Consiglio di Stato Sez. IVn. 5466 del 16 settembre 2020
Urbanistica.Inderogabilità delle distanze tra edifici
La disposizione contenuta nell’ art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che prescrive la distanza di dieci metri che deve sussistere tra edifici antistanti, ha carattere inderogabile, poiché si tratta di norma imperativa, la quale predetermina in via generale ed astratta le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza; tali distanze sono coerenti con il perseguimento dell’interesse pubblico e non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile. La disposizione dell’art. 9 n. 2 d.m. n. 1444 riguarda “nuovi edifici”, intendendosi per tali gli edifici (o parti e/o sopraelevazioni di essi: Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2016 n. 3522) “costruiti per la prima volta” e non già edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse.
Pubblicato il 16/09/2020
N. 05466/2020REG.PROV.COLL.
N. 04801/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4801 del 2017, proposto da Stefano Pavesi, rappresentato e difeso dall'avvocato Giambattista Colombo, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Milano, Viale Bianca Maria n. 23, con PEC
contro
Manuela Valenti, rappresentata e difesa dagli avvocati Gabriele Pafundi e Cataldo Giuseppe Salerno, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, viale Giulio Cesare n. 14;
nei confronti
il Comune di Monza, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Maria Assunta Banza e Paola Giovanna Brambilla, del Servizio Avvocatura Comunale con sede a Monza, in Piazza Trento e Trieste, ed ivi elettivamente domiciliato;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) n. 646 del 14 marzo 2017.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della signora Manuela Valenti;
Visto l’appello incidentale del Comune di Monza depositato il 14 luglio 2017;
Vista la memoria di costituzione della signora Manuela Valenti in relazione all’appello incidentale, depositata in data 25 luglio 2017;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 25 giugno 2020 – svoltasi in video-conferenza ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, d.l. n. 18 del 2020, convertito con l. n. 27 del 2020 -il consigliere Emanuela Loria, con presenza, ai sensi e per gli effetti dell'art. 4, d.l. n. 28 del 2020, dei difensori del sig. Stefano Pavesi e del Comune di Monza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso principale (corredato da motivi aggiunti) proposto dinanzi al Ta.r. per la Lombardia (r.g. n. 232/2016), la signora Manuela Valenti, proprietaria di una unità immobiliare adibita a propria abitazione, in un edificio di due livelli, in via Carlo Emanuele I n. 3, nel territorio del Comune di Monza, ha impugnato:
a) il permesso di costruire n. 380 del 3 dicembre 2015 del dirigente del Settore governo del territorio del Comune di Monza rilasciato al signor Stefano Pavesi ed avente ad oggetto la ristrutturazione di un edificio esistente ad uso residenza, costituito da un piano fuori terra, mediante rifacimento delle solette intermedie con conseguenti modifiche distributive interne e di prospetto e il recupero di un sottotetto, ai sensi della legge regionale n.12 del 2005, mediante rifacimento della copertura del fabbricato con conseguente formazione di nuovi abbaini a servizio dei locali d’abitazione;
b) ogni altro atto presupposto, preparatorio, connesso o consequenziale, ivi compresi i pareri (pure sconosciuti) rilasciati dagli organi o dalle commissioni comunali o dai soggetti competenti nel corso dell’iter procedimentale, ivi compresa la comunicazione del 23 novembre 2015 prot. n. 147993 del dirigente del Settore governo del territorio del Comune di Monza;
c) il provvedimento del 23 giugno 2016 prot. gen. n. 96838 del dirigente del Settore governo del territorio, recante “Comunicazione di conclusione del procedimento amministrativo volto alla sospensione ex art. 2, comma 1, e art. 21 quater, comma 1 L. n. 241/1990 dell’efficacia del permesso di costruire n. 380/2015 rilasciato in data 3 dicembre 2015, n. 380 ai sensi degli artt. 7 e 8 della L. 7.08.1990 n. 241 e s.m.i.”.
2. Il T.a.r. per la Lombardia, sede di Milano, sezione seconda, con la sentenza n. 646 del 14 marzo 2017, ha accolto il ricorso, annullando il permesso di costruire n. 380 del 3 dicembre 2015 e ha dichiarato l’improcedibilità dei motivi aggiunti per carenza di interesse; ha condannato il Comune di Monza e il signor Stefano Pavesi in solido fra loro, al pagamento delle spese di giudizio.
