Consiglio di Stato Sez. IV n. 3170 del 19 maggio 2020
Urbanistica.Attività di cava

L’autorizzazione e la concessione, non soltanto consentono lo svolgimento dell’attività di cava, per i suoi profili prettamente economico-industriale, abilitano cioè l’attività di impresa consistente nell’escavazione del fondo e nell’estrazione del materiale, altrimenti vietata anche al soggetto proprietario di un fondo individuato dal piano regionale quale potenziale cava, ma tengono luogo, per consolidata giurisprudenza amministrativa, anche dei titoli edilizi necessari al compimento di questa attività, mentre rimane ferma la necessità del titolo edilizio per la realizzazione degli impianti e delle strutture necessarie per la coltivazione della cava

Pubblicato il 19/05/2020

N. 03170/2020REG.PROV.COLL.

N. 04639/2019 REG.RIC.

N. 06827/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4639 del 2019, proposto dalla La.I.F. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Andrea Abbamonte, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Avignonesi, n. 5;

contro

Il Comune di Pontelandolfo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gian Luca Lemmo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
la signora Albini Orazia, rappresentata e difesa dall’avvocato Eriberto Di Blasio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

della Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Massimo Consoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
della Provincia di Benevento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Sergio Marchitto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, in persona del Ministro pro tempore, non costituito in giudizio;


sul ricorso numero di registro generale 6827 del 2019, proposto dalla Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Massimo Consoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

La signora Orazia Albini, rappresentata e difesa dall’avvocato Eriberto Di Blasio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
il Comune di Pontelandolfo in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;

nei confronti

della La.I.F. s.r.l., rappresentata e difesa dall’avvocato Andrea Abbamonte, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Avignonesi, n. 5;
del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
della Provincia di Benevento, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

per la riforma

quanto, ad entrambi gli appelli, della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, (sezione Quarta), n. 278 del 18 gennaio 2019.

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Pontelandolfo, della Regione Campania, della Provincia di Benevento, della signora Albini Orazia, della Laif S.r.l. e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali;

Visto l’appello incidentale proposto dal Comune di Pontelandolfo nella causa n.r.g. 4639 del 2019;

Visti tutti gli atti delle cause;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2020 il consigliere Michele Conforti e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 2, del d.l. n. 18 del 2020;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La presente vicenda concerne la legittimità dei provvedimenti e degli atti amministrativi che hanno assentito la realizzazione, nel tenimento del Comune di Pontelandolfo, del progetto di coltivazione e recupero ambientale del comparto estrattivo C06BN_01, presentato dalla società LA.I.F. s.r.l.

Segnatamente è controversa la legittimità dei seguenti provvedimenti della Regione Campania:

a) il decreto del 28 febbraio 2018, con il quale il progetto è stato autorizzato per i suoi profili di rilevanza paesaggistica;

b) la nota del 27 marzo 2018, del Genio Civile di Benevento, che ha approvato, con prescrizioni, il progetto presentato dalla società;

c) la relativa relazione istruttoria, recante la medesima data e allegata al provvedimento di approvazione;

d) i verbali della conferenza di servizi, tenutasi al fine di valutare il progetto, del 14 novembre 2016, 15 dicembre 2016, 24 gennaio 2017, 23 febbraio 2017, 11 maggio 2017, 22 giugno 2017.

2. In primo grado, i provvedimenti in questione sono stati impugnati, con due autonomi ricorsi, sia dal Comune di Pontelandolfo (n.r.g. 2103/2018), nel cui territorio è ubicata l’area interessata dal progetto, sia dalla sig.ra Orazia Albini (n.r.g. 2167/2018), proprietaria di un’attività ricettiva a vocazione turistica, collocata in terreni situati al confine con il comparto estrattivo.

3. L’ente locale ha gravato i provvedimenti, enucleando molteplici profili di illegittimità:

Ia) la violazione di legge e l’eccesso di potere per non essersi rispettate le condizioni poste dal parere (favorevole) reso dalla Soprintendenza il 27.02.2018 e che l’ente procedente ha ritenuto di non considerare perché tardivo; da un lato, infatti, il parere non sarebbe tardivo, in quanto reso dopo aver ottenuto dei chiarimenti legittimamente richiesti e, dall’altro, una volta pervenuto, la Regione non avrebbe potuto trascurarlo, prima dell’adozione del provvedimento finale;

Ib) la violazione dell’art. 41 del P.R.A.E. (Piano Regionale Attività Estrattive) in quanto:

1) non è rispettata la distanza di 500 metri dai centri e dai nuclei abitati, dovendosi considerare tali i nuclei censiti come borghi rurali e così definiti negli atti di programmazione urbanistica del Comune di Pontelandolfo; la Regione, in particolare, non avrebbe considerato la possibilità, riconosciuta dall’ISTAT, di qualificare “nuclei abitati” gli agglomerati di case che non presentano i requisiti minimi generali a tal fine, ma che insistano in zone rurali o montane;

2) non è rispettata la distanza dalla strada Comunale di Cerqueto Ciarlo che, erroneamente, è stata ritenuta dalla Regione non più adibita al transito;

3) non è rispettata la distanza minima dalla condotta idrica interrata in acciaio, utilizzata per la fornitura di acqua potabile in diverse contrade e località rurali;

4) non si è dato peso alla possibilità di inquinamento della falda idrica, nonostante che l’Autorità d’ambito, ATO Calore Irpino, avesse rilasciato un nulla osta condizionato all’installazione di punti di monitoraggio, con apposito torbidometro, per verificare l’eventuale compromissione della falda;

II) la violazione di legge, per la mancata previsione di accorgimenti volti a ridurre l’impatto acustico, atmosferico e percettivo, prescritta dall’art. 50 delle norme di attuazione del P.R.A.E.

