Consiglio di Stato Sez. VI  n. 3674 del 12 aprile 2023
Urbanistica.Acquisizione gratuita al patrimonio comunale come sanzione alla inottemperanza di demolizione

L’acquisizione gratuita al patrimonio comunale: costituisce una misura sanzionatoria che consegue automaticamente all'inottemperanza dell'ordine di demolizione, non potendo essere opposta né una qualsivoglia rilevanza del tempo trascorso dalla realizzazione dell'abuso, né l'affidamento riposto eventualmente dall'interessato sulla legittimità delle opere da realizzare, né l'assenza di motivazione specifica sulle ragioni di interesse pubblico perseguite con l'acquisizione stessa; rappresenta una sanzione avente come presupposto la mancata ottemperanza all'ordine di demolizione entro il termine fissato dalla legge; l'effetto traslativo della proprietà – in particolare per quanto concerne il bene oggetto di abuso - avviene invece ipso iure e costituisce l'effetto automatico della mancata ottemperanza all'ingiunzione a demolire l’abuso, ragion per cui il provvedimento di acquisizione presenta per detta parte una natura meramente dichiarativa, non implicando alcuna valutazione discrezionale; di regola, non deve essere preceduto da una comunicazione di avvio, trattandosi di un'azione amministrativa dovuta e rigidamente vincolata, con riferimento alla quale non sono richiesti apporti partecipativi del privato

Pubblicato il 12/04/2023

N. 03674/2023REG.PROV.COLL.

N. 04540/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4540 del 2020, proposto da
Dante Righetti e Paola Speri, rappresentati e difesi dagli avvocati Stefania Cavallo e Giulio Pasquini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Affi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Sergio Segna, Annalisa Giannetti e Francesca Segna, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. 01260/2019, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Affi;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2022 il Cons. Francesco De Luca e uditi per le parti gli avvocati Stefania Cavallo e Annalisa Giannetti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, i Sig.ri Righetti e Speri appellano la sentenza n. 1260/2019, con cui il Tar Veneto ha rigettato il ricorso di prime cure (proposto dagli odierni appellanti) diretto ad ottenere l’annullamento della determinazione n. 81/2019 del Comune di Affi, recante l’accertamento di inottemperanza ad una precedente ordinanza di demolizione, l’acquisizione al patrimonio comunale delle opere abusive e della relativa area di sedime, nonché l’ingiunzione di pagamento di sanzione amministrativa di euro 20.000,00.

In particolare, secondo quanto dedotto in appello:

- con nota del 15.12.2003, n. 7585/1, il Comune di Affi ha comunicato l’avvio di un procedimento sanzionatorio riferito a due fabbricati in costruzione, consistenti: a) in una tettoia lunga 10,20 m e larga 5,00 m, aperta su due lati e di superficie complessiva di 51 mq; b) un’abitazione con larghezza 6,40 m e lunghezza 11,90 m, per una superficie complessiva di circa 65 mq;

- tali immobili ricadono in un’area classificata dal P.R.G. come zona A1 (“complessi di antica origine di notevole valore architettonico e ambientale”), su cui insistevano due corpi di fabbrica (tettoia e ricovero attrezzi) individuati dal catasto austro-ungarico e confermati dal catasto del 1987 come attestato dalla scheda di P.R.G. e dalla documentazione fotografica allegate alla comunicazione di avvio del procedimento;

- con ordinanza n. 1 del 16.2.2004, il Comune ha ordinato agli odierni appellanti il ripristino dello stato dei luoghi descritti alla situazione antecedente la realizzazione delle costruzioni abusive;

- i Sig.ri Righetti e Speri, con istanza del 13.5.2004, hanno chiesto il condono edilizio delle opere abusivamente realizzate, provvedendo, tra l’altro, alla descrizione della situazione degli immobili relativi al nucleo di antica origine (per quanto di interesse, tettoia lunga circa 10 m e ricovero attrezzi);

- l’Amministrazione, in data 12.7.2005, con due distinti provvedimenti, ha rigettato la domanda di condono, ravvisando la non sanabilità delle opere de quibus, nonché ha riemesso l’ordinanza di demolizione;

- i due provvedimenti sono stati impugnati dinnanzi al Tar Veneto con ricorso rigettato dal primo giudice con sentenza (n. 220/06) confermata in appello (sentenza n. 1935/2017);

- gli appellanti hanno presentato, in data 10.8.2018, al Comune di Affi una CILA per il ripristino con demolizione e ricostruzione dello stato dei luoghi alla data dell’ordinanza n. 1/2004, attraverso la demolizione di una parte del fabbricato destinato ad abitazione e la parziale demolizione sul confine nord del muro ricostruito della tettoia e sul lato opposto l’ampliamento della stessa;

- sebbene la CILA indicasse i termini di inizio lavori (1.9.2018) e di conclusione (tre mesi), l’inizio dei lavori si era protratto per la necessità di acquisire il consenso del confinante, proprietario di una parte della tettoia da demolire (nelle more frazionata e trasferita a terzi unitamente ad altra abitazione dell’antica corte);

- l’Amministrazione, in data 31.1.2019, ha effettuato un nuovo sopralluogo, accertando la mancata demolizione degli immobili de quibus, nonché, in data 8.3.2019, ha adottato il provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale e di irrogazione della sanzione pecuniaria di € 20.000,00 per inottemperanza dell’ordine demolitorio;

- tale provvedimento è stato impugnato con ricorso di primo grado, rigettato dal Tar mediante la sentenza odiernamente gravata;

- prima della pubblicazione della sentenza di primo grado, l’Amministrazione, in data 16.10.2019, ha provveduto d’ufficio alla demolizione dei due fabbricati, residuando, per l’effetto, in capo agli appellanti l’interesse alla decisione della controversia per la proposizione di una successiva azione risarcitoria.

