Consiglio di Stato Sez. IV  n. 2996  del 24 marzo 2023
Urbanistica.Convenzione urbanistica e previsione di ulteriori oneri contributivi

La previsione di oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge, in quanto espressione dell’autonomia privata, non inficia le convenzioni urbanistiche in termini di nullità per contrasto con le norme imperative. Questo in ragione del fatto che, da un lato, difetta nell'ordinamento una norma generale che impedisca, in sede di convenzione urbanistica, la libera erogazione di ulteriori contribuzioni rispetto a quelle fissate dalla legge, integranti, come tali, il minimo legale; dall’altro, la causa della convenzione urbanistica, ovvero l'interesse che l'operazione contrattuale è teleologicamente diretta a soddisfare, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato che della pubblica amministrazione. In virtù del principio di autoresponsabilità, una volta assunto, in chiave convenzionale, l’impegno a corrispondere il relativo importo, lo stesso è giuridicamente dovuto, non ravvisandosi alcun contrasto con norme imperative. (Nella fattispecie, la sezione ha osservato come l'utilità che l’appellante ha ricevuto dall'operazione riguardata nel suo complesso, anche attraverso la cessione onerosa a terzi del diritto di costruire il complesso immobiliare concesso dall'amministrazione, ben giustifichi gli impegni assunti dalla società in sede convenzionale).

Pubblicato il 24/03/2023

N. 02996/2023REG.PROV.COLL.

N. 08431/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8431 del 2016, proposto da Gold s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Claudio De Stefanis, Francesca Vrespa, Gabriele Cappello ed Elisabetta M. De Matteis, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Claudio De Stefanis in Roma, Piazzale delle Medaglie D’Oro n.7;

contro

Comune di Santa Margherita Ligure, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Corrado Mauceri, domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;
Regione Liguria, non costituita in giudizio;

per la riforma

delle sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria n. 495 del 2016 e n. 656 del 2016, rese tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Santa Margherita Ligure;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2023 il consigliere Luca Monteferrante e udito per la parte appellante l’avvocato Claudio De Stefanis;

Vista l’istanza di passaggio in decisione depositata dall’avvocato Corrado Mauceri per la parte appellata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.La Gold S.r.l. ha adito il T.a.r. per la Liguria per impugnare la variante allo strumento urbanistico generale del Comune di Santa Margherita Ligure, approvata con deliberazione della Giunta regionale n. 976 del 3 agosto 2012, nella parte in cui disponeva la rimozione del vincolo alberghiero gravante sull’immobile sede dell’ex Hotel Terminus, di sua proprietà, contestualmente prevedendo che gli interventi di trasformazione con cambio di destinazione d’uso in residenziale sarebbero stati subordinati all’applicazione delle prescrizioni dettate dal nuovo art. 50 bis delle norme di attuazione, vale a dire alla cessione a titolo gratuito al Comune di una superficie non inferiore al 10% della superficie di pavimento, con possibilità di monetizzazione parametrata all’80% del valore minimo Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) della zona di riferimento.

1.1. Peraltro, successivamente alla notifica del ricorso giurisdizionale dinanzi al T.a.r., in data 18 febbraio 2013, era stata stipulata la convenzione urbanistica per l’intervento di sostituzione edilizia con cambio di destinazione d’uso da alberghiero a residenziale con la quale la Gold s.r.l. si impegnava a pagare al Comune di Santa Margherita Ligure, in luogo della cessione di superficie di cui al citato art. 50 bis, la monetizzazione del 10% della nuova superficie abitativa, quantificata in € 383.909,60; inoltre le parti si davano atto che l’adempimento di tale obbligazione avrebbe esonerato la società dall’obbligo di assicurare il rispetto degli standard urbanistici (cfr. artt. 5 e 6 della convenzione).

1.2. La convenzione, in parte qua, riproduceva la disciplina sulla monetizzazione delle aree da cedere al Comune contenuta nella variante urbanistica e contestata dalla Gold s.r.l.

2. Con la sentenza 18 dicembre 2014, n. 1899 – passata in giudicato - il T.a.r. per la Liguria ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato gli atti relativi alla variante.

