Consiglio di Stato Sez. VII n. 3550 del 24 aprile 2025
Urbanistica.Condono edilizio e vincolo paesaggistico 

Ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. d) del d.l. n. 269 del 30 settembre 2003, convertito con modificazioni dalla legge n. 326 del 24 novembre 2003 (cd. ‘terzo condono’), le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se, oltre al ricorrere delle ulteriori condizioni – e cioè che le opere siano realizzate prima della imposizione del vincolo, che siano conformi alle prescrizioni urbanistiche e che vi sia il previo parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo - siano opere minori senza aumento di volume e superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria). Pertanto, un abuso comportante la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo paesaggistico non può essere sanato.

Pubblicato il 24/04/2025

N. 03550/2025REG.PROV.COLL.

N. 02550/2023 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2550 del 2023, proposto da:
Grazia Cecconi, rappresentata e difesa dall'avvocato Irene Giuseppa Bellavia, con domicilio digitale pec in registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via della Giuliana, 32

contro

Roma Capitale, in persona del sindaco in carica, rappresentata e difesa dall’avvocato Umberto Garofoli, con domicilio digitale pec in registri di giustizia

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, n. 11523 del 2022.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il consigliere Laura Marzano;

Uditi, nell'udienza pubblica del giorno 1 aprile 2025, gli avvocati Irene Giuseppa Bellavia e Umberto Garofoli;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’appellante ha impugnato la sentenza del Tar Lazio, sez. II, n. 11523 del 6 settembre 2022, con la quale è stato respinto il ricorso da lei proposto da avverso la determinazione dirigenziale di Roma Capitale, Dipartimento programmazione e attuazione urbanistica – Direzione e attuazione degli strumenti urbanistici – U.O. condono edilizio n. 44 del 31 gennaio 2013 di reiezione dell’istanza di condono edilizio (prot. n. 546073) presentata ai sensi della legge n. 326 del 2003, relativa ad un manufatto in legno di 45,20 mq., con annesso portico di 14.04 mq., sito nel territorio del Comune di Roma, alla via Ermanno Giglio Tos n. 79, distinto in catasto urbano al foglio 1178, particella n. 1421, sub 1, adibito a residenza familiare e realizzato senza titolo edilizio.

Roma capitale si è costituita in giudizio in vista della trattazione depositando memoria difensiva con cui ha chiesto la reiezione dell’appello.

Anche l’appellante ha depositato memoria conclusiva.

All’udienza pubblica del 1 aprile 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Il diniego è stato adottato in quanto l’area su cui insiste l’abuso risulta essere gravata dal vincolo paesaggistico ex art. 134, comma 1 lett. a), b), c) ed f) del d.lgs. 42 del 2004 – Parco Decima Malafede - e pertanto, in base legge n. 326 del 2003 e alla legge regionale del Lazio n. 12 del 2004 sul cd. ‘terzo condono edilizio’, non è ammissibile la sanatoria delle opere ricadenti in area vincolata sotto il profilo paesistico- ambientale.

Il Tar del Lazio, dinanzi al quale tale determinazione è stata impugnata, ha respinto il ricorso in sintesi rilevando la non condonabilità dell’abuso realizzato, consistente in un aumento di superficie e di volumetria rientrante nelle tipologie di illecito di cui ai numeri 1, 2 e 3 dell’allegato 1 al d.l. n. 269 del 2003, per le quali il comma 26 dell’art. 32 dello stesso decreto legge e l’art. 3 comma 1 lettera b) della legge regionale n. 12 del 2004, in riferimento alle zone vincolate (come quella oggetto di causa), escludono la sanatoria.

3. L’appellante ha affidato l’appello ai seguenti motivi:

1) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 33 della Legge n. 47/1985 e s.i.m. e dell’art. 3 della L.R. Lazio n. 12/2004. Eccesso di potere per errore dei presupposti, illogicità ed irrazionalità manifeste. Illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 27, della Legge n. 326/2003 e dell’art. 3 della Legge Regionale Lazio n. 12/2004 per contrasto con l’art. 3 Cost.. Error in iudicando e/o in procedendo, motivazione insufficiente”.