4. Censure analoghe sono state proposte dalla proprietaria dell’attività confinante, la quale (anche con successivo atto per motivi aggiunti), ha dedotto, i seguenti vizi di illegittimità ulteriori, rispetto a quelli coincidenti con le doglianze articolate dal Comune:

I) il profilo della distanza dai centri abitati (i.e. dalla propria attività turistico-recettiva) avrebbe dovuto essere esaminato anche alla luce dell’art. 891 c.c. che stabilisce le distanze per fosse e canali, per evitare il rischio di franamento;

II) la mancata considerazione della presenza dell’area boscata, non potendo tale circostanza essere esclusa in base alla Sentenza del T.A.R. Campania, n. 3156 del 2011;

III) l’avvenuto illegittimo superamento del dissenso espresso dal Comune di Pontelandolfo, preposto alla cura ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico: il dissenso avrebbe potuto essere superato solo sulla base di una deliberazione del Consiglio dei Ministri, alla luce della disciplina allora vigente;

IV) la mancata valutazione del rischio acustico, ai sensi dell’art. 14 del Piano Comunale di zonizzazione acustica, dovendosi considerare che il proprio fabbricato, adibito ad affittacamere, attività turistico-ricettiva, dista soli 140 mt. dal perimetro esterno degli scavi del comparto estrattivo della LA.I.F. S.r.l. e circa 190 mt. dal ciglio di scavo;

V) la mancata menzione degli apporti istruttori forniti dalla stessa Albini Orazia, che pure ha partecipato alla conferenza di servizi;

VI) la mancata considerazione del vincolo turistico gravante sulla struttura di proprietà della ricorrente ai sensi della L.R. Campania n. 16/2000 e del P.U.C. del Comune di Castel Landolfo: tanto integrerebbe una contraddittorietà dell’operato amministrativo della Regione che, da un lato, ha erogato delle sovvenzioni alla ricorrente per la propria attività - così radicando un vincolo di destinazione, il cui venir meno sarebbe sanzionato dalla stessa Regione - e che, dall’altro, ha autorizzato un’attività estrattiva sostanzialmente incompatibile con la vocazione turistica del fabbricato.

La ricorrente domandava, infine, il risarcimento dei danni che sarebbero derivati alla sua proprietà dall’esecuzione del progetto.

5. Si costituivano in giudizio la Regione Campania e la società proponente il progetto, contrastando, con articolate memorie, le doglianze proposte dai ricorrenti.

6. Il Tribunale amministrativo regionale, riuniti i ricorsi, per ragioni di connessione oggettiva, li accoglieva, limitatamente ad alcune delle censure proposte.

In particolare, seguendo l’ordine di trattazione della motivazione della sentenza, il primo Giudice:

a) ha riconosciuto la legittimazione e l’interesse a ricorrere della signora Albini, in ragione della vicinitas fra la sua proprietà e l’area dove si svolgerà l’attività di coltivazione della cava, e in relazione al possibile nocumento che l’attività di ricezione turistica, ivi svolta, potrebbe subire dall’attività economica della società;

b) ha rigettato la censura della signora Albini, relativa al provvedimento di autorizzazione paesaggistica, evidenziando che il superamento del dissenso espresso in materia paesaggistica dal Comune, non necessitava del deliberato del Consiglio dei Ministri, poiché la competenza sul provvedimento de quo è, in materia di cave, della Regione e non del Comune, sicché quest’ultimo non è intervenuto nella conferenza di servizi in veste di amministrazione preposta alla cura dell’interesse tutelato con il provvedimento (censura della signora Albini, indicata supra come n. III; capo della sentenza non impugnato);

c) ha rigettato la censura del Comune di Pontelandolfo sulla mancata adozione delle misure di mitigazione dell’impatto acustico, poiché il provvedimento di approvazione del progetto, conformemente a quanto previsto dalla legge, ha comunque imposto delle prescrizioni alla società e, parallelamente, non sono state documentati specifici rischi di inquinamento acustico, che tali prescrizioni non fossero già in grado di evitare (censura del Comune, indicata supra come n. II; capo della sentenza non impugnato);

d) ha rigettato la censura della signora Albini sulla mancata valutazione del rischio acustico, poiché il Piano comunale invocato a sostegno della censura non ha tenuto conto di quello regionale in materia di attività estrattive (c.d. P.R.A.E.), che è atto sovraordinato e che ha perimetrato il comparto, rimanendo inoppugnato da parte dell’interessata (censura della signora Albini, indicata supra come n. IV; capo della sentenza non impugnato);

e) ha rigettato le censure della signora Albini, relative alla mancata considerazione della vocazione turistica della sua proprietà, riconosciuta dalla pianificazione comunale, e alla circostanza che la medesima Regione le aveva riconosciuto, proprio per questa finalità, alcune provvidenze economiche, poiché ha evidenziato che la finalità della pianificazione comunale è soccombente rispetto alla destinazione imposta dal P.R.A.E. e il riconoscimento di alcune sovvenzioni non interferisce con il diverso ambito di interessi curato dalla medesima amministrazione, mediante i provvedimenti gravati e, specialmente, con il provvedimento di approvazione del progetto (censura della signora Albini, indicata supra come n. VI; capo della sentenza non impugnato);

f) ha rigettato le censure della signora Albini, concernenti la distanza del comparto dal fondo della ricorrente e la mancata considerazione dell’area boscata, poiché attinenti a profili relativi alla delimitazione del comparto, operata con un provvedimento conosciuto dalla ricorrente (ed anche dal Comune) e divenuto inoppugnabile. Sull’asserita presenza di un’area boscata, viene evidenziato che fra le parti è intervenuto un giudicato amministrativo (T.A.R. Campania, Napoli, n. 3156 del 2011), che ne ha definitivamente escluso la sussistenza, mentre sulle questioni attinenti alla proprietà della ricorrente, viene evidenziato che la stessa ha ottenuto l’esclusione dei terreni di sua proprietà dal comparto, il che è sancito da un ulteriore precedente del giudice amministrativo (T.A.R. Campania, Napoli, n. 3097 del 2017, censura della signora Albini, indicate supra come n. I e II; capo della sentenza non impugnato);

g) ha rigettato la censura della signora Albini, attinente al mancato esame dei suoi apporti istruttori, rilevando la completezza e l’esaustività dell’istruttoria compendiata nella relazione n. 1956 del 27 marzo 2018 (censura della sig.ra Albini, indicata supra come n. V; capo della sentenza non impugnato);

h) ha rigettato la censura del Comune di Pontelandolfo sulla mancata considerazione del parere paesistico della Soprintendenza, giunto alla Regione quando era scaduto il termine per la sua adozione, ma prima dell’adozione del provvedimento finale, poiché ha rilevato come, pur essendo questo parere materialmente giunto presso gli uffici della Regione antecedentemente all’adozione del provvedimento finale, tuttavia esso è stato acquisito al protocollo in entrata dell’ente territoriale soltanto successivamente all’emanazione del provvedimento di autorizzazione paesaggistica, che è stato dunque adottato senza che la Regione fosse a conoscenza dell’avvenuta emissione del parere. Viene, peraltro, escluso che la mancata considerazione di questo apporto procedimentale, nell’ambito dell’adozione del provvedimento di approvazione del progetto, possa riverberarsi su quest’ultimo provvedimento, poiché non direttamente attinente sui profili valutati in questo diverso procedimento (censura del Comune di Pontelandolfo, indicata supra come n. Ia; capo della sentenza impugnato con appello incidentale da parte del Comune);

i) ha accolto la censura del Comune di Pontelandolfo e della signora Albini relativa alla violazione dell’art. 41 del P.R.A.E. e, dunque, al mancato rispetto di alcune distanze da elementi “sensibili” presi in considerazione da questa norma (capi della sentenza da 13.1. a 15.4.3., impugnati sia dalla società L.A.I.F. che dal Comune di Pontelandolfo).

