Consiglio di Stato Sez. II n. 6018 del 10 luglio 2025
Urbanistica.Agibilità degli edifici

Con l’entrata in vigore del d.P.R. n. 380 del 2001, la “abitabilità” cede il passo (a seguito dell’abrogazione sia dell’art. 220 del T.U.L.S. che del d.P.R. n. 425/1994) alla omnicomprensiva “agibilità”, siccome riferita a qualsivoglia tipologia di edificio, non solo di natura abitativa. Il relativo termine sopravvive pertanto esclusivamente nel gergo degli operatori del settore, che continuano ad utilizzarlo in relazione agli immobili a destinazione residenziale per distinguerli da quelli con diversa destinazione d’uso, per i quali quello nuovo di “agibilità” si palesa anche etimologicamente più confacente. Con il d.lgs. 25 novembre 2016, n. 222, che ha ricondotto la certificazione al regime della s.c.i.a., il requisito di conformità è stato riportato sin nella norma definitoria (art. 24) che include espressamente la «conformità dell’opera al progetto presentato» tra le cose che il tecnico deve asseverare all’atto della presentazione della dichiarazione, unitamente peraltro alla sua «agibilità». Il richiamo conclusivo alla stessa, all’apparenza ultroneo, ove non del tutto pleonastico, assume piuttosto il significato di voler raccogliere in un unico termine tutti gli aspetti di regolarità necessari, riassumendone l’elencazione, senza neppure esaurirsi in essa vista la variegata gamma delle destinazioni d’uso degli immobili. L’agibilità dei manufatti o dei locali dove si intende svolgere un’attività commerciale, ad esempio, rappresenta il necessario ponte di collegamento fra la situazione urbanistico-edilizia e quella commerciale nel senso che la non conformità dei locali per il versante urbanistico-edilizio si traduce nella loro non agibilità anche sul versante commerciale. All’inverso, ai fini dell’agibilità, è necessario che il manufatto o il locale sia assistito dallo specifico titolo edilizio abilitativo e, più in generale, che lo stesso non rivesta carattere abusivo, esigendosi, in tal modo, una corrispondenza biunivoca tra conformità urbanistica dei beni ospitanti l’attività commerciale e l’agibilità degli stessi.

Pubblicato il 10/07/2025

N. 06018/2025REG.PROV.COLL.

N. 07405/2024 REG.RIC.

logo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7405 del 2024, proposto da -OMISSIS- in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Ricciardelli, Luigi Ricciardelli e Giovanni Verde, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Salvatore Coletta in Roma, viale Giuseppe Mazzini 114/B,

contro

il Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Vincenzo Capuano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Campania, Sezione V, n. -OMISSIS-, resa inter partes, concernente l’archiviazione della richiesta di AUA e della SCIA per l’attività di commercio all’ingrosso a seguito dell’accertamento della realizzazione di opere abusive e conseguente ordine di demolizione e rimessa in pristino dello stato dei luoghi.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 maggio 2025 il consigliere Giovanni Sabbato e uditi per le parti gli avvocati Luigi Ricciardelli, Giovanni Verde e Vincenzo Capuano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso n. 3128/2023, proposto innanzi al T.a.r. Campania, la società-OMISSIS- (di seguito anche la società) aveva chiesto l’annullamento:

a) dell’atto prot. n. 20606 del 12.6.2023, con il quale il Responsabile dello Sportello Unico Attività Produttive di -OMISSIS-, previa acquisizione del parere negativo del Settore Assetto del Territorio, ha disposto – tra l’altro – l’archiviazione della richiesta di AUA prodotta dalla-OMISSIS- il 19.4.2013 e della SCIA presentata in data 11.5.2023 per l’attività di commercio all’ingrosso, in base al rilievo che “la struttura risulta tuttora priva di idonea documentazione comprovante il requisito dell’agibilità dell’impianto”;

b) dell’atto prot. n. 23015 del 30.6.2023, col quale lo stesso Responsabile del Settore SUAP, a seguito di istanza del 21.6.2023 di revoca/annullamento, ha confermato la precedente archiviazione, motivandola con riferimento al secondo parere negativo del Responsabile del Settore Assetto del Territorio prot. n. 22548 del 27.6.2023 “attesa la permanenza della carenza della documentazione comprovante l’agibilità dell’impianto”;