Secondo il Tribunale, in particolare:
a) è fondato il secondo motivo di ricorso con il quale, prescindendosi dalla qualificazione giuridica dell’intervento oggetto del titolo avversato, è stata dedotta la violazione dell’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, il quale fissa una distanza minima tra pareti finestrate di edifici antistanti non inferiore a dieci metri;
b) sussiste la violazione della disposizione citata poiché questa si applica non soltanto quando si debbano realizzare nuove pareti, ma anche nel caso in cui si debbano aprire nuove finestre su pareti già esistenti poiché ciò confligge con la finalità della norma che è quella di impedire la formazione di intercapedini dannose per l’igiene e la salute di chi occupa gli edifici antistanti;
c) anche l’apertura di finestre su pareti che prima ne erano prive e che sono poste fra loro a distanza inferiore a dieci metri costituisce situazione antigiuridica che rende illegittimo il titolo edilizio che la prevede;
d) non è fondato il motivo di ricorso che lamenta la violazione delle disposizioni che riguardano le distanze dal confine stradale e dai confini di proprietà poiché non è contestato il fatto che l’edificio del controinteressato era già posto a distanze inferiori a quelle indicate dalle suindicate disposizioni e non è possibile dare alle norme applicazione retroattiva.
3. Il signor Stefano Pavesi ha proposto appello per ottenere, previa sospensione della esecutività, la riforma della sentenza impugnata e il conseguente integrale rigetto del ricorso di primo grado promosso dalla contro interessata.
In particolare, l’appellante ha sviluppato le seguenti censure così riassumibili:
1) Error in iudicando: Erronea e falsa interpretazione dell’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 – Erronea valutazione travisamento in fatto e in diritto in relazione alle caratteristiche dell’intervento edilizio.
Il Giudice di prime cure avrebbe commesso due errori, uno in fatto e l’altro in diritto. Il primo consiste nell’aver ritenuto, in punto di fatto, che la parte della proprietà del signor Pavesi, nel lato est, prospicente con la proprietà della signora Valenti, non fosse in precedenza finestrata, mentre, come si evincerebbe dalle tavole di progetto, tale parte era già finestrata con tre aperture, per cui la sentenza sarebbe errata nella parte in cui la realizzazione degli abbaini è stata assimilata all’apertura di nuove finestre su parete che ne era sprovvista.
Il secondo errore, in diritto, consisterebbe nella interpretazione data all’art. 9 del D.M. 1444 del 1968, che fa riferimento in modo espresso ai nuovi edifici mentre nel caso all’esame si tratterebbe di una ristrutturazione edilizia; la sentenza peraltro non effettuerebbe alcuna analisi circa l’eventuale ipotetico grado di innovatività delle opere di cui al permesso di costruire e non porrebbe attenzione al fatto che le stesse non comportano alcuna problematica igienico-sanitaria.
2) Error in iudicando: Erronea e falsa interpretazione delle disposizioni sul recupero dei sottotetti. In particolare l’erroneo e inconferente richiamo alla sentenza T.a.r. per la Lombardia n. 1002 del 2012.
La sentenza del T.a.r. per la Lombardia n. 1002 del 2012 sarebbe stata erroneamente richiamata dal giudice di prime cure poiché si trattava, nel caso deciso, di una nuova costruzione mentre nel caso in esame si sarebbe in presenza di una ristrutturazione edilizia, a cui pertanto non sarebbe possibile applicare l’art. 9 del D.M. 1444 del 1968.
In ogni caso, l’intervento autorizzato dal titolo edilizio non prevede modificazioni della quota di imposta della copertura, né modificazioni della falda del tetto; conseguentemente non vi è modifica della sagoma del fabbricato né aumento della superficie lorda di pavimento dell’immobile.
4. Il Comune di Monza ha proposto a sua volta appello incidentale in data 14 luglio 2017, a mezzo del quale ha chiesto l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, della sentenza impugnata nella parte in cui ha accolto il ricorso della signora Valenti; la declaratoria di inammissibilità e di improcedibilità dei motivi aggiunti per sopravvenuta carenza di interesse con conferma, sullo specifico capo, della sentenza gravata. In particolare, la difesa comunale ha osservato che per stabilire se sia o meno applicabile l’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, è indispensabile qualificare il tipo di intervento edilizio assentito, poiché l’ambito di applicazione della norma è riservato esclusivamente alle nuove costruzioni.