6.1. In particolare, il Tribunale amministrativo ha accolto la censura relativa alla circostanza che la Regione non avrebbe tenuto conto della presenza di alcuni nuclei abitati nell’area di realizzazione del progetto, avendo erroneamente accolto una nozione di “nucleo abitato” più restrittiva (quella contenuta nei glossari ISTAT del 1991, 2001 e 2011), rispetto a quella delineata dall’ISTAT, nel glossario del 2005, vigente all’epoca di redazione del P.R.A.E.

Non tenendo conto della presenza di nuclei abitati avrebbe, perciò, violato l’art. 41, comma 1, delle norme tecniche di attuazione (N.T.A.) del Piano regionale delle attività estrattive (P.R.A.E.).

6.2. È stata parimenti accolta la censura relativa alla violazione dall’art. 41 co. 2 delle N.T.A. del P.R.A.E., che prevede il divieto di scavi a distanza inferiore a 50 mt da infrastrutture pubbliche e/o di interesse pubblico, relativamente ad una strada (“strada comunale che conduce dalla S.P. n. 94 alla località Ciarli”) e a una condotta idrica (“condotta idrica interrata posta lungo il tracciato della strada comunale Cerqueto-Ciarli”), ubicate nell’area interessata dal progetto, ad una distanza inferiore a quella indicata.

6.2.1. Rispetto alla strada, la Regione ha dedotto di aver previsto che una parte degli scavi dovrà svolgersi ad una distanza superiore a quella prescritta, mentre un’altra parte, seppure si svolgerà ad una distanza inferiore, non metterà a rischio gli interessi presidiati dalla norma, poiché la strada comunale non è più adibita al pubblico transito ed è riconoscibile come strada “solo catastalmente”.

Senonché, secondo il Tribunale amministrativo regionale, quest’ultimo profilo rilevato dall’ente territoriale è risultato viziato per difetto di istruttoria, poiché il Comune ha comunicato che quell’arteria stradale “è attualmente in uso costituendo l’unico collegamento con talune porzioni del territorio comunale”, senza che la Regione abbia chiarito “quali siano gli elementi che hanno consentito di superare quanto asserito dal Comune…”.

Secondo il Tribunale amministrativo, la motivazione è altresì viziata, “nella misura in cui sembra introdurre una valutazione discrezionale in merito alla sussistenza o meno del pericolo per la pubblica incolumità che è, invece, presunto dalla disposizione di cui all’art. 41 delle norme di attuazione del P.R.A.E. che non lascia margini alla discrezionalità dell’amministrazione nella fase esecutiva”.

6.2.2. Rispetto alla condotta d’acqua, viene sancita l’illegittimità della motivazione offerta dalla Regione per derogare al divieto appena divisato. L’ente territoriale, infatti, prospetta una messa in sicurezza dell’area, non considerando, secondo il T.A.R., che, come già osservato con riferimento all’analoga violazione perpetrata con riferimento all’arteria stradale, l’art. 41 del P.R.A.E. non consente alcun margine di discrezionalità sulla possibilità di compiere scavi a distanza inferiore a 50 mt da opere e infrastrutture pubbliche e/o di interesse pubblico.

7. Avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale hanno proposto appello la società LA.I.F. s.r.l. e la Regione Campania, nonché appello incidentale il Comune di Pontelandolfo.

7.1. Quanto all’appello della società, esso è stato incardinato con n.r.g. 4639 del 2019.

7.1.1. Con il primo motivo di appello, la società si duole della circostanza che le censure accolte dal Tribunale amministrativo attengono, in realtà, ad aspetti relativi alla pianificazione dell’area già avvenuta in passato ad opera della D.G.R. n. 385 del 2015.

Poiché con questa delibera si è individuata l’area da destinarsi a futura coltivazione di cava (c.d. perimetrazione) e poiché il progetto presentato dalla società è finalizzato a dare concreta attuazione proprio a tale pianificazione, “attesa la coincidenza di superficie tra il progetto LAIF ed il perimetro del comparto approvato con D.G.R. 385/2015”, ne discenderebbe l’inammissibilità delle censure prospettate in primo grado nella parte in cui sono incentrate sulla violazione delle distanze, in quanto tardivamente proposte avverso aspetti attinenti alla pianificazione e non al progetto, che di quelle scelte effettuate “a monte” - e cristallizzate in un atto divenuto inoppugnabile, in quanto conosciuto da tempo da parte di ambedue i ricorrenti - si è limitato a dare attuazione.

7.1.2. Con il secondo motivo di appello, la società si duole del capo della sentenza che ha accolto quelle censure relative alla violazione della norma sulle distanze che devono intercorrere fra gli scavi da effettuarsi e i nuclei abitati.

L’appellante ha rimarcato come le norme applicabili al caso in esame pongano l’interesse alla riqualificazione ambientale in modo preminente rispetto a tutti gli altri interessi concorrenti, sicché anche la locuzione “nucleo abitato” andrebbe riferita a “insediamenti abitativi con densità di popolazione tale da fare recedere l’interesse generale alla tutela dell’ambiente” e ha, inoltre, rimarcato l’erroneità del riferimento al glossario ISTAT per la definizione della locuzione “nuclei abitati”, considerato che l’unico riferimento contenuto dalla norma, di cui all’art. 41 N.T.A., è al D.Lgs. n. 285 del 1992 e non al glossario ISTAT.

Si rimarca a sostegno di questa deduzione la circostanza che le norme relative alla pianificazione de qua sono di competenza regionale, sicché norme e regole di rango statale (quali quelle ricavabili, applicando il glossario) non possono essere estese ed applicate in via analogica, bensì soltanto quando richiamate da parte del legislatore regionale (come avviene per il D. Lgs. n. 285 del 1992).

7.1.3. Con il terzo motivo di appello, si censura il capo della sentenza relativo all’accoglimento del motivo di ricorso riguardante la violazione della distanza fra opera di progetto e strada, evidenziandosi che l’arretramento alla distanza prescritta frustrerebbe le finalità di recupero contemplate dall’attività di pianificazione cui ha partecipato anche il Comune ricorrente.

