Consiglio di Stato Sez. II n. 8451 del 21 settembre 2023
Urbanistica.Manufatto con variazioni essenziali rispetto al progetto approvato
La realizzazione di un manufatto edilizio che presenti variazioni essenziali rispetto al progetto approvato col permesso comporta, non diversamente dall’assenza del permesso o dalla totale difformità dal medesimo, l’illegittimità dell’intero intervento eseguito e l’adozione dell’ingiunzione di rimozione o di demolizione delle opere abusive, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/01.
Pubblicato il 21/09/2023
N. 08451/2023REG.PROV.COLL.
N. 09890/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9890 del 2022, proposto dalla società Macellaro Pasquale & C. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e dai sigg. Pasquale Macellaro e Rocco Macellaro, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Marcello Fortunato, Dario Gioia e Paolo Galante, con domicilio digitale presso gli stessi in assenza di elezione di domicilio fisico in Roma;
contro
Comune di Vietri di Potenza, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Alessandro Singetta, con domicilio digitale presso lo stesso in assenza di elezione di domicilio fisico in Roma;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata, sezione prima, del 24 novembre 2022, n. 783, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Vietri di Potenza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 settembre 2023 il cons. Francesco Guarracino, nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata la società Macellaro Pasquale & C. S.r.l. impugnava l’ordinanza dirigenziale, n. 42 del 2022, con cui il Comune di Vietri di Potenza aveva ingiunto alla società medesima e ad altri due soggetti la demolizione di opere edilizie in località Pedali, identificate in catasto al fg. 11, p.lle 12, 262 e 263 sub 2 e sub 4, consistenti in un deposito artigianale, in locali realizzati al suo interno con creazione di un piano intermedio, in un impianto di distribuzione carburanti a uso privato, in una vasca di raccolta di acque bianche, in muretti per installazione di un cancello scorrevole e in una cabina elettrica prefabbricata.
Con sentenza del 24 novembre 2022 n. 783, resa in forma semplificata, il T.A.R. respingeva le censure addotte avverso l’ordine di demolizione del deposito artigianale e delle opere interne a tale fabbricato e accoglieva le altre, sicché annullava l’ordinanza impugnata limitatamente alla parte in cui aveva disposto la demolizione dell’impianto di distribuzione carburanti a uso privato, della vasca di raccolta delle acque bianche, dei muretti per installazione del cancello scorrevole e della cabina elettrica prefabbricata.
La società ricorrente ha proposto appello contro il capo della decisione che l’ha vista soccombente.
Ha resistito in giudizio il Comune di Vietri di Potenza, che a propria volta ha gravato, con appello incidentale, la sentenza di prime cure nella parte in cui ha annullato l’ordine di demolizione delle opere poc’anzi dette.
Con ordinanza del 18 gennaio 2023, n. 183, in accoglimento della domanda cautelare proposta con l’appello principale, l’esecutività della decisione gravata e l’efficacia del provvedimento demolitorio impugnato in primo grado sono stati sospesi al solo fine di mantenere integra la res controversa nelle more del giudizio di merito.
Entrambe le parti hanno prodotto memorie a sostegno delle proprie ragioni e alla pubblica udienza del 12 settembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. – La controversia trae origine dall’adozione di un’ordinanza con cui il Comune appellato ha ingiunto alla società appellante la demolizione di opere realizzate in località “Pedali”, in area di proprietà privata dove in passato essa era stata autorizzata alla coltivazione di una cava, che avevano già formato oggetto di un ordine di demolizione, adottato contestualmente all’annullamento in autotutela dei titoli edilizi che le avrebbero legittimate, annullato in sede giurisdizionale con sentenza non appellata (T.A.R. Basilicata, sez. I, 30 maggio 2022, n. 414).
2 – Segnatamente, con la nuova ordinanza il Comune ha imposto la demolizione, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, di un deposito artigianale, assentito con concessione edilizia del 20 dicembre 2002 e successivo permesso di costruire in variante del 18 febbraio 2004, perché realizzato in totale difformità dai predetti titoli edilizi (siccome edificato totalmente fuori terra pur essendone previsto il completo interramento della parte nord e il parziale interramento delle parti ovest ed est, con conseguente raddoppio della volumetria rispetto a quella autorizzata: da 1452,10 mc a 2904, 21 mc), e dei locali destinati a ufficio, mensa, infermeria e servizi igienici ivi realizzati, con variante del prospetto, in esecuzione del permesso di costruire del 3 ottobre 2014, per avere ampliato la sua superficie utile con la realizzazione di un piano intermedio e permessone il parziale mutamento della destinazione d’uso da superficie destinata a deposito a uso artigianale ad uffici, in contrasto con l’art. 13 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G.