2.1. Il T.a.r., in particolare:

a) ha ritenuto fondata e assorbente la censura sollevata con il primo motivo di gravame, relativa all’insussistenza del presupposto inerente alla natura vincolata dell’immobile, trattandosi di struttura che, alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 1 del 2008, era priva di classificazione alberghiera, per essere l’attività cessata sin dal 2006;

b) ha precisato in motivazione che la mancata impugnazione della predetta convenzione, se da un lato non comportava acquiescenza e quindi la improcedibilità del ricorso avverso la variante, dall’altra implicava che “poiché l’impugnazione non è stesa alla convenzione 4297 del 18.2.2013 l’annullamento non concerne i rispettivi diritti ed obblighi nascenti dalla stessa e – segnatamente - non travolge le pattuizioni di cui agli artt. 5 e 6, concernenti la monetizzazione delle cessioni di superficie e degli standard urbanistici dovuti dalla società Gold s.r.l. in relazione al progettato intervento di sostituzione edilizia con cambio di destinazione d’uso da alberghiero a residenziale, oneri che sono stati quantificati anche in base alla vigente legislazione sul c.d. social housing (cfr. articolo 26 bis della L.R. 3.12.2007, n. 38)”.

3. Successivamente alla pubblicazione della menzionata sentenza:

a) la ditta Gold ha precisato di aver stipulato la convenzione nel convincimento di poter addivenire, a seguito dell’accoglimento del ricorso, alla modifica della stessa nonché di aver tentato, dopo la pubblicazione della sentenza favorevole, di avviare una trattativa per rinegoziare i termini dell’accordo, sostituendo l’obbligazione avente per oggetto il pagamento delle somme ancora dovute al Comune (€ 191.954,80) con quella relativa alla realizzazione di opere a scomputo:

b) il Comune ha rifiutato la proposta e, con nota n. 3349 del 1° febbraio 2016, ha sollecitato il pagamento della somma residua, maggiorata di interessi legali, comunicando l’avvio del procedimento volto all’escussione della fideiussione prestata a garanzia delle obbligazioni assunte dalla società;

c) nelle more, i lavori di ristrutturazione dell’edificio venivano regolarmente avviati e giungevano sino quasi alla loro ultimazione.

4. Con successivo ricorso (allibrato al n.r.g.21372016) la Gold s.r.l. ha nuovamente adito il T.a.r. per la Liguria per l’esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 1899/2014 instando per la declaratoria della nullità della citata nota n. 3349 del 1 febbraio 2016 del Comune di Santa Margherita Ligure. Chiedeva altresì che il rifiuto del Comune di modificare la convenzione fosse ritenuto in contrasto con l’effetto conformativo discendente dal giudicato di annullamento della variante urbanistica.

5. Il T.a.r.:

a) con sentenza non definitiva 18 maggio 2016, n. 495, ha escluso la sussistenza di una violazione del giudicato e ha disposto il mutamento di rito per l’esame delle doglianze proposte avverso la predetta nota comunale e gli artt. 5 e 6 della convenzione, in sede di giudizio di legittimità;

b) con successiva sentenza definitiva 22 giugno 2016, n. 656, ha respinto il ricorso escludendo la nullità e comunque la annullabilità degli artt. 5 e 6 della convenzione edilizia stipulata inter partes, dedotte dalla appellante e ha ritenuto legittima la richiesta di pagamento delle rate residue con cui veniva altresì preannunciata la escussione della fideiussione.

6. La Gold s.r.l. ha proposto appello avverso le predette sentenze, contestandone la erroneità e chiedendo la loro integrale riforma cui si è opposto il Comune di Santa Maria Ligure che, costituitosi in giudizio, ha chiesto invece la loro integrale conferma, con reiezione del gravame.

7. In vista della udienza di discussione fissata per il 19 gennaio 2023 le parti hanno depositato memorie difensive rispettivamente: in data 19 dicembre 2022, entrambe, la memoria conclusionale; in data 29 dicembre 2022, la sola appellante, quella di replica.

8. L’appello avverso la sentenza non definitiva 18 maggio 2016, n. 495 è infondato.

8.1. Con il primo motivo (pp. 7-11 dell’appello) la appellante deduce: erroneità della sentenza n. 495 del 2016 per violazione degli artt. 112, 113 e 114 c.p.a. Violazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale. Contraddittorietà della motivazione.