Sostiene che il comune non avrebbe potuto limitarsi a rigettare, sic et simpliciter, la domanda di condono ma avrebbe dovuto effettuare la valutazione di compatibilità dell’intervento edilizio realizzato con le esigenze di salvaguardia del bene protetto, ovvero acquisire il nulla-osta dell’Autorità preposta alla tutela, come affermato da alcuni precedenti giurisprudenziali che richiama. La circostanza che l’opera abusiva oggetto di istanza di condono ex legge n. 326 del 2003 insista su un’area sottoposta a vincolo paesaggistico non comporterebbe un impedimento automatico del condono.

2) “Conseguente violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 33 della Legge n. 47/1985 come modificati e dell’art. 3 della L.R. Lazio n. 12/2004, sotto altro profilo. Eccesso di potere per errore dei presupposti, difetto di istruttoria. Error in iudicando. Vizio di omessa pronuncia. Violazione dell’art. 112 c.p.c.”.

Ribadisce che il provvedimento comunale impugnato sarebbe viziato non avendo effettuato il comune, in subdelega, la valutazione di compatibilità paesistica dell’opera abusiva rispetto al vincolo paesistico e, quindi, al bene oggetto di tutela. Non avendo il Tar affrontato la questione la sentenza sarebbe affetta dal vizio di omessa pronuncia.

4. Roma Capitale si difende esponendo in sintesi quanto segue.

Richiama l’art. 32, comma 27, del decreto legge n. 269 del 2003 e l’art. 3 della legge regionale n. 12 del 2004, che, al comma 1, mantiene espressamente fermo «quanto previsto dall’articolo 32, comma 27, del d.l. 269/2003 e successive modifiche» e osserva che legislazione statale e legislazione regionale si pongono in termini di coordinamento e non di disapplicazione della prima in favore della seconda.

Dal chiaro tenore letterale di tali norme secondo Roma Capitale consegue l’esclusione della possibilità di condono degli abusi cc.dd. ‘maggiori’, come quello per cui è causa che, come del resto indicato all’interno dell’istanza, pacificamente ricade nella tipologia 1 di cui all’allegato 1 della legge 326 del 2003 (vale a dire nuove opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici).

Inoltre sarebbe irrilevante la circostanza evidenziata dall’appellante per cui, nel caso di specie, si verterebbe in ipotesi di mera inedificabilità relativa.

Né sussisterebbe la presunta violazione dell’art. 3 della costituzione da parte della legge regionale n. 12 del 2004 sotto il profilo della ragionevolezza.

Sarebbe infondata la doglianza dell’appellante secondo cui la legge regionale e la legge nazionale si porrebbero in contrasto, in ragione del restringimento operativo del condono da parte del legislatore regionale che avrebbe irragionevolmente introdotto un regime più rigoroso delle cause ostative al rilascio della sanatoria.

Correttamente il Tar avrebbe ritenuto legittimo l’operato dell’Amministrazione nella misura in cui ha denegato il condono, in quanto avente ad oggetto un abuso di tipologia 1, integrante una nuova costruzione, con aumento di superficie e volumetria oltre il limite massimo, in area soggetta a vari vincoli e, dunque, rientrante tra i c.d. ‘abusi maggiori’.

Quanto al secondo motivo ne eccepisce l’inammissibilità per divieto dei nova in appello, rilevando che l’appellante, per la prima volta avrebbe introdotto, quale motivo di censura dell’operato dell’Amministrazione, l’argomento della precarietà dell’opera in quanto realizzata in legno, adducendo che tale caratteristica avrebbe dovuto indurre l’ente civico a valutare l’opera in termini meno impattanti sul contesto paesaggistico.

Tale argomentazione, in ogni caso, oltre che inammissibile sarebbe contraddittoria rispetto al dato di fatto che l’immobile in questione viene utilizzato per bisogni abitativo-residenziali.

D’altro canto, il richiamo alla mancata emissione del parere di compatibilità paesaggistica sarebbe inconferente trattandosi di cd. ‘abusi maggiori’, laddove il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo viene in rilievo unicamente per le opere cd. ‘minori’ di cui ai numeri 4, 5 e 6 dell’Allegato 1 alla l. 326 del 2003 e non anche nelle opere di nuova costruzione come quella per cui è causa (tipologia 1).

