Cass. Sez. III n. 57939 del 29 dicembre 2018 (Ud 4 mag 2017)
Presidente: Fiale Estensore: Liberati Imputato: Carbone ed alti
Urbanistica. Sequestro preventivo finalizzato alla confisca
 
Quando il sequestro preventivo è disposto in vista della confisca obbligatoria prevista per il reato di lottizzazione abusiva dall’art. 44, comma 2, d.P.R. 380/2001 per il suo mantenimento non occorre il permanere di esigenze probatorie o di prevenzione.


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 7 novembre 2016 il Tribunale di Roma ha respinto l’appello cautelare proposto da Fabiana Carbone e Antonio Walter Scorza nei confronti del decreto del 3 ottobre 2016 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Velletri, con cui era stata respinta la loro richiesta di revoca del sequestro preventivo di un terreno e dei fabbricati sullo stesso insistenti, in Comune di Ardea, disposto in relazione al reato di cui all’art. 44, lett. c), d.P.R. 380/2001.
Il Tribunale di Roma, nel disattendere l’impugnazione degli indagati, ha premesso che il provvedimento di sequestro era stato emesso in relazione al reato di lottizzazione abusiva, contestato alla Carbone, quale proprietaria dell’area e dei fabbricati sulla stessa insistenti, e allo Scorza, quale conduttore e committente dei lavori, per avere proceduto al frazionamento in lotti e alla successiva suddivisione catastale di un’area destinata ad attività agricole, realizzandovi immobili con finalità incompatibili con le destinazioni di piano. La richiesta di riesame presentata dagli indagati nei confronti di tale provvedimento era stata respinta con ordinanza del 2 settembre 2016. Il Giudice per le indagini del Tribunale di Velletri, con il provvedimento impugnato, aveva respinto la richiesta di revoca del sequestro, evidenziando la riproposizione dei medesimi argomenti già posti a sostegno della istanza di riesame, l’assenza di permesso di costruire in sanatoria e la non sanabilità delle opere realizzate, alla luce della contestazione di lottizzazione abusiva.
In relazione alla nuova impugnazione proposta dagli indagati, il Tribunale ha sottolineato come la stessa non tenga conto di quanto stabilito sia dal Giudice per le indagini preliminari sia nella precedente ordinanza del medesimo Tribunale, riguardo alla natura abusiva di tutte le opere oggetto della contestazione e non solo delle due alle quali avevano fatto riferimento gli appellanti, tutte concorrenti alla realizzazione di una lottizzazione abusiva, e neppure del fatto che le decisioni dei giudici amministrativi favorevoli ai ricorrenti erano già state considerate, sia dal Giudice per le indagini preliminari sia dal Tribunale. Sono state, poi, considerate priva di rilievo l’intenzione di richiedere la sanatoria, non essendo stata avanzata alcuna richiesta in tal senso, e non concludenti i richiami alle disposizioni di cui agli artt. 292, 299 e 308 cod. proc. pen., concernenti le sole misure cautelari personali. L’eccezione di inutilizzabilità di atti di indagine è stata ritenuta preclusa dal carattere devolutivo dell’appello cautelare, non essendo la relativa questione stata sottoposta al giudice per le indagini preliminari.