2. I ricorrenti in primo grado hanno appellato la sentenza pronunciata dal Tar, deducendone l’erroneità con l’articolazione di plurimi motivi di censura.

3. L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio, resistendo al ricorso.

4. In vista dell’udienza di discussione, le parti hanno depositato documenti, memorie conclusionali e repliche.

5. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 13 ottobre 2022.

6. Con il primo motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha ritenuto che la presentazione della CILA non fosse ostativa all’adozione del provvedimento impugnato in primo grado.

Secondo la prospettazione attorea:

- l’art. 6 DPR n. 380/01 non assoggetterebbe la CILA a termini di inizio e di fine lavori, con la conseguenza che il termine indicato nella comunicazione presentata dai ricorrenti in sede sostanziale doveva ritenersi meramente indicativo, come tale inidoneo, in caso di sua decorrenza, a determinare decadenze a carico delle parti private;

- il Comune avrebbe dovuto, dunque, valutare la possibilità di procedere all’ottemperanza dell’ordinanza di demolizione a mezzo di una CILA, procedendo, in caso negativo, ad adottare un provvedimento inibitorio;

- l’inerzia al riguardo tenuta dal Comune avrebbe dovuto considerarsi come significativa della perdurante possibilità di una spontanea demolizione attraverso la CILA e, dunque, mediante la parziale demolizione dei manufatti in esame e la conservazione delle preesistenze individuate nella CILA stessa;

- il Comune non avrebbe, invece, potuto disporre l’acquisizione al patrimonio comunale e irrogare la sanzione pecuniaria per inottemperanza dell’ordine demolitorio ignorando la pendenza degli effetti della CILA, neppure menzionata nell’atto impugnato in prime cure, e provvedendo ad acquisire per intero gli immobili in difformità rispetto a quanto indicato nella CILA;

- emergerebbe, dunque, un’azione contraddittoria, in quanto il Comune, dapprima, avrebbe reputato ammissibile la demolizione attraverso e ai sensi di quanto indicato nella CILA, per poi adottare un provvedimento ignorando tale comunicazione, come se non fosse stata mai presentata;

- nel caso in esame, i ricorrenti si erano, peraltro, attivati per l’ottemperanza, venendo, dunque, meno il presupposto per l’acquisizione al patrimonio comunale;

- l’ordinanza da ottemperare ingiungeva il mero rispristino dell’assetto edilizio originario accertato nel sopralluogo dell’11.12.2003, in cui era stata constatata la preesistenza nell’area in esame di due manufatti destinati a deposito di attrezzi agricoli, schedati nel PRG comunali e insistenti in un’area classificata come complessi di antica origine di notevole valore architettonico e ambientale.

In definitiva, “il Comune di Affi ha successivamente proceduto all’acquisizione degli immobili per intero senza alcuna motivazione in ordine alla CILA presentata e senza in alcun modo valutare i suddetti effetti della CILA medesima, limitandosi a richiamare l’ordinanza di demolizione emessa quasi quindici anni prima” (pag. 11 ricorso in appello).

7. Per ragioni di connessione, il primo motivo di appello deve essere scrutinato unitamente al secondo motivo di appello, diretto a censurare il capo decisorio con cui il Tar ha escluso che il provvedimento di acquisizione riguardasse opere diverse da quelle identificate nell’ordinanza di demolizione n. 1/2005.

Difatti, secondo quanto ritenuto dagli appellanti, l’ordinanza di demolizione faceva salve le preesistenze individuate ed antecedenti alle opere abusive di ristrutturazione realizzate, mentre l’atto impugnato in prime cure riguardava i manufatti nella loro interezza, senza considerare le relative preesistenze, di cui lo stesso verbale di accertamento del 2003 dava espressamente atto.

Si farebbe questione di fabbricati preesistenti oggetto di ampliamento e di trasformazione nei fabbricati oggetto di demolizione, con la conseguenza che le opere abusive da demolire consistevano proprio nell’ampliamento e nella trasformazione di tali manufatti (come emergente pure dai docc. 5 e 6 della produzione attorea di prime cure).

Ricorrerebbe, dunque, una divergenza tra l’oggetto dell’ordine di demolizione e l’oggetto dell’atto di acquisizione al patrimonio comunale; né potrebbe diversamente argomentarsi sostenendo che le preesistenze non sarebbero più distinguibili in quanto inglobate nella ricostruzione, trattandosi di valutazione non emergente dal provvedimento impugnato, frutto di un’inammissibile motivazione postuma fornita dal Comune soltanto in giudizio.

Il Tar avrebbe pure ignorato la documentazione tecnica allegata alla CILA, oltre che la descrizione in essa riportata, diretta ad individuare chiaramente dette preesistenze.

