente giudizio (l’art. 218, r.d. 28 luglio 1989, n. 271, che ha abrogato le disposizioni del codice penale in tema di ipoteca legale), che riguarda la demolizione di un immobile e le relative spese, che si vorrebbero assistite da uno specifico istituto quale il sequestro conservativo. E senza tacere, poi, del carattere palesemente generico delle violazioni costituzionali prospettate con l’impugnazione, nei termini degli artt. 3, 9 e 27 Cost., con argomenti del tutto vaghi ed immeritevoli di superare il vaglio di ammissibilità.



P.Q.M.

Rigetto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2020