Con la medesima ordinanza il Comune ha ingiunto la demolizione, ai sensi dell’art. 1 bis, comma 4, della l.r. della Basilicata n. 12/1979 (in base al quale “i manufatti e gli impianti ed ogni altra opera collegata all’attività della cava” dismessa “devono essere asportati dopo la cessazione dell’attività autorizzata, fatta salva la facoltà di una diversa utilizzazione ove consentita dagli strumenti urbanistici vigenti”), di un impianto di carburante ad uso privato e di attrezzature connesse, di una vasca di raccolta di acque bianche, di muretti per l’installazione di un cancello scorrevole e di una cabina elettrica prefabbricata, perché si sarebbe trattato di opere connesse e funzionali alla cessata attività produttiva di estrazioni di inerti, insuscettibili di diversa utilizzazione perché incompatibili con la destinazione a zona agricola dell’area per come normata dall’art. 13 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G.
3. – Con la sentenza in questa sede impugnata il T.A.R. ha respinto le censure mosse all’ordine di demolizione del deposito e dei locali interni e ha accolto quelle rivolte all’ordine di demolizione delle restanti opere sopra sommariamente descritte, annullando in parte qua il provvedimento impugnato.
I due capi di sentenza sono stati rispettivamente appellati dall’originaria ricorrente, con l’appello principale, e dal Comune, con l’appello incidentale.
4. – Entrambi gli appelli sono infondati.
5. – Il T.A.R. ha giudicato l’ordine di demolizione del deposito e dei suoi locali interni immune dalle critiche ad esso rivolte dalla società che ne era destinataria osservando, in sintesi, che:
- trattandosi di provvedimento vincolato, ai sensi dell’art. 21 octies, co. 2, della l. 241/90 non poteva essere annullato in caso di omessa comunicazione d’avvio del procedimento;
- dalle fotografie allegate all’ordinanza era dato evincere chiaramente il mancato interramento del deposito prescritto dai titoli edilizi, il quale, tenuto anche conto della creazione, al suo interno, di un piano intermedio di 75 mq calpestabili, costituiva variazione essenziale alla stregua dell’art. 3, comma 1, lett. d), della l.r. Basilicata del 14 dicembre 1991, n. 28 (per cui “costituiscono variazioni essenziali al progetto approvato tutte le modifiche che comportino il verificarsi di almeno una delle seguenti condizioni: (….) d) Aumento della cubatura, rispetto a quella del progetto approvato, (che comporti anche aumento delle superfici di solaio), maggiore del 15% per edifici fino a mc. 500, del 10% per edifici da 501 1000 mc., del 6% per edifici da 1001 a 5000 mc., del 2,50% per edifici eccedenti mc. 5000, con aumento della superficie del solaio di oltre 15% per edifici fino a 150 mq., di oltre il 10% per edifici da 151 a 300 mq., di oltre il 6% per edifici da 301 a 1500 mq., di oltre il 2,5% per edifici a superficie maggiore di 1500 mq (….)”), stante il superamento del limite del 6% ivi stabilito;
- da ciò discendeva l’illegittimità anche delle opere interne (il piano intermedio di 75 mq calpestabili destinato a ufficio, mensa, infermeria e servizi igienici con variante del prospetto) “in quanto attuate all’interno di un fabbricato, realizzato in variazione essenziale dal permesso di costruire del 18.2.2004”;
- non poteva tenersi conto dell’art. 33, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001, perché esso disciplina gli interventi di recupero delle ristrutturazioni edilizie di edifici esistenti, cioè già ultimati e in precedenza dichiarati agibili, anche se successivamente crollati;
- il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza non determinano alcun legittimo affidamento e non impongono alcuna particolare motivazione per l’esercizio del potere repressivo, che, trattandosi di illecito permanente, interviene sempre su una situazione antigiuridica attuale.
6. – Con l’appello principale l’originaria ricorrente lamenta l’erroneità del predetto capo decisorio relativo al deposito agricolo affidando le doglianze a sei motivi di impugnazione, il cui contenuto può così compendiarsi:
(i) in presenza di un provvedimento sanzionatorio che avrebbe a oggetto anche opere conformi, in quanto si tratterebbe non di opere abusive tout court, ma di difformità rispetto a titoli edilizi rilasciati, la partecipazione al procedimento sarebbe stata non solo utile, ma dovuta, e avrebbe consentito di rappresentare che il semplice reinterro avrebbe restituito la conformità edilizia dell’immobile;
(ii) l’unica difformità rispetto al permesso in variante del 2014 sarebbe riconducibile al mancato reinterro di alcuni lati ovvero nella successiva rimozione del terreno limitrofo per effetto dell’ampliamento dell’area di cava; a fronte del mancato interramento, il Comune avrebbe dovuto imporre la semplice conformazione al titolo e non certamente la demolizione anche delle opere conformi, non sussistendo alcun elemento ostativo, diversamente da quanto ritenuto dal T.A.R., per il quale “tale abuso edilizio non può essere sanato con un successivo interramento, non eseguito per oltre 18 anni”, perché il ripristino, in mancanza di provvedimenti sanzionatori, non sarebbe soggetto a scadenza.