8. Le questioni oggetto dei primi due motivi di appello riguardano, da un lato, la rilevanza della CILA presentata dai ricorrenti in sede sostanziale e, in specie, la necessità per l’Amministrazione di statuire su detta CILA - nell’esercizio dei poteri inibitori di cui è attributaria - prima di determinarsi nel senso dell’acquisizione al proprio patrimonio dei beni per cui è causa; dall’altro, la divergenza tra quanto oggetto di ordine di demolizione e quanto acquisito al patrimonio comunale.

9. Prima di analizzare le censure attoree, giova soffermarsi:

- sulla natura e sui presupposti di adozione del provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale ex art. 31, comma 3, DPR n. 380/01, evidenziando come, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, si sia in presenza di un atto dichiarativo di effetti giuridici (acquisitivi al patrimonio comunale) già prodottisi sul piano sostanziale, assunto sulla base della mera constatazione della mancata tempestiva ottemperanza di un pregresso ordine di demolizione;

- sulla natura della CILA quale titolo abilitativo all’esercizio dell’attività edilizia.

9.1 Sotto il primo profilo di indagine, come precisato da questo Consiglio, l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale:

- costituisce una misura sanzionatoria che consegue automaticamente all'inottemperanza dell'ordine di demolizione, non potendo essere opposta né una qualsivoglia rilevanza del tempo trascorso dalla realizzazione dell'abuso, né l'affidamento riposto eventualmente dall'interessato sulla legittimità delle opere da realizzare, né l'assenza di motivazione specifica sulle ragioni di interesse pubblico perseguite con l'acquisizione stessa (tra gli altri, Consiglio di Stato, sez. VI, 12 maggio 2020, n. 2990);

- rappresenta una sanzione avente come presupposto la mancata ottemperanza all'ordine di demolizione entro il termine fissato dalla legge; l'effetto traslativo della proprietà – in particolare per quanto concerne il bene oggetto di abuso - avviene invece ipso iure e costituisce l'effetto automatico della mancata ottemperanza all'ingiunzione a demolire l’abuso, ragion per cui il provvedimento di acquisizione presenta per detta parte una natura meramente dichiarativa, non implicando alcuna valutazione discrezionale (tra gli altri, Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 agosto 2020, n. 5158);

- di regola, non deve essere preceduto da una comunicazione di avvio, trattandosi di un'azione amministrativa dovuta e rigidamente vincolata, con riferimento alla quale non sono richiesti apporti partecipativi del privato (Consiglio di Stato Sez. VI, 25 giugno 2019, n. 4336).

Alla stregua di tali rilievi, emerge che i presupposti giustificativi dell’atto di acquisizione gratuita, di cui dare conto in sede motivazionale, sono rappresentati dall’esistenza di un ordine di demolizione e dalla sua ingiustificata e imputabile inottemperanza, protrattasi oltre novanta giorni, da parte del soggetto tenuto a darvi attuazione: deve, dunque, darsi continuità all’indirizzo esegetico per cui “l’ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio comunale di un'opera abusiva si configura quale atto dovuto, privo di discrezionalità, subordinato al solo accertamento dell'inottemperanza dell’ingiunzione di demolizione ed al decorso del termine di legge” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 ottobre 2021, n. 6888).

9.2 Sotto il secondo profilo di indagine, si rileva che la CILA rappresenta uno strumento di liberalizzazione delle attività economiche, non più sottoposte ad un controllo amministrativo di tipo preventivo, ma avviabili sulla base di una mera comunicazione da sottoporre al successivo controllo amministrativo: l'attività viene consentita direttamente per effetto della dichiarazione con cui il privato attesta la sussistenza dei presupposti prescritti dalla legge (in termini, Consiglio di Stato, Sez. IV, 23 aprile 2021, n. 3275).

Perché possa produrre effetti giuridici, la comunicazione di parte deve rispondere al modello tipizzato dal legislatore, occorrendo, pertanto, che le attività in concreto avviate siano riconducibili alle fattispecie astratte per cui è ammesso l’utilizzo del relativo istituto.

Si è, dunque, in presenza di un ulteriore titolo (non avente natura amministrativa) abilitativo all’esecuzione di interventi edilizi, teso a permettere lo svolgimento di attività non obbligatorie, che la parte intende avviare per la realizzazione di un proprio interesse concreto.

9.3 Alla luce di tali rilievi, devono ritenersi infondate le censure attoree tendenti a valorizzare la presentazione di una CILA in dichiarata ottemperanza di un pregresso ordine di demolizione, trattandosi di una comunicazione inefficace, sia perché posta in essere da soggetti che non potevano più ritenersi titolari dei beni in parola, sia perché impiegata al di fuori del proprio ambito applicativo tipico, non riguardante opere di demolizione in esecuzione di una pregressa sanzione ripristinatoria.

9.4 In particolare, come osservato, l’ingiustificata inottemperanza, nel termine di novanta giorni, dell’ordine di demolizione comporta, quale conseguenza automatica, l’acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale.