Ci si duole, inoltre, della circostanza che la strada non possa essere qualificata come opera o infrastruttura pubblica, così come richiesto per l’applicazione dell’art. 41 N.T.A. del P.R.A.E., in quanto mera pista in terra battuta percorribile soltanto da sparuti mezzi agricoli.

7.1.4. Con il quarto motivo, si censura l’accoglimento del ricorso, in quanto la Relazione istruttoria n. 1956/2018, relativamente ai profili riguardanti la presenza dei due nuclei abitativi di Ciarli e Pesce, contiene “sul parere negativo espresso dal Comune di Pontelandolfo una motivazione ben più ampia di quella censurata in sentenza”.

L’appellante ripercorre, a tale proposito, le diverse ragioni giustificatrici ivi esposte, riguardanti, in sintesi, l’inclusione del territorio, dove sono collocati i due insediamenti, nell’ambito delle zone coltivabili come cave, anche su iniziativa del Comune, del che peraltro lo strumento comunale offrirebbe riprova, poiché “destina i terreni inclusi nel comparto estrattivo all’attività estrattiva…”.

Ne conclude che l’istruttoria regionale avrebbe escluso la presenza di “nuclei abitativi” tali da imporre il rispetto della distanza di 500 mt dall’area di scavo, nelle località di Ciarli e Pesce.

Si lamenta, poi, che la sentenza avrebbe ammesso, seppure implicitamente, l’esistenza di nuclei abitativi speciali, che però, secondo l’appellante non potrebbero essere ravvisati con riferimento ai due centri in questione.

Si insiste, infine, sulla circostanza che i nuclei abitativi rientrano nel perimetro preso in considerazione dalla pianificazione del comparto estrattivo che ha incluso anche l’area in questione. Se si “dovesse rispettare la distanza dei 500 mt… il comparto stesso resterebbe irrealizzabile…

La sentenza di prime cure avrebbe, di conseguenza, l’impossibile effetto di travolgere provvedimenti dotati di stabilità, poiché non gravati nei termini di legge e perverrebbe al paradossale effetto di impedire totalmente l’attività estrattiva, e non limitarla a distanza legale”.

Una simile conclusione integrerebbe, per l’appellante, il vizio di ultrapetizione.

7.2. Anche la Regione ha impugnato la sentenza di prime cure con autonomo ricorso in appello allibrato al n.r.g. 6827 del 2019.

7.2.1. Con il primo motivo, l’Ente territoriale ha prospettato una doglianza analoga a quella sviluppata nel corrispondente primo motivo di appello dalla società.

7.2.2. Con il secondo motivo, l’Ente si duole della circostanza che l’art. 7, comma 1, lett. b, L.R. 54 del 1985, prevede il rispetto della distanza di 500 mt, soltanto per quei Comuni che non sono dotati dello strumento urbanistico generale e, trattandosi di norma sovraordinata rispetto alle N.T.A., questa prescrizione avrebbe dovuto prevalere rispetto al più volte menzionato art. 41. Ne consegue che essendo il Comune dotato di strumento urbanistico, che prevede peraltro la vocazione estrattiva della zona interessata dal presente contenzioso, la prescrizione dei 500 metri non poteva applicarsi.

7.2.3. Con il terzo motivo di appello, si censura il capo della sentenza che ha accolto la doglianza relativa al mancato rispetto della distanza di 50 mt, sancita dall’art. 41 delle N.T.A. del P.R.A.E., relativamente alla strada presente nell’area inglobata nel progetto approvato.

Si evidenzia a tale proposito che la strada non potrebbe definirsi effettivamente tale, in quanto “non è più adibita alla sua originaria funzione”, sicché non sarebbe applicabile la norma in questione.

Vi sarebbero poi, secondo la Regione appellante, ragioni collegate alla necessità di mettere in sicurezza l’area che avrebbero dovuto deporre per una declaratoria di infondatezza delle censure dedotte in primo grado, nonché la presenza “sull’area di che trattasi” di una cava censita nel P.R.A.E. come autorizzata, sicché il comparto estrattivo non sarebbe altro che una prosecuzione dell’attività estrattiva di una cava autorizzata.

7.3. Con appello incidentale, proposto nel giudizio n.r.g. 4639 del 2019, il Comune ha impugnato la sentenza di prime cure deducendone l’erroneità con due distinte censure.

7.3.1. Con il primo motivo (pagine 3 – 6 del gravame incidentale), l’appellante si duole della circostanza che, “nella relazione istruttoria, il Dirigente di Staff, pur dando atto che la Soprintendenza con nota prot. n. 3276 del 27.02.2018 aveva espresso parere favorevole alla realizzazione dell’intervento in questione subordinatamente ad alcune condizioni, non tiene conto del relativo parere…”.

Per l’appellante incidentale “in virtù di un consolidato indirizzo giurisprudenziale, l’Organo statale, in caso di infruttuoso decorso del termine, non resta privato del potere di esprimere comunque un parere” che, se non tenuto in adeguato conto, nelle motivazioni dell’autorizzazione paesaggistica, rende quest’ultima viziata per difetto d’istruttoria.

L’appellante incidentale, in verità, estende il principio in questione anche all’atto di approvazione del progetto e, dunque, ad un provvedimento diverso dall’autorizzazione paesaggistica, nell’ambito del cui procedimento il parere viene rilasciato, poiché ritiene che del parere la Regione avrebbe dovuto tenere conto quantomeno in sede di approvazione del progetto.

7.3.2. Con il secondo motivo (pagine 6 – 7 del gravame incidentale), il Comune ritiene errata la sentenza gravata perché non avrebbe adeguatamente considerato sia la doglianza relativa al rischio di inquinamento delle sorgenti d’acqua potabile sia quella concernente i rischi connessi all’inquinamento acustico atmosferico e percettivo.

Quanto al primo profilo, secondo l’appellante la decisione gravata non tiene conto del fatto che l’A.T.O. Alto Calore Irpino “avesse rilasciato un nulla osta condizionato all’installazione di monitoraggio con apposito torbidimetro…”.

Quanto al secondo, secondo l’appellante, il Tribunale amministrativo “pur ritenendo che lo stesso articolo 50 imponesse al titolare dell’autorizzazione di corredare l’autorizzazione all’attività estrattiva di talune prescrizioni volte proprio a mitigare l’impatto acustico, non ha valutato la censura formulata nel ricorso sul presupposto erroneo che il Comune non avesse dimostrato/documentato il rischio”.

Per l’appellante incidentale “l’inquinamento è in re ipsa e si deduce proprio dalla necessità di mitigazione sancita dalla norma”.