La fondatezza dei precedenti rilievi darebbe conto anche dell’erroneità dell’ordine di demolizione delle opere interne e della conseguente statuizione del T.A.R.; inoltre, come sostenuto in primo grado, le opere realizzate all’interno sarebbero del tutto conformi al titolo edilizio conseguito (il successivo permesso di costruire del 3 ottobre 2014), non avrebbero comportato ampliamento di volume o modificazione della destinazione d’uso artigianale assentita , trattandosi di locali privi di qualsiasi utilizzazione autonoma e comunque suscettibili di una diversa utilizzazione ove consentita dagli strumenti urbanistici vigenti, a mente dell’art. 1 bis, comma 4, della l.r.. 12/1979 cit.;
(iii) il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere che l’art. 33, co. 1, D.P.R. n. 380/01 (che avrebbe imposto al Comune di disporre, viceversa, che l’edificio fosse reso conforme ai titoli edilizi rilasciati) fosse applicabile alle sole opere di ristrutturazione come definite dall’art. 3, comma 1, lett. d), del medesimo D.P.R., poiché l’articolo 33 richiama invece la categoria di intervento di cui all’art. 10, comma 1, lett c), dello stesso Testo unico, che invece disciplina gli interventi sul patrimonio edilizio esistente con incremento di volume, come nel caso in esame, e nessun limite temporale è opponibile all’attività di conformazione, in quanto l’articolo 33 prescinde dal tempo trascorso (in primo grado, in realtà, non sarebbe mai stato invocato, per non demolire, un presunto affidamento o il tempo trascorso);
(iv) il T.A.R. avrebbe omesso di esaminare la censura secondo cui l’ordine demolitorio, in luogo del reinterro, sarebbe tanto più abnorme perché riferito anche alla volumetria di mc 1.515,25 già assentita fuori terra in virtù della originaria concessione edilizia del 2002;
(v) con tale motivo si ripropone per dichiarato mero scrupolo difensivo, atteso che secondo l’appellante il T.A.R. avrebbe condiviso le contestazioni concernenti la destinazione d’uso, la censura di primo grado relativa alla conformità del manufatto alla destinazione di zona, dove l’art. 13.7 delle norme tecniche di attuazione del PRG avrebbe consentito anche impianti di tipo artigianale;
(vi) il T.A.R., infine, avrebbe erroneamente disatteso le censure sul difetto di motivazione del provvedimento impugnato, che, viceversa, ricorrerebbe quanto meno all’applicazione della sanzione di cui all’art. 31, in luogo di quella di cui all’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001, e all’irrogazione della sanzione demolitoria per l’intero manufatto, in luogo del reinterro, e comunque, in subordine, con riferimento alla volumetria legittimamente assentita.
7. – L’infondatezza dei motivi dell’appello principale discende dalle considerazioni seguenti.
Incontestata è la circostanza, peraltro fotograficamente documentata, che il deposito emerga interamente dal piano di campagna, per tutti e quattro i suoi lati, con conseguente aumento della volumetria computabile rispetto a quanto indicato nello stesso schema riprodotto negli scritti difensivi dell’odierna appellante; come pure non risulta concretamente avversato quanto rilevato dal primo giudice circa il fatto che l’aumento della cubatura così ottenuto, rispetto al progetto approvato, poiché eccede la misura del 6% prevista per edifici da 1001 a 5000 mc dalla legge regionale n. 28 del 1991, comporta che la difformità rispetto al titolo edilizio, alla stregua della medesima legge, debba ritenersi essenziale.
La realizzazione di un manufatto edilizio che presenti variazioni essenziali rispetto al progetto approvato col permesso comporta, non diversamente dall’assenza del permesso o dalla totale difformità dal medesimo, l’illegittimità dell’intero intervento eseguito e l’adozione dell’ingiunzione di rimozione o di demolizione delle opere abusive, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/01.
L’art. 33 del D.P.R. n. 380/01 riguarda, viceversa, il caso degli interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti in assenza di permesso o in totale difformità da esso e quindi non si applica agli interventi di nuova costruzione, quale è il deposito in questione, come correttamente rilevato dal T.A.R. (il cui richiamo all’art. 3 dello stesso Testo unico si spiega col fatto che si tratta dell’articolo dedicato alla definizione delle diverse tipologie degli interventi edilizi).
Non è fondato, dunque, che il Comune avrebbe dovuto semplicemente imporre di rendere il deposito conforme alle prescrizioni degli strumenti urbanistico-edilizi mediante il suo interramento.