5. L’appello, i cui motivi ridondano in un’unica sostanziale censura, è infondato.

Vanno puntualizzati alcuni dati di fatto non contestati: 1) l’abuso di cui si controverte consiste in un “ampliamento” di cui ai numeri 1, 2 e 3 dell’allegato 1 alla legge 28 febbraio 1985, n. 47 (cd. ‘abusi maggiori’); 2) l’immobile è ubicato in zona sottoposta a numerosi vincoli, alcuni dei quali apposti prima della realizzazione delle opere abusive che, secondo l’art. 32, comma 25, del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 devono essere state ultimate entro il 31 marzo 2003 e altri sopravvenuti.

Tanto chiarito le argomentazioni di parte appellante non sono idonee a scalfire la legittimità del diniego impugnato in primo grado.

5.1. Con riferimento alla normativa statale va rilevato che il comma 27, dell’art. 32 del d.l. 269 del 2003 (norma non toccata da lacuna pronuncia di incostituzionalità) dispone che «Fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n.47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora: … d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici».

Quanto alla normativa regionale, l’art. 3 della legge regionale del Lazio n. 12 del 2004 (rubricato “Cause ostative alla sanatoria edilizia”) dispone: «Fermo restando quanto previsto dall'articolo 32, comma 27, del d.l. n. 269/2003 e successive modifiche, dall'articolo 32 della l. 47/1985, come da ultimo modificato dall'articolo 32, comma 43, del citato d.l. 269/2003, nonché dall'articolo 33 della l. 47/1985, non sono comunque suscettibili di sanatoria: … b) le opere di cui all'articolo 2, comma 1, realizzate, anche prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all'interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali».

5.2. Relativamente alla suddetta disposizione devono essere richiamate le considerazioni cui è pervenuta, più di recente, la Corte costituzionale con la sentenza 30 luglio 2021, n. 181.

Quanto ai requisiti che devono sussistere per la condonabilità di un abuso la Corte costituzionale ha osservato che, analogamente a quanto avvenuto per il cosiddetto ‘secondo condono’ (previsto dall’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724), il legislatore ha costruito la disciplina del c.d. ‘terzo condono’, prevista dal d.l. n. 269 del 2003, facendo perno sulla normativa del c.d. ‘primo condono’, contenuta negli artt. 31 e seguenti della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e, in particolare, nei suoi artt. 32 e 33 (la cui disciplina è espressamente fatta salva dall’art. 32, comma 27, del d.l. n. 269 del 2003, come convertito).

A proposito della sanatoria straordinaria prevista dal d.l. n. 269 del 2003 la Corte ha più volte sottolineato il suo «carattere temporaneo ed eccezionale rispetto all’istituto a carattere generale e permanente del “permesso di costruire in sanatoria”, disciplinato dagli artt. 36 e 45 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 [e il fatto di essere] ancorato a presupposti in parte diversi e comunque sottoposto a condizioni assai più restrittive» (sentenza n. 196 del 2004).

Più in generale, la Corte ha definito il condono come un istituto «“a carattere contingente e del tutto eccezionale” (in tale senso, ad esempio, sentenze n. 427 del 1995 e n. 416 del 1995), ammissibile solo “negli stretti limiti consentiti dal sistema costituzionale” (sentenza n. 369 del 1988), dovendo in altre parole “trovare giustificazione in un principio di ragionevolezza” (sentenza n. 427 del 1995)» (sentenza n. 196 del 2004).

Il fondamento giustificativo di questa legislazione va individuato, secondo la Consulta, nella «necessità di “chiudere un passato illegale” in attesa di poter infine giungere ad una repressione efficace dell’abusivismo edilizio, pur se non sono state estranee a simili legislazioni anche “ragioni contingenti e straordinarie di natura finanziaria” (cfr., tra le altre, sentenze n. 256 del 1996, n. 427 del 1995 e n. 369 del 1988, nonché ordinanza n. 174 del 2002)» (sentenza n. 196 del 2004).

Sull’ambito oggettivo di applicazione del c.d. ‘terzo condono’ (che era stato già definito nella sentenza n. 196 del 2004), la Corte ha confermato che costituiscono vincoli preclusivi della sanatoria anche quelli che non comportano l’inedificabilità assoluta (ordinanza n. 150 del 2009) e che «il condono di cui al d.l. n. 269 del 2003 è caratterizzato da un ambito oggettivo più circoscritto rispetto a quello del 1985, per effetto dei limiti ulteriori contemplati dal precitato comma 27, i quali “si aggiungono a quanto previsto negli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985” (sentenza n. 196 del 2004) e non sono racchiusi nell’area dell’inedificabilità assoluta (ordinanza n. 150 del 2009)» (sentenza n. 225 del 2012).