c) dell’archiviazione della SCA 26.10.2023 in uno agli atti preordinati, connessi e consequenziali, tra i quali la nota SUAP prot. n. 0033217 del 21.9.2023, con la quale il Comune di -OMISSIS- ha avviato il riesame delle pratiche AUA e SCA in conseguenza dell’ordinanza cautelare n. 1376 del 5.9.2023 invitando la società ricorrente a depositare documentazione integrativa (atto impugnato con i primi motivi aggiunti);

d) dell’ordinanza di demolizione e rimessa in pristino n. 46/2023 del 14.12.2023 a firma del Responsabile del Settore “X” del Comune di -OMISSIS-, comunicata in pari data a mezzo PEC, con la quale è stata intimata alla-OMISSIS- la demolizione, “a propria cura e spese, delle opere sopra descritte ai punti 1-3-4-5 e realizzate in difformità/assenza di titolo edilizio autorizzativo, nonché la rimessa in pristino stato dei luoghi, con l’avvertenza che, in caso di inadempienza… il bene è acquisito di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune” (atto, come quelli a seguire, impugnato con i secondi motivi aggiunti);

e) della relazione tecnica descrittiva senza data – prodotta con la memoria di costituzione 16.12.2023 - a firma del Responsabile Ufficio Assetto del Territorio del Comune di -OMISSIS-, formata a seguito del sopralluogo 12.10.2023 presso lo stabilimento -OMISSIS-;

f) del verbale di sopralluogo 12.10.2023 del Responsabile dell’Ufficio Assetto del Territorio e della P.M.

2. Per una migliore comprensione della vicenda – alla stregua della documentazione acquisita al fascicolo d’ufficio e delle circostanze di fatto riportate negli scritti difensivi e non specificamente contestate dalle rispettive controparti - si rappresenta quanto segue.

2.1. La-OMISSIS- è proprietaria di uno stabilimento per la produzione di cemento sito in località-OMISSIS- nel Comune di -OMISSIS-, frazione -OMISSIS-. L’insediamento industriale era stato realizzato in forza di diversi titoli edilizi e, precisamente, del primo permesso di costruire n. 92 del 18.11.2004, cui era seguito il permesso in sanatoria n. 48 del 16.4.2009 nonché il permesso in variante n. 6 del 20.1.2010 e, da ultimo, il permesso in sanatoria n. 8 del 27.2.2013.

2.2. L’attività produttiva aveva avuto inizio il 18.7.2011, in conformità dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera rilasciata dalla Regione Campania con Decreto Dirigenziale n. 62 del 22.2.2005 previo parere favorevole del Comune di -OMISSIS-, reso ai sensi dell’art. 7 D.P.R. n. 203/1988, avendo successivamente, in data 16.7.2012, chiesto alla GRC, alla Provincia di Caserta e all’ARPAC l’aggiornamento dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera ai sensi dell’art. 269 D.lgs. n. 152/2006, senza tuttavia ricevere riscontro alcuno.

2.3. Ritenendo comunque necessario ottenere l’Autorizzazione Unica Ambientale (AUA), il 27.2.2023 aveva presentato al SUAP del Comune di -OMISSIS- la domanda volta a conseguirla secondo quanto previsto dal d.P.R. n. 59 del 2013.

2.4. Nonostante l’invio della documentazione integrativa richiesta, con l’impugnato atto prot. n. 20392 del 9.6.2023, il Responsabile del Settore Assetto del Territorio aveva ritenuto “non esaustive” le integrazioni, sollevando rilievi in merito alla legittimità “degli allegati collaudi che, a suo dire, si riferivano a depositi sismici risalenti al 31.7.2007, pertanto antecedenti al rilascio del titolo edilizio” nonché alla asserita irritualità dell’invio dei certificati di collaudo al Genio Civile di Caserta, esprimendo per tale ragione parere contrario all’accoglimento della SCA ed invitando il SUAP ad emettere i consequenziali provvedimenti.

2.5. In ragione di ciò, il Responsabile del Settore SUAP, con atto prot. n. 20606 del 12.6.2023, aveva disposto l’archiviazione della richiesta di AUA e della SCIA per l’attività di commercio all’ingrosso, oltre a confermare il divieto di utilizzazione dell’impianto. Successivamente con la nota 27.6.2023 prot. n. 22548 il Settore Assetto del territorio aveva confermato il parere negativo con diversa motivazione, ritenendo la relazione asseverata prodotta con la SCA carente circa la conformità delle opere a quanto autorizzato con l’ultimo PdC n. 8 del 2013, cosicché anche il Responsabile del Settore SUAP aveva ribadito l’archiviazione della richiesta di AUA.