2. Avverso tale ordinanza hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione entrambi gli indagati, affidato a sei motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari ai fini della motivazione.
2.1. Con un primo motivo hanno denunciato violazione dell’art. 309 cod. proc. pen., affermando di aver proposto istanza di riesame e non un appello, come erroneamente ritenuto dal Tribunale, con la conseguente insufficienza della motivazione riguardo alla configurabilità di una lottizzazione abusiva, fondata dal Tribunale sulla precedente decisione di rigetto della richiesta di riesame, pur essendo l’illiceità delle opere stata esclusa dal TAR Lazio.
2.2. Con un secondo motivo hanno lamentato mancanza e illogicità della motivazione, sia in relazione alla omessa considerazione della decisione favorevole del TAR Lazio da essi adito, sia con riferimento alla affermazione del Tribunale della sussistenza di una preclusione derivante dal giudicato cautelare formatosi a seguito della rigetto della richiesta di riesame presentata nei confronti della ordinanza impositiva del vincolo.
2.3. Mediante un terzo motivo hanno prospettato ulteriore vizio della motivazione e violazione di legge sostanziale e processuale, lamentando, in particolare, l’omesso esame di tutti i motivi di impugnazione e, in particolare, la mancata considerazione dei fatti sopravvenuti al sequestro, tra cui il ripristino del carico urbanistico, assentito con due provvedimenti cautelari del TAR, già presenti in atti sin dal 22 luglio 2016.
2.4. Con un quarto motivo hanno eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, in conseguenza delle decisioni adottate dal TAR Lazio, e prospettato la cessazione delle esigenze cautelari, richiedendo anche la sostituzione della misura cautelare con altra meno grave; hanno anche eccepito la inutilizzabilità degli atti di indagine successivi alla scadenza del termine di durata massima delle stesse, verificatasi il 17 giugno 2015, tra cui la relazione depositata dal consulente tecnico nominato dal Pubblico Ministero.
2.5. Con il quinto e il sesto motivo hanno prospettato il loro ravvedimento, mediante l’eliminazione delle opere determinanti aggravio del carico urbanistico, ricondotto entro i limiti considerati assentibili dal TAR.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, peraltro affidato a motivi non specifici e riproduttivi di quelli posti a sostegno dell’appello, è inammissibile.

2. Preliminarmente va precisato che il ricorso per cassazione in materia di misure cautelari reali può essere esaminato solo in relazione al vizio di violazione di legge non essendo consentita, in subiecta materia, la deduzione del vizio di motivazione per espresso dettato dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.
Nondimeno, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito come nella violazione di legge siano ricompresi anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o comunque privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice, con conseguente violazione dell’art. 125 cod. proc. pen.  (cfr., ex multis, Sez. U., n. 25932 del 29/05/2008, dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692 e, da ultimo, Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, dep. 11/02/2013, Gabriele, Rv. 254893).
Sempre in premessa è necessario rammentare che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 2, n. 7380 in data 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Inoltre, è opportuno ribadire che il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti in sede di impugnazione e motivatamente respinti da parte del giudice del gravame deve ritenersi inammissibile, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, solo apparentemente, denunciano un errore logico o giuridico determinato (in termini v. Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altro, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708).

3. Nella vicenda in esame, il primo, il secondo e il terzo motivo, mediante i quali sono stati prospettati vari vizi della motivazione della ordinanza impugnata (per la qualificazione del gravame come appello cautelare anziché come riesame, per l’insufficiente considerazione del provvedimento adottato dal TAR, e anche di tutte le doglianze proposte con il gravame e della rimessione in pristino dello stato dei luoghi), sono inammissibili, essendo volti a censurare il percorso argomentativo seguito dal Tribunale, riguardo alla qualificazione come appello della impugnazione proposta dai ricorrenti, e a proposito del rilievo della esistenza di un giudicato cautelare in relazione alle questioni già esaminate a seguito della proposizione della richiesta di riesame, e anche in ordine all’accertamento della configurabilità di una lottizzazione abusiva e della mancanza di rimessioni in pristino.
Il Tribunale ha, infatti, correttamente qualificato il gravame proposto dagli indagati come appello cautelare, ai sensi dell'art. 322 bis cod. proc. pen., in quanto presentato successivamente al rigetto della richiesta di riesame e prospettando la rilevanza di fatti successivi alla imposizione del vincolo, ed ha, pertanto, altrettanto correttamente, ritenuto improponibili le questioni attinenti alla legittimità della imposizione di detto vincolo, posto che con l’appello cautelare possono essere dedotte solamente questioni diverse da quelle relative alla legittimità dell'imposizione del vincolo, attinenti alla persistenza delle ragioni giustificanti il mantenimento della misura (Sez. 3, n. 17364 del 08/03/2007, Iannotta, Rv. 236602; Sez. 6, n. 5016 del 26/10/2011, Grillo, Rv. 251783; Sez. 5, n. 31725 del 22/04/2015, Capelli, Rv. 265303).
Le altre censure formulate con i motivi in esame riguardano vizi della motivazione del provvedimento impugnato, in ordine alla sussistenza degli indizi del reato di lottizzazione abusiva in relazione al quale è stato disposto il vincolo cautelare (già valutati con la decisione di rigetto della richiesta di riesame e di cui è quindi preclusa una nuova verifica a seguito della proposizione d appello cautelare), e alla irrilevanza dei fatti successivi prospettati dai ricorrenti (alla luce del mancato rilascio del permesso di costruire in sanatoria e della non sanabilità delle opere, a cagione della contestazione del reato di lottizzazione abusiva), e sono, dunque, inammissibili.

