Cass.Sez. III n. 44202 del 29 ottobre 2013 (Ud 10 ott 2013)
Pres.Fiale Est. Graziosi Ric.Menditto
Urbanistica.Reati edilizi e proprietario non formalmente committente
In tema di reati edilizi, la responsabilità del proprietario non committente non può essere oggettivamente dedotta dal diritto sul bene né può essere configurata come responsabilità omissiva per difetto di vigilanza, attesa l'inapplicabilità dell'art. 40, secondo comma, cod. pen., ma dev'essere dedotta da indizi ulteriori rispetto all'interesse insito nel diritto di proprietà, idonei a sostenere la sua compartecipazione, anche morale, al reato. (Fattispecie in cui a Corte ha annullato la sentenza di condanna del proprietario non committente per non essere stati valutati gli elementi emersi dall'istruttoria, quale la stabile residenza dell'imputato in luogo distante da quello interessato dall'opera abusiva, l'assenza durante il periodo della costruzione di cui si erano occupati i genitori, l'indisponibilità di risorse economiche compatibili con l'attività edilizia).
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA
Dott. FIALE Aldo - Presidente - del 10/10/2013
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - SENTENZA
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - N. 3001
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GRAZIOSI Chiara - rel. Consigliere - N. 21297/2013
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
MENDITTO GENNARO N. IL 13/09/1975;
avverso la sentenza n. 1470/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 04/12/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/10/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mazzotta Gabriele, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udito il difensore Avv. Monaco Concetta di Napoli.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 4 dicembre 2012 la Corte d'appello di Napoli respingeva l'appello proposto da Menditto Gennaro avverso sentenza del 1 aprile 2010 con cui il Tribunale di Napoli lo aveva condannato alla pena di giorni sei di arresto ed Euro 2600 di ammenda per avere abusivamente realizzato in zona sismica, in assenza del deposito degli atti e della preventiva autorizzazione normativamente previsti, un manufatto in muratura adibito a cucina sul terrazzo a livello di pertinenza di un manufatto preesistente, fatto accertato il 24 ottobre 2008.
2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo illogicità della motivazione "perché da per certe le premesse dell'assunto difensivo, ma perviene alla conferma della sentenza di primo grado in maniera apodittica". Vengono dati per certi "la prevalente residenza di fatto a Roma, il viaggio di un mese e l'indisponibilità a sostenere esborsi" non proporzionati all'età e alla condizione economica dell'appellante, che "di quell'appartamento era proprietario e, perciò, persona direttamente interessata"; ma non viene considerato che la qualità di proprietario dell'area ove vengono compiute opere abusive, pur essendo un indizio grave, non è sufficiente per affermare la responsabilità penale, e che comunque il proprietario non patisce un'autonoma forma di responsabilità colposa per omesso impedimento. La stessa sentenza, poi, ammette che l'imputato "di fatto non ha eseguito i lavori, tant'è che sul posto fu trovata la madre, nominata custode".
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato.
La sentenza d'appello da atto che l'appellante aveva chiesto in primo luogo di essere assolto per non aver commesso il fatto, riproponendo gli elementi difensivi addotti in primo grado (il fatto che egli lavorava a Roma e tornava a Napoli mediamente una volta al mese, il fatto che era stato in viaggio di nozze per l'intero mese di ottobre, l'affermazione di nulla sapere della modifica di una preesistente veranda in alluminio che sarebbe stata iniziativa del padre il quale gli aveva donato l'appartamento nel luglio 2008; si noti che la corte territoriale da anche atto che un teste, collega dell'imputato, aveva confermato che questi "lavora e vive a Roma ed è solito rientrare a Napoli solo una volta al mese"), e sostenendo "di essersi affidato al padre per l'esecuzione dei lavori che, secondo gli accordi intercorsi, avrebbero dovuto essere di sola manutenzione"; egli dunque avrebbe appreso della trasformazione al ritorno dal viaggio di nozze; aveva altresì "rimarcato la sua indisponibilità economica" sempre a supporto della sua estraneità. La corte territoriale non ha dunque negato la veridicità della "prevalente residenza" a Roma, del viaggio di un mese e della impossibilità o grave difficoltà per il Menditto quanto a sostenere un simile esborso per la sua età e la sua condizione economica. Ha ritenuto però, nel suo ragionamento motivazionale, tutto questo irrilevante a fronte di due dati: "di quell'appartamento egli era il proprietario e perciò persona direttamente interessata a renderlo idoneo al soddisfacimento delle sue personali esigenze, a maggior ragione in virtù della recente formazione di un suo autonomo nucleo familiare", e, "seppure di fatto non ha seguito i lavori, tant'è che sul posto fu trovata la madre, nominata custode, era di certo consapevole della natura degli stessi". Ma è dalla qualità di proprietario dell'imputato, a ben guardare, che la corte desume così ogni altro elemento: il suo interesse ad adeguare l'appartamento, anche per le recenti nozze (senza peraltro considerare la sua residenza altrove e il fatto che l'"autonomo nucleo familiare" non risulta che fosse composto da altri che dalla coppia marito e moglie, e quindi fosse "minimo"), e la sua consapevolezza della natura dei lavori che venivano eseguiti. Il fatto che il Menditto non fosse presente mentre i lavori venivano effettuati, secondo la corte, non incide minimamente sulla conoscenza, da parte dell'imputato, che i lavori venivano eseguiti e di quali lavori si trattava, perché tutto ciò, secondo la corte territoriale, è insito