Lamenta che il T.a.r. avrebbe errato nel ritenere la condotta del Comune conforme al decisum della sentenza n. 1899 del 2014.

Secondo l’appellante il fatto che il giudice dell’ottemperanza non abbia ravvisato profili di violazione del dictum giurisdizionale per avere il medesimo giudice, in sede di cognizione, escluso la possibilità di estendere il proprio sindacato alla convenzione edilizia, in quanto non impugnata in quella sede, si porrebbe in contrasto con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, stante la impossibilità di conseguire il bene della vita, come contraddittoriamente riconosciuto dallo stesso T.a.r..

8.1.1. Il motivo è infondato.

8.1.2. L’affermazione del T.a.r. secondo cui il giudicato sostanziale si è formato soltanto su ciò che ha costituito oggetto della decisione, merita di essere condivisa e poiché è pacifico che l’accertamento non è stato esteso alla convezione edilizia – non oggetto di apposita impugnativa con motivi aggiunti né con distinto ricorso - quest’ultima non può essere assunta quale parametro di una pretesa violazione di obblighi conformativi da parte del Comune in sede di giudizio di ottemperanza, proprio perché estranea al perimetro dell’accertamento giudiziale e, conseguentemente, al giudicato formatosi sul punto.

Allo stato la convenzione, proprio in quanto non impugnata, è valida ed efficace e, come tale, è vincolante tra le parti, motivo per cui, legittimamente, il Comune ha preannunciato la escussione della polizza fideiussoria in caso di mancato pagamento delle rate residue oggetto di uno specifico obbligo di pagamento dedotto in convenzione.

Non vale opporre che ciò determinerebbe una situazione di mancanza di effettività di tutela giurisdizionale poiché è stata una scelta della parte ricorrente quella di non impugnare nel giudizio avverso la variante – o comunque in un separato giudizio - anche la successiva convenzione edilizia e non può sottacersi che tale decisione le ha comunque consentito di dare immediato avvio all’intervento di recupero, sebbene sulla base di condizioni economiche più onerose.

In definitiva, nel caso di specie il mancato conseguimento del bene della vita non è la conseguenza di un inadempimento dell’amministrazione alla statuizione del giudice bensì l’effetto della scelta di parte di procedere con la stipula di una convenzione che ha replicato, su base pattizia, la regolamentazione che la parte assume lesiva del proprio interesse, novando la fonte del pregiudizio asseritamente patito.

8.2. Con un secondo motivo la appellante (pp. 11-13 dell’appello) osserva come nella sentenza del T.a.r. n. 1899 del 2014 il giudice della cognizione aveva escluso che la mancata impugnazione della convenzione potesse integrare una forma di acquiescenza, privando di interesse la parte alla contestazione della variante, e respingeva sul punto la eccezione di improcedibilità dell’appello sollevata dalla difesa comunale. Ciò implicherebbe, a suo dire, che, nonostante la mancata contestazione della convenzione, comunque la parte dovrebbe poter ritrarre dalla sentenza di annullamento una qualche utilità, la cui negazione deve potere essere censurata in sede di ottemperanza; diversamente il giudice della cognizione avrebbe dovuto dichiarare la improcedibilità del ricorso, atteso che l’annullamento della variante sarebbe risultato inutiliter datum.

8.2.1. La doglianza è infondata.

8.2.2. Il fatto che il T.a.r., in sede di cognizione, abbia ritenuto che la mancata impugnazione della convenzione urbanistica non privasse di interesse la parte all’annullamento della variante, al fine di ottenere una diversa disciplina urbanistica dell’immobile, non elide il dato di fondo rappresentato dal fatto che la convenzione attuativa non è stata impugnata sicchè, rispetto alla regolamentazione dell’assetto degli interessi ivi contenuto, non può ravvisarsi un inadempimento del Comune, sanzionabile in sede di ottemperanza, nella misura in cui l’ente si limiti a chiedere il rispetto delle pattuizioni ivi contenute.