4. Le doglianze formulate con il quarto motivo, mediante il quale è stato eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario (in conseguenza delle decisioni adottate dal TAR Lazio), è stata prospettata la cessazione delle esigenze cautelari, richiedendo anche la sostituzione della misura cautelare con altra meno grave, ed è stata eccepita la inutilizzabilità degli atti di indagine successivi alla scadenza del termine di durata massima delle stesse, sono tutte manifestamente infondate.
Le decisioni cautelari adottate dal giudice amministrativo (peraltro già esaminate nella precedente ordinanza del Tribunale di Roma) non determinano né il venir meno del reato di lottizzazione abusiva per cui si procede, stante la non sanabilità delle relative opere e, comunque, la mancanza di provvedimenti giurisdizionali del giudice amministrativo passati in giudicato che abbiano espressamente affermato la legittimità della concessione o della autorizzazione edilizia e il conseguente diritto del cittadino alla realizzazione dell’opera (cfr. Sez. 2, n. 50189 del 09/12/2015, Comune di Golfo Aranci, Rv. 265416; Sez. 3, n. 39707 del 05/06/2003, Lubrano di Scorpianello, Rv. 226592); né, tantomeno, della giurisdizione del giudice ordinario, al quale la cognizione in ordine alla commissione di reati non può essere sottratta da decisioni cautelari del giudice amministrativo.
La questione della utilizzabilità degli atti di indagine che sarebbero stati compiuti oltre il termine di durata massima delle stesse, oltre che prospettata in modo generico, non essendo stata illustrata l’incidenza degli stessi (e in particolare della relazione del consulente tecnico nominato dal Pubblico Ministero) sulla struttura argomentativa del provvedimento impositivo del vincolo, di quello di rigetto della richiesta di revoca e della ordinanza impugnata, risulta preclusa dalla accertata esistenza degli indizi del reato di lottizzazione abusiva in relazione al quale è stato disposto il sequestro e dalla formazione del giudicato cautelare sul punto.
Privi di concludenza risultano i riferimenti all’affievolimento e alla cessazione delle esigenze cautelari, in quanto le disposizioni richiamate dai ricorrenti e relative alla sostituzione delle misure cautelari in tale evenienza riguardano le misure cautelari coercitive e non quelle reali, di cui al titolo II del libro IV del codice di procedura penale, mentre, quanto al venir meno delle esigenze cautelari, va evidenziato che il sequestro censurato è stato disposto in vista della confisca obbligatoria prevista per il reato di lottizzazione abusiva dall’art. 44, comma 2, d.P.R. 380/2001, sicché per il suo mantenimento non occorre il permanere di esigenze probatorie o di prevenzione.

5. Le censure formulate con il quinto e il sesto motivo, mediante i quali i ricorrenti hanno prospettato il loro ravvedimento, attraverso l’eliminazione delle opere determinanti aggravio del carico urbanistico, ricondotto entro i limiti considerati assentibili dal TAR, sono inammissibili, essendo volte a conseguire la rivisitazione di un accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito, non sindacabile nel giudizio di legittimità.
Al riguardo, infatti, il Tribunale, nel disattendere l’analoga censura formulata dagli indagati con l’appello cautelare, ha chiarito che gli indagati non hanno posto in essere alcun ravvedimento operoso, non risultando che si siano attivati per ripristinare lo stato dei luoghi, facendo rivivere la precedente destinazione agricola degli stessi, attraverso l’eliminazione delle opere, non avendo neppure chiesto l’autorizzazione a provvedervi.
Ne consegue l’inammissibilità di dette doglianze, mosse nei confronti di un accertamento di fatto compiuto in modo univoco dai giudici di merito e di cui è stato dato conto con motivazione adeguata nel provvedimento impugnato.

6. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, stante la manifesta infondatezza di tutti i motivi cui è stato affidato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. sentenza 7 – 13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 2.000,00 a carico di ciascun ricorrente.



P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 4/5/2017