Cass. Sez. III n. 28458 del 10 luglio 2009 (Ud. 30 apr. 2009)
Pres. Lupo Est. Fiale Ric. Aversa
Urbanistica. Manutenzione straordinaria e risanamento conservativo
Quanto alla manutenzione straordinaria, l’art. 3, 1° comma 1 lett. b), del T.U. n. 380/2001 ricomprende in tale nozione "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare o sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare e integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni d’uso". Interventi siffatti devono essere comunque effettuati nel rispetto degli elementi tipologici, strutturali e formali nella loro originaria edificazione. L’art. 3, 1° comma 1 lett. c), del T.U. n. 380/2001 identifica, poi, gli interventi di restauro e risanamento conservativo come quelli "rivolti a conservare l‘organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che - nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell‘organismo stesso - ne consentano destinazioni d’uso con esso compatibili". Tali interventi, in particolare, possono comprendere: il consolidamento, il ripristino ed il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio; l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso; l’eliminazione di elementi estranei all’organismo edilizio. La finalità è quella di rinnovare l’organismo edilizio in modo sistematico e globale, ma essa deve essere attuata - poiché si tratta pur sempre di conservazione - nel rispetto dei suoi elementi essenziali tipologici, formali e strutturali. Ne deriva che non possono essere mutati: la qualificazione tipologica del manufatto preesistente, cioè i caratteri architettonici e funzionali di esso che ne consentono la qualificazione in base alle tipologie edilizie; gli elementi formali (disposizione dei volumi, elementi architettonici) che distinguono in modo peculiare il manufatto, configurando l’immagine caratteristica di esso; gli elementi strutturali, cioè quelli che materialmente compongono la struttura dell’organismo edilizio.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 9.2.1994, in parziale riforma della sentenza 23.11.1992 del Pretore di Sorrento:
a) ribadiva l'affermazione della responsabilità penale di A. G. in ordine ai reati di cui:
- alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c), (per avere realizzato in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, senza la necessaria concessione edilizia, lavori di ristrutturazione di un manufatto rurale, aumentandone la cubatura di 103 mc. e mutandone la destinazione d'uso in quella abitativa - acc. in (OMISSIS));
- alla L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies;
b) e - con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche ed essendo stati unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen. - determinava la pena complessiva in giorni 22 di arresto e L. 20.200.000 di ammenda, concedendo i benefici di legge;
c) confermava l'ordine di demolizione delle opere abusive e le statuizioni risarcitorie in favore della Regione Campania, costituitasi parte civile.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l' A., il quale ha eccepito:
- la insussistenza dei reati, in quanto egli avrebbe realizzato alcune difformità soltanto parziali a fronte di una autorizzazione sindacale ritualmente rilasciatagli per il consolidamento statico del manufatto;
- vizio di motivazione in ordine alla richiesta di riduzione della pena, poichè sarebbe stato illegittimamente omesso il giudizio di bilanciamento tra le riconosciute circostanze attenuanti generiche e la fattispecie di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c), da considerarsi "ipotesi aggravata" rispetto a quella di cui alla precedente lett. b).
Tenuto conto della pendenza di una domanda di "condono edilizio", presentata dal ricorrente, questa Corte - all'udienza del 3.11.1994 - ha disposto la sospensione del procedimento L. n. 47 del 1985, ex art. 38.
Il difensore ha depositato memoria, in data 14.1.2009, con la quale ha ulteriormente illustrato le doglianze svolte in ricorso ed ha eccepito altresì che:
- la contravvenzione edilizia contestata non sarebbe più prevista dalla legge come reato in seguito all'intervenuta abrogazione della L. n. 47 del 1985, art. 20 ad opera del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 163, non esistendo alcuna continuità tra le disposizioni già poste dallo stesso art. 20 e quelle attualmente contenute nel D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44;
- entrambi i reati sarebbero ormai prescritti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè manifestamente infondato.
1. Infondata è la pretesa riconducibilità delle opere realizzate agli interventi conservativi e/o manutentivi, sottratti come tali al regime della concessione edilizia e che potrebbero anche fruire del regime eccettuato di cui alla L. n. 431 del 1985, art. 1 quinquies.
Quanto alla manutenzione straordinaria, il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. b), (con definizione già fornita dalla L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lett. b)) ricomprende in tale nozione "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare o sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonchè per realizzare e integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni d'uso".
Interventi siffatti devono essere comunque effettuati "nel rispetto degli elementi tipologici, strutturali e formali nella loro originaria edificazione" (vedi C. Stato, Sez. 5, 25.11.1999, n. 1971 e 8.4.1991, n. 460).
Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. c), (con definizione già fornita dalla L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lett. c)) identifica, poi, gli interventi di restauro e risanamento conservativo come quelli "rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che - nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso - ne consentano destinazioni d'uso con esso compatibili". Tali interventi, in particolare, possono comprendere:
- il consolidamento, il ripristino ed il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio;
- l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso;
- l'eliminazione di elementi estranei all'organismo edilizio.