3. La Società, nel proporre il ricorso di primo grado, ha articolato i seguenti quattro motivi (pagine 6-13) di gravame:

i) Violazione di legge (degli artt. 1, 3 e 4 D.P.R. n. 59/2013 in relazione alla Delibera G.R. Campania n. 25 del 18.1.2022 di approvazione della Guida Operativa per il rilascio dell’AUA e del modello unico d’istanza – degli artt. 14, 14 bis, 14 quater e 21 septies l. n. 241/1990 – dell’art. 4 D.P.R. n. 160/2010);

ii) Violazione di legge (dell’art. 24 D.P.R. n. 380/2001 e degli artt. 3 e 4 D.P.R. n. 59/2013 – degli artt. 7 e 10 bis l. n. 241/1990);

iii) Violazione di legge (dell’art. 10 bis l. n. 241/1990);

iv) Eccesso di potere (per sviamento; violazione del principio del giusto procedimento, semplificazione e efficienza; errore di fatto; vizio della motivazione; carenza di pubblico interesse).

3.1. La medesima società, in data 1° dicembre 2023, ha impugnato con motivi aggiunti l’atto prot. n. 38377 del 26 ottobre 2023, con il quale il Comune ha confermato il parere negativo.

3.2. Inoltre, in data 29 dicembre 2023, con ulteriori motivi aggiunti, la Società ha impugnato l’ordinanza di demolizione e rimessa in pristino n. 46/2023 del 14.12.2023 del Comune di -OMISSIS-, comunicata in pari data a mezzo PEC, con la quale è stata intimata alla -OMISSIS-. la demolizione, “a propria cura e spese, delle opere sopra descritte ai punti 1-3-4-5 e realizzate in difformità/assenza di titolo edilizio autorizzativo, nonché la rimessa in pristino stato dei luoghi, con l'avvertenza che, in caso di inadempienza… il bene è acquisito di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune”.

4. Nella resistenza dell’Amministrazione comunale, il Tribunale adìto (Sezione V) ha così deciso il gravame al suo esame:

- ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo dal momento che, con riguardo all’atto con esso impugnato, sarebbe sopravvenuto il difetto di interesse alla contestazione dell’assetto di interessi da esso definito allorquando quest'ultimo sia stato superato da quello recato da un successivo provvedimento di conferma, a cui l’Amministrazione si sia determinata a seguito di una nuova istruttoria e di una nuova valutazione (tale statuizione non risulta impugnata ed è pertanto passata in giudicato);

b) ha respinto i gravami per motivi aggiunti;

c) ha compensato fra le parti le spese di lite.

4.1. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:

- siano da esaminare con precedenza rispetto alle altre censure i secondi motivi aggiunti, relativi all’ordine demolitorio, osservando che “sebbene nel caso di specie si sia in presenza di un'opera oggetto di autorizzazione unica provinciale [...] deve comunque escludersi che il Comune ove insiste l’impianto abbia per ciò solo dismesso il suo potere generale di vigilanza e controllo sull'attività urbanistica ed edilizia, di cui all’art. 27, d.P.R. n. 380 cit.”;

- sia da “escludere che il permesso in sanatoria n. 6/10 invocato dalla ricorrente abbia potuto riguardare anche la realizzazione dei silos ad un’altezza superiore a quella originariamente assentita”;

- sia altresì da escludere la possibilità di “fondatamente valorizzare la pretesa impossibilità di rimozione delle opere difformi per ottenere l’annullamento dell’ordine di demolizione”.

5. Avverso tale pronuncia la società ha interposto l’appello in trattazione, notificato il 2 ottobre 2024 e depositato il giorno successivo, articolando quattro motivi di gravame (pagine 8-18) così rubricati:

I) La pregiudizialità della legittimità della costruzione rispetto all’esame della richiesta di AUA;

II) L’illegittimità della costruzione dei silos;

III) La valutazione del permesso n. 8/2013;

IV) Le altre illegittimità.

