Consiglio di Stato Sez. VII n. 4372 del 21 maggio 2025
Urbanistica.Condono e nozione di ultimazione dell'intervento edilizio

L’art. 32, co. 25, del d.l. n. 269 del 2003 prevede che il nuovo condono si applica alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003. In considerazione di quanto previsto dal co. 2 dell’art. 31 l. n. 47/1985, applicabile anche al nuovo condono del 2003, per opere ultimate devono intendersi gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente. Tale norma prevede, pertanto, due criteri alternativi per la verifica del requisito dell’ultimazione (alla data del 31 marzo 2003), rilevante ai fini del rilascio del condono: si tratta del criterio “strutturale”, che vale nei casi di nuova costruzione; e del criterio “funzionale”, che opera, invece, nei casi di opere interne di edifici già esistenti oppure di manufatti con destinazione diversa da quella residenziale. Quanto al criterio strutturale del completamento del rustico, per edifici “ultimati” si intendono quelli completi almeno al “rustico”, espressione con la quale si intende un’opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne) ma necessariamente comprensiva delle tamponature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente calcolabili. La nozione di completamento funzionale implica, invece, uno stato di avanzamento nella realizzazione tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione; in altri termini l’organismo edilizio, non soltanto deve aver assunto una sua forma stabile nella consistenza planivolumetrica (come per gli edifici, per i quali è richiesta la c.d. ultimazione “al rustico”, ossia intelaiatura, copertura e muri di tompagno) ma anche una sua riconoscibile e inequivoca identità funzionale che ne connoti con assoluta chiarezza la destinazione d’uso. Pertanto, per quel che concerne il criterio del completamento funzionale richiesto al fine di stabilire se un abusivo mutamento di destinazione d’uso si sia perfezionato entro la data limite fissata per la presentazione delle domande di condono, deve aversi riguardo non solo alla realizzazione delle opere che “denunciano” la destinazione oggetto di condono, ma anche alla realizzazione di tutte le opere che rendano questa ultima effettivamente possibile.

Pubblicato il 21/05/2025

N. 04372/2025REG.PROV.COLL.

N. 02636/2023 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2636 del 2023, proposto dalla sig.ra -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’Avvocato Xavier Santiapichi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Campagnano di Roma, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Mauro Taglioni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza resa inter partes dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Roma, n. -OMISSIS-/2023, pubblicata in data 10 gennaio 2023

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione del Comune di Campagnano di Roma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 maggio 2025 il Consigliere Michele Tecchia e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La vicenda di fatto da cui scaturisce l’odierna controversia può essere così sintetizzata:

(i) con istanza di condono edilizio del 27 novembre 2003 trasmessa ai sensi del d.l. n. 269 del 2003, l’appellante – premesso di essere comproprietaria di un immobile sito nel comune di Campagnano di Roma per il quale era stata inizialmente rilasciata una concessione edilizia (la n. -OMISSIS-del -OMISSIS-) avente ad oggetto l’edificazione di un fabbricato rurale distribuito su due livelli (un piano interrato diviso in locale autorimessa e locale macchine e attrezzi uso agricolo, e inoltre un piano fuori terra diviso in abitazione e magazzino ad uso agricolo) – ha chiesto al Comune appellato la sanatoria edilizia di alcuni abusi realizzati in difformità rispetto alla suddetta concessione edilizia, e cioè il cambio di destinazione d’uso (da agricola a residenziale) di alcuni vani di detto immobile, nonché il frazionamento della costruzione in due unità immobiliari residenziali e la chiusura di un porticato;

(ii) con provvedimento di diniego del 17 gennaio 2008, notificato in data 18 gennaio 2008, il Comune di Campagnano di Roma – come già comunicato con i preavvisi di rigetto del 8 gennaio 2007 e del 1° ottobre 2007 – ha negato il rilascio del condono in ragione delle «relazioni (con relative foto) effettuate dall’Ufficio tecnico comunale e dai Vigili urbani in data rispettivamente 13 luglio 2003, 1 dicembre 2003 e 10 gennaio 2005, dalle quali si è riscontrato ed evidenziato che l’abuso oggetto del presente condono è stato commesso dopo il 31 marzo 2003, termine ultimo entro il quale doveva essere eseguito l’abuso, così come stabilito dal comma 1 dell’art. 2 della L.R. 12/04».