Nel caso di specie, alla stregua di quanto emergente dalle stesse deduzioni svolte in appello, l’Amministrazione aveva assunto un ordine di demolizione già in data 12.7.2005: tale ordine non soltanto era certamente conosciuto dagli odierni appellanti, in quanto dagli stessi impugnato dinnanzi al Tar Veneto, ma è stato pure confermato in giudizio, sia in primo grado (sentenza n. 220/2006 del Tar) che in appello (sentenza n. 1935/2017 di questo Consiglio).

La CILA invocata a fondamento dell’appello è stata comunicata in data 10.8.2018.

Emerge, dunque, che, in assenza di una spontanea ottemperanza dell’ordine di demolizione, le opere in parole dovevano ritenersi già apprese al patrimonio comunale, quale conseguenza automatica dell’ingiustificata inottemperanza della sanzione ripristinatoria.

Al tempo in cui gli odierni appellanti hanno presentato la CILA in esame, gli stessi non potevano, pertanto, ritenersi titolari delle opere oggetto di comunicazione, facendosi questione di beni già appresi al patrimonio comunale: ne deriva il difetto di legittimazione a comunicare lo svolgimento di interventi edilizi su beni altrui, non più rientranti nella disponibilità giuridica dei soggetti procedenti.

9.5 In ogni caso, si rileva che la CILA non costituisce un titolo abilitativo alla demolizione di opere abusive.

Tale comunicazione, come osservato, mira a soddisfare l’interesse della parte procedente ad eseguire un intervento edilizio non imposto, ma programmato ed eseguito spontaneamente, nell’esercizio dello ius aedificandi, per la realizzazione di proprie esigenze.

Attraverso la CILA non potrebbe, invece, mutarsi il regime dell’ottemperanza dell’ordine demolitorio, direttamente delineato dal legislatore (art. 31, comma 3, DPR n. 380/01) e incentrato sulla doverosa attivazione della parte proprietaria o responsabile dell’abuso, nel termine di novanta giorni dall’irrogazione della sanzione ripristinatoria.

Nella specie, dunque, a fronte di un ordine di demolizione risalente ad anni prima, gli odierni appellanti non avrebbero potuto, attraverso la CILA, fissare nuovi termini di ottemperanza o definire diverse modalità di demolizione, risultando l’attività ripristinatoria interamente regolata da disposizioni imperative e da titoli amministrativi, che definiscono il dies ad quem per la tempestiva demolizione e le opere all’uopo da rimuovere.

9.6 A fronte di un ordine di demolizione (risalente ad anni prima e pure confermato nel doppio grado di giudizio) non tempestivamente osservato, ai fini della dichiarazione di un effetto acquisitivo già prodottosi, ope legis, sul piano sostanziale, l’Amministrazione comunale non era, pertanto, tenuta a svolgere un accertamento ulteriore rispetto a quello concretamente operato, riferito all’ingiustificata inottemperanza della sanzione ripristinatoria entro il termine di legge.

L’appello è, pertanto, infondato nella parte in cui tende a dedurre una carenza motivazionale dell’agire amministrativo o, comunque, un difetto di istruttoria, per la mancata considerazione della presentazione di una CILA influente sulla demolizione.

Tale comunicazione non soltanto risultava inefficace perché promanante da soggetti non più nella disponibilità dei beni cui la stessa si riferiva (che, dunque, risultavano carenti di legittimazione a disporre su beni altrui), ma anche perché impiegata in relazione ad un’attività edilizia (demolizione imposta da un pregresso ordine di demolizione) non rientrante nell’ambito applicativo tipico del relativo istituto, per come delineato dall’art. 6-bis DPR n. 380/01: sicché, emergendo una fattispecie concreta non sussumibile sotto la portata applicativa della CILA e, dunque difettando i relativi presupposti di operatività, la comunicazione comunque inoltrata non avrebbe potuto produrre i relativi effetti tipici.

A fronte di una comunicazione inefficace, nessun obbligo motivazionale incombeva sull’Amministrazione procedente, difettando un titolo idoneo ad impedire l’adozione del provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale, sufficientemente motivato sulla base della constatazione della ingiustificata mancata tempestiva ottemperanza di un ordine demolitorio.

9.7 Non potrebbe argomentarsi diversamente, invocando il comportamento inerte tenuto dall’Amministrazione.

Come precisato dalla giurisprudenza amministrativa, "il principio dell'affidamento trova la sua giustificazione nella circostanza che il privato possa confidare nella stabilità di un atto amministrativo, quando abbia ragione di ritenere che l'atto sia legittimo e comunque abbia prodotto i suoi effetti per lungo tempo, senza che sia intervenuto alcun "rilievo" da parte dell'amministrazione che lo ha emanato" (CGA, 23 maggio 2017, n. 243).

Affinché possa riscontrarsi una posizione di legittimo affidamento, occorre, dunque, che la parte privata sia stata beneficiata da un pregresso atto amministrativo, costitutivo di una situazione di vantaggio acquisita in buona fede, consolidatasi nel proprio patrimonio giuridico per via del decorso di un apprezzabile periodo temporale.

Anche in ambito unionale è stato precisato che il diritto di avvalersi del principio di tutela del legittimo affidamento si estende a ogni individuo in capo al quale un'autorità amministrativa nazionale abbia fatto sorgere fondate speranze a causa di assicurazioni precise, incondizionate e concordanti, provenienti da fonti autorizzate e affidabili, che essa gli avrebbe fornito (Corte di Giustizia, 31 marzo 2022, in causa C 195-21, punto 65).