Deve poi osservarsi che l’effetto conformativo di cui l’appellante invoca il rispetto risulta, nel caso di specie, superato da un accordo ex art. 11 della legge n. 241 del 1990, tale dovendosi qualificare la convenzione edilizia per constante insegnamento giurisprudenziale; una tale tipologia di accordo pur avendo ad oggetto l’esercizio di un potere, ha natura negoziale laddove la autonomia delle parti ben può disciplinare un assetto di interessi definendo una regolamentazione che vada oltre la fattispecie legale tipica, purchè la stessa sia conforme ad una finalità di interesse pubblico: nel caso di specie la regolamentazione degli obblighi patrimoniali in contestazione trova la propria causa giustificativa anche nella finalità di c.d. social housing, ex art. 26 bis della legge regionale 3 dicembre 2007, n. 38 e riveste comunque natura sostitutiva rispetto alla disciplina degli standard dovuti per legge, come espressamente chiarito dall’art. 6 della convenzione.

Non a caso il T.a.r., nel precisare che l’annullamento della variante non concerne i rispettivi diritti ed obblighi nascenti dalla convenzione, chiariva che gli oneri determinati ai sensi degli artt. 5 e 6 “sono stati quantificati anche in base alla vigente legislazione sul c.d. social housing (cfr. articolo 26 bis della L.R. 3.12.2007, n. 38)”.

8.3. Con un terzo motivo la appellante contesta (pp. 14-16 dell’appello) la erroneità della sentenza nella parte in cui il T.a.r. stigmatizza la condotta della società che avrebbe comunque scelto di sottoscrivere una convenzione che applica proprio la disciplina contestata, senza neppure apporvi una riserva formale. Tale affermazione si porrebbe in contrasto con quanto affermato nella sentenza n. 1899 del 2014 circa la irrilevanza della sottoscrizione della convenzione al fine di integrare una ipotesi di acquiescenza, oltre che con specifici precedenti giurisprudenziali.

8.3.1.Il motivo è infondato.

8.3.2. Mediante il riferimento espresso al comportamento tenuto dalla appellante il T.a.r. non ha inteso rimettere in discussione l’insussistenza di una ipotesi di acquiescenza, quanto corroborare la tesi della inconfigurabilità di una violazione del giudicato “anche in una prospettiva di giustizia sostanziale fondata sulla valutazione del comportamento extraprocessuale delle parti”.

Non sussiste pertanto la dedotta violazione dei limiti cognitori posti al giudice dell’ottemperanza rispetto al perimetro delle statuizioni del giudice della cognizione.

Si tratta in particolare di un argomento a fortiori che richiama il principio di autoresponsabilità e di non contraddittorietà, oltre che di buona fede, fondato sulla constatazione che la parte non può dolersi della quantificazione degli oneri da lei stessa accettata con la sottoscrizione, senza riserva, della convenzione.

Il nucleo argomentativo centrale della sentenza appellata resta tuttavia quello della estraneità della convenzione edilizia rispetto alle statuizioni ottemperande, con conseguente insussistenza di alcun inadempimento rispetto ad obblighi convenzionali, validi ed efficaci, di cui il comune legittimamente chiede il rispetto.

8.3.3. Il motivo, pertanto, oltre che infondato presenta anche profili di inammissibilità per mancanza di interesse alla relativa contestazione, atteso che la parte non potrebbe comunque conseguire, dal suo ipotetico accoglimento, alcun effetto demolitorio della sentenza appellata.

8.4. Con un quarto motivo l’appellante censura (p. 17 dell’appello) la sentenza nella parte in cui il T.a.r. ha evidenziato che la Gold s.r.l. non avrebbe fornito prova di avere richiesto la rinegoziazione della convenzione né avrebbe reagito contro l’inerzia del Comune. Assume che la prima circostanza sarebbe non contestata mentre la seconda sarebbe superflua per avere il Comune comunicato espressamente di volere dare esecuzione agli artt. 5 e 6 della Convezione.

8.4.1. l motivo è infondato.

8.4.2. In particolare è dirimente la circostanza che con la sentenza n. 1899 del 2014 il T.a.r. non ha dichiarato alcun obbligo di rinegoziazione della convenzione - rispetto al quale ipotizzare un inadempimento – e ciò in quanto, come si è detto, la convenzione non è stata oggetto di scrutinio in quel giudizio.

Dal giudicato di annullamento della variante non può farsi discende un obbligo di rinegoziazione che attiene ad un distinto atto, la convenzione, espressamente esclusa dal T.a.r. dal proprio perimetro di cognizione.

Nessuna violazione del giudicato di annullamento è pertanto configurabile nella condotta del Comune.