L’operazione di qualificazione dell’intervento non sarebbe stata effettuata dal giudice di prime cure, donde la erroneità e il vizio della sentenza impugnata. Inoltre, gli abbaini non determinerebbero alcun mutamento della sagome del fabbricato e alcun aumento del volume del medesimo.
5. In data 6 e 25 luglio 2017, la signora Manuela Valenti si è costituita in giudizio per contrastare l’accoglimento, rispettivamente, dell’appello principale e di quello incidentale.
L’appellata ha successivamente depositato, in data 25 agosto 2017, memoria difensiva con la quale:
a) in via preliminare, ha eccepito:
a1) l’inammissibilità sia dell’appello principale sia di quello incidentale poiché, contrariamente a quanto verificatosi rispetto al ricorso di primo grado, non sono stati notificati anche al signor Giovanni Castellucchio in qualità di proprietario dell’edificio di cui si controverte, laddove il signor Stefano Pavesi, al momento della proposizione del ricorso di primo grado, avrebbe avuto lo stato di promissario acquirente; .
a2) ha eccepito la tardività di entrambi i ricorsi in appello giacché la sentenza impugnata è stata da lei stessa ritualmente notificata a tutte le parti del giudizio di primo grado in data 5 aprile 2017, laddove il ricorso incidentale è stato notificato il 10 luglio 2017, quando il termine per impugnare era scaduto da 35 giorni (il 5 giugno 2017); invero, con memoria del 26 aprile 2019, la signora Valenti ha precisato che il ricorso in appello in via principale è stato notificato dal signor Pavesi l’ultimo giorno utile, mentre ha insistito sulla tardività dell’impugnativa incidentale del Comune di Monza (pag. 3);
b) nel merito, contestando quanto sostenuto sia nel ricorso principale che in quello incidentale, che porrebbero questioni sovrapponibili, l’intimata ha osservato che a mezzo degli interventi assentiti con il permesso di costruire:
b1) si realizza una modifica sostanziale del fabbricato sotto vari punti di vista elencati ai punti da a) a k) di pag. 7 della memoria del 25 agosto 2017;
b2) è violata la distanza dalle strade, la distanza dal confine di proprietà, la distanza minima inderogabile tra pareti finestrate;
b3) è violato l’art. 9 del D.M. 1444 del 1968 che si applica - quale norma inderogabile da convenzioni private in quanto volta a tutelare interessi generali in materia urbanistica - anche all’apertura di nuove finestre su pareti già esistenti e ciò rileva sia che si consideri l’intervento come ristrutturazione edilizia (il che non è nella prospettazione dell’appellata) sia che lo si consideri un intervento di nuova costruzione;
b4) è stata consentita l’apertura di una nuova finestra sul prospetto est dell’edificio;
b5) è stata consentita la modifica del progetto e della sagoma (come è evincibile dalla Tavola T05), dell’altezza del colmo del tetto.
6. Con ulteriori memorie le parti hanno rispettivamente replicato alle avverse deduzioni, insistendo nelle rispettive posizioni.
7. Con ordinanza n. 3525 del 1 settembre 2017 la domanda cautelare è stata accolta sul presupposto del danno grave e irreparabile per l’appellante, essendo le opere quasi ultimate.
8. Con ordinanza collegiale n. 4380 del 26 giugno 2019 è stata disposta apposita verificazione con la quale il Collegio ha chiesto al verificatore, individuato nel direttore del Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito del Politecnico di Milano o di un suo delegato, di accertare e illustrare:
- le variazioni effettivamente intervenute tra il manufatto preesistente ed il manufatto nuovo di proprietà del signor Pavesi;
- se, in particolare, il nuovo edificio rechi una diversa sagoma, una maggiore volumetria o una differente altezza rispetto all’edificio preesistente.
- la qualificazione urbanistico/edilizia dell’intervento, vale a dire se lo stesso, ai sensi della normativa vigente in materia, possa essere qualificato come “nuova costruzione” o come “ristrutturazione edilizia”.