5.1. Parte appellante evidenzia, preliminarmente, che la controversia nasce da un procedimento sorto in base alla richiesta della-OMISSIS- di rilascio dell’AUA (Autorizzazione Unica Ambientale) e che l’autorità preposta non ha dato corso al procedimento ritenendo ostativo il fatto che la ditta avrebbe edificato costruzioni non assentite e quindi da demolire. Deduce che i silos andrebbero ascritti alla categoria degli “impianti”, per i quali, all’epoca di realizzazione, non erano necessari specifici titoli edilizi non essendo assoggettati al rispetto delle prescrizioni dettate dalle NTA dei vigenti strumenti pianificatori.

Ha quindi dedotto che:

- la concessione edilizia del 2010 avrebbe assentito la maggiore altezza della torre;

- la tettoia in tubolari in ferro e forati in cemento sarebbe stata legittimata a sanatoria con permesso di costruire n. 8 del 27.2.2013;

- sarebbero irrisorie le dimensioni delle altre due tettoie metalliche.

6. L’appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento dei ricorsi di primo grado e quindi l’annullamento degli atti con gli stessi impugnati.

7. In data 18 ottobre 2025 il Comune di -OMISSIS- si è costituito in giudizio al fine di chiedere la declaratoria di inammissibilità e/ improcedibilità dell’avverso gravame o comunque il rigetto per infondatezza.

8. In data 25 ottobre 2024 parte appellata ha depositato memoria al fine di argomentare nel senso dell’infondatezza dell’avverso gravame.

9. Con ordinanza n. -OMISSIS- è stata accolta la domanda cautelare e, per l’effetto è stata sospesa l’esecutività della sentenza impugnata.

10. In data 24 aprile 2025 la società ha depositato memoria al fine di argomentatamente insistere per l’accoglimento del gravame.

11. In data 6 maggio 2025 parte appellata ha depositato memoria di replica al fine di ribadire la correttezza delle argomentazioni a sostegno della pronuncia appellata concludendo per il rigetto dell’avverso gravame

12. La causa, chiamata per la discussione all’udienza del 27 maggio 2025, è stata trattenuta in decisione.

13. L’appello è meritevole di parziale accoglimento nei sensi e nei limiti di cui alla motivazione che segue.

14. Viene innanzitutto in esame quanto articolato nella premessa del gravame, ove parte appellante si interroga circa l’effettiva rilevanza della pretesa abusività delle opere ai fini del rilascio dell’AUA. Occorre rilevare che sul punto il T.a.r. si è espresso affermativamente, evidenziando un preciso orientamento di questo Consiglio, dal quale non vi è ragione di decampare, e che così si esprime: “l'insediamento e lo svolgimento di attività produttivoartigianali, quale è quella in esame, non possono prescindere della compatibilità urbanistico-edilizia dell'attività sul territorio, costituendo essa un evidente presupposto affinché l'attività possa legittimamente insediarsi in un determinato luogo ovvero proseguire (Consiglio di Stato, Sez. IV, 25/08/2020, n. 5191/2020)”.

Del resto tale orientamento è confermato anche da questa Sezione con la sentenza del 17 maggio 2021, n. 3836, che così si esprime:

“Con l’entrata in vigore del d.P.R. n. 380 del 2001, la “abitabilità” cede il passo (a seguito dell’abrogazione sia dell’art. 220 del T.U.L.S. che del d.P.R. n. 425/1994) alla omnicomprensiva “agibilità”, siccome riferita a qualsivoglia tipologia di edificio, non solo di natura abitativa. Il relativo termine sopravvive pertanto esclusivamente nel gergo degli operatori del settore, che continuano ad utilizzarlo in relazione agli immobili a destinazione residenziale per distinguerli da quelli con diversa destinazione d’uso, per i quali quello nuovo di “agibilità” si palesa anche etimologicamente più confacente.

L’art. 24, dunque, nella sua stesura originaria, vigente al momento dell’odierna controversia, stabiliva che: «Il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente». La presunta tassatività dell’elencazione non tiene tuttavia conto del fatto che il successivo art. 25, che declina il procedimento di rilascio, nell’elencare le declaratorie a corredo della richiesta, menziona espressamente la «conformità dell’opera rispetto al progetto approvato», ovvero, in buona sostanza, la sua regolarità edilizia e, conseguentemente, urbanistica. Con il d.lgs. 25 novembre 2016, n. 222, che ha ricondotto la certificazione al regime della s.c.i.a., tale requisito di conformità è stato riportato sin nella norma definitoria (art. 24) che include espressamente la «conformità dell’opera al progetto presentato» tra le cose che il tecnico deve asseverare all’atto della presentazione della dichiarazione, unitamente peraltro alla sua «agibilità». Il richiamo conclusivo alla stessa, all’apparenza ultroneo, ove non del tutto pleonastico, assume piuttosto il significato di voler raccogliere in un unico termine tutti gli aspetti di regolarità necessari, riassumendone l’elencazione, senza neppure esaurirsi in essa vista la variegata gamma delle destinazioni d’uso degli immobili. L’agibilità dei manufatti o dei locali dove si intende svolgere un’attività commerciale, ad esempio, rappresenta il necessario ponte di collegamento fra la situazione urbanistico-edilizia e quella commerciale nel senso che la non conformità dei locali per il versante urbanistico-edilizio si traduce nella loro non agibilità anche sul versante commerciale. All’inverso, ai fini dell’agibilità, è necessario che il manufatto o il locale sia assistito dallo specifico titolo edilizio abilitativo e, più in generale, che lo stesso non rivesta carattere abusivo, esigendosi, in tal modo, una corrispondenza biunivoca tra conformità urbanistica dei beni ospitanti l’attività commerciale e l’agibilità degli stessi (sul punto cfr. Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2018, n. 3212; T.A.R. per la Campania, Sez. III, 9 marzo 2020, n. 1035)”.

La perplessità manifestata da parte appellante sul punto deve essere quindi sopita in senso confermativo dell’orientamento del T.a.r. non potendosi dissociare l’autorizzazione allo svolgimento di un’attività produttiva dalla necessaria verifica circa la legittimità delle opere a tal uopo realizzate. L’infondatezza del motivo consente di ritenere assorbita l’eccezione di inammissibilità della censura peraltro sollevata dalla difesa del Comune per la prima volta in appello e pertanto in violazione dell’art. 104, comma 1, c.p.a. Da tanto deriva l’infondatezza di quanto dedotto al fine di minare la legittimità dell’ordinanza di demolizione, impugnata in prime cure, con la quale si dispone la demolizione delle due torri per la parte superiore a m 36.

15. Viene così in esame il motivo sub II), avente rilievo centrale nell’economia del gravame e che deve reputarsi privo di fondamento, atteso che i silos, per la loro obiettiva incidenza planovolumetrica, sono assoggettati a permesso di costruire e non sono qualificabili come volumi tecnici. E’ suscettibile di condivisione il preciso orientamento espresso dal T.a.r. Piemonte (sentenza n. 821 del 5 luglio 2018 passata in giudicato), che così si esprime:

<< Ritiene il collegio di condividere, sul punto, la più recente giurisprudenza, in forza della quale un silos non è qualificabile volume tecnico.

I ricorrenti insistono sulla natura accessoria della struttura alla attività produttiva, aspetto certamente vero ma che potrebbe predicarsi per qualunque locale magazzino, che non è per tale solo motivo urbanisticamente irrilevante e neppure viene ordinariamente qualificato pertinenza urbanistica. I volumi tecnici vengono per contro restrittivamente individuati in quelle strutture insuscettibili di autonoma funzione, se non quella di contenere impianti tecnologici (si pensi ai vani ascensori).

In tal senso depone anche la definizione di “volume tecnico” rinvenibile al punto n. 31 dell’intesa del 20.10.2016 per la definizione del regolamento edilizio-tipo, raggiunta tra Stato, Regioni e Comuni ai sensi dell’art. 4 comma 1 sexies del d.p.r. n. 380/2001, secondo cui “sono volumi tecnici i vani e gli spazi strettamente necessari a contenere ed a consentire l’accesso alle apparecchiature degli impianti tecnici al servizio dell’edificio (idrico, termico, di condizionamento e di climatizzazione, di sollevamento, elettrico, si sicurezza, telefonico..).” Si condivide pertanto il più rigoroso orientamento secondo il quale un silos non è annoverabile tra i volumi tecnici (in tal senso Tar Brescia, n. 213/2014; Tar Veneto, n. 281/2014), soluzione che comporta che la struttura dovrebbe rispettare i limiti di altezza previsti per l’area, pacificamente pari a 10 mt.” >>.

Del resto, in tal senso si è espresso anche questo Consiglio di Stato, rilevando che “pur se i silos hanno un innegabile nesso funzionale con l’attività di un’azienda agricola - essi comportano un ingombro volumetrico, per di più assolutamente rilevante con una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale che non è neppure parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, sicché sono forniti di un autonomo valore di mercato e la loro cubatura denota senza possibilità di smentita una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede; Considerato che in ogni caso occorre il permesso – o un atto avente effetti equivalenti per legge - per realizzare un manufatto caratterizzato da una propria volumetria” (cfr. sentenza n. 1889 del 16 aprile 2014).

Le rilevanti dimensioni del silos dell’altezza di mt. 55, come verrà di seguito precisato, costituisce circostanza a sua volta significativa, in quanto, come osservato da questo Consiglio al fine di tracciare i confini del titolo edilizio costituito dal permesso di costruire, ne sono escluse le “opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, mentre non sono riconducibili alla stessa i locali, in specie laddove di ingombro rilevante, oggettivamente incidenti in modo significativo sui luoghi esterni (ad es. Cass. penale n. 7217 del 2011)” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 luglio 2020, n. 4358).

Nemmeno può utilmente valorizzarsi da parte appellante la diversa destinazione funzionale del silos tra la parte inferiore, destinata a “contenere” i macchinari “a servizio” dello stabilimento, e quella superiore, stante il carattere unitario nella sua obiettiva consistenza planovolumetrica che pertanto prescinde dalla specifica funzione assolta; parimenti privo di rilievo è il decorso del (significativo) lasso temporale intercorso tra la realizzazione dell’intervento e l’irrogazione della sanzione demolitoria, non inficiando il carattere doveroso della stessa (ex multis, Cons. Stato, sez. II, 3 febbraio 2025, n.834: “Il tempo trascorso dalla realizzazione di opere abusive non comporta onere motivazionale incombente all'Amministrazione, che ordina la demolizione, in ragione di un preteso incolpevole affidamento configurabile in capo ai responsabili degli abusi”).

16. Infondato risulta anche quanto dedotto valorizzando il tenore della concessione edilizia del 2010, con la quale è stata prevista la riduzione dell’altezza del silos in questione.

Ai fini della disamina del motivo in esame si impone, in particolare, di stabilire se dagli atti di causa si evinca l’intervenuto assenso edilizio della maggiore altezza anche solo in forma tacita.

In realtà tale fattispecie di silenzio assenso nel caso di specie non ricorre, in quanto il Pdc n. 8 del 27.2.2013 prevede espressamente che “l’altezza dell’immobile della presente pratica edilizia non supera quella dei fabbricati per i quali è stata rilasciata la concessione edilizia n° 92/2004”.

A ciò deve aggiungersi che, andando ad esaminare gli ulteriori titoli edilizi e segnatamente il Pdc del 2009 ed il PdC del 2013 (che richiama il Pdc n. 6/2010), nessuno di questi ha mai assentito l’aumento di altezza del silos a mt. 55 rispetto ai 36 assentiti.

Occorre per vero rilevare che nella sentenza assolutoria n. 453-2010 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere si afferma l’esatto contrario e cioè che la maggiore altezza era stata oggetto di specifico atto di assenso edilizio, ma tale presa d’atto si fonda sulle mere dichiarazioni del tecnico comunale contraddette dalla documentazione di causa; dichiarazioni che non hanno alcuna rilevanza sul piano giuridico-formale tanto che lo stesso appellante non le valorizza nel presente giudizio.

Ordunque deve sul punto concludersi nel senso che il Progetto di Variante prevede espressamente (pag. 41) che il silos di m 55 verrà riportato all’altezza di m 36, con conseguente formale impegno della società in tal senso, e pertanto il PdC in sanatoria del 2010, che a tale atto fa rinvio, non può avere assentito la predetta maggiore altezza.

17. Vengono quindi in considerazione i motivi sub III) e IV), suscettibili di esame congiunto, inerenti alle ulteriori opere edilizie contestate con gli atti impugnati in prime cure e segnatamente con l’ordinanza di demolizione n. 43 del 14 dicembre 2023 in ordine rispettivamente a:

- 3) “struttura metallica con coperture in onduline delle dimensioni di m. 2,30 x 4,50, priva di titoli edilizi, realizzata sul lato Nord del Capannone Deposito Cemento (sub 3, lett. A)”;

- 4) “struttura in tubolari in ferro e forati in cemento con sovrastante copertura delle dimensioni di mt. 2,80 x 3,00 posta a sud est del Capannone denominato “Mulino” (sub 3, lett. C)”;

- 5) “tettoia in tubolari in ferro e forati in cemento con sovrastante copertura delle dimensioni di m 6.00 x 3.00 circa posta a sud del Capannone denominato “Mulino” (sub 3, lett. C)”.