8.5. Con il quinto motivo (pp. 17-18 dell’appello) l’appellante contesta la sentenza nella parte in cui ha ritenuto di dover tutelare la posizione del Comune per avere deciso di non impugnare la sentenza sfavorevole “in quanto faceva affidamento sull’intangibilità, ivi esplicitamente dichiarata, della convenzione urbanistica”.

Assume infatti che altro è la estraneità della convenzione rispetto all’oggetto del giudizio - effettivamente affermata con la sentenza n. 1899 del 2014 - altro la intangibilità della stessa, erroneamente ritenuta con la sentenza appellata.

8.5.1. Il motivo è infondato.

8.5.2. Come già osservato, il T.a.r. si è limitato a ribadire che la convenzione, proprio in quanto estranea al precedente accertamento, è allo stato “intangibile” nei suoi contenuti e, rispetto agli obblighi ivi stabiliti, nessuna violazione – tanto meno in sede di ottemperanza - può essere imputata al Comune che ne reclama la integrale esecuzione.

In definitiva, nessun obbligo di modifica della convenzione può ritenersi derivante dalla sentenza del T.a.r. per la Liguria 18 dicembre 2014, n. 1899 recante l’annullamento della variante approvata con delibera di giunta regionale n. 976 del 3 agosto 2012, sicché anche la nota del 1 febbraio 2016 – con la quale il Comune ha chiesto di dare corso al pagamento degli oneri residui, con riserva di escutere la fideiussione – deve ritenersi non affetta da nullità per violazione del giudicato. Ne consegue che i motivi del ricorso di primo grado, riproposti nel presente grado di giudizio e finalizzati a censurare una ipotetica condotta inadempiente del Comune, rispetto al giudicato di annullamento formatosi sulla sentenza del T.a.r. n. 495 del 2016, devono, per i motivi esposti, essere dichiarati infondati.

9. Con un secondo gruppo di motivi l’appellante censura la sentenza definitiva del T.a.r. per la Liguria 22 giugno 2016, n. 656.

9.1. Con un primo motivo (pp. 26-27 dell’appello) la ditta deduce la violazione degli artt. 112, 113 e 114 c.p.a. nonché dell’art. 112 c.p.c.

In primo luogo lamenta che il T.a.r. avrebbe errato nel ritenere la domanda di accertamento della illegittimità degli artt. 5 e 6 della convenzione in contrasto con la sentenza n. 1899 del 2014 che giammai avrebbe escluso la possibilità di sindacare la legittimità della convenzione, limitandosi a precisare che la stessa, non essendo oggetto di quel giudizio, non poteva essere travolta dall’annullamento della variante.

9.1.1. Il motivo è infondato.

9.1.2. Il T.a.r. non ha mai affermato l’impossibilità di procedere all’accertamento della invalidità, in parte qua, della convenzione - che, per l’appunto, ha costituito oggetto di scrutinio con la sentenza n. 656 del 2016 – ma si è limitato ad escludere la sussistenza di “un rapporto di presupposizione necessaria” – tale cioè da giustificare un effetto di automatica caducazione – tra la disciplina urbanistica introdotta con la variante (nella parte in cui richiama l’articolo 50 bis) e gli artt. 5 e 6 della convenzione, ritenendolo correttamente precluso dal giudicato formatosi sulla sentenza n. 1899 del 2014 con la quale è stato stabilito - non che la convenzione non possa essere oggetto di autonomo accertamento in punto di validità bensì – che l’annullamento della variante “non travolge le pattuizioni di cui agli artt. 5 e 6” della convenzione.

9.2. Con un secondo motivo (pp. 27-31 dell’appello) la ditta deduce la violazione dell’art. 1418, comma 1, c.c. e degli artt. 3, 4 e 5 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444.

Lamenta che il T.a.r. avrebbe errato nel ritenere la tardività della impugnazione della convenzione in quanto, trattandosi di accordo, il regime di impugnazione sarebbe quello dei contratti e non si applicherebbe il termine decadenziale proprio dei provvedimenti amministrativi, anche qualora ad essere dedotto sia il vizio di nullità.

9.2.1. L’esame del motivo può essere assorbito stante la infondatezza, nel merito, dei motivi con cui l’appellante prospetta i vizi di nullità e di annullabilità degli artt. 5 e 6 della convenzione in contestazione.