Nel caso di specie, nessuna rassicurazione risultava fornita dall’Amministrazione in ordine alla conservazione della proprietà in capo agli odierni appellanti o, comunque, alla possibilità di differire gli effetti acquisitivi o di ostacolare l’atto di acquisizione al patrimonio comunale attraverso la presentazione di una CILA.

Difettava, dunque, un atto, ascrivibile all’Amministrazione, suscettibile di ingenerare un legittimo affidamento leso con il provvedimento impugnato in primo grado.

9.8 Neppure potrebbe configurarsi un silenzio amministrativo suscettibile di ingenerare negli appellanti la convinzione della possibilità di impiegare la CILA per regolare l’attività di demolizione imposta: in assenza di provvedimenti espressi o impliciti, la mera inerzia potrebbe rilevare sub specie iuris se protratta oltre i termini all’uopo fissati per la pronta reazione amministrativa, come avviene in materia di segnalazione certificata di inizio attività ex art. 19 L. n. 241/90, in cui sussistono rigorosi termini da rispettare per l’esercizio del potere inibitorio, decorsi i quali può effettivamente riconoscersi in capo al segnalante un affidamento sulla conservazione delle utilità comunque acquisite sulla base di un atto (proprio) efficace non seguito da una pronta reazione amministrativa.

Con riferimento al caso di specie, tuttavia, non soltanto non è previsto in materia di CILA un termine per il tempestivo esercizio del potere conformativo o inibitorio, ma si discorreva comunque di una CILA inefficace perché presentata da soggetti non legittimati e in relazione ad attività sottratte all’ambito applicativo del relativo istituto, con la conseguenza che la condotta inerte dell’Amministrazione non avrebbe potuto, in ogni caso, costituire in capo agli appellanti alcuna posizione di legittimo affidamento, non desumibile dal mero silenzio.

9.9 L’appello è infondato anche nella parte in cui tende a denunciare un difetto di corrispondenza tra quanto oggetto dell’ordine demolitorio e quanto oggetto del provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale.

Nel diniego di condono si precisava che, diversamente da quanto descritto dalla parte privata nella domanda di sanatoria, nella specie non si faceva questione di ampliamento e trasformazione, ma di demolizione delle preesistenze con la realizzazione dell’abitazione e della tettoia annessa.

In particolare, dal doc. 7 della produzione attorea di primo grado (recante il diniego dell’istanza di condono) emerge che:

- l’istanza di condono risultava relativa “ai lavori di ristrutturazione ed ampliamento di un fabbricato con demolizione e ricostruzione di una tettoia adibita ad uso garage…”;

- nella comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda, si dava tuttavia atto che l’oggetto dell’istanza, “diversamente da quanto proposto, è la demolizione di una pertinenza e tettoia per la realizzazione di un nuovo manufatto ad uso residenziale con tettoia ad uso garage….”;

- il medesimo rilievo, riguardante un oggetto dell’istanza di condono riferito alla demolizione di una pertinenza e tettoia per la realizzazione di un nuovo manufatto ad uso residenziale con tettoia ad uso garage, è stato operato nel dispositivo del diniego di condono e, dunque, concorreva a delineare la regula iuris posta dall’Amministrazione con il relativo provvedimento.

Anche l’ordine di demolizione del 12.7.2005 aveva ad oggetto lo stesso bene descritto nel diniego di condono, facendosi pur sempre riferimento (attraverso il rinvio alla determinazione n. 6406/2005) ad un intervento edilizio concernente un “nuovo manufatto ad uso residenziale con tettoia ad uso garage”.

Ne deriva che il ripristino dello “stato dei luoghi descritti alla situazione antecedente la realizzazione delle costruzioni abusive” non poteva che determinare la demolizione del “nuovo manufatto ad uso residenziale con tettoia ad uso garage”, edificato abusivamente in sostituzione di una pertinenza e tettoia preesistenti.

Rimasto inottemperato l’ordine di demolizione, l’Amministrazione ha, dunque, correttamente acquisito al patrimonio comunale un immobile (costruito su terreno sfalsato, in muratura antichizzata in sasso a vista) e una tettoia (aperta su due lati, appoggiata in parte su muro di contenimento terreno e in parte su muro in laterizio intonacato), costituenti esattamente gli immobili (nuovo manufatto e tettoia) che avevano formato oggetto dell’ordine di demolizione.

In definitiva, il Comune odierno appellato non era tenuto a motivare in ordine alla parte di opere preesistenti non interessate dall’abuso, come tali da conservare: l’ordine di demolizione e lo stesso diniego di condono davano conto di come non sussistessero preesistenze, in quanto la pertinenza e l’originaria tettoia erano state demolite spontaneamente dal privato per la realizzazione di un nuovo manufatto e di una tettoia interamente abusivi.

