Consiglio di Stato Sez. VI n.1123 del 22 febbraio 2018
Urbanistica.Inerzia dell’amministrazione nell’esercizio dei poteri repressivi e conseguenze
La mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo.Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere ‘legittimo’ in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata.Non si può applicare a un fatto illecito (l’abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell’autotutela decisoria. Non è in alcun modo concepibile l’idea stessa di connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare l’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica.
Pubblicato il 22/02/2018
N. 01123/2018REG.PROV.COLL.
N. 06954/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6954 del 2016, proposto da:
GIOSUÈ REA, rappresentato e difeso dagli avvocati Ernesto Cicatiello e Antonio Camarca, domiciliato ai sensi dell’art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;
contro
COMUNE DI ARZANO, COMUNE DI NAPOLI, non costituiti in giudizio;
per la riforma:
della sentenza breve del T.a.r. Campania – Napoli – Sez. II, n. 1267 del 2016;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2017 il Cons. Dario Simeoli mentre nessuno degli avvocati è comparso;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.– Con il ricorso di primo grado, il signor Giosuè Rea – proprietario di un terreno sito nel Comune di Arzano, in via Volpicelli n. 25 – impugnava: a) il provvedimento n. 12 (prot. n. 6070) del 24 marzo 2015, con il quale l’Amministrazione comunale di Arzano rigettava la domanda di condono edilizio da lui presentata ai sensi della legge n. 724 del 1994, avente ad oggetto un capannone commerciale realizzato sul predetto terreno di proprietà; b) il provvedimento dell’8 aprile 2015, con il quale il commissario ad acta nominato dal Sindaco della Città Metropolitana di Napoli rigettava l’ulteriore istanza di condono presentata ai sensi del decreto-legge n. 269 del 2003, avente ad oggetto l’ampliamento e il cambio di destinazione del citato capannone; c) (con motivi aggiunti) l’ordinanza n. 9 del 2015 (prot. 13000) del 18 giugno 2015, con la quale veniva ingiunta la demolizione dell’immobile sopra indicato, per vizi di invalidità derivata.
2.– Il Tribunale Amministrativo per la Campania, con la sentenza n. 1267 del 2016, respingeva il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti.
3.– Avverso la sentenza del T.a.r., il signor Giosuè Rea ha proposto appello chiedendo, in sua riforma, l’accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
Avverso la sentenza impugnata, l’appellante muove due doglianze.
In primo luogo, il Tribunale Amministrativo non avrebbe debitamente esaminato la censura, prospettata in primo grado, secondo cui il provvedimento di diniego della istanza di condono inoltrata ai sensi della l. n. 724 del 1994, andava dichiarato illegittimo in ragione della sua tardività. Il pluridecennale ritardo accumulato nell’istruttoria delle pratiche di condono avrebbe infatti precluso al ricorrente la facoltà di avvalersi pienamente della sopravvenuta disciplina di sanatoria introdotta con la legge n. 326 del 2003. Se il ricorrente avesse avuto contezza dei tempi ragionevoli della improcedibilità della domanda di sanatoria inoltrata nel 1995, ben avrebbe potuto profittare della chance di sottoporre nuovamente l’intera struttura ad istanza di condono ex lege n. 326 del 2003.
Sotto altro profilo relativo alla sola ordinanza di demolizione, si afferma che, sebbene la vetustà dell’opera non escluda il potere di controllo e il potere sanzionatorio del Comune in materia urbanistico-edilizia, non potrebbe tuttavia trascurarsi che il notevole periodo di tempo trascorso tra la commissione dell’abuso e l’adozione dell’ordinanza di demolizione avrebbe fatto sorgere un legittimo affidamento in capo al privato, a fronte del quale gravava sul Comune un obbligo motivazionale rafforzato circa l’individuazione di un interesse pubblico specifico alla emissione della sanzione demolitoria, diverso e ulteriore rispetto a quello al mero ripristino della legalità.
4.– Nessuna delle controparti intimate si è costituta in giudizio.
5.‒ Con l’ordinanza n. 5210 del 2016, la Sezione ‒ «considerato che la questione relativa alla esaminabilità in via congiunta delle due istanze alla stregua delle prescrizioni di cui al d. l. n. 269/2003, con riferimento alla possibile “conversione” della prima istanza in istanza ex d. l. n. 269/2003 cit., tenuto anche conto del ritardo del Comune nel decidere sulla prima istanza merita un approfondimento che soltanto la trattazione della causa nel merito è in grado di garantire; che nelle more della definizione dell’appello nel merito vanno sospese l’esecutività della sentenza appellata e l’efficacia dell’ordine di demolizione impugnato in primo grado, in considerazione del pericolo evidente di danno grave e irreparabile derivante dalla esecuzione del provvedimento suddetto» ‒ ha sospeso l’esecutività della sentenza e l’efficacia dell’ordinanza di demolizione n. 9/2015 impugnata in primo grado.
6.‒ All’udienza del 5 dicembre 2017, la causa è stata discussa ed è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1.‒ È opportuno ripercorrere rapidamente i fatti di causa.
Il ricorrente è proprietario di un capannone ubicato in Arzano (NA) realizzato in assenza di titolo abilitativo.
Per la sanatoria di tale manufatto, il ricorrente inoltrava al Comune di Arzano istanza di condono edilizio ai sensi della legge n. 724 del 1994, assunta al protocollo n. 7202 del 31.03.1995.