nell'interesse del proprietario. L'impostazione del ragionamento è chiaramente apodittica, nel senso che configura una sorta di responsabilità oggettiva del proprietario per le opere abusive, pur riconoscendo la sussistenza di elementi fattuali non insignificanti sulla lontananza abituale del proprietario, oltre che sulle sue risorse economiche. E d'altronde, come rileva il ricorrente, la giurisprudenza di questa Suprema Corte sviluppatasi sugli effetti della qualità di proprietario in tema di reati edilizi non ha configurato una siffatta responsabilità oggettiva: pur valorizzando intensamente detta qualità, ne esige la contestualizzazione in ulteriori dati, peraltro anche indiziari (da ultimo Cass. sez. 3^, 30 maggio 2012 n. 25669 chiede per il proprietario che non sia formalmente il committente delle opere abusive, per dedurne la responsabilità in tema di reati edilizi, la sussistenza di indizi per sostenere la compartecipazione anche morale al reato, quali appunto "la piena disponibilità della superficie edificata, l'interesse alla trasformazione del territorio, i rapporti di parentela o affinità con l'esecutore del manufatto, la presenza e la vigilanza durante lo svolgimento dei lavori, il deposito di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria, la fruizione dell'immobile secondo le norme civilistiche sull'accessione nonché tutti quei comportamenti (positivi o negativi) da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione anche morale alla realizzazione del fabbricato"; a sua volta Cass. sez. 3^, 22 novembre 2007 n. 47083 pretende che del proprietario, qualora non sia il titolare del permesso di costruire, il committente o il direttore dei lavori, "risulti un suo contributo soggettivo all'altrui abusiva edificazione da valutarsi secondo le regole generali sul concorso di persone nel reato, non essendo sufficiente la semplice connivenza, attesa l'inapplicabilità dell'art. 40 c.p., comma 2, in quanto non esiste una fonte formale da cui far derivare un obbligo giuridico di controllo sui beni finalizzato ad impedire il reato"; ancora, Cass. sez. 3^, 12 gennaio 2007 n. 8667 afferma che il proprietario non formalmente committente risponde del reato edilizio D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 44, se, trovandosi "a conoscenza dell'assenza del preventivo rilascio del permesso di costruire, abbia fornito un contributo causale che abbia agevolato la edificazione abusiva", occorrendo comunque che il giudice verifichi "l'esistenza di comportamenti, che possono assumere sia forma positiva che negativa, dai quali si possa ricavare una compartecipazione anche solo morale" al reato; e non si discostano da una siffatta impostazione Cass. sez. 3^, 5 luglio 2006 n. 33487 - per cui la responsabilità del proprietario, non formalmente committente, "può dedursi da indizi quali la avvenuta presentazione di una denunzia di inizio di opere di manutenzione ordinaria e la successiva domanda di sanatoria delle opere realizzate" - e Cass. sez. 3^, 13 luglio 2005 n. 32856 - per cui la responsabilità del proprietario del manufatto nel quale l'abuso è stato effettuato può "dedursi da indizi precisi e concordanti quali la qualità di coniuge del committente, la presentazione di istanze per la realizzazione di opere edilizie di portata di gran lunga minori di quelle realizzate, la presenza in loco all'atto dell'accertamento" -). Alla luce della suddetta giurisprudenza, concorde nel ritenere non sufficiente di per sè la qualità di proprietario del bene su cui viene eseguita l'opera abusiva per assumere la responsabilità del relativo reato edilizio, non si può non osservare che, se è indubbiamente significativo essere proprietario, occorre d'altronde riconoscere che la sussistenza dell'interesse all'opera abusiva è insita nella qualità di proprietario, per cui a ben guardare tale dato non aggiunge alcunché a quella che, se discende esclusivamente dalla qualità di proprietario, si converte, in difformità dall'appena evidenziata corretta interpretazione, in una responsabilità oggettiva o comunque in una responsabilità omissiva per difetto di vigilanza. Anche la parentela con chi realizza il lavoro, se il proprietario è stabilmente residente altrove, non può fungere da automatica fonte di responsabilità per il proprietario, occorrendo invece indizi gravi precisi e concordanti di una compartecipazione effettiva all'attività illecita che, come si è visto, sono comunque necessari per inibire una erronea conformazione della responsabilità del proprietario quale responsabilità in re ipsa. Nel caso di specie, allora, sono stati apportati dalla difesa elementi specifici contrari (la residenza stabile altrove, in viaggio di nozze per tutta la durata del mese d'ottobre in cui risulta essere stata effettuata l'opera, gli aspetti economici di difficile compatibilità con una simile iniziativa) alla prospettazione d'accusa, che rimangono nel ragionamento motivazionale della corte non fronteggiati realmente da indizi gravi, precisi e concordanti nel senso della compartecipazione anche morale dell'imputato, pur assente in loco, all'intervento illecito; e non vi è spazio, ovviamente, per una inversione dell'onere probatorio, non dovendo l'imputato dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio di non avere avuto nulla a che fare con l'abuso edilizio. È dunque illogico il percorso motivazionale scelto dalla sentenza impugnata, per avere tratto, in effetti, una certezza da una premessa (la qualità di proprietario del Menditto) intesa irragionevolmente come omnicomprensiva fonte d'ogni ulteriore elemento probatorio a discapito dell'imputato nonché idonea a neutralizzare ogni elemento a suo favore addotto dalla difesa.
In conclusione, la sentenza, risultando sussistente il vizio motivazionale denunciato nel ricorso, deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della corte territoriale.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2013