8.1. Il direttore del Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito del Politecnico di Milano, prof. Stefano Della Torre, ha assunto l’incarico personalmente (nota del 5 agosto 2019) e ha depositato la relazione di verificazione in data 19 dicembre 2019.
8.2. Le conclusioni a cui è pervenuta la verificazione possono essere così sintetizzate:
a) la quota di gronda dell’edificio è rimasta quella precedente all’intervento edilizio (pag. 7);
a.1) le effettiva variazioni della sagoma dell’edificio sono costituite dall’aggiunta dei tre abbaini (pag. 7), uno per ciascuna falda;
a.2) l’incremento della quota di colmo è stato determinato dalla coibentazione (pag. 7);
a.3.) le pareti perimetrali sono state conservate fino alla quota di gronda, in modo tale da essere vincolanti per la configurazione del nuovo organismo edilizio (pag. 9);
b) in riferimento ai tre abbaini nel fabbricato di proprietà dell’appellante, due di essi sono a distanza superiore ai dieci metri dalla proprietà Valenti mentre uno è a distanza inferiore restando allineato sopra la parete esistente che fronteggia la proprietà della signora Valenti (pag. 11).
Le parti hanno nominato (depositi del 16, 17 e 20 settembre 2019) propri consulenti tecnici di parte che hanno formulato osservazioni alla relazione del verificatore.
8.3. Le medesime parti hanno depositato memorie in data 25 maggio 2020 e il Comune di Monza e la signora Manuela Valenti memorie di replica in data 4 giugno 2020.
8.4. L’appellante principale e il Comune hanno altresì depositato note ai sensi dell’art. 84 comma 5 del d.l. n. 18 del 17 marzo 2020.
9. All’udienza del 25 giugno 2020 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio ai sensi dell’art. 84, comma 6, del d.l. n. 18 del 2020, convertito con l. n. 27 del 2020.
10. Preliminarmente occorre dare atto che:
a) thema decidendum è limitato, ex artt. 104 e 101 c.p.a., alla verifica della fondatezza dell’unica censura accolta in primo grado posto che la signora Valenti: non ha impugnato i capi sfavorevoli della sentenza del T.a.r. e non ha riproposto formalmente e ritualmente i motivi non esaminati dal T.a.r. neppure nella memoria depositata in data 25 agosto 2017;
b) è possibile prescindere dall’esame delle eccezioni di inammissibilità dei depositi documentali tardivi sollevate dalla difesa della Valenti, perché tali depositi sono irrilevanti ai fini della decisione;
c) è possibile prescindere dalle riproposte eccezioni di irricevibilità e/o inammissibilità degli appelli principale e incidentale (Cons. Stato, Ad. plen., n. 5 del 27 aprile 2015), poiché sono entrambi infondati nel merito e devono essere respinti, con le precisazioni sopra svolte in punto di fatto.
11. Nel merito si osserva che la posizione del Comune di Monza è parallela rispetto a quella dell’appellante principale, per cui gli appelli possono essere trattati in modo unitario giacché sono entrambi volti a contrastare l’accoglimento del medesimo motivo accolto con la sentenza impugnata.
11.1. In primo luogo, viene rilevato che la sentenza impugnata avrebbe commesso due valutazioni erronee, l’una in fatto e l’altra in diritto.
La prima consisterebbe nell’aver ritenuto, in punto di fatto, che la parte della proprietà del signor Pavesi, nel lato est, prospicente con la proprietà della signora Valenti, non fosse in precedenza finestrata, mentre, come si evincerebbe dalle tavole di progetto, tale parte era già finestrata con tre aperture, per cui la sentenza avrebbe erroneamente assimilato la realizzazione degli abbaini con l’apertura di nuove finestre su parete che ne era sprovvista.
Il secondo vizio in cui sarebbe incorso il primo giudice, consisterebbe nella interpretazione fornita dell’art. 9 del D.M. 1444 del 1968, norma che fa riferimento in modo espresso ai nuovi edifici mentre, nel caso all’esame, si tratterebbe di una ristrutturazione edilizia; la sentenza peraltro non avrebbe effettuato alcuna analisi circa l’eventuale ipotetico grado di innovatività delle opere di cui al permesso di costruire e non avrebbe posto attenzione al fatto che le stesse non comportano alcuna problematica igienico-sanitaria.
