Cons. Stato Sez. V sent. 4593 del 8 agosto 2003
Urbanistica. Opere di ristrutturazione edilizia.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
Sul
ricorso n. 7997/2002 R.G. proposto da Bini Marco, rappresentato e difeso dagli
Avv. Nazzarena Zorzella e Maria Athena Lorizio, ed elettivamente domiciliato
presso lo studio della seconda in Roma, via Dora n. 180,
CONTRO
Comune
di Ravenna, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli Avv.
Enrico Baldrati e M. Teresa Barbantini, ed elettivamente domiciliato presso lo
studio della seconda in Roma, Viale Giulio Cesare n. 14;
PER
L'ANNULLAMENTO
della
sentenza resa dal T.A.R. per l’Emilia Romagna, sede di Bologna, sezione
Seconda, n. 533/2001, in data 3.7.2001, con la quale sono stati respinti i
ricorsi riuniti n. 1790/2000 e 15/2001 R.G. proposti dall’appellante.
Visto
il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto
l’atto di costituzione in giudizio delle appellate;
Viste
le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti
gli atti tutti della causa;
Nominato
relatore il Consigliere Michele Corradino;
Uditi
alla pubblica udienza del 15 aprile 2003 gli avv.ti Lorizio e Barbantini.
Ritenuto
in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F
A T T O
Con
ricorsi ritualmente notificati e depositati adiva il Tribunale Amministrativo
Regionale per l’Emilia Romagna, sede di Bologna, sezione seconda, Marco Bini,
il quale chiedeva:
-
quanto al ricorso n. 1790/2000, l’annullamento del provvedimento di diniego di
concessione in sanatoria ai sensi dell’art. 13 L. n. 47/85, emesso dal
Dirigente capo servizio gestione e controllo edilizio del Comune di Ravenna in
data 29.8.2000, con riferimento ad una istanza di rilascio proposta
dall’appellante nel maggio 2000, per la ristrutturazione di un manufatto
destinato a servizio-ripostiglio, già oggetto di “condono edilizio” in data
25.11.91, sito nel cortile adiacente all’edificio abitativo di proprietà del
ricorrente, in Marina Romea;
-
quanto al ricorso n. 15/2001, l’annullamento dell’ingiunzione a
demolire il manufatto sopra indicato emessa dallo stesso Comune in data
17.10.2000.
L’adito
Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, sede di Bologna,
seconda sezione, riuniti i ricorsi li rigettava ritenendo che i lavori
effettuati dall’odierno appellante non fossero conformi allo strumento
urbanistico, in quanto non qualificabili come semplice ristrutturazione, ma come
demolizione e ricostruzione, con conseguente assoggettamento al regime delle
distanze di cui all’art. V. 3.3 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Ravenna,
che, nella specie, non erano state rispettate.
Avverso
la predetta decisione proponeva rituale appello il sig. Marco Bini, assumendo,
nel merito, l’illegittimità della sentenza.
L’appellante
chiedeva, altresì, con il medesimo ricorso, in via preliminare e cautelare, la
sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, e, conseguentemente,
dei provvedimenti impugnati.
Il
Consiglio di Stato, con ordinanza del 22.10.2002, accoglieva l’istanza
cautelare limitatamente all'ingiunzione a demolire.
Si
è costituito il Comune di Ravenna per resistere all’appello.
Con
memorie depositate in vista dell'udienza le parti hanno insistito nelle proprie
conclusioni.
Alla
pubblica udienza del 15 aprile 2003 la causa è stata chiamata e trattenuta per
la decisione, come da verbale.
D I R I T T O
1.
La questione fondamentale oggetto del presente giudizio consiste nello
stabilire se i lavori per i quali il Comune di Ravenna ha dapprima negato la
concessione in sanatoria ex art. 7 l. 47 /85, e poi emesso l’ingiunzione a
demolire ex art. 13 della medesima disposizione, rientrino nella nozione di
ristrutturazione edilizia.