La finalità è quella di rinnovare l'organismo edilizio in modo sistematico e globale, ma essa deve essere attuata - poichè si tratta pur sempre di conservazione - nel rispetto dei suoi elementi essenziali "tipologici, formali e strutturali".
Ne deriva che non possono essere mutati:
- la "qualificazione tipologica" del manufatto preesistente, cioè i caratteri architettonici e funzionali di esso che ne consentono la qualificazione in base alle tipologie edilizie;
- gli "elementi formali" (disposizione dei volumi, elementi architettonici) che distinguono in modo peculiare il manufatto, configurando l'immagine caratteristica di esso;
- gli "elementi strutturali", cioè quelli che materialmente compongono la struttura dell'organismo edilizio.
Nella vicenda in oggetto, invece, non è ravvisabile un'attività di conservazione, recupero o ricomposizione di spazi, secondo le modalità e con i limiti dianzi delineati, bensì lo stravolgimento di elementi tipologici e formali, con immutazione della fisionomia dell'immobile e dell'aspetto esteriore di esso nelle sue linee generali; risulta accertato, invero, in punto di fatto, che il manufatto preesistente è stato ampliato di circa 103 mc. e ne è stata modificata la destinazione d'uso da "comodo rurale" in quella abitativa.
Sul punto la motivazione della sentenza impugnata, nella sua lettura integrata con la decisione del Pretore, appare esauriente e corrispondente alle premesse fattuali acquisite in atti, in quanto essa esamina tutti gli elementi decisivi a disposizione e fornisce risposte coerenti alle obiezioni della difesa.
Va evidenziato, in proposito, che le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione dei fatti e dell'attribuzione degli stessi alla persona dell'imputato non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel merito della sentenza.
2. Quanto alla seconda doglianza, va ribadita la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema, secondo la quale l'ipotesi di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c), configura un'autonoma figura di reato e non una semplice aggravante della contravvenzione prevista dalla lettera b) del medesimo articolo; ne deriva che non è possibile il giudizio di comparazione, ex art. 69 cod. pen., con eventuali circostanze attenuanti.
Con riferimento agli abusi edilizi commessi in zone vincolate, infatti, l'illecito sub c) - la cui pena edittale viene autonomamente stabilita - si caratterizza per un'elevata potenzialità offensiva della condotta, con riguardo ai valori urbanistico-culturali ed ambientali tutelati. Esso presenta - sotto il profilo strutturale - un elemento ulteriore rispetto a quello di cui alla lett. b), cioè la violazione del vincolo, e la condotta sanzionata viene ad incidere in modo rilevante non soltanto sull'assetto del territorio, ma sull'intero ambiente, comportando una lesione anche del paesaggio, direttamente tutelato dall'art. 9 Cost. (vedi Cass., Sez. 3^: 19.12.1989, Salese; 3.7.1992, Langella; 23.4.1994, n. 4699; 13.10.1997, Morano; nonchè Sez. 4, 30.5.1994, n. 6337).
Le medesime argomentazioni, per l'identità sostanziale delle previsioni normative, valgono pure per l'attuale formulazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 (vedi Cass., Sez. 3, 16.4.2008, Starace).
3. Manifestamente infondata è la prospettazione di inesistenza del reato di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c), in relazione alla breve vigenza del D.P.R. n. 380 del 2001 dall'1 al 9 gennaio 2002 (secondo le diffuse argomentazioni svolte, in proposito, da Cass., Sez. 3: 23.1.2002, n. 8556, Busnelli; 15.3.2002, n. 19378, Catalano; 20.9.2002, Ameli ed altro; 3.12.2002, D'Ospina; 28.1.2003, De Masi; 27.3.2003, Sargentini), sicchè:
- non è seriamente sostenibile la tesi secondo la quale vi sarebbe stato un temporaneo vuoto normativo in materia edilizia;
- dal 10 gennaio 2002 e fino alla definitiva entrata in vigore del D.P.R. n. 380 del 2001 è rimasta vigente la L. n. 47 del 1985, art. 20, con la conseguente perdurante punibilità dei fatti commessi sotto la sua vigenza;
- sussiste continuità ed omogeneità normativa - a fronte della identità di formulazione testuale e per la palese omogeneità strutturale - tra le previgenti fattispecie penali di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, comma 1, lett. b) e c), e quelle, oggi in vigore, previste dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b) e c).
4. I reati, accertati il (OMISSIS), non erano prescritti al momento della pronuncia della sentenza impugnata (9.2.1994); mentre la inammissibilità del ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto:
- della procedura di condono edilizio (che risulta non ancora conclusa presso il competente ufficio comunale);
- della prescrizione dei reati che venga a scadere in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32, ric. De Luca).
5. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 30 aprile 2009.
Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2009