11.2. Sotto il profilo fattuale, è necessario tenere conto di quanto accertato dalla verificazione che, immune da vizi logici ed esauriente sui quesiti proposti, il Collegio pone a fondamento della propria decisione.
Essa, rispondendo agli specifici quesiti posti dalla sezione, ha accertato quanto al primo quesito:
a) “Il fabbricato di proprietà Pavesi costituisce porzione di villetta a un piano fuori terra coperta con tetto a falde, disposte a padiglione, cioè spioventi verso i tre lati liberi della proprietà. Il rilievo inserito come stato di fatto nella pratica edilizia del 2015 è accettato come veritiero dalle Parti... Il confronto tra lo stato anteriore al rilascio del permesso di costruire del 2015 e lo stato attuale non può non tener conto che tra il progetto iniziale e l’esecuzione è intervenuta una variante, sempre riferita allo stesso permesso, presentata il 18/12/2017 SCIA prot. 452/2017.
Le variazioni intervenute, riconducibili al recupero del sottotetto a fini abitativi, sono descrivibili come:
- diversa distribuzione interna, con abbassamento della quota della soletta dell’ultimo piano;
- apertura di finestre, di cui una nella parete verso il confine con l’altra parte (accanto alla finestra esistente).
- rivestimento esterno delle pareti perimetrali per coibentazione a fini di efficienza energetica;
- Rifacimento della struttura lignea del tetto, riproducendone la preesistente soluzione tecnologica in travi e travetti lignei, nuovo manto di copertura in tegole portoghesi scure, con pacchetto coibente e inserimento di abbaini.
Osservazioni pervenute dalle Parti
Sia dal CTP della Signora Valenti, ing/arch. Vismara, che del dal CTP del Signor Pavesi, arch. Miglietta, sono pervenute diverse integrazioni descrittive della situazione attuale, mentre l’arch. Benaglia, CTP nominato dal Comune di Monza, dichiara di concordare.
Il contradditorio delle descrizioni non fa emergere elementi di particolare rilevanza ai fini del quesito, non risultando le segnalate discrepanze tra la situazione rilevata e la SCIA autorizzata determinanti ai fini della questione in causa.”
Quanto al secondo quesito ha assodato che:
a) la quota di gronda dell’edificio è rimasta quella precedente all’intervento edilizio (pag. 7);
a.1) le effettiva variazioni della sagoma dell’edificio sono costituite dall’aggiunta dei tre abbaini (pag. 7), uno per ciascuna falda;
a.2) l’incremento della quota di colmo è stato determinato dalla coibentazione (pag. 7);
a.3.) le pareti perimetrali sono state conservate fino alla quota di gronda, in modo tale da essere vincolanti per la configurazione del nuovo organismo edilizio (pag. 9);
a.4.) in riferimento ai tre abbaini nel fabbricato di proprietà dell’appellante, due di essi sono a distanza superiore ai dieci metri dalla proprietà Valenti mentre uno è a distanza inferiore restando allineato sopra la parete esistente che fronteggia la proprietà della signora Valenti (pag. 11).
Quanto al terzo quesito il verificatore, premessa una disamina della normativa e della giurisprudenza costituzionale sul tema delle distanze, ha rilevato che:
“Non si ritiene quindi che il decreto 69/2013 e la sua conversione in legge abbiamo modificato efficacemente la situazione determinata dalla Legge 12/2005 di Regione Lombardia sopra citata: un intervento di recupero di sottotetto è classificato come intervento di ristrutturazione, e rimane tale anche se comprende modifiche della sagoma (“l’apertura di finestre, lucernari, abbaini e terrazzi”), la cui presenza formando un unicum inscindibile sul piano economico-funzionale con il sottotetto e col resto dell’edificio, avuto riguardo all'opera nel suo insieme e non alle singole parti, non modifica il carattere complessivo dell’intervento; tuttavia queste singole innovazioni dovranno rispettare le norme civilistiche, e in particolare quelle sulle distanze tra pareti finestrate, per le ragioni addotte dalla sentenza della Suprema Corte sopra citata.
In riferimento ai tre abbaini aggiunti nel fabbricato Pavesi, si è verificato che di essi due sono a distanza superiore ai m 10 dalla proprietà Valenti, mentre uno è a distanza inferiore, restando allineato sopra la parete esistente che fronteggia la proprietà Valenti, che quindi sembrerebbe incorrere nella violazione della norma civilistica sulle distanze.”
11.3. Sotto il primo profilo, pertanto, la relazione del verificatore rileva che soltanto una delle nuove aperture non rispetta la distanza di dieci metri dalla parte dell’edificio frontistante quello della signora Valenti, laddove la sentenza di primo grado si riferisce a due aperture poste a distanza inferiore a dieci metri assentite con il titolo edilizio in contestazione (punto 10).
Pertanto, in relazione a tale aspetto, la sentenza va emendata laddove si riferisce a due abbaini collocati a distanza inferiore a dieci metri e non ad uno soltanto, come accertato dalla verificazione.
11.4. Come è noto, l’art. 9 d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 prevede, tra l’altro che tra “nuovi edifici ricadenti in altre zone” (diverse dalla zona A), “è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti” (co. 1, n. 2).
Il Collegio deve innanzi tutto ribadire i principi generali espressi dalla giurisprudenza amministrativa, in tema di inderogabilità dell’art. 9 d.m. n. 1444 cit.
E’ stato, infatti, affermato dalla costante giurisprudenza (da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 23 giugno 2017 n. 3093 e 8 maggio 2017 n. 2086; 29 febbraio 2016 n. 856; Cass. civ., sez. II, 14 novembre 2016 n. 23136) che la disposizione contenuta nell’ art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che prescrive la distanza di dieci metri che deve sussistere tra edifici antistanti, ha carattere inderogabile, poiché si tratta di norma imperativa, la quale predetermina in via generale ed astratta le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza; tali distanze sono coerenti con il perseguimento dell’interesse pubblico e non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile.
Tanto riaffermato nella presente sede, occorre osservare che la disposizione dell’art. 9 n. 2 d.m. n. 1444 riguarda “nuovi edifici”, intendendosi per tali gli edifici (o parti e/o sopraelevazioni di essi: Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2016 n. 3522) “costruiti per la prima volta” e non già edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse.
Nel caso in esame, il limite della distanza di cui al d.m. cit. è vigente e avrebbe dovuto essere rispettato per quanto concerne l’apertura di una finestra in più rispetto alla situazione precedente (originariamente infatti vi era una sola finestra posizionata più in basso sul lato frontistante la proprietà dell’appellata, così come risulta chiarito dalla verificazione): si tratta, infatti, di un nuovo elemento che eccede rispetto all’originaria costruzione, che consiste in un ampliamento all’esterno della sagoma dell’edificio esistente e realizzato per la prima volta mercé il permesso di costruire rilasciato, in parte qua, in modo illegittimo (per un caso conforme, Cass. civ., sez. II n. 473 del 10 gennaio 2019).
Infatti, è irrilevante indagare sulla qualificazione, nel caso di specie, dell’intervento edilizio (nuova opera, ristrutturazione con demolizione e ricostruzione) perché in ogni caso è stato realizzato un elemento edilizio nuovo, che non era presente nel vecchio edificio, senza che sia possibile rinvenire deroghe nella disciplina urbanistica comunale (nei limiti in cui sono autorizzabili dalle leggi regionali, trattandosi di ordinamento civile sub specie di disciplina della proprietà),; pertanto, devono essere rispettate le distanze previste dalla legislazione statale (d.m. n. 144 del 1968, art. 2-bis t.u. ed., d.l. 32 del 2019) via via applicabile ratione temporis.
Sotto il profilo dell’errore di diritto rilevato, pertanto il motivo d’appello va respinto mentre dev’essere parzialmente modificata la motivazione della sentenza impugnata con riguardo al numero di abbaini illegittimamente assentiti a una distanza inferiore quella consentita dall’art. 9 del D.M. n. 1999 del 1968.
12. Anche il secondo motivo di appello deve essere respinto.
A mezzo di esso l’appellante si duole per l’erroneo richiamo al precedente del T.a.r. per la Lombardia n. 1002 del 2012, con il quale sarebbe stato portato all’esame del giudice di prime cure un caso tutt’affatto diverso da quello in esame, poiché si trattava, in quel caso, di una nuova costruzione mentre nel caso in decisione si sarebbe in presenza di una ristrutturazione edilizia, a cui pertanto non sarebbe possibile applicare l’art. 9 del d.m. 1444 del 1968.
Inoltre, nella presente fattispecie, il titolo edilizio impugnato non prevederebbe modificazioni della quota di imposta della copertura, né modificazioni della falda del tetto; conseguentemente non vi sarebbe modifica della sagoma del fabbricato né aumento della superficie lorda di pavimento dell’immobile, per cui il permesso di costruire sarebbe stato legittimamente rilasciato nel rispetto delle disposizioni statali e regionali di riferimento nella materia in questione.
12.1. Il mezzo è infondato.
Come correttamente rilevato dal T.a.r., la distanza minima di dieci metri fra pareti finestrate va rispettata anche in caso di interventi, quali quello in esame, di recupero dei sottotetti a fini abitativi. Infatti, mentre l’esistenza di pareti non finestrate poste a distanza inferiore a dieci metri non compromette la salubrità degli ambienti posti all’interno degli edifici che si fronteggiano, e non costituisce fatto contrastante con il più volte menzionato art. 9, con l’apertura di nuove finestre si pongono a rischio i valori di stampo pubblicistico tutelati dalla norma e si concretizza quindi la violazione.
Anche la Corte costituzionale, del resto, nel dichiarare inammissibile (ord. n. 173 del 25 maggio 2011) la questione di legittimità sollevata in relazione all’art. 64, comma 2, della legge regionale della Regione Lombardia n. 12 del 2005, ha precisato che la disposizione della legge regionale deve interpretarsi nel senso che essa consente la deroga dei parametri e indici urbanistici ed edilizi di cui al regolamento locale ovvero al piano regolatore comunale, fatto salvo il rispetto della disciplina sulle distanze tra fabbricati, essendo quest'ultima materia inerente all'ordinamento civile (disciplina della proprietà) e rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, ribadendo in tal modo la valenza pubblicistica e inderogabile degli standard previsti dal D.M. cit. correttamente ravvisata dalla sentenza di primo grado.
13. In conclusione, l’appello principale e l’appello incidentale devono essere respinti, con conferma della sentenza di primo grado con le precisazioni rese in motivazione.
14. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
14.1. Quanto alle spettanze dovute per la verificazione, l’art. 71 del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, prevede che la domanda di liquidazione “è presentata, a pena di decadenza: trascorsi cento giorni dalla data della testimonianza, o dal compimento delle operazioni per gli onorari e le spese per l'espletamento dell'incarico degli ausiliari del magistrato; trascorsi duecento giorni dalla trasferta, per le trasferte relative al compimento di atti fuori dalla sede in cui si svolge il processo e per le spese e indennità di viaggio e soggiorno degli ausiliari del magistrato”.
Nel caso in esame, non risulta agli del giudizio che, nei termini indicati dal citato articolo, il verificatore abbia depositato l’apposita domanda, per cui, in considerazione della natura decadenziale del termine, il Collegio ritiene che l’ausiliario del giudice sia incorso nella decadenza prevista dal Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia.
Conseguentemente, poiché con l’ordinanza collegiale n. 4380 del 26 giugno 2019 la sezione aveva stabilito un acconto di euro 2.000,00 (duemila) oltre accessori di legge, da corrispondersi provvisoriamente da parte dell’appellante, signor Stefano Pavesi, al verificatore entro la data di inizio delle operazioni di verificazione, rimane a carico di entrambe le parti soccombenti l’acconto eventualmente corrisposto.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso meglio indicato in epigrafe:
a) respinge gli appelli principale e incidentale e, per l’effetto, conferma, con le precisazioni rese in motivazione, la sentenza di primo grado;
b) condanna, in via solidale, il signor Stefano Pavesi e il Comune di Monza al pagamento delle spese del giudizio in favore della signora Manuela Valenti - nella misura di euro 4.000,00 (quattromila), oltre accessori come per legge (I.V.A., C.P.A., rimborso spese generali al 15%) – oltre a quelle relative alla verificazione ai sensi e nei limiti di cui in motivazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dal Consiglio di Stato in Roma, nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2020 - svoltasi da remoto in video e audio-conferenza ex art. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020, convertito con l. n. 27 del 2020 - con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente
Luca Lamberti, Consigliere
Alessandro Verrico, Consigliere
Nicola D'Angelo, Consigliere
Emanuela Loria, Consigliere, Estensore