Tali opere - che avevano dato luogo, anziché ad una trasformazione di un organismo edilizio preesistente, alla sua integrale demolizione con la realizzazione di nuove “costruzioni abusive” (locuzione pure impiegata nell’ordine di demolizione, a dimostrazione di come si facesse questione di una nuova costruzione e non di una ristrutturazione edilizia) – in quanto interamente abusive, avrebbero dovuto essere interamente demolite, con la conseguenza che l’ingiustificata inottemperanza della sanzione ripristinatoria in concreto occorsa avrebbe determinato ope legis l’acquisto al patrimonio comunale sia dell’immobile costruito su terreno sfalsato, sia della tettoia appoggiata sul muro di contenimento e su quello in laterizio intonacato.

9.10 Non potrebbe diversamente argomentarsi sulla base del verbale di sopralluogo del 2003 (doc. 2 produzione attorea di primo grado).

In primo luogo, si tratta di un atto anteriore rispetto alla sanzione ripristinatoria inottemperata, cui solo deve aversi riguardo per perimetrare le opere da demolire e, in caso di ingiustificata inottemperanza, da acquisire al patrimonio comunale.

In secondo luogo, si rileva che in tale verbale non è stata accertata la perdurante esistenza degli immobili originariamente ubicati in sito, ma soltanto la realizzazione di due nuove costruzioni, le uniche riscontrate al momento della verifica amministrativa. Il riferimento al riordino di ruderi già esistenti formava oggetto di una dichiarazione di parte (avendo il Sig. Righetti dichiarato di non ritenere necessario il permesso di costruire, perché “pensava di riordinare dei ruderi già esistenti”), ma non connotava la puntuale descrizione delle nuove costruzioni operata dagli agenti accertatori (che di contro davano atto della circostanza per cui “su tale terreno erano in fase di costruzione dure fabbricati…”).

9.11 L’operato amministrativo risultava, in definitiva, teso a sanzionare un intervento sine titulo che si era tradotto nella demolizione degli originari manufatti e nella nuova costruzione di un’abitazione con pertinenza, senza la possibilità di distinguere tra opere preesistenti, non più autonomamente riscontrabili, e opere di nuova costruzione.

Pertanto, l’ordine di ripristino e, di conseguenza, lo stesso provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale non potevano che riferirsi alle uniche costruzioni al tempo esistenti, senza la possibilità di conservare gli originari manufatti che ormai avevano perso la loro individualità e non risultavano più autonomamente distinguibili.

A fronte di un tale contesto fattuale, l’Amministrazione, correttamente, si è limitata a disporre l’acquisizione al patrimonio delle intere opere, senza il riferimento a preesistenze da conservare, di cui non vi era traccia nell’ordine da ottemperare.

9.11 Risulta, invece, irrilevante ai fini dell’odierno giudizio il pagamento delle imposte gravanti sulla proprietà, riguardando un profilo tributario esulante dalle questioni amministrative devolute alla cognizione di questo Consiglio, da risolvere sulla base del raffronto tra la sanzione ripristinatoria e l’atto di acquisizione al patrimonio comunale.

10. Con il terzo motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha ritenuto inammissibile la doglianza articolata in prime cure e diretta a rilevare l’afferenza del provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale anche ad opere di proprietà aliena.

10.1 In particolare, la tettoia nelle more sarebbe stata frazionata e trasferita a terzi, con la conseguenza che l’Amministrazione avrebbe dovuto adottare il provvedimento di acquisizione nei confronti di tutti i proprietari, altrimenti non emergendo un titolo valido per l’immissione nel possesso dei beni in esame, con conseguente sua illegittimità.

10.2 Il motivo di appello è infondato.

10.3 L’adozione del provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale con riguardo a beni di proprietà aliena, lungi dal costituirne un vizio di legittimità, determina solo l'inefficacia del provvedimento limitatamente alle opere di titolarità dei soggetti terzi, non attinti dall’atto amministrativo.

Trattasi, peraltro, di causa di inefficacia che potrebbe essere fatta valere dalla sola parte interessata, a vantaggio della quale sono poste le disposizioni regolanti l’adozione e la notificazione del provvedimento amministrativo.

Come osservato, l’effetto acquisitivo al patrimonio comunale costituisce una conseguenza automatica dell’inottemperanza ingiustificata dell’ordine demolitorio: l'atto di acquisizione al patrimonio comunale assume, pertanto, natura dichiarativa, costituendo il titolo per l'immissione in possesso e per la trascrizione dell'acquisto della proprietà in capo al Comune (Consiglio di Stato, sez. VI, 21 settembre 2022, n. 8129).

La mancata adozione del provvedimento nei confronti di alcuni dei proprietari – nella specie titolari di una porzione della tettoia – comporta l’impossibilità, per l’Amministrazione, di invocare un titolo per l’immissione in possesso nella quota di bene di titolarità aliena, facente capo a soggetti non risultati destinatari dell’atto acquisitivo: ciò, invece, non influisce sulla legittimità del provvedimento assunto nei confronti delle parti destinatarie, cui è stata ritualmente manifestata la pretesa amministrativa.

In definitiva, l’Amministrazione non potrebbe porre il provvedimento impugnato in prime cure a base dell’impossessamento della porzione di tettoia trasferita a terzi, estranei al provvedimento, ma poteva validamente ed efficacemente agire nei confronti degli odierni appellanti, per le opere che risultavano agli stessi ascrivibili.

11. Con il quarto motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha escluso l’illegittimità della sanzione pecuniaria irrogata con l’atto impugnato in primo grado.