8. Si è costituita in giudizio anche la signora Albini, la quale ha resistito agli appelli, insistendo, altresì, per l’accoglimento di una parte delle doglianze articolate in prime cure e disattese dall’impugnata sentenza.

9. Le parti hanno ulteriormente illustrato le rispettive posizioni con il deposito di altri scritti difensivi.

10. All’udienza del 9 aprile 2020, la causa è stata trattenuta in decisione, in applicazione del disposto dell’art. 84, comma 2, D.L. 17 marzo 2020 n. 18.

DIRITTO

11. Va prioritariamente evidenziato che, ai fini dell’applicazione della norma appena richiamata, è irrilevante la circostanza che la richiesta di decisione della causa sia stata proposta da tutte le parti del giudizio, fuorché dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali, il quale è comunque stato intimato nel primo e nel presente grado del giudizio.

Va opportunamente puntualizzato in proposito che nessun provvedimento o atto di questa Amministrazione è stato impugnato, come, del resto, essa ha rappresentato in prime cure, con la nota n. 0015244 del 26 settembre 2018, depositata in giudizio dall’Avvocatura dello Stato, in data 8 novembre 2018; né alcuna censura o domanda è stata rivolta nei suoi confronti dalle altre parti.

Coerentemente a questa situazione processuale, il Ministero, da un lato, non ha provveduto a spiegare difese nel giudizio di primo grado, dall’altro, si è costituito nel presente grado di appello con mera memoria di stile.

La notificazione dell’appello a tale amministrazione va dunque considerata alla stregua di una mera litis denuntiatio e va affermata l’insussistenza di qualsiasi sua legittimazione e interesse a resistere, nel precedente e nel presente grado di giudizio.

Conseguentemente, ai fini dell’applicazione dell’art. 84, comma 2, D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, il Collegio ritiene superflua l’acquisizione della richiesta dell’amministrazione statale.

12. Sempre preliminarmente, va disposta, ex art. 96, comma 1, c.p.a., la riunione degli appelli proposti avverso la medesima sentenza del T.A.R. Campania, dalla L.A.I.F. e dalla Regione Campania, potendosi poi procedere all’esame delle censure, nell’ordine fatto proprio da ciascuna parte appellante.

13. In particolare, può iniziarsi dalla disamina della eccezione di inammissibilità dei ricorsi di primo grado, articolata rispettivamente nel primo motivo dell’appello della società L.A.I.F. e della Regione, in quanto, sostanzialmente, di analogo contenuto e dunque scrutinabili congiuntamente.

Tali censure sono fondate nei limiti e nei sensi che si vanno ad illustrare.

13.1. L’attività estrattiva è disciplinata da una molteplicità di strumenti, alcuni dei quali normativi, taluni qualificabili come atti di pianificazione, altri, infine, costituenti provvedimenti amministrativi puntuali.

13.1.1. La fonte normativa principale della quale tenere conto è la Legge regionale, che, nella vicenda in esame, è quella della Regione Campania n. 54 del 1985, la quale disciplina tutti gli aspetti salienti dell’attività in questione.

13.1.2. Lo strumento di pianificazione è costituito dal Piano regionale delle attività estrattive (P.R.A.E.), il quale provvede alla localizzazione delle cave e concorre a disciplinarne l’esercizio, anche attraverso le relative norme tecniche di attuazione (N.T.A).

Il piano identifica, infatti, fra le cave potenzialmente presenti sul territorio regionale e potenzialmente idonee all’attività estrattive, quelle sulle quali tale attività economica potrà concretamente svolgersi. Infatti, non tutte le cave esistenti possono essere oggetto della predetta attività, ma solo quelle localizzate nelle aree indicate dal piano (cfr., per il caso in esame, l’art. 5 lett. a) L.R. Campania n. 54 del 1985).

Inoltre, ai sensi dell’art. 5, lett. b, c, d, il piano provvede ad indicare “…i criteri e le metodologie per la coltivazione e la ricomposizione ambientale delle cave nuove e per il recupero di quelle abbandonate e non sistemate” (lett. b); “…i criteri per la localizzazione delle singole autorizzazioni nelle aree individuate ai sensi della precedente lettera a)” (lett. c); “…i criteri per le destinazioni finali delle cave a sistemazione avvenuta, perseguendo, ove possibile, il restauro naturalistico, gli usi pubblici e gli usi sociali” (lett. d).

13.1.3. Il provvedimento puntuale che disciplina (e consente) l’attività di coltivazione delle cave è invece costituito dal titolo abilitativo, che per la Legge regionale campana può essere costituito dall’autorizzazione o dalla concessione.

L’autorizzazione e la concessione, non soltanto consentono lo svolgimento dell’attività di cava, per i suoi profili prettamente economico-industriale, abilitano cioè l’attività di impresa consistente nell’escavazione del fondo e nell’estrazione del materiale, altrimenti vietata anche al soggetto proprietario di un fondo individuato dal piano regionale quale potenziale cava, ma tengono luogo, per consolidata giurisprudenza amministrativa, anche dei titoli edilizi necessari al compimento di questa attività (almeno a partire da Consiglio di Stato, Ad. plen. 12 ottobre 1991, n. 8, per la quale “L’art. 1 l. 28 gennaio 1977 n. 10, laddove richiede il rilascio della concessione per qualsiasi trasformazione edilizia o urbanistica del territorio comunale, non si riferisce anche alle attività estrattive o di sfruttamento di cave, per cui tali attività non sono soggette ad autorizzazione o concessione da parte del comune”, mentre rimane ferma la necessità del titolo edilizio per la “realizzazione degli impianti e delle strutture necessarie per la coltivazione della cava” (più di recente, Cons. Stato, Sez. III, 24 gennaio 2020, n. 566; Sez. V, 13 giugno 2018, n. 3625; Sez. V, 13 dicembre 2012, n. 6386; Cass. pen., Sez. III, 6 ottobre 2010, n. 40075.).

13.2. Le NN.TT.A. di attuazione del P.R.A.E. prevedono, nondimeno, che, ove alcune aree siano state individuate come “comparto estrattivo” (art. 21 N.T.A.) – “funzionale alla salvaguardia dei valori ambientali, alla ricomposizione ambientale e riqualificazione territoriale dell’intera area interessata e ad un suo sviluppo programmato degli interventi estrattivi” (art. 21, comma 2, N.T.A.) - allora “…l’attività estrattiva è subordinata alla preventiva approvazione del progetto unitario di gestione produttiva del comparto medesimo”.

Come recita, inoltre, l’art. 23, comma 2, N.T.A., “il rilascio delle autorizzazioni e concessioni estrattive…è subordinato…alla previa approvazione del progetto unitario di gestione produttiva del comparto”.