Tali considerazioni sono state riprese nella giurisprudenza successiva (tra le tante, sentenze n. 77 del 2021, n. 70 del 2020, n. 208 del 2019, n. 68 del 2018, n. 73 del 2017, n. 233 e n. 117 del 2015), con la precisazione che «il ruolo del legislatore regionale, “specificativo – all’interno delle scelte riservate al legislatore nazionale – delle norme in tema di condono, contribuisce senza dubbio a rafforzare la più attenta e specifica considerazione di quegli interessi pubblici, come la tutela dell’ambiente e del paesaggio, che sono – per loro natura – i più esposti a rischio di compromissione da parte delle legislazioni sui condoni edilizi” (sentenza n. 49 del 2006)» (sentenza n. 208 del 2019).

Dalla giurisprudenza costituzionale esaminata emerge: per un verso, il carattere sicuramente più restrittivo del c.d. ‘terzo condono’ rispetto ai precedenti, in ragione dell’effetto ostativo alla sanatoria anche dei vincoli che comportano inedificabilità relativa; per altro verso, il significativo ruolo riconosciuto al legislatore regionale, al quale – ferma restando la preclusione “all’ampliamento” degli spazi applicativi del condono – è assegnato il delicato compito di «rafforzare la più attenta e specifica considerazione di […] interessi pubblici, come la tutela dell’ambiente e del paesaggio» (sentenza n. 208 del 2019).

In questo quadro si colloca, secondo la Corte, la scelta del legislatore regionale del Lazio, il quale, prevedendo che anche il vincolo sopravvenuto determini la non condonabilità dell’opera abusiva (art. 3, comma 1, lettera b, legge regionale Lazio n. 12 del 2004 recante “Disposizioni in materia di definizione di illeciti edilizi”), ha adottato un regime certamente più restrittivo di quello previsto dalla normativa statale. Quest’ultima non dispone, infatti, la non condonabilità in caso di vincolo sopravvenuto.

Afferma la sentenza in rassegna che il legislatore regionale del Lazio, assegnando ai vincoli sopravvenuti l’effetto di rendere non condonabile l’opera abusiva, ha introdotto dunque una condizione ostativa ulteriore rispetto a quelle previste dalla normativa statale susseguitasi nel tempo, pertanto ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera b), legge regionale del Lazio n. 12 del 2004, nella parte in cui non consente il condono delle opere abusive realizzate anche prima dell’apposizione di un vincolo imposto sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all’interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali. Introducendo un regime più rigoroso di quello disegnato dalla normativa statale, il legislatore regionale del Lazio non ha oltrepassato il limite costituito dal principio di ragionevolezza.

Precisa la Corte che l’insistente ricorso ad aggettivi come “eccezionale”, “straordinario”, “temporaneo” e “contingente”, utilizzati per descrivere la normativa sui condoni edilizi, esprime la peculiare ratio di queste misure, da considerare come assolutamente extra ordinem e destinate a operare una tantum in vista di un definitivo superamento di situazioni di abuso: per queste stesse ragioni, il legislatore regionale non può ampliare i limiti applicativi della sanatoria, né allargare l’area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato ma può introdurre una disciplina più restrittiva di quella statale, nell’esercizio delle competenze in materia di governo del territorio, e quindi anche a proteggere meglio gli anzidetti valori (Corte cost. 30 luglio 2021, n. 181).

5.3. Sul punto per completezza va ricordato che, da ultimo, l'art. 1, comma 1, della legge regionale 26 luglio 2024, n. 12, ha modificato la lettera b) della norma in rassegna, eliminando l’inciso “anche prima della apposizione del vincolo” e la disciplina transitoria di cui all’art. 2 della stessa legge dispone che la modifica trova applicazione ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della legge: nel caso di specie, trattandosi di “procedimento” ormai definito, l’ius superveniens è comunque influente.

5.4. Tanto precisato, è infondata la censura di incostituzionalità dell’art. 3 della legge regionale in rassegna, laddove ha introdotto una disciplina più restrittiva imponendo una condizione ostativa ulteriore rispetto a quelle previste dalla normativa statale susseguitasi nel tempo, dal momento che la suddetta norma è passata indenne al vaglio della Corte costituzionale che, con la richiamata sentenza n. 181 del 2021, si è pronunciata proprio sul profilo criticato dall’appellante.