11.1 Si tratterebbe di sanzione introdotta da una disciplina sopravvenuta, non applicabile ai fatti di causa, da ritenere soggetti al regime vigente al momento della scadenza del termine di 90 giorni per l’esecuzione dell’ordine di demolizione. Una soluzione contraria condurrebbe all’inammissibile applicazione retroattiva di una misura sanzionatoria.

Peraltro, nella specie il Comune avrebbe consentito ai ricorrenti di procedere spontaneamente all’adempimento dell’ordine di demolizione e gli effetti della relativa attività sarebbero disciplinati dalla CILA presentata in sede sostanziale; il che escluderebbe l’inottemperanza alla base dell’irrogazione della sanzione pecuniaria.

11.2 Il motivo di appello è infondato.

11.3 Nel rinviare a quanto osservato nella disamina del primo e del secondo motivo di appello in ordine all’assenza di un affidamento legittimo suscettibile di derivare dalla presentazione della CILA per cui è causa e, comunque, alla sua irrilevanza ai fini della determinazione del regime demolitorio e acquisitivo al patrimonio comunale, nella presente sede deve escludersi che, attraverso l’irrogazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 31, comma 4-bis, DPR n. 380/01, si sia fatto luogo ad un’applicazione retroattiva di sanzioni afflittive.

Al riguardo, il Collegio intende dare seguito all'indirizzo giurisprudenziale in forza del quale "gli abusi edilizi hanno natura di illeciti permanenti in quanto la lesione dell'interesse pubblico all'ordinato e programmato assetto urbanistico del territorio si protrae nel tempo sino al ripristino della legittimità violata (Cons. Stato, Sez. VI, 3/1/2019, n. 85; 4/6/2018, n. 3351; 29/1/2016, n. 357). Da ciò consegue che la mancata esecuzione dell'ordinanza n. 4/2012, proseguita dopo l'entrata in vigore del menzionato comma 4-bis, imponeva l'applicazione della sanzione da quest'ultimo prevista, senza che ciò implicasse violazione dell'invocato principio di irretroattività delle norme che introducono misure sanzionatorie" (Consiglio di Stato, sez. VI, 16 aprile 2019, n. 2484).

Per l'effetto, facendosi questione di un illecito permanente – e, secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, permanendo, in capo alla parte privata, il potere e al tempo stesso l’obbligo di ottemperare un ordine demolitorio, attraverso il ripristino dello status quo anteriore rispetto alla commissione dell’abuso –, protrattasi per più di novanta giorni oltre l'entrata in vigore dell'art. 17, comma 1, lett. q-bis), D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 2014, n. 164 - con cui è stata introdotta la nuova fattispecie sanzionatoria ex art. 31, comma 4 bis, cit. - non potrebbe ravvisarsi alcuna violazione del principio di irretroattività, risultando applicata la disciplina vigente al tempo di commissione dell'asserito illecito (in pendenza del periodo, protratto nel tempo, di sua consumazione).

Il che, del resto, risponde all’indirizzo accolto anche dalla giurisprudenza ordinaria, secondo cui “Gli illeciti amministrativi contemplati dal D.P.R. 19 dicembre 2001, n. 380, art. 31, comma 4-bis - introdotto del D.L. 12 settembre 2014, n. 133, art. 17, comma 1, lett. q-bis) - e dalla L.R. Lazio 11 agosto 2008, n. 15, art. 15, comma 3, hanno carattere permanente, in quanto con il vano decorrere del termine nelle norme medesime contemplato per la spontanea ottemperanza non vengono meno nè gli interessi tutelati da dette previsioni nè il dovere del destinatario dell'ingiunzione a demolire di dare ottemperanza, anche tardiva, al legittimo ordine dell'autorità. Conseguentemente, da un lato, il termine di prescrizione di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 28, non decorre prima momento della cessazione della permanenza, dall'altro lato, le previsioni medesime sono applicabili anche all'inottemperanza rispetto ad ingiunzioni a demolire notificate in epoca anteriore alla loro entrata in vigore, a condizione che l'inottemperanza medesima, quale che sia stata la sua durata pregressa, si protragga per ulteriori novanta giorni successivamente alla data di entrata in vigore delle suddette previsioni” (Cass. civ., Sez. II, 19 luglio 2022, n. 22646).

Alla luce di tali rilievi deve pervenirsi al rigetto del motivo di appello, essendosi protratta nella specie, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 12 settembre 2014, n. 133 (art. 17, comma 1, lett. q-bis) e per i successivi novanta giorni, la condotta inottemperante degli odierni appellanti, posta in essere in violazione di un pregresso ordine demolitorio, con conseguente integrazione degli elementi costitutivi di cui all’art. 31, comma 4-bis, DPR n. 380/01 nella formulazione vigente al momento dell’adozione del provvedimento impugnato in primo grado.

12. Con il quinto motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha escluso l’indeterminatezza dell’oggetto dell’acquisizione al patrimonio comunale.

12.1 Secondo la prospettazione attorea, l’ordinanza di demolizione non individuerebbe in maniera puntuale l’area di sedime e le relative pertinenze, così come il verbale di accertamento dell’inottemperanza e il provvedimento di acquisizione non conterrebbero alcuna valutazione sul rispetto del limite di legge, riferito al decuplo dell’area di sedime.