9.3. Con un terzo motivo la appellante deduce la nullità degli articoli 5 e 6 della convenzione edilizia (pp. 31-32 dell’appello).

Escluso, per i motivi esposti, che l’annullamento della variante possa determinare la caducazione automatica e quindi la nullità degli artt. 5 e 6 della convenzione in quanto espressamente escluso dalla sentenza n. 1899 del 2014 passata in giudicato, deve rilevarsi che la appellante non specifica per quale motivo i predetti articoli sarebbero affetti da tale radicale vizio e non indica le norme imperative in ipotesi violate.

9.3.1 A p. 32 dell’appello si limita a ribadire che “In seguito all’annullamento giurisdizionale, gli artt. 5 e 6 si pongono quindi in contrasto con le fonti normative a cui danno attuazione e per tale motivo, devono essere dichiarati nulli per contrasto con le norme (urbanistiche) di diritto pubblico – che sono pacificamente norme imperative – su cui si fonda la disciplina negoziale”.

9.3.2. In senso contrario osserva il collegio che la prestazione urbanistica aggiuntiva contestata dalla appellante trova, come si è visto, una autonoma giustificazione causale nella finalità di social housing prevista dall’articolo 26 bis della legge regionale n. 38 del 2007 che rappresenta un motivo di interesse pubblico sicuramente meritevole di tutela.

9.3.3. Peraltro la monetizzazione delle aree da cedere ai sensi dell’art. 5 della convenzione, tiene luogo e sostituisce la monetizzazione comunque dovuta a titolo di standard urbanistici, secondo quanto previsto dall’art. 6 della convenzione e ciò rappresenta una ulteriore giustificazione causale del pagamento.

9.3.4.Il fatto che il criterio di calcolo di cui all’art. 5 possa essere maggiormente oneroso rispetto alla monetizzazione dovuta per standard urbanistici in via ordinaria – e, segnatamente, rispetto a quanto previsto dalla D.G.C. n. 94/2012 in attuazione della disciplina regionale sul c.d. piano casa -, non rende le clausole affette da nullità in quanto la giurisprudenza amministrativa ha chiarito – con riferimento alle convenzioni di lottizzazione ma con affermazioni di principio riferibili a tutte le convenzioni urbanistiche - che “va osservato come l'assunzione nell'ambito di una lottizzazione di obbligazioni ulteriori rispetto a quelle espressamente previste dalla legge, non possa di per sé essere esclusa e tantomeno automaticamente ricondotta a fenomeni estorsivi o comunque di "costrizione". Per un verso, infatti, non esiste nell'ordinamento una norma generale che impedisca, in sede di convenzione urbanistica, la libera erogazione di ulteriori contribuzioni rispetto a quelle fissate dalla legge che, quindi, costituiscono semplicemente il minimo legale. Per altro verso, poi, gli impegni assunti in sede convenzionale non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell'operazione, che costituisce il reale parametro per valutare l'equilibrio del sinallagma contrattuale e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni stessi. In altri termini, la causa della convenzione urbanistica e cioè l'interesse che l'operazione contrattuale è diretta a soddisfare, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato che della pubblica amministrazione. E, nella specie, osserva il Collegio come l'utilità che l'appellante ha ricevuto dall'operazione riguardata nel suo complesso (anche attraverso la cessione onerosa a terzi del diritto di costruire il complesso immobiliare concessionato dall'amministrazione), ben giustifichi gli impegni assunti dalla società in sede convenzionale che, pertanto, non sono di certo meritevoli di annullamento.” (cfr., Cons. Stato, sez. V^, n. 5603/2013).

Più di recente il Consiglio di Stato (sez. II, 8 giugno 2021 n. 4376) ha affermato che: “E’ corretto, in particolare, che il principio generale secondo cui l’obbligo di contribuzione è indissolubilmente correlato all’effettivo esercizio dello ius aedificandi non vale rispetto a casi in cui la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisca oggetto di un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta contrattualmente nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale. In tal caso, infatti, gli impegni assunti in sede convenzionale non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell'operazione, che costituisce il reale parametro per valutare l'equilibrio del sinallagma contrattuale e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni assunti. Ne deriva che “non è affatto escluso dal sistema che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nella ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative”. (Consiglio di Stato sez. IV - 01/10/2019, n. 6561).”.