2. L’odierna appellante ha impugnato il diniego di condono dinanzi al T.A.R. Lazio.

3. Il Comune di Campagnano di Roma si era costituito in resistenza nel giudizio di primo grado, instando per la reiezione del gravame.

4. Con la sentenza ora appellata, il T.A.R. Lazio ha respinto il ricorso.

5. Con l’odierno atto di appello, pertanto, la ricorrente impugna la sentenza di primo grado. L’appello è affidato a quattro specifici motivi di gravame che saranno diffusamente esaminati più avanti.

6. Il Comune di Campagnano di Roma si è costituito nel giudizio di appello per resistere al gravame, instando per la sua reiezione.

7. All’udienza pubblica del 20 maggio 2025, il Collegio ha trattenuto la causa in decisione.

DIRITTO

8. Con il primo motivo di appello, l’odierna appellante censura la sentenza impugnata lì dove la stessa ha statuito che il diniego di condono non poteva che pronunciarsi sull’abuso di tipologia 3 dell’Allegato 1 del d.l. n. 369 del 2003 (id est le opere di ristrutturazione edilizia realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio, ivi incluso il cambio di destinazione d’uso con contestuale frazionamento) posto che la stessa istanza di condono faceva esplicito riferimento – con dichiarazione avente carattere confessorio – proprio ad un abuso di tipologia 3.

8.1. L’appellante sottopone a critica questo capo di sentenza con un motivo di censura i cui snodi argomentativi essenziali sono i seguenti:

a) in verità l’istanza di condono faceva inizialmente riferimento ad un abuso edilizio di tipologia 1 (id est a nuove opere realizzate in assenza o in difformità dal titolo edilizio) e non di tipologia 3, sebbene poi nel corso del procedimento amministrativo l’appellante abbia effettivamente rettificato l’istanza e, quindi, specificato - anche alla luce di una circolare amministrativa sopravvenuta in quel periodo ai fini del corretto pagamento dell’oblazione - che si trattava in realtà di un abuso di tipologia 3 ai sensi dell’Allegato 1 del d.l. n. 369 del 2003;

b) il fatto che la ricorrente abbia dichiarato (in sede di rettifica dell’istanza) l’esistenza di un abuso di tipologia 3, non potrebbe mai avere valore confessorio, atteso che la confessione stragiudiziale implica la dichiarazione di fatti sfavorevoli alla parte confitente, mentre nel caso di specie l’ammissione di un abuso di tipologia 3 avrebbe comportato conseguenze soltanto favorevoli per la ricorrente (id est il pagamento di un’oblazione di importo inferiore rispetto a quella prevista per un abuso di tipologia 1);

c) il fatto che il soggetto istante abbia qualificato in un certo modo la domanda di condono (nel caso di specie come abuso di tipologia 3 anziché di tipologia 1) non priva comunque l’Amministrazione del potere-dovere di riqualificare tale abuso e, pertanto, di ricondurlo alla categoria normativamente corretta;

d) nel caso di specie l’abuso in contestazione rientrerebbe nella tipologia 1 (e non nella tipologia 3) ciò in quanto l’immobile originario (id est quello rurale assentito con la concessione edilizia del 2001) era praticamente inesistente, sicché i lavori abusivamente realizzati su di esso dovrebbero essere qualificati alla stregua di nuove opere (e non di mera ristrutturazione edilizia);

e) una volta riqualificato l’abuso come di tipologia 1 (anziché di tipologia 3) ad avviso dell’appellante “risulterebbero superate le motivazioni del diniego, prima, e della sentenza di primo grado, poi, circa la mancata prova del “completamento funzionale” alla data del 31 marzo 2003”;

f) ciò in quanto per le nuove opere ascrivibili all’abuso di tipologia 1 (a differenza delle ristrutturazioni implicanti un cambio di destinazione d’uso ascrivibili all’abuso di tipologia 3) ciò che deve risultare realizzato entro il 31 marzo 2003 non è il completamento funzionale dell’opera, bensì un quid minoris consistente nel rustico e nella relativa copertura (quanto precede in virtù dell’art. 31, comma 2, della l. n. 47 del 1985, applicabile anche al condono del 2003, secondo il quale si intendono ultimati entro il 31 marzo 2003 “gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente”).

8.2. Il motivo è complessivamente infondato.

8.3. Innanzitutto non è rilevante stabilire se l’istanza di condono abbia o meno valore confessorio nella parte in cui la stessa specificava – in sede di rettifica – che l’abuso condonabile rientrava nella tipologia 3 (anziché nella tipologia 1).

Ciò che rileva è che in un procedimento amministrativo su istanza di parte (quale è per l’appunto quello di condono edilizio) l’Amministrazione procedente non può che pronunciarsi – in ossequio al principio di coerenza tra chiesto e pronunciato – sulla specifica richiesta formulata dall’istante.

Va da sé che se l’istante ha dedotto la sussistenza di un abuso di tipologia 3, l’Amministrazione doveva necessariamente verificare se (e in che misura) esistano i presupposti per il condono di tale tipo di abuso.

Ne discende che se anche la dichiarazione di parte non avesse (come preteso dall’appellante) un valore confessorio, resta comunque il fatto che tale dichiarazione segna il perimetro della decisione amministrativa, dovendo quest’ultima risultare coerente con l’istanza di parte.

8.4. Fermo quanto precede, il Collegio ritiene doveroso sottolineare che la motivazione del diniego impugnato – per come risultante anche dai verbali di sopralluogo citati per relationem dall’atto gravato – è comunque idonea ad escludere la condonabilità di qualsiasi tipo di abuso, a prescindere dal fatto che esso possa essere sussunto nella tipologia 1 o nella tipologia 3.

Si è già visto, infatti, che il diniego di condono è stato adottato in ragione delle «relazioni (con relative foto) effettuate dall’Ufficio tecnico comunale e dai Vigili urbani in data rispettivamente 13 luglio 2003, 1 dicembre 2003 e 10 gennaio 2005, dalle quali si è riscontrato ed evidenziato che l’abuso oggetto del presente condono è stato commesso dopo il 31 marzo 2003, termine ultimo entro il quale doveva essere eseguito l’abuso, così come stabilito dal comma 1 dell’art. 2 della L.R. 12/04».

Il motivo ostativo al condono edilizio consiste, pertanto, nella mancata ultimazione dell’abuso edilizio entro la data del 31 marzo 2003.

Ed infatti, l’art. 32, co. 25, del d.l. n. 269 del 2003 prevede che il nuovo condono si applica alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003.

In considerazione di quanto previsto dal co. 2 dell’art. 31 l. n. 47/1985, applicabile anche al nuovo condono del 2003 (cfr. Cons. St., sez. VII, 12 giugno 2023, n. 5754), per opere ultimate devono intendersi «gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente».

Tale norma prevede, pertanto, due criteri alternativi per la verifica del requisito dell’ultimazione (alla data del 31 marzo 2003), rilevante ai fini del rilascio del condono: si tratta del criterio “strutturale”, che vale nei casi di nuova costruzione; e del criterio “funzionale”, che opera, invece, nei casi di opere interne di edifici già esistenti oppure di manufatti con destinazione diversa da quella residenziale.

Quanto al criterio strutturale del completamento del rustico, per edifici “ultimati” si intendono quelli completi almeno al “rustico”, espressione con la quale si intende un’opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne) ma necessariamente comprensiva delle tamponature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente calcolabili (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 16 ottobre 1998, n. 130).

La nozione di completamento funzionale implica, invece, uno stato di avanzamento nella realizzazione tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione; in altri termini l’organismo edilizio, non soltanto deve aver assunto una sua forma stabile nella consistenza planivolumetrica (come per gli edifici, per i quali è richiesta la c.d. ultimazione “al rustico”, ossia intelaiatura, copertura e muri di tompagno) ma anche una sua riconoscibile e inequivoca identità funzionale che ne connoti con assoluta chiarezza la destinazione d’uso.

A quest’ultimo riguardo, questo Consiglio di Stato ha affermato, più in particolare, che “In tema di condono dell’abusivo mutamento di destinazione d’uso dell’immobile, il completamento funzionale va interpretato nel senso che il manufatto deve essere già fornito delle opere indispensabili a rendere possibile l’uso diverso da quello assentito (entro il termine ultimo fissato dalla legge)” (Cons. St., sez. VI, 10 ottobre 2022, n. 8642; Consiglio di Stato, sez. VI, 1° febbraio 2021, n.923).

È stato inoltre precisato che “Ai fini dell’applicabilità della normativa in materia di condono edilizio, in caso di mutamento della destinazione d’uso, la locuzione «ultimazione» riferita alle opere abusive va intesa in senso funzionale, con riguardo cioè al momento in cui l’immobile ha acquisito caratteristiche oggettivamente e univocamente idonee alla nuova destinazione, anche se i lavori non risultino completati con gli interventi di finitura.”. (Consiglio di Stato sez. IV, 26/01/2009, n.393).

Pertanto, per quel che concerne il criterio del completamento funzionale richiesto al fine di stabilire se un abusivo mutamento di destinazione d’uso si sia perfezionato entro la data limite fissata per la presentazione delle domande di condono, deve aversi riguardo – in base alla più recente giurisprudenza a cui il Collegio presta adesione –non solo alla realizzazione delle opere che “denunciano” la destinazione oggetto di condono, ma anche alla realizzazione di tutte le opere che rendano questa ultima effettivamente possibile.

8.5. Orbene, nel caso di specie il verbale di sopralluogo del 27 luglio 2003 – contrariamente a quanto obiettato dalla ricorrente – dimostra che l’abuso non può essere condonato né come abuso di tipologia 1, né come abuso di tipologia 3.

Ed infatti, anche a voler ammettere che l’abuso de quo consista in una nuova opera riconducibile alla tipologia 1, tale nuova opera non può comunque considerarsi “ultimata” al 31 marzo 2003, atteso che il verbale di sopralluogo del 27 luglio 2003 attesta che in quella data – per quanto riguarda il piano interrato di progetto – “le mura perimetrali non sono state edificate”; pertanto, il summenzionato criterio strutturale del completamento del rustico (espressione con la quale si intende un’opera mancante solo delle finiture ma comprensiva delle tamponature esterne) non sarebbe comunque soddisfatto, posto che verrebbe in rilievo una “nuova opera” contraddistinta da un piano interrato con mura perimetrali ancora non edificate.

La già vista carenza di un requisito strutturale dell’opera (id est le mura perimetrali del piano interrato dell’immobile) appare da sola sufficiente ad escludere – a fortiori – anche il più gravoso requisito del completamento funzionale che è prescritto ai fini della condonabilità degli abusi di tipologia 3.

A ciò si aggiunga che il suddetto verbale di sopralluogo dimostra anche che:

(i) «attualmente i lavori sono in corso di esecuzione»;

(ii) «la costruzione si presenta internamente al grezzo»;

(iii) le tramezzature non risultano interamente ultimate;

(iv) «non sono stati eseguiti i muri di contenimento relativi ai terrapieni previsti nella parte nord»;

(v) con riferimento al piano terra, «la copertura del solaio intermedio tra il piano terra e il tetto è stata eseguita con pannelli di cartongesso anziché in C.A.» e «l’impianto di scarico del bagno» risulta soltanto “predisposto”, dunque ben lungi dall’essere operante.

Non risultano presenti, inoltre, gli infissi esterni ed interni, i rivestimenti e i pavimenti.

Gli elementi sopra elencati – così come risultanti non soltanto dal verbale di sopralluogo del 27 luglio 2003 ma anche dalla documentazione fotografica versata in atti dalla stessa appellante – dimostrano, pertanto, che alla data del 31 marzo 2003 il completamento funzionale dell’opera era ancora ben lungi dall’essere realizzato.

A ciò si aggiunga che in base alla perizia tecnica resa in data 5 agosto 2004 dall’Arch. -OMISSIS-su incarico della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli (perizia prodotta in atti dalla stessa appellante) “il frazionamento del fabbricato in due distinte unità abitative è stato eseguito nel periodo di tempo compreso tra il 26.07.2003 e il 25.11.2003”.

Risulta per tabulas, quindi, che alla data del 31 marzo 2003:

a) la nuova abitazione con destinazione residenziale non era ultimata, e ciò sia se la si considera come nuova costruzione (abuso di tipologia 1) sia se la si considera come cambio di destinazione d’uso da agricolo a residenziale (abuso di tipologia 2), posto che non può considerarsi ultimata sia in base al criterio c.d. strutturale (rustico e copertura) sia a fortiori in base al criterio c.d. funzionale (completamento funzionale);

b) non era affatto completata l’opera di frazionamento in due unità abitative.

8.6. Per quel che concerne, poi, la chiusura del portico, se da un lato è vero che essa risulta già realizzata alla data del sopralluogo (id est 27 luglio 2003) dall’altro lato è anche vero, però, che l’appellante non ha fornito alcuna prova della sua ultimazione alla diversa data del 31 marzo 2003.

Va ricordato, a tal riguardo, che ai fini della concessione della sanatoria straordinaria ricade in capo al proprietario (o al responsabile dell’abuso) l’onere di provare la data di ultimazione delle opere edilizie, dal momento che solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto.

In difetto di tali prove, resta integro il potere dell’Amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso e il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria.

Pertanto, in assenza di prove del fatto che la chiusura del portico sia avvenuta in data anteriore rispetto al 31 marzo 2003, il diniego di condono resiste alle censure attoree, non potendosi escludere che tale chiusura – tenuto conto della limitata entità dei lavori che la richiedono – possa essere stata realizzata anche nel periodo compreso tra il 31 marzo 2003 e il 27 luglio 2003.

8.7. Per tutto quanto sopra esposto, pertanto, il primo motivo di appello va respinto.

9. Con il secondo motivo di appello, poi, l’odierna appellante prende in considerazione l’ipotesi in cui il Collegio dovesse ritenere che il Comune fosse obbligato a pronunciarsi soltanto su un abuso di tipologia 3.

Orbene, con tale secondo profilo di doglianza (logicamente subordinato rispetto al primo) l’appellante contesta la sentenza appellata nella parte in cui la stessa aderisce a quel consolidato insegnamento giurisprudenziale secondo cui la sanatoria di opere edilizie interne (o incidenti su immobili non residenziali) richiederebbe sempre il completamento funzionale di tali opere.

Ad avviso dell’appellante, infatti, dovrebbe essere privilegiato quell’opposto indirizzo pretorio (che la stessa appellante ammette essere più datato e risalente) secondo cui l’abuso consistente in un cambio di destinazione d’uso di un immobile preesistente può dirsi ultimato entro il 31 marzo 2003 (sì da poter beneficiare del condono) se entro tale data l’immobile è corredato di opere del tutto incompatibili con l’originaria destinazione d’uso; in sintesi, l’appellante sostiene che la normativa de qua postulerebbe che entro il 31 marzo 2003 vi sia stato soltanto un generico completamento (e non anche un completamento funzionale) del cambio di destinazione d’uso dell’immobile preesistente.

Diversamente opinando – prosegue l’appellante – si realizzerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra abusi consistenti in nuovi opere (per il cui condono è sufficiente la realizzazione entro il 31 marzo 2003 del rustico e della copertura) e abusi consistenti in cambi di destinazione d’uso (per il cui condono si richiede il completamento funzionale entro la suddetta data); a dire dell’appellante tale disparità di trattamento giustificherebbe una rimessione alla Corte Costituzionale di un’apposita questione di legittimità costituzionale dell’art. 31 della legge n. 47 del 1985.

Fermo quanto precede, l’appellante soggiunge che nel caso di specie le opere in contestazione risulterebbero essere già completate (ancorché non funzionalmente complete) alla data del 31 marzo 2003, posto che:

(i) il verbale del sopralluogo effettuato dal Comune in data 25 luglio 2003 comproverebbe la (già avvenuta) realizzazione di alcune opere chiaramente strumentali sia al cambio di destinazione di parte della costruzione, sia al frazionamento della stessa, nonché la chiusura del portico, sicché “In ragione di quanto fin qui argomentato deve ritenersi anche che l’abuso fosse compiuto già al 30 marzo 2003. Il periodo intercorso tra la data fissata per legge ed il primo sopralluogo (si rammenta del 25 luglio 2003) è di soli tre mesi, un lasso di tempo insufficiente, per ragioni puramente tecniche, a realizzare i lavori necessari agli abusi contestati” (cfr. pag. 21 dell’atto di appello);

(ii) le evidenze istruttorie del verbale di sopralluogo del 25 luglio 2003 sarebbero ulteriormente confermate sia dai rilievi satellitari del 18 aprile 2003 (cfr. relazione tecnica di parte depositata dall’appellante nel giudizio di primo grado in data 31 agosto 2022) sia dalla fattura n. -OMISSIS- del 26 febbraio 2003 avente il seguente oggetto: “Lavori eseguiti: Tramezzature in pannelli di laterite relative al frazionamento delle due unità immobiliari, riguardante il piano terra e il piano seminterrato v.s. immobile sito in -OMISSIS- di Campagnano di Roma” (cfr. documento n. 5 allegato al ricorso di primo grado).

9.1. Il motivo è infondato.

9.2. Si è già visto nella disamina del primo motivo, infatti, che la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato - alla quale il Collegio intende aderire - è nel senso di ritenere che l’ultimazione del cambio di destinazione d’uso abusivo può dirsi perfezionata entro il 31 marzo 2003 soltanto se (e nella misura in cui) prima di tale data l’autore dell’abuso abbia eseguito il completamento funzionale della nuova unità abitativa.

Tale condizione di sanabilità del cambio di destinazione d’uso appare perfettamente ragionevole e non è dato riscontrare alcuna ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla condizione richiesta, invece, per la sanatoria della nuova costruzione (id est rustico e copertura).

La diversità di condizioni di sanatoria riflette, infatti, la diversità di abusi a cui tali condizioni si applicano.

In un caso, infatti, viene in rilievo un’opera nuova che prima non esisteva, sicché è perfettamente ragionevole esigere che entro il 31 marzo 2003 il nuovo opus sia stato ultimato quantomeno nella sua conformazione planovolumetrica (rustico e copertura).

Nell’altro caso, invece, viene in rilievo un’attività modificativa di una struttura già esistente, ciò che rende pienamente ragionevole la scelta normativa di esigere un quid pluris, ovverossia il completamento funzionale dell’opus trasformato.

Il che rende manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata dall’appellante.

9.3. Fermo quanto precede, si è già visto che nel caso di specie l’appellante non solo non ha fornito (come sarebbe stato suo onere fare) alcuna prova della risalenza temporale dell’abuso ad una data antecedente rispetto al 31 marzo 2003, ma ha anzi dimostrato che il completamento funzionale della parte principale dell’abuso (id est il cambio di destinazione d’uso e il contestuale frazionamento) è stato ultimato soltanto in data successiva al 31 marzo 2003, così come si ricava chiaramente dal verbale di sopralluogo del 27 luglio 2003 e dalla perizia tecnica resa in data 5 agosto 2004 dall’Arch. -OMISSIS-su incarico della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli.

Va aggiunto, per completezza, che nessuna efficacia probatoria può essere attribuita né ai rilievi satellitari del 18 aprile 2003 (cfr. relazione tecnica di parte depositata dall’appellante nel giudizio di primo grado in data 31 agosto 2022) né alla fattura n. -OMISSIS- del 26 febbraio 2003 (recante il seguente oggetto: “Lavori eseguiti: Tramezzature in pannelli di laterite relative al frazionamento delle due unità immobiliari, riguardante il piano terra e il piano seminterrato v.s. immobile sito in -OMISSIS- di Campagnano di Roma”, cfr. documento n. 5 allegato al ricorso di primo grado).

Per quel che concerne, infatti, i rilievi satellitari, essi contengono soltanto una fotografia aerea del tetto dell’immobile de quo, fotografia in alcun modo idonea a comprovare il completamento funzionale delle opere in contestazione.

Per quel che riguarda, invece, la fattura n. -OMISSIS- del 26 febbraio 2003, essa si limita ad attestare al più la realizzazione delle tramezzature, ma non anche il completamento funzionale dell’opera di frazionamento delle due unità abitative (frazionamento che in base alla summenzionata perizia tecnica resa in data 5 agosto 2004 dall’Arch. -OMISSIS-su incarico della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli, risale incontestabilmente ad una data successiva al 31 marzo 2003).

9.4. Per tutto quanto sopra esposto, pertanto, anche il secondo motivo di appello va respinto.

10. Con il terzo motivo di appello, l’odierna appellante censura la sentenza impugnata lì dove la stessa ha escluso che il Comune appellato abbia omesso di valutare le osservazioni difensive trasmesse dalla ricorrente nel corso del procedimento amministrativo (in proposito la sentenza di prime cure statuisce che è “Da disattendere è la doglianza di mancata valutazione delle osservazioni procedimentali perché nel provvedimento intimato esse risultano espressamente considerate, e trovando comunque applicazione il disposto dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, nel testo vigente “ratione temporis”, non essendo configurabile nel caso di specie un esito solutorio differente”).

10.1 A tal riguardo l’appellante obietta che:

(i) l’atto impugnato si è limitato a richiamare il deposito di scritti difensivi della ricorrente, senza null’altro aggiungere (e, quindi, senza prendere alcuna posizione sul loro effettivo contenuto);

(ii) nel caso di specie non può applicarsi il meccanismo sanante previsto dall’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, atteso che le osservazioni difensive esposte dalla ricorrente nel procedimento amministrativo avrebbero potuto condurre ad un esito provvedimentale diverso;

(iii) in ogni caso con il preavviso di rigetto il Comune si era auto-vincolato ad esaminare le osservazioni difensive della ricorrente.

10.2. Il motivo è infondato.

10.3. Non è revocabile in dubbio, infatti, che il diniego di condono impugnato nel presente giudizio è un provvedimento rigidamente vincolato, sicché esso soggiace al meccanismo sanante dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990.

Tale meccanismo ben può applicarsi al caso di specie, tenuto conto che nessuna delle obiezioni sollevate in giudizio dall’odierna appellante appare idonea a determinare un esito provvedimentale diverso rispetto a quello concretamente manifestatosi.

11. Con il quarto motivo di appello, infine, la ricorrente manifesta la volontà (logicamente subordinata rispetto a quella già rappresentata con i primi tre motivi di appello) a riproporre “quanto già dedotto in primo grado in merito alla possibilità di ridurre la volumetria riducendo in pristino le parti eccedenti. Anche a voler accogliere la questione del superamento del limite volumetrico indicato dalla legge regionale, il Comune avrebbe avuto l’obbligo di indicare, in occasione della comunicazione dei motivi ostativi, la possibilità di ridurre la volumetria esistente, abbattendo la parte non sanabile … La scelta di rigettare il condono – ed i tempi di questa scelta – provano lo sviamento della P.A., che, pur potendo limitare gli effetti lesivi ad una quota-parte dell’abuso, ha deciso di rigettare integralmente la domanda degli istanti” (cfr. pag. 25 dell’atto di appello).

11.1. Anche questo motivo va disatteso, in quanto completamente eccentrico rispetto alla motivazione che è stata posta a sostegno del provvedimento impugnato.

Il Comune appellato ha negato il condono non già per il superamento del limite volumetrico, bensì per la mancata ultimazione dell’abuso in data antecedente rispetto al 31 marzo 2003.

Acclarata, pertanto, la piena legittimità di quest’ultima motivazione, va da sé che qualsiasi censura incentrata sul rispetto del limite volumetrico (di cui non si fa alcuna menzione nell’atto impugnato) appare inammissibile per carenza di interesse ad agire.

12. In conclusione, quindi, l’appello va respinto in quanto infondato.

13. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte appellante alla rifusione delle spese del giudizio e le liquida in misura complessivamente pari ad euro 3.000,00 (tremila/00) oltre oneri accessori come per legge (se dovuti).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 maggio 2025 con l'intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Fabio Franconiero, Consigliere

Angela Rotondano, Consigliere

Pietro De Berardinis, Consigliere

Michele Tecchia, Consigliere, Estensore