12.2 Il motivo di appello è infondato.

12.3 Premessa l’irretrattabilità nella presente sede dell’ordine di demolizione, ormai consolidatosi a seguito del rigetto definitivo del ricorso contro lo stesso prodotto, in subiecta materia deve riaffermarsi il principio per cui, “mentre per l’area di sedime, stante l’automatismo dell’effetto acquisitivo che si verifica ope legis per effetto della mera inottemperanza all’ordine di demolizione, è superflua ogni motivazione ulteriore rispetto alla semplice identificazione dell’abuso, per l’individuazione dell’ulteriore area «necessaria» occorre uno specifico supplemento motivazionale” (tra gli altri, Consiglio di Stato, sez. VI, 16 febbraio 2022, n. 1151).

Avuto riguardo al caso di specie, emerge che il provvedimento di acquisizione, da un lato, reca una specifica determinazione dei beni acquisiti al patrimonio comunale, dall’altro, rinvia comunque al verbale di accertamento dell’inottemperanza del 31.1.2019.

Sotto il primo profilo, nel provvedimento per cui è causa si dispone espressamente di “acquisire al patrimonio del Comune di Affi, …, le opere realizzate in assenza di titolo abilitativo edilizio di cui all’Ordinanza del Responsabile dell’Area Tecnica n. 1/2005 del 12.07.2005, così descritte: Fabbricato A): tettoia, lunga 10,20 m., larga 5,00 m., alta nella parte anteriore 3,10 m. e nella parte posteriore 4,10 m., aperta su due lati, appoggiata in parte su muro di contenimento in sasso a vista e in parte su muro in laterizio intonacato. La tettoia è composta da pilastri in mattoni, sostenenti un tetto in legno a uno spiovente, ricoperto da coppi, per una superficie complessiva di 51 metri quadrati; Fabbricato B): immobile costruito su terreno sfalsato, in muratura antichizzata in sasso a vista, a forma rettangolare con larghezza di 6,40 m., lunghezza di 11,90 m., altezza posteriore in gronda di 3,00 m., altezza anteriore in gronda di 4,10 m. e altezza al colmo di 4,80 m., con tetto in legno ricoperto di coppi”.

Nello stesso provvedimento si disponeva di acquisire al patrimonio comunale anche la relativa area di sedime individuata nel verbale di sopralluogo eseguito in data 31 gennaio 2019, corrispondente alla particella catastale individuata al Fg. n. 4, mapp. n. 394.

Tale verbale di sopralluogo (doc. 8 produzione comunale di primo grado) recava un’analoga descrizione delle opere de quibus, provvedendo, altresì, ad attestare che “le opere abusivamente eseguite insistono su un’area di sedime catastalmente identificata al Fgl. N. 4, mapp. N. 394, di circa mq 405, alla quale si accede dalla strada comunale di Via Brojare attraverso strada privata di altre proprietà ricadente su particelle così identificate Fgl n. 4, mapp. N. 18-379-81, di circa 120 mq”.

Dalla lettura combinata del provvedimento di acquisizione e del verbale di sopralluogo si evince:

- da un lato, la chiara e puntuale descrizione degli immobili acquisiti al patrimonio comunale, anche attraverso la specificazione dei materiali di costruzione e delle dimensioni; il verbale di accertamento recava in allegato anche riproduzioni fotografiche idonee a identificare il manufatto ad uso abitazione e la tettoia;

- dall’altro, la volontà dell’Amministrazione di acquisire l’area “di sedime” (in tali termini identificata sia nel provvedimento che nel verbale di sopralluogo), con la conseguenza che la perdita della proprietà privata si è avuta in relazione alla sola area su cui insistevano i beni abusivi (“di sedime”), senza interessamento di aree ulteriori in ipotesi ritenute necessarie ai fini comunali.

I riferimenti catastali operati dall’Amministrazione, in assenza di altri elementi di valutazione, a fronte del chiaro riferimento alla sola area di sedime, devono dunque essere intesi come volti ad individuare l’area territoriale su cui insistevano le opere abusive, senza possibilità di apprensione di aree ulteriori di cui non vi è una specifica disamina in sede amministrativa.

Per l’effetto, anche sotto tale profilo, l’appello deve essere rigettato, tenuto conto che l’Amministrazione, una volta puntualmente individuate le opere apprese al patrimonio comunale (come nella specie avvenuto), non era tenuta a motivare sulle ragioni di acquisizione delle relative aree di sedime, rientrando tali beni già nell’effetto acquisitivo ope legis prodottosi sul piano sostanziale.

13. Alla luce dei rilievi svolti, l’appello deve essere rigettato.

14. La regolazione delle spese di giudizio del grado di appello deve avvenire in applicazione del criterio della soccombenza, con imputazione a carico degli appellanti e in favore dell’Amministrazione comunale costituita, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna in solido i Sig.ri Dante Righetti e Paola Speri al pagamento, in favore del Comune di Affi, delle spese di giudizio del grado di appello, liquidate nella complessiva somma di € 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge ove dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente

Stefano Toschei, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Francesco De Luca, Consigliere, Estensore

Marco Poppi, Consigliere