Il progetto in questione, tra gli altri contenuti, provvede anche alla “localizzazione delle cave da coltivare nell’ambito del comparto” (art. 23, comma 5, N.T.A.).

Esso, dunque, si configura come lo strumento mediante il quale si valuta l’intervento produttivo da un punto di vista economico ed industriale, e se ne giudica la coerenza con la fonte normativa, con lo strumento di pianificazione e, soprattutto, con i “criteri di coltivazione stabiliti dal competente dirigente regionale per il singolo comparto…” (art. 23, comma 5, N.T.A.), oltre ad essere propedeutico all’ottenimento del titolo abilitativo alla gestione concreta ed effettiva della cava, costituito dall’autorizzazione o dalla concessione.

14. Delineate queste coordinate di riferimento, può procedersi più specificamente all’esame del mezzo di gravame articolato da ambedue gli appellanti i quali deducono, in estrema sintesi, l’erronea applicazione dell’art. 41 N.T.A., sia per i profili disciplinati dal primo comma (mancato rispetto delle distanze dei nuovi scavi dal perimetro del centro abitato) sia per quelli disciplinati dal secondo (mancato rispetto delle distanze degli scavi da opere e infrastrutture pubbliche e/o di interesse pubblico).

14.1. L’art. 41 delle N.T.A. del P.R.A.E. prescrive che “1. Le distanze di rispetto tra i nuovi scavi a cielo aperto, sono stabilite in metri 500 dal perimetro del centro abitato come definito dall’art. 3 comma 1.8 del D.Lgs. n. 285/2002 e s.m.i., ovvero entro la stessa distanza dai nuclei abitati.

2. Le distanze minime dagli scavi di opere e infrastrutture pubbliche e/o di interesse pubblico sono stabilite in metri 50,00.

3. Distanze di rispetto minori di quelle indicate dai comma precedenti, possono essere motivatamente consentite attraverso una specifica autorizzazione da rilasciarsi da parte del dirigente del competente settore regionale, esclusivamente per le cave autorizzate alla data di entrata in vigore del presente P.R.A.E.

4. Le distanze vanno misurate in orizzontale dal ciglio superiore dell’escavazione al margine esterno dell’opera tutelata.

5. Devono essere, inoltre, rispettate le distanze stabilite dalla Sovrintendenza ai BB.AA.AA.SS. per i beni di interesse storico o architettonico o archeologico vincolati”.

Da quanto appena riportato, si desume che la disposizione in esame disciplina, con diverse norme, l’approvazione dell’attività estrattiva, relativamente al profilo delle distanze da altri elementi dell'ambiente circostante.

La lettera della norma è infatti focalizzata non sugli aspetti della pianificazione, bensì sugli “scavi” e, quindi, sull’attività di concreta coltivazione della cava, soggetta, secondo le norme tecniche di attuazione del P.R.A.E., al rilascio del titolo abilitativo, nel caso di specie, mediante autorizzazione, previa approvazione del progetto (art. 21 N.T.A.).

Le norme contenute nell’art. 41, dunque, secondo quello che è il loro tenore letterale, devono essere tenute in considerazione quando si va a valutare il rilascio del titolo preordinato alla concreta gestione della cava, per decidere se autorizzare o meno i “nuovi scavi”, come si evince plasticamente dal fatto che al terzo comma è prevista la possibilità di derogare "motivatamente" alle distanze prescritte dal primo e dal secondo comma della medesima disposizione, con una “specifica autorizzazione”, “esclusivamente per le cave autorizzate alla data di entrata in vigore del presente PRAE”.

Il dato letterale, aggettivando gli scavi come “nuovi”, restringe però il campo di applicazione della normativa soltanto a quegli scavi che non sono stati già intrapresi e non sono stati oggetto di inserimento nella pianificazione e localizzazione regionale.

Va considerato, infatti, alla luce delle coordinate sopra prospettate, che le istanze per il rilascio dei provvedimenti abilitativi e, ove occorra, anche il progetto unitario di gestione produttiva, vengono valutati (e rilasciati) in applicazione non soltanto della normativa regionale, ma anche e soprattutto degli strumenti di pianificazione e delle statuizioni ivi assunte, che provvedono all’individuazione delle aree nelle quali si potranno svolgere le attività di escavazione e di coltivazione delle cave.

Tuttavia, soltanto rispetto agli scavi qualificati come “nuovi”, l’art. 41 prescrive il rispetto delle distanze ivi previste, mentre per quelli non qualificabili come tali – poiché già presenti e “autorizzati” sul territorio della cava e, quindi, per definizione “non nuovi” - varrà la disciplina dettata dal comma 3 della disposizione, che sposta al momento del rilascio del titolo abilitativo – la “specifica autorizzazione” - la possibilità di acconsentire a distanze inferiori.

Il progetto di coltivazione e riqualificazione ambientale presentato, lì dove contempli, quale oggetto dell’attività industriale che la società svolgerà nella cava, la coltivazioni di escavazioni pregresse e, perciò, non qualificabili come “nuove”, fuoriesce dalla portata precettiva dell’art. 41, commi 1 e 2, N.T.A., sicché non può predicarsi l’applicazione di tale norma, per valutare quella parte del progetto che contempla lo svolgimento dell’attività produttiva in aree già interessate da precedenti opere di sbancamento e di scavo.

14.2. A questo proposito, va osservato che, in primo grado, la società ha dedotto:

- di svolgere nell’area individuata come comparto C06BN01 – oggetto di causa - l’attività estrattiva a partire dal 1983, in ragione di una denuncia di inizio di attività presentata nel medesimo anno e di una successiva autorizzazione alla sua prosecuzione rilasciatale dalla Regione Campania nell’aprile del 2001;

- che dalla strumentazione urbanistica del Comune di Pontelandolfo emerge la presenza di “attività estrattive pregresse, censite nel PRAE nella tipologia di quelle “abbandonate” ed “autorizzate” (pag. 16 della memoria del 31.10.2018 della LA.I.F. s.r.l.).

La Regione, con il terzo motivo di appello, ha anch’essa evidenziato “che, sull’area di che trattasi, è presente una cava censita nel PRAE come autorizzata (cava codice PRAE 62054_04 – Vedasi allegato alle “Linee Guida PRAE”)” (cfr. pag. 15 dell’appello della Regione, nonché pagg. 4 e 11 della memoria del 3 dicembre 2018, depositata in primo grado).

La planimetria dell’area allegata in atti dalla società LA.I.F. individua, inoltre, due aree di escavazione espressamente definite, nell’elaborato in questione, “area di vecchie cave”.

Il provvedimento di approvazione del progetto, al quart’ultimo capoverso, enuncia che “Nello specifico, sul piano estrattivo, nella parte N e NO del comparto, in corrispondenza delle p.lle 147, 153, 973, 656, 980, 981 del f. 1, già interessata da scavi pregressi (cava abbandonata)…”.

Rispetto alla presenza di scavi pregressi, pur richiamati dalla società appellante, non vi sono, infine, specifiche censure e/o contestazioni da parte degli originari ricorrenti.

Emerge, dunque, che il progetto presentato concerne attività di coltivazione che riguarderanno scavi pregressi.

Rispetto a siffatta attività di coltivazione, il progetto unitario che si sta scrutinando in questo giudizio - in quanto identico e conforme alla perimetrazione a suo tempo effettuata dalla Regione - non identifica né contempla “nuovi scavi”, sicché nei limiti appena chiariti, esso è conforme alla normativa regionale e alla strumentazione regionale, e, pertanto, risulta legittimo.

Resta invece inteso che, ove dovessero essere intraprese altre attività di coltivazione della cava, che, alla luce di quanto finora illustrato, debbano essere qualificate come “nuove”, l’amministrazione potrà (e dovrà) denegare il titolo abilitativo all’attività di cava, ove le distanze di cui ai commi 1 e 2 del più volte menzionato art. 41 non vengano rispettate.

14.3. In definitiva, le norme sulle distanze, pur incidendo, sicuramente, anche sugli aspetti correlati alla pianificazione  e, precisamente, in sede di delimitazione del comparto estrattivo - perché di esse il pianificatore non potrà che tenere conto in sede di perimetrazione dell’area, dovendo, evidentemente, evitare di individuare delle porzioni di territorio che, per la loro conformazione in rapporto ai punti sensibili presi in considerazione dalla disposizione in esame, non consentano una proficua attività di “nuovi” scavi - dovranno essere necessariamente e principalmente tenute in considerazione in sede di esame delle richieste di autorizzazione (art. 11) e concessione (art. 12), sicché la loro efficacia non potrebbero essere circoscritta ai soli profili concernenti la pianificazione.

14.4. In conclusione, il primo motivo di appello va accolto nei limiti e nei sensi chiariti in motivazione e, per l’effetto, in riforma, in parte qua, della sentenza di primo grado, va dichiarata la inammissibilità di tutti motivi di ricorso (articolati dal Comune e dalla signora Albini e riportati ai precedenti §§) basati sulla violazione delle distanze.

15. A tanto consegue l’assorbimento degli ulteriori mezzi di appello con cui si contesta, nel merito, la fondatezza degli originari motivi di ricorso accolti dal T.a.r. per la Campania.

16. Vanno scrutinate le censure che il Comune di Pontelandolfo ha proposto con l’appello incidentale.

A questo proposito va evidenziato che l’altra ricorrente in prime cure non ha interposto gravame incidentale per contrastare i capi sfavorevoli della sentenza oggetto del presente giudizio; ne discende l’inammissibilità, in parte qua, della richiesta di accoglimento di tali motivi ormai incontestabilmente respinti.

16.1. Relativamente alla prima censura dell’appello incidentale, riassunta in precedenza e concernente, in estrema sintesi, la mancata valutazione del parere espresso dalla Soprintendenza, seppure tardivamente, si osserva che trattasi di doglianza sia inammissibile sia infondata.

16.1.1. Il Comune si duole di un profilo del quale dovrebbe dolersi la Soprintendenza.

La mancata considerazione del parere è circostanza lesiva di un interesse di cui è portatrice la Soprintendenza, la quale tuttavia non ha dedotto, nel presente processo, alcun vizio di legittimità dell'atto gravato.

16.1.2. Consentire al Comune di dolersi della lesione di un interesse di cui è titolare l’amministrazione statale significherebbe permettere una sostituzione processuale di regola vietata ai sensi dell’art. 81 c.p.c., costituente principio generale applicabile anche al processo amministrativo, in virtù del rinvio c.d. esterno contenuto nell’art. 39 c.p.a.

16.1.3. Il motivo di appello deve essere dunque dichiarato inammissibile.

16.2. La doglianza è altresì infondata.

L’appellante incidentale si duole della sentenza di primo grado, perché non avrebbe considerato che il parere tardivo avrebbe dovuto essere comunque valutato dall’amministrazione decidente.

Da questa deduzione, in verità, l’ente locale trae l’illegittimità sia dell’autorizzazione paesaggistica che dell’approvazione del progetto.

16.2.1. Circa il primo profilo, questo Consiglio non può che ribadire il decisum di primo grado, poiché non si vede come - né tantomeno l’appellante incidentale si premura di spiegarlo - la Regione avrebbe potuto tenere conto di un parere che essa assume di aver conosciuto dopo l’adozione dell’autorizzazione paesaggistica, in quanto assunto al proprio protocollo successivamente alla data di adozione di quest’ultimo provvedimento.

Va peraltro puntualizzato che la circostanza che il parere della Soprintendenza sia comunque giunto prima dell’adozione dell’autorizzazione, benché acquisito al protocollo dell’ente territoriale soltanto successivamente al perfezionamento del provvedimento abilitativo, non è oggetto di contestazioni e censure, sicché non è oggetto dello scrutinio di questo processo.

16.2.2. Circa il secondo profilo, la tesi dell’appellante incidentale non è condivisibile.

Il Comune ritiene che la Regione avrebbe dovuto comunque tenere conto del parere nel procedimento di approvazione del progetto, ponderando le prescrizioni imposte dalla Soprintendenza.

La tesi non può essere condivisa.

Il parere in questione, infatti, costituisce un atto endoprocedimentale emanato nell’ambito di quella sequenza di atti ed attività preordinata al rilascio del provvedimento di autorizzazione paesaggistica (o del suo diniego).

Le valutazioni da esso espresse sono finalizzate, dunque, all’apprezzamento dei profili di tutela paesaggistica che si consolideranno, all’esito del procedimento, nel provvedimento regionale di autorizzazione o di diniego di autorizzazione paesaggistica.

Concluso il procedimento in questione, esercitato il relativo potere mediante l’emanazione del provvedimento, l’attività di giudizio in questione non riveste più un’autonoma rilevanza e funzione, perché si è oramai in presenza di un quadro di interessi che si è consolidato e ha trovato definitiva consacrazione, attuazione e gestione con il provvedimento abilitativo o di diniego.

In ragione di quanto appena osservato, non può accogliersi la tesi dell’appellante incidentale, volta a consentire che, dell’attività di giudizio manifestata tardivamente, nell’ambito di un distinto procedimento amministrativo, si tenga conto in procedimenti finalizzati alla cura di interessi diversi.