17.1. Per quanto riguarda le prime due tettoie deve rilevarsi che le loro dimensioni - rispettivamente pari a mq. 10,35 e 8,40 - non risultano modeste come adduce parte appellante, la quale osserva per giunta che sono state realizzate a protezione di macchinari altrimenti sottoposti alle intemperie.

In realtà il profilo funzionale della vicenda edilizia non può dirsi rilevante imponendosi una valutazione oggettiva, tanto più che la destinazione di un manufatto è sempre mutevole e pertanto non può condizionare l’apprezzamento di un’opera edilizia al fine di verificarne il carattere abusivo o meno.

Ciò che rileva è la obiettiva consistenza dimensionale dei predetti manufatti. Occorre quindi ribadire quanto in materia ritenuto da questo Consiglio, nel senso che “una tettoia di rilevanti dimensioni che modifica l'assetto del territorio e occupa aree e volumi diversi rispetto alla ‘res principalis', indipendentemente dall'eventuale vincolo di servizio o di ornamento nei riguardi di essa, non può considerarsi, dal punto di vista urbanistico, sua pertinenza e richiede il permesso di costruire. Estranee a detto regime sono da considerarsi unicamente le cc.dd. tettoie leggere non tamponate lateralmente su almeno tre lati, prive di autonomia e realizzate per valorizzare la fruizione al servizio dello stabile, ponendo un riparo temporaneo dal sole, dalla pioggia, dal vento e dall'umidità al fine di rendere più gradevole per un maggior periodo di tempo la permanenza all’esterno” (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 25 giugno 2024, n. 5605).

La vicenda edilizia che connota il caso in esame non rientra in tale ristretta latitudine applicativa del principio coniato dalla pronuncia testé riportata, trattandosi di strutture, come detto di significative dimensioni, stabili e permanenti (in tema si veda anche Consiglio di Stato, sez. VI, 3 aprile 2024, n.3031: “La realizzazione di una tettoia deve essere configurata sotto il profilo urbanistico come un intervento di nuova costruzione ogni qualvolta integri un manufatto non completamente interrato, avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche attraverso appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato” nonché Consiglio di Stato, sez. VII, 18 gennaio 2023, n. 612, che esclude la natura pertinenziale di una tettoia che, come nel caso di specie, alteri la sagoma dell’edificio).

Deve quindi concludersi sul punto nel senso che tale (doppio) intervento è pienamente rilevante sul piano edilizio così da palesarsi abusivo siccome realizzato in mancanza del necessario titolo abilitativo.

17.2. E’ invece da reputarsi fondato quanto dedotto con riferimento alla tettoia sub 5), descritta nella misura di mq. 18, in tubolari in ferro e forati in cemento, in quanto effettivamente assentita col permesso di costruire in sanatoria n. 8 del 27.2.2013, come si evince dallo stralcio dell’elaborato grafico riportato nella relazione dell’ing.-OMISSIS-all’allegato n. 4.

L’intervenuto assenso edilizio rende ininfluente la circostanza, evidenziata dalla stessa parte appellante, relativa alle effettive maggiori dimensioni del manufatto (m 13,20 x 3,90) siccome coerenti col menzionato provvedimento autorizzativo.

18. Tanto premesso, il gravame è meritevole di parziale accoglimento e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso per motivi aggiunti limitatamente all’ordine di demolizione della tettoia sub 5), delle effettive dimensioni di m 13,30 x 3,90, mentre per il resto l’appello va respinto.

19. Le spese del doppio grado di giudizio, stante la soccombenza parziale e reciproca, sono da compensare.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (n.r.g. 7405/2024), lo accoglie parzialmente, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, accoglie il ricorso per motivi aggiunti e pertanto annulla l’ordine di demolizione in relazione alla tettoia sub 5); per il resto respinge l’appello.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 maggio 2025 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Massimiliano Tarantino, Presidente FF

Giovanni Sabbato, Consigliere, Estensore

Maria Stella Boscarino, Consigliere

Alessandro Enrico Basilico, Consigliere

Ugo De Carlo, Consigliere