Dopo otto anni dall’inoltro della suddetta pratica di sanatoria, il ricorrente, al fine di beneficiare della sopravvenuta legge n. 326 del 2003, presentava al Comune di Arzano una nuova domanda di condono edilizio, avente ad oggetto non già il capannone abusivamente edificato nel suo complesso, bensì esclusivamente il sopravvenuto ampliamento, frazionamento e cambio di destinazione d’uso dello stesso.
Con provvedimento prot. n. 6070 del 24.03.2015, il Comune di Arzano esprimeva diniego alla istanza di condono edilizio ex lege 724 del 1994 (a distanza di venti anni dalla richiesta), sulla motivazione che le opere non risultavano ultimate entro il 31 dicembre 1993.
Denegata l’istanza di condono ai sensi della l. n. 724 del 1994, con la nota di preavviso di rigetto prot. 6281 del 26.03.2015 si è conseguentemente proceduto ad informare il ricorrente dell’intento di esprimere diniego anche alla successiva istanza di sanatoria formulata ai sensi della l. n. 326 del 2003, sulla base della rilevata assenza di legittimità dell’opera principale sulla quale insistono gli interventi oggetto della seconda istanza di sanatoria.
2.‒ Con il primo motivo di appello, l’istante non contesta: né la circostanza (attestata dai rilievi aereofotogrammetrici acquisiti dall’amministrazione comunale) che il capannone oggetto della prima domanda di sanatoria straordinaria non esisteva alla data del 23 novembre 1994, con conseguente inammissibilità della domanda di condono per mancanza del requisito temporale (realizzazione entro il 31 dicembre 1993); né la motivazione del secondo provvedimento di diniego secondo cui, una volta respinto il condono relativo all’opera principale, non si poteva procedere alla sanatoria degli interventi secondari (insistenti sulla medesima opera) privi di autonomia.
L’appellante afferma invece che, poiché alla data in cui è stata rigettata l’istanza di condono era già decorso il termine per la proposizione della domanda ai sensi della legge n. 326 del 2003, il ritardo con il quale l’amministrazione ha proceduto alla conclusione dei procedimenti avviati con la presentazione delle istanze di condono avrebbe imposto, in forza dei principi di solidarietà e leale collaborazione, una trattazione unitaria, con “assorbimento” della prima istanza nella seconda. Ccon la conseguenza che i presupposti per il condono dell’intera opera avrebbero dovuto ritenersi sussistenti alla tregua delle previsioni della l. n. 326 del 2003.
2.1.‒ Il motivo è infondato.
Come è noto, alla violazione del termine finale di un procedimento amministrativo non consegue l’illegittimità dell’atto tardivo – salvo che il termine sia qualificato perentorio dalla legge–, trattandosi di una regola di comportamento e non di validità. L’art. 2-bis della legge sul procedimento, infatti, correla all’inosservanza del termine finale conseguenze significative sul piano della responsabilità dell’Amministrazione, ma non include, tra le conseguenze giuridiche del ritardo, profili afferenti la stessa legittimità dell’atto tardivamente adottato. Il ritardo, in definitiva, non è quindi un vizio in sé dell’atto ma è un presupposto che può determinare, in concorso con altre condizioni, una possibile forma di responsabilità risarcitoria dell’Amministrazione.
Va pure rimarcato che la sanatoria edilizia non è procedibile di ufficio, bensì richiede una formale richiesta. Tale assunto, del resto, è confermato dal meccanismo di coordinamento tra i due condoni, introdotto al comma 10-bis dell’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), secondo cui: «[p]er le domande di concessione o autorizzazione in sanatoria presentate entro il 30 giugno 1987 sulle quali il sindaco abbia espresso provvedimento di diniego successivamente al 31 marzo 1995, sanabili a norma del presente articolo, gli interessati possono chiederne la rideterminazione sulla base delle disposizioni della presente legge».
Era dunque onere dell’appellante ‒ il quale ben poteva presagire l’inammissibilità della istanza di sanatoria, per essere stato il manufatto da lui realizzato oltre il limite temporale del 31 dicembre 1993 ‒ ripresentare l’istanza di sanatoria relativamente all’intero manufatto, e non solo rispetto ai sopravvenuti interventi accessivi.
3.‒ Con in secondo motivo di gravame, l’appellante invoca il principio del legittimo affidamento. Il Comune, prima di ordinare la demolizione dell’opera abusiva, avrebbe dovuto verificare se, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e per il protrarsi dell’inerzia degli organi preposti alla vigilanza, si sia ingenerato un affidamento nel privato con la conseguente necessità di una congrua motivazione in ordine all’interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione.
3.1.‒ La censura non può essere accolta in forza delle dirimenti considerazioni da ultimo espresse dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 9 del 2017.
La mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo.
Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere ‘legittimo’ in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata.
Non si può applicare a un fatto illecito (l’abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell’autotutela decisoria.
Non è in alcun modo concepibile l’idea stessa di connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare l’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica.
Se pertanto il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. In tal caso, è del tutto congruo che l’ordine di demolizione sia adeguatamente motivato mercé il richiamo al comprovato carattere abusivo dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria.
Il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento.
Anche nel caso in cui l’attuale proprietario dell’immobile non sia responsabile dell’abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi, le conclusioni sono le stesse.
4.– L’appello, dunque, va integralmente respinto.
4.1.– Non occorre procedere alla liquidazione delle spese di lite, dal momento che nessuna della controparti intimate si è costituita in giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 6954 del 2016, come in epigrafe proposto, lo respinge. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Ermanno de Francisco, Presidente
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Dario Simeoli, Consigliere, Estensore
Giordano Lamberti, Consigliere
Italo Volpe, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Dario Simeoli Ermanno de Francisco