Una simile tesi si pone in contrasto con il principio di legalità che innerva l’azione amministrativa, perché amplia praeter legem (o contra legem) quello che è l’ambito di competenza dell’amministrazione procedente, in quanto la obbligherebbe a considerare e a pronunciarsi su profili non rimessi, dal legislatore, alla sua cura e al suo apprezzamento.

Ciò, peraltro, frustra anche ulteriori principi dell’attività amministrativa, quali quelli di non aggravamento del procedimento e di certezza dell’azione amministrativa.

Se si dovesse tenere conto del parere paesaggistico tardivamente espresso in un procedimento diverso da quello di autorizzazione paesaggistica e, con riferimento al caso di specie, in quello di approvazione del progetto di coltivazione e recupero di una cava, si onererebbe l’amministrazione procedente di una nuova e non prevista ponderazione, che essa non sarebbe tenuta a compiere, in ragione della autorizzazione paesaggistica già intervenuta; valutazione che, potenzialmente, potrebbe porsi in conflitto con quest’ultimo provvedimento, in spregio al suo predicato di inoppugnabilità.

Ove si acceda – come questo Consiglio ritiene - alla tesi contraria a quella dell’appellante incidentale, è soltanto il provvedimento di autorizzazione paesaggistica che l’amministrazione deve considerare nel procedimento relativo all’approvazione del progetto de quo e non anche il parere ad esso relativo.

16.2.3. La tesi prospettata con il primo motivo di appello non può dunque essere accolta, con riferimento al procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, perché, come correttamente rilevato dal primo Giudice, il parere non è stato conosciuto dall’ente territoriale prima dell’emanazione del relativo provvedimento; alle medesime conclusioni si perviene avuto riguardo all’approvazione del progetto di coltivazione di cava, perché, come correttamente rilevato dal primo Giudice, il parere non è atto del relativo procedimento amministrativo e di esso non si deve tenere conto, essendo già intervenuto il provvedimento di autorizzazione paesaggistica, che esaurisce i profili di salvaguardia, cura e gestione dell’interesse in questione.

17. Relativamente al secondo motivo di appello incidentale, esso riguarda, in estrema sintesi, il difetto di istruttoria relativo sia al rischio di inquinamento delle sorgenti d’acqua destinate al consumo umano sia ai rischi connessi all’inquinamento acustico atmosferico e percettivo.

17.1. Quanto al primo profilo, secondo l’appellante la decisione gravata non tiene conto del fatto che l’A.T.O. Alto Calore Irpino “avesse rilasciato un nulla osta condizionato all’installazione di monitoraggio con apposito torbidimetro..”.

17.2. Quanto al secondo, secondo l’appellante, il Tribunale amministrativo “pur ritenendo che lo stesso articolo 50 imponesse al titolare dell’autorizzazione di corredare l’autorizzazione all’attività estrattiva di talune prescrizioni volte proprio a mitigare l’impatto acustico, non ha valutato la censura formulata nel ricorso sul presupposto erroneo che il Comune non avesse dimostrato/documentato il rischio”.

Per l’appellante incidentale “l’inquinamento è in re ipsa e si deduce proprio dalla necessità di mitigazione sancita dalla norma”.

17.3. Il secondo motivo di appello è infondato.

17.3.1. Quanto al primo profilo, relativo al possibile inquinamento delle falde acquifere, così ha deciso il Tribunale amministrativo: “Non è, invece, fondata la censura relativa al rischio per le falde acquifere che è stato valutato dalle autorità competenti che, pur condizionatamente a un’azione di monitoraggio, hanno dato parere positivo (v., in particolare, il parere dell’ATO Calore Irpino)”.

Non è affatto vero, dunque, quanto lamentato con l’appello incidentale, poiché, contrariamente a quanto dedotto, il Tribunale amministrativo ha tenuto in considerazione la circostanza di cui si lamenta la pretermissione con il gravame incidentale.

Dalla lettura della sentenza si evince che il provvedimento di approvazione del progetto ha tenuto conto di questa prescrizione, perché l’approvazione è stata rilasciata condizionatamente, tant’è che si legge nella motivazione del provvedimento che il progetto “dovrà essere rielaborato e/o integrato conformemente alle prescrizioni impartite dai vari Enti/Uffici come recepite nelle predetta relazione prot. RI. N. 1956 del 27/03/2018”.

17.3.2. Anche il secondo profilo della doglianza esaminata non può essere favorevolmente delibato, poiché la stringata motivazione posta a sostegno della censura, oltre a non essere idonea a scalfire le conclusioni cui giunge il primo Giudice - dovendosi dimostrare, da parte di chi agisce in giudizio (e prima ancora, partecipa al procedimento), un rischio concreto e non potendosi invece invocare, del tutto genericamente, un rischio “in re ipsa” - non è altresì sufficiente a infirmare la legittimità del provvedimento gravato.

A questo proposito va evidenziato, in aggiunta alle argomentazioni spese dalla sentenza gravata, che nella relazione istruttoria del Genio civile di Benevento, che costituisce il compendio motivazionale del provvedimento di approvazione del progetto, viene affermato, a proposito di queste deduzioni procedimentali del Comune appellante incidentale, che “le stesse perdono di significato in ragione dei pareri favorevoli/silenzio assenso degli Uffici/Enti preposti a valutarle”.

Rispetto a questo ultimo aspetto, enunciato nella relazione istruttoria, non sono state formulate censure di primo grado volte a denunciarne l’illegittimità, né vengono formulate censure di appello sufficienti a dimostrare la dedotta illegittimità della sentenza gravata, sicché la doglianza va, conseguentemente, respinta.

17.4. L’appello incidentale va dunque respinto.

18. In conclusione, devono essere accolti gli appelli principali proposti dalla società L.A.I.F. e dalla Regione Campania, mentre deve essere respinto il gravame incidentale proposto dal Comune.

19. Le spese dei due gradi del processo possono essere compensate fra tutte le parti del giudizio, considerata la novità e la complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti, come in epigrafe proposti:

a) accoglie gli appelli principali della società La.I.F. e della Regione Campania;

b) respinge l’appello incidentale del Comune di Pontelandolfo nella causa n.r.g. 4639/2019;

c) per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge in toto i ricorsi di primo grado proposti dal comune di Comune di Pontelandolfo e dalla signora Orazia Albini;

d) compensa integralmente fra tutte le parti costituite le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2020 con l'intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente

Luca Lamberti, Consigliere

Nicola D'Angelo, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere

Michele Conforti, Consigliere, Estensore