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia ha ritenuto legittimi sia il
diniego di sanatoria, sia la successiva ingiunzione. Tale assunto è motivato
con la considerazione che l’intervento in esame va qualificato come
demolizione e successiva ricostruzione e non in termini di ristrutturazione.
Anche a prescindere, infatti, dalla diversa destinazione impressa, la
ricostruzione, pur sostanzialmente fedele nelle dimensioni, non lo è nei
prospetti, risultando spostata la porta ed aperta una finestra. Da ciò deriva
la violazione del regime delle distanze di cui all’art. V.3.3 delle N.T.A.del
P.R.G. del Comune di Ravenna.
L’appellante
lamenta l’illegittimità della sentenza per difetto di motivazione, per
violazione dell’art. 31 lett. d) della legge 457/78, dell’art. 2, comma 9,
della legge regionale Emilia Romagna n. 46/88, dell’art. XIII.6 delle N.T.A.
del P.R.G. del Comune di Ravenna, nonché per eccesso di potere per travisamento
dei fatti. Si rileva, in particolare, con riferimento ai profili sui quali il
giudice di primo grado ha contrariamente argomentato, che l’intervento
edilizio in esame presenta le caratteristiche della ristrutturazione.
Può
prescindersi dall’esame dell'eccezione di inammissibilità presentata dal
Comune resistente con riguardo al motivo di ricorso relativo alla violazione
dell’art. XIII.6 delle N.T.A. del P.R.G., in quanto tale censura non è stata
prospettata nel giudizio di primo grado davanti al T.A.R. Bologna, stante la
fondatezza del ricorso in relaizone agli altri motivi.
Il
ricorso è fondato.
L’art.
31, lett. d), della legge 5 agosto 1978, definisce lavori
di ristrutturazione edilizia “quelli rivolti a trasformare gli
organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare
ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali
interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi
costitutivi dell’edificio, la eliminazione, la modifica e l’inserimento di
nuovi impianti”.
La
giurisprudenza di questa Sezione ha ripetutamente interpretato tale norma nel
senso che il concetto di ristrutturazione edilizia comprende la demolizione,
anche totale o completa, seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, purchè
tale ricostruzione assicuri la piena conformità di sagoma, di volume e di
superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto, e venga, comunque, effettuata
in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della demolizione (cfr. Cons.Stato,
sez.V, 3 aprile 2000, n. 1906). Si è precisato, per altro verso, che l’art.
31 lett. d) della disposizione in esame comprende una definizione di
ristrutturazione di ampia portata, che, se non consente la realizzazione di
parti autonome aggiuntive dell’opera, ben prevede interventi sulle componenti
strutturali e funzionali dell’edificio, rientrando in tale ambito anche
attività di trasformazione del manufatto che “possono portare ad un organismo
in tutto o in parte diverso dal precedente”. Più in particolare, e con
specifico riferimento al caso in esame, questo Consiglio si è già espresso nel
senso che non esulano dal concetto di ristrutturazione edilizia
anche le modificazioni che concernono l’esterno, quali la demolizione
di balconi, e la modifica pressocchè totale delle aperture (cfr. Cons.Stato,
sez. V, 23 maggio 2000, n. 2988).
Quanto
appena rilevato palesa come l’iter argomentativo della sentenza di primo grado
non possa essere condiviso.
La
pronuncia del T.A.R. Bologna va, anzitutto, censurata laddove considera,
oltretutto senza motivare adeguatamente, che la demolizione e la successiva
ricostruzione dell’opera escludono la configurabilità della ristrutturazione,
pur statuendo espressamente che la ricostruzione è sostanzialmente fedele nelle
dimensioni al manufatto precedente. Né può essere meritevole di accoglimento,
in proposito, quanto osservato dal Comune resistente in ordine alla mancanza del
requisito della “contiguità temporale” tra la demolizione e la
ricostruzione, richiesto dalla giurisprudenza per poter ricomprendere l’opera
nel concetto di ristrutturazione. Infatti, dall’esame della documentazione,
risulta che i lavori sono stati eseguiti ed ultimati nell’ambito di alcuni
mesi, ed in particolare tra l’estate del 1999 e la primavera del 2000, per cui
è rilevabile una sostanziale continuità di tempo nei lavori compiuti.
La
sentenza di primo grado, inoltre, va disattesa
nella parte in cui ritiene incompatibile con la fattispecie della
ristrutturazione la modificazione dei prospetti dell’edificio, poiché risulta
spostata la porta ed aperta una finestra. Infatti, pur non potendosi tenere
conto, come rilevato in via preliminare, ai fini della decisione, di quanto
attualmente stabilito dall’art. XIII.6 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di
Ravenna, a norma del quale la ristrutturazione comprende, inoltre,
“….l’introduzione di balconi o di limitate modifiche al sistema delle
finestrature sui prospetti motivati da esigenze di miglioramento delle
condizioni di illuminazione/areazione dei locali,….”, si è già
avuto modo di rilevare come, nell’ambito dell’art. 31 lett. d) della
legge 457/78, l’orientamento giurisprudenziale, condiviso da questo Collegio,
è nel senso di ricomprendere all’interno della ristrutturazione anche le
modificazioni riguardanti l’esterno degli edifici.
A
conferma di tale interpretazione si richiama la ratio della disposizione in
esame. Infatti, l’articolo 31 è formulato in modo da favorire le opere
migliorative eseguite su manufatti già esistenti, ed è significativo notare
che la norma considera espressamente l’elenco delle attività disciplinate
come “interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente”. E
l’articolo 31, lett. d), in particolare, qualifica la ristrutturazione come
intervento volto “a trasformare gli organismi edilizi”. In tal modo emerge
con chiarezza che l’intento del legislatore è di agevolare il recupero
estetico e funzionale di manufatti già inseriti nel tessuto edilizio, senza
determinare un incremento del carico urbanistico dell’area considerata, che
non si produce di certo modificando i prospetti esterni degli edifici oggetto
dei lavori.
Va,
infine, affrontato l’ultimo profilo di censura proposto dal ricorrente, con
riferimento alla diversa destinazione d’uso impressa al manufatto con i lavori
di cui si tratta, e derivante dall’installazione di un bagno-doccia.
Rileva
il Collegio che, come risulta dagli atti, l’edificio in esame continua ad
essere adibito a ripostiglio.
Il
semplice inserimento di un bagno-doccia non comporta un cambio di destinazione
d’uso, sia perché, come già esaminato, l’art. 31, lett. d), della legge
457/78 consente, nell’ambito della ristrutturazione, anche l’inserimento di
nuovi elementi ed impianti, sia in base a quanto previsto dall’art. 2, comma 9
della legge regionale Emilia Romagna n. 46/88. Tale ultima norma prevede,
infatti, il mutamento d’uso solo qualora “si modifica l’uso in atto
dell’unità immobiliare per più del trenta per cento della superficie utile
dell’unità stessa, o per più di trenta metri quadri”. Non risulta, in ogni
caso, che l’intervento in esame si sia discostato dai limiti appena
richiamati. Per quanto considerato, assorbito quant'altro, il ricorso in appello
va accolto.
2.
Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare le spese tra le parti.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione V) accoglie l’appello in
epigrafe e, per l’effetto, annulla la sentenza impugnata e accoglie il ricorso
di primo grado.
Compensa
le spese di giudizio.
Ordina
che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di
consiglio del 15 aprile 2003
, con l'intervento dei sigg.ri
Alfonso
Quaranta
Presidente,
Giuseppe
Farina
Consigliere,
Corrado Allegretta
Consigliere,
Francesco
D’Ottavi Consigliere,
Michele
Corradino
Consigliere estensore.