5.5. Deve pertanto ribadirsi che «non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai numeri 1, 2 e 3 dell'allegato 1 alla citata legge (cd. abusi maggiori), realizzate su immobili soggetti a vincoli a prescindere dal fatto che (ed anche se) si tratti di interventi conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici e al fatto che il vincolo non comporti l'inedificabilità assoluta dell'area. Sono invece sanabili, se conformi a detti strumenti urbanistici, solo gli interventi cd. minori di cui ai numeri 4, 5 e 6, dell'allegato 1 al d.l. n. 326, cit. (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria), previo parere della autorità preposta alla tutela del vincolo» (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 dicembre 2024, n. 9856).

La giurisprudenza ha, infatti, costantemente affermato che, ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. d) del d.l. n. 269 del 30 settembre 2003, convertito con modificazioni dalla legge n. 326 del 24 novembre 2003 (cd. ‘terzo condono’), le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se, oltre al ricorrere delle ulteriori condizioni – e cioè che le opere siano realizzate prima della imposizione del vincolo, che siano conformi alle prescrizioni urbanistiche e che vi sia il previo parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo - siano opere minori senza aumento di volume e superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria). Pertanto, un abuso comportante la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo paesaggistico non può essere sanato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 2 maggio 2016, n. 1664; 23 febbraio 2016, n. 735; 18 maggio 2015, n. 2518).

L’applicabilità della sanatoria, nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico, alle sole opere di restauro o risanamento conservativo o di manutenzione straordinaria, su immobili già esistenti, se ed in quanto conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici è stata poi confermata anche dalla costante giurisprudenza penale secondo cui: «in tema di abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, il condono previsto dall'art. 32 del D.L. n. 269 del 2003 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 326 del 2003) è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del citato D.L. (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l'area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici» (Cass. pen., sez. III, 20 maggio 2016, n. 40676).

5.6. Il provvedimento di diniego impugnato mette chiaramente in luce che l’abuso che si intende sanare ha comportato la realizzazione senza titolo di nuova volumetria. È altresì pacifico che l’area in questione è soggetta a numerosi vincoli.

Ne deriva che, sulla scorta delle precisazioni fornite dalla giurisprudenza innanzi citata, gli abusi in questione esulano dall’ambito applicativo della disposizione speciale sul condono, per la quale nelle aree soggette a vincolo paesaggistico il condono è ammesso solo per gli abusi cc.dd. ‘minori’ (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria) nel cui ambito non può rientrare l’abuso per cui è causa.

Il che rende irrilevante la doglianza inerente la mancata acquisizione, da parte di Roma Capitale, del parere dell’Autorità preposta al vincolo (rectius: ai vincoli insistenti sull’area), trattandosi di adempimento superfluo a fronte della evidente non sanabilità dell’abuso.

Il caso di specie differisce dai precedenti invocati, che in parte riguardano abusi commessi in altre regioni e tutti si riferiscono a fattispecie antecedenti alla ricordata pronuncia della Corte costituzionale, che ha ritenuto legittima la normativa regionale del Lazio più restrittiva quanto alla condonabilità di abusi in aree vincolate.

Inoltre non è revocabile in dubbio, né è contestato dall’appellante, che tutti i vincoli indicati dall’amministrazione gravanti sull’area siano, nel caso di specie pienamente operanti, ditalché i pareri delle diverse Autorità preposte ai vincoli, quand’anche acquisiti, non potrebbero comunque ovviare al fatto ineludibile che si tratta di abuso non condonabile: ciò diversamente dalla fattispecie esaminata nel precedente di questa sezione (sentenza 27 luglio 2023, n. 7381), richiamato dall’appellante nella memoria conclusiva.

Per quanto precede, l’appello deve essere respinto.

6. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante alla rifusione, in favore di Roma capitale, di spese e competenze del presente grado di giudizio, che liquida in € 4.000,00 (quattromila) oltre oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 1 aprile 2025, con l'intervento dei magistrati:

Claudio Contessa, Presidente

Fabio Franconiero, Consigliere

Raffaello Sestini, Consigliere

Sergio Zeuli, Consigliere

Laura Marzano, Consigliere, Estensore