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Consiglio di Stato Sez. V sent. 7218 del 12 novembre 2003
Urbanistica. Annullamento concessione edilizia

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione

ha pronunciato la seguente

decisione

sul ricorso in appello n. 2888/1997, proposto dal Comune di CALVI, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Umberto DEL BASSO DE CARO con il quale è elettivamente domiciliato in Roma, viale Giulio Cesare 6, presso l’avv. Maurizio Giannone,

contro

la Cooperativa CALVI UNO s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Silvio FERRARA e Gaetano DEL VECCHIO, con i quali è elettivamente domiciliata in Roma, via degli scipioni 52, presso l’avv. Giancarlo PARENTE,

e nei confronti di

NARDONE Gerarda, non costituitasi in giudizio,

per l’annullamento

della sentenza del TAR della Campania, sede di Napoli, Sezione II, 25 novembre 1996, n. 523;

visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata;

viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

visti gli atti tutti della causa;

relatore, alla pubblica udienza dell’8 luglio 2003, il Consigliere Paolo BUONVINO; uditi gli avv.ti Del Basso Caro e Bocchini per delega dell’avv. Ferrara,

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:

F A T T O

1) - Con la sentenza appellata il TAR ha riunito e accolto i ricorsi nn. 6062/1995, 8150/1995 e 11388/1995 proposti dalla società cooperativa qui appellata e, per l’effetto, ha annullato l’ordinanza sindacale 2 giugno 1995, n. 7, prot. 2965 (recante annullamento della concessione edilizia 19 aprile 1994, n. 8), nonché il provvedimento sindacale 5 ottobre 1995, n. 4901 (con il quale si afferma che non esistono i presupposti per adottare ulteriori provvedimenti ai sensi dell’art. 51 della legge n. 865/1971).

Per il Comune appellante la sentenza sarebbe erronea in quanto sarebbero pienamente esistiti, nella specie, i presupposti per procedere all’annullamento del citato titolo edificatorio.

Si è ritualmente costituita in giudizio la società cooperativa appellata insistendo per il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza appellata.

D I R I T T O

1) - Con la sentenza appellata il TAR ha riunito e accolto i ricorsi nn. 6062/1995, 8150/1995 e 11388/1995 proposti dalla società cooperativa qui appellata e, per l’effetto, ha annullato l’ordinanza sindacale 2 giugno 1995, n. 7, prot. 2965 (recante annullamento della concessione edilizia 19 aprile 1994, n. 8), nonché il provvedimento sindacale 5 ottobre 1995, n. 4901 (con il quale si afferma che non esistono i presupposti per adottare ulteriori provvedimenti ai sensi dell’art. 51 della legge n. 865/1971).

L’appello - con il quale il Comune deduce che, nella specie, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, sarebbero sussistiti tutti i requisiti per procedere al contestato annullamento di concessione edilizia – è infondato.

2) - E, invero, correttamente il TAR ha escluso che il provvedimento di annullamento di concessione edilizia fosse correttamente motivato sotto il profilo dell’interesse pubblico e della comparazione con quello privato.

In presenza, infatti, come nella specie, della realizzazione di una significativa parte delle opere assentite, non può l’Amministrazione, tornando, dopo oltre un anno, sul titolo concessorio rilasciato, disporne l’annullamento per semplici ragioni di ripristino della legalità; e ciò tanto più dopo avere assunto, nel tempo (e, precisamente, a partire dal 1988), a favore della Cooperativa, una serie di determinazioni, mai rimosse dal mondo giuridico (sebbene pure esse adottate nell’asserita assenza di validità del P. di Z.), tali da avere determinato un più che valido e legittimo affidamento, da parte della Cooperativa stessa, in merito alla realizzabilità dell’intervento, concretizzatasi, poi, con il rilascio del contestato titolo edificatorio.

3) - Il provvedimento impugnato dispone, invero, l’annullamento della “concessione edilizia n. 8 del 19/4/1994 rilasciata alla cooperativa Calvi Uno” in quanto gli atti deliberativi a favore della Cooperativa stessa (delibera consiliare 13 aprile 1988, n. 42, recante concessione alla medesima del diritto di superficie sui lotti siti in P. di Z per la realizzazione di 12 alloggi; delibera consiliare 2 aprile 1990, n. 16, di approvazione del progetto per la realizzazione degli alloggi stessi, relativa convenzione tra Società cooperativa e Comune stipulata l’8 aprile 1992 e regolarmente registrata; decreto 21 marzo 1992, n. 925, di occupazione d’urgenza delle arre sulle quali realizzare l’intervento; stato di consistenza in data 11 giugno 1992; concessione edilizia n. 8/1994 cit.) si erano concretizzati successivamente al periodo di validità del Piano di zona, approvato nel 1965; e che militavano a favore dell’annullamento il fatto che il Comune avrebbe potuto subire un danno grave e irreparabile dal persistere dell’occupazione sine titulo delle aree e che i privati titolari delle stesse lo avevano già diffidato ad assumere i provvedimenti del caso; che l’ente era strutturalmente deficitario e privo di rilevanti risorse finanziarie; che non vi era oggettiva possibilità di rimuovere i vizi della procedura amministrativa poiché l’adozione del nuovo P. di Z. avrebbe determinato un onere rilevante e insostenibile; che il ripristino dello status quo ante avrebbe consentito la restituzione dei fondi ai legittimi proprietari, senza incorrere in una espropriazione illegittima.

Ebbene, il timore di patire iniziative dei privati i cui fondi sarebbero stati illegittimamente occupati, avendo rilevanza meramente economica, non è in grado di supportare utilmente il provvedimento sotto il profilo dell’interesse pubblico, tanto più che si tratta di un onere verso i detti privati non solo non concretizzato nei suoi presumibili importi (in proposito, si tenga conto, tra l’altro, del fatto che, nel vigente PRG, le aree in questione risultano, comunque, collocate in zona destinata all’EEP e, quindi, comunque soggette a limiti edificatori), ma anche del tutto eventuale, non risultando supportato da concrete azioni in sede giurisdizionale proposte avverso le determinazioni amministrative via via assunte nel tempo dalla P.A.. in danno dei privati stessi.

In ogni caso, avrebbe dovuto essere comparata tale asserita, ma non meglio definita, esposizione economica anche con quella correlabile, per lo stesso Comune, all’annullamento del titolo concessorio; questo è, infatti, intervenuto allorché le opere erano in avanzato stato di realizzazione e sulla base di titoli astrattamente idonei e risalenti nel tempo e frutto, quindi, di un iter procedurale complesso, le cui eventuali carenze sarebbe stato preciso onere del Comune stesso prevenire prima di pervenire all’assentimento delle opere in questione; con conseguente consolidamento degli affidamenti in capo alla Cooperativa interessata e correlativi oneri risarcitori in capo all’Amministrazione, correlabili, tra l’altro, sotto il profilo del danno emergente, ai costi procedurali e progettuali, oltre che a quello delle opere in effetti già realizzate e, sotto il profilo del lucro cessante, alle utilità ricavabili dall’intervento edificatorio, inevitabilmente pregiudicate dalla rimozione della concessione edilizia a favore della stessa rilasciato, in caso di definitiva sua rimozione.

Ciò tanto più ove si consideri, come già cennato, che la procedura concessoria era in corso da tempo (1988) e spettava all’Amministrazione farsi carico, prima di pervenire al rilascio del titolo edificatorio, di avvedersi dell’asserita decadenza dello strumento attuativo (né dall’atto impugnato viene imputata all’interessato responsabilità alcuna in merito al rilascio del titolo edificatorio).

E non senza considerare, inoltre, l’illegittimità di una procedura che si è conclusa con l’annullamento dell’atto terminale, ma non degli atti a monte, certamente non affetti da radicale nullità, essendo gli stessi semplicemente annullabili, se tempestivamente impugnati, o rimovibili, all’occorrenza, in via di autotutela, dalla stessa Amministrazione che, invece, rispetto ad essi, è rimasta di fatto inerte.

Deve anche rilevarsi, ad ogni buon conto, che la destinazione di zona impressa all’area in questione dalla pianificazione sopravvenuta nel 1987 era pur sempre di EEP, sicché non vi è contrasto tra le opere in corso di esecuzione e lo strumento urbanistico generale; e che, inoltre, l’asserita destinazione a strada di parte delle aree in quella sede operata (peraltro, dedotta, come elemento ostativo, dal Comune solo in sede difensiva, ma non richiamata affatto nell’atto impugnato, con conseguente inammissibile integrazione in giudizio della motivazione dell’atto impugnato) non inibiva alla P.A. la possibilità di richiedere, per tale parte, una modificazione progettuale, salva, naturalmente, anche la possibilità di introdurre una variante, sul punto, allo stesso strumento pianificatorio generale.

Quanto, infine, agli oneri di urbanizzazione di cui il Comune avrebbe dovuto farsi carico, essi erano agevolmente prospettabili anche prima dell’adozione del provvedimento impugnato e, comunque, agli stessi non viene fatto riferimento alcuno nell’atto impugnato, ma solo – e inammissibilmente, anche in questo caso, trattandosi di integrazione postuma della motivazione – negli atti defensionali.

4) - L’appello è infondato anche laddove censura la sentenza del TAR per avere la stessa condiviso il motivo che si appuntava avverso la mancata acquisizione del parere della Commissione edilizia.

Trattandosi, nella specie, di contrarius actus, tale parere avrebbe dovuto essere acquisito, non trattandosi, tra l’altro, neppure di provvedimento fondato su considerazioni di mero carattere formale, ma su aspetti di rilievo sostanziale, dovendo pur sempre essere verificata la rispondenza del titolo edificatorio alla disciplina urbanistica generale in atto.

5) – Per tali motivi l’appello in epigrafe appare infondato e, per l’effetto, deve essere respinto.

Le spese del grado seguono, come di norma, la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello in epigrafe.

Condanna il Comune appellante al pagamento, a favore della Cooperativa appellata, delle spese del grado, che liquida in complessivi € 2.500,00(duemilacinquecento/00).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma l’8 luglio 2003 dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato, riunita in Camera di consiglio, con l’intervento dei Signori:

ALFONSO QUARANTA - Presidente

RAFFAELE CARBONI - Consigliere

PAOLO BUONVINO – Consigliere est.

FRANCESCO D’OTTAVI-Consigliere

M A R C O L I P A R I - Consigliere

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

f.to Paolo Buonvino f.to Alfonso Quaranta