9.3.5. Da quanto precede emerge che era in facoltà della odierna appellante accettare una quantificazione degli oneri dovuti maggiore rispetto a quanto previsto dalla disciplina generale, nell’ambito della valutazione di convenienza economica dell’operazione rimessa alla parte in forza del principio di autoresponsabilità, sicchè, una volta assunto l’impegno in via pattizia a corrispondere il relativo importo, lo stesso è giuridicamente dovuto e la parte resta a ciò obbligata, non potendosi in ciò ravvisare alcun contrasto con norme imperative.

9.3.6. Deve infine rilevarsi, in senso ostativo alla domanda della appellante, che ai sensi dell’articolo 1419 c.c. “La nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità”; nella specie, la domanda di accertamento della nullità parziale della convenzione, riferita agli artt. 5 e 6, laddove in ipotesi fondata, comporterebbe la nullità della intera convenzione essendo pacifico – alla luce delle motivazioni ribadite nelle memorie difensive – che il Comune non avrebbe stipulato il predetto accordo senza i due articoli in questione.

Pertanto poiché la declaratoria di nullità parziale comporterebbe la nullità dell’intera convenzione, verrebbe meno la regolarità edilizia dell’intervento di recupero che risulterebbe pertanto abusivo.

9.4. Con un ulteriore motivo (pp. 32-36 dell’appello) l’appellante deduce la annullabilità dell’articolo 6 della convenzione per errore. Assume, in particolare, di essere incorsa in errore nel ritenere la disciplina convenzionale modificabile, una volta ottenuto l’annullamento giurisdizionale della variante urbanistica impugnata.

9.4.1. Il motivo è inammissibile.

9.4.2. L’errore, come vizio del consenso, concerne la formazione dell’accordo contrattuale nel suo complesso, non singole pattuizioni. In particolare il codice civile – ai cui principi rinvia l’articolo 11 della legge n. 241 del 1990 – se da un lato contempla all’art. 1419 c.c. l’ipotesi della nullità parziale, non prevede espressamente quella della annullabilità di singole clausole per errore circa il loro contenuto, a conferma del fatto che l’errore, incidendo sulla formazione della volontà di determinarsi alla conclusione dell’accordo, investe l’interno negozio, non una sua parte.

In alcune pronunce la giurisprudenza civile (Cass. civ., 16 dicembre 1982, n. 6935), invero, ha ritenuto ammissibile la annullabilità parziale del contratto ma, a tale conclusione, è pervenuta in applicazione analogica di quanto previsto dall’art. 1419 c.c. in materia di nullità parziale che però, come si è visto, prevede un effetto espansivo del vizio all’intero contratto se risulta, come nel caso di specie “che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità”; del resto lo stesso art. 1446 c. c. prevede l' annullabilità, nei contratti plurilaterali, del vincolo di una sola parte, solo se la partecipazione non deve considerarsi essenziale. Ne discende, anche in questo caso, che, poiché per il Comune appellato le clausole in contestazione sono certamente essenziali e determinanti rispetto alla causa della convenzione stipulata, un ipotetico accoglimento del motivo porterebbe alla annullabilità dell’intera convenzione e cioè ad un effetto contrario all’interesse stesso della parte che ha eccepito il vizio sicchè, in definitiva, il motivo deve essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse.

9.5. Con l’ultimo motivo (p. 36 dell’appello) l’appellante deduce la illegittimità derivata della nota prot. 3349 del 1 febbraio 2016.

9.5.1. Il motivo è inaccoglibile.

9.5.2. La infondatezza del motivo discende dalla circostanza che la nota in questione è stata adottata in attuazione di quanto previsto dagli artt. 5 e 6 della convenzione che, per i motivi esposti, sono immuni dai vizi prospettati.

10. Alla luce delle motivazioni che precedono l’appello deve pertanto essere respinto.

11. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo tenuto conto dei parametri di cui al d.m. n. 55 del 2014 e dei criteri di cui all’art. 26 c.p.a.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna la società appellante alla rifusione in favore del Comune di Santa Margherita Ligure delle spese del grado che si liquidano complessivamente in euro 4000,00 oltre IVA, CPA e rimborso spese generali come per legge.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente

Luca Lamberti, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore