Cass. Sez. III n. 13826 del 9 aprile 2025 (UP 6 mar 2025)
Pres. Ramacci Est. Macrì Ric. Calandini
Alimenti. Detenzione per la vendita di alimenti in cattivo stato di conservazione insudiciati e in stato di alterazione 

Il reato dell’art. 5 lett. b) e d), legge n. 283 del 1962 tutela il cosiddetto ordine alimentare e prescinde dalla specifica produzione di un danno alla salute per cui basta il pericolo di un danno o il deterioramento dell'alimento, perché è necessario che il prodotto giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura. Integra il reato anche l’assenza di tracciabilità dei prodotti ovvero il mancato rispetto delle prescrizioni normative o delle regole di comune esperienza. 

RITENUTO IN FATTO
    
1.Con sentenza in data 22 marzo 2024 il Tribunale di Benevento ha condannato Erminio Calandini alle pene di legge per il reato dell’art. 5 lett. b) e d), legge n. 283 del 1962, perché, in qualità di titolare dell’esercizio di macelleria all’interno di un supermercato, deteneva per la vendita o comunque distribuiva per il consumo, alimenti in cattivo stato di conservazione, insudiciati e in stato di alterazione. 

2. Il ricorrente eccepisce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine all’accertamento di responsabilità (primo motivo) e in ordine al diniego delle generiche nella massima estensione (secondo motivo). 

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato. 
Il primo motivo sollecita un’inammissibile rilettura delle dichiarazioni testimoniali, alternativa a quella indicata dal Giudice. 
L’imputato sostiene, in contrasto con quanto dichiarato dal luogotenente dei NAS e dal veterinario della ASL, che dalla planimetria era possibile desumere che l’area di scarico merci non era sul retro dell’esercizio né a questo adiacente ma distante e raggiungibile attraverso l’area di passaggio delle carni; che nel congelatore della Findus, che non era nella sua disponibilità, vi era merce di vario tipo non tracciata e non a lui riconducibile; che la carne scaduta non era stata campionata per accertarne la pericolosità; che non erano stati effettuati i tamponi; che la carne rinvenuta nel reparto macelleria non era stata classificata come avariata da cattiva conservazione né come carne pericolosa. Aggiunge che aveva ripristinato immediatamente le condizioni igienico-sanitarie secondo le indicazioni del veterinario e lamenta che il sequestro aveva avuto a oggetto ben 46 chili di carne, sebbene fosse stata rilevata una criticità solo in relazione ad alcuni salumi rinvenuti nel locale scarico di merci, a uso promiscuo anche del supermercato. Deduce ancora che la sentenza aveva omesso di considerare che parte della merce era ben conservata e comunque tracciata, che i coltelli erano puliti nonostante lo sterilizzatore fosse spento e comunque erano stati usati prima del controllo dei NAS, che gli scarti e i residui di lavorazione erano prelevati settimanalmente da una ditta specializzata, che la ruggine era sugli espositori e non sulle griglie, che la manutenzione e la sostituzione degli armadietti e degli arredi non competeva a lui che aveva fittato il ramo d’azienda, che il 90% delle foto prodotte non riguardava la sua attività commerciale, che il laboratorio di lavorazione e trasformazione e le annesse celle non erano celati ma a vista della clientela, che l’ispezione non aveva rilevato criticità al banco vendita. 
Ritiene il Collegio che non sia necessario esaminare tutti gli argomenti presentati dall’imputato, perché la parte relativa al ripristino immediato delle condizioni igienico-sanitarie degli alimenti e la parte relativa alle presunte omissioni della sentenza sono irrilevanti ai fini del controllo sulla motivazione dell’accertamento di responsabilità. La prima parte del motivo, invece, nella quale si contesta l’operato degli accertatori è, come detto, fattuale e rivalutativa. Esorbita pertanto dal perimetro cognitivo del giudice di legittimità, perché, a dispetto della rubrica, non si ravvisa né la violazione di legge, di cui non sono stati neanche esplicitati i termini, né la manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione. A differenza di quanto affermato dall’imputato, il Giudice ha accertato che le merci, prevalentemente carni e salumi, erano conservate in precarie condizioni, in parte, in un locale adibito a scarico merci e, in altra parte, in un congelatore a pozzetto, recante la scritta esterna Findus. Tanto basta ai fini dell’integrazione del reato contestato, sotto il profilo della lettera b), alimenti in cattivo stato di conservazione, e della lettera d), alimenti insudiciati e in stato di alterazione. Infatti, la norma tutela il cosiddetto ordine alimentare e prescinde dalla specifica produzione di un danno alla salute per cui basta il pericolo di un danno o il deterioramento dell'alimento, perché è necessario che il prodotto giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura (Sez. 3, n. 40772 del 05/05/2015, Torcetta, Rv. 264990 – 01). Integra il reato anche l’assenza di tracciabilità dei prodotti (Sez. 3, n. 31035 del 09/06/2016, Greco, Rv. 267378 – 01) ovvero il mancato rispetto delle prescrizioni normative o delle regole di comune esperienza (Sez. 3, n. 16347 del 11/01/2021, Tagliavia, Rv. 281034 – 01). Va precisato, infine, che il reato permane, sebbene l'art. 5, lett. b), della legge 30 aprile 1962, n. 283, sia stato abrogato dall'art. 18 del d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 27, vigente a far data dal 26/03/2021, in quanto il precedente 25/03/2021 è entrato in vigore il d.l. 22 marzo 2021, n. 42, convertito, con modifiche, nella legge 21 maggio 2021, n. 71, che ha modificato l'art. 18 cit., ampliando il novero delle disposizioni delle legge n. 282 del 1962 sottratte all'abrogazione, tra le quali il suddetto art. 5 (Sez. 3, n. 34395 del 16/06/2021, Dragoti,  Rv. 282365 – 01).
Del pari inconsistente è il secondo motivo con cui l’imputato lamenta il diniego delle generiche nella massima estensione. Il Giudice infatti ha motivato l’entità dell’ammenda in relazione all’apprezzabile disvalore di fatti, ciò che esonera da ulteriori approfondimenti perché la pena complessivamente irrogata di euro 2.000, così calcolata, pena base euro 2.000, ridotta per le generiche ad euro 1.500, aumentata per la continuazione come sopra, è stata ritenuta comunque congrua rispetto alle esigenze di individualizzazione della pena ai sensi dell’art. 27 Cost. ( Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, Angelini, Rv. 281217 – 01; Sez. 7, n. 39396 del 27/05/2016, Jebali, Rv. 268475 – 01).  
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata, in ragione della consistenza della causa di inammissibilità del ricorso, in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso, il 6 marzo 2025