Per ragioni logiche, prima ancora che giuridiche, la demolizione non potrebbe non riguardare anche le opere interne allo stesso.
Infine, è evidente che non esiste nella realtà fisica alcuna volumetria di 1.515,25 mc autonomamente definita da superfici orizzontali e verticali esistenti che, a suo tempo legittimamente assentita, possa separatamente considerarsi rispetto a un’eccedenza abusiva che da sola possa e debba essere sanzionata con la demolizione. Il manufatto è unico e, come si è detto, connotato per intero da abusività per difformità essenziale dai titoli edilizi rilasciati per la sua costruzione.
Tutto ciò si riflette adeguatamente nella motivazione che regge il provvedimento impugnato in primo grado, tenuto conto anche del suo carattere vincolato.
Pertanto le censure articolate coi motivi (i), (ii), (iii), (iv) e (vi) dell’appello principale vanno respinte, mentre il motivo (v) non è sorretto dall’allegazione di alcun concreto interesse a rinnovare l’esame della questione della conformità del manufatto alla destinazione urbanistica dell’area di sedime.
8. – Passando all’esame dell’appello incidentale, secondo il Comune la sentenza di primo grado meriterebbe di essere riformata nella parte in cui ha ritenuto che le altre opere (impianto di distribuzione carburanti, vasca per la raccolta delle acque bianche, muretti per l’installazione di cancello scorrevole, cabina elettrica) non debbano essere demolite perché suscettibili di diversa utilizzazione e compatibili con la destinazione agricola della zona.
Con tre motivi di gravame l’amministrazione sostiene che dette opere, al contrario, fossero esclusivamente funzionali all’attività estrattiva, come, in particolare, per l’impianto di distribuzione di carburante sarebbe dimostrato dal progetto assentito (intestato “progetto per l’installazione di un impianto di carburanti ad uso privato e di attrezzature connesse a servizio della cava”) e per la vasca di raccolta delle acque, i muretti e la cabina elettrica già riconosciuto dal T.A.R. nella precedente sentenza n. 414 del 2022. Deduce, inoltre, che il primo giudice non avrebbe motivato il suo convincimento che si trattasse di opere strumentali all’attività artigianale (l’impianto di distribuzione) e utilizzabili in conformità alla destinazione di zona, senza considerare che l’impianto era privo di ogni altra autorizzazione che ne consentisse un uso diverso e che per l’utilizzazione a scopi irrigui delle altre opere (la vasca etc.) difettava il requisito soggettivo dell’iscrizione nell’elenco dei coltivatori diretti.
I motivi non sono suscettibili di accoglimento.
L’appellante incidentale ripropone essenzialmente il contenuto delle difese di primo grado e oblia del tutto le ragioni esposte nel capo di sentenza appellato, fondate sulla ritenuta nullità ex art. 21 septies della l. n. 241 del 1990 dell’ordinanza di demolizione dell’impianto di distribuzione carburanti perché in contraddizione con quanto statuito inter partes con la precedente sentenza n. 414 del 2022 dello stesso T.A.R., non appellata, circa il fatto che l’impianto era stato autorizzato per le esigenze del deposito artigianale e dell’impresa edile e non già per l’attività di coltivazione della cava e che gli impianti di distribuzione carburanti possono essere realizzati in tutto il territorio comunale, eccetto nei centri storici e nelle zone sottoposte a particolari vincoli paesaggistici o monumentali.
Non è condivisibile, inoltre, che il T.A.R. si sia contraddetto circa la connessione all’attività di estrazione di inerti del cancello e dei muretti, poiché tali manufatti (al pari della cabina elettrica) non rientravano tra quelli della cui legittimità si era disputato nel giudizio definito con la citata sentenza n. 414 del 2022. Su questa presunta connessione, dunque, il T.A.R. si è pronunciato per la prima volta nella sentenza in questa sede appellata affermando che “il cancello scorrevole ed i relativi muretti sono stati installati a protezione della proprietà privata dei ricorrenti” e tale affermazione non è stata avversata.
Resta da esaminare la questione della vasca di raccolta delle acque e della cabina elettrica.
Si legge nella sentenza n. 414 del 2022: “sebbene, come espressamente indicato nella DIA del 17.10.2012, la vasca di raccolta delle acque bianche è stata costruita sul terreno, foglio n. 11, particella n. 262, di proprietà del sig. Pasquale Macellaro, a servizio della cava, di proprietà comunale, va rilevato che il Comune di Vietri di Potenza, anziché annullare la predetta DIA avrebbe dovuto applicare l’art. 1 bis, comma 4, L.R. n. 12/1979, chiedendone la rimozione ai ricorrenti, in quanto opera connessa all’attività di coltivazione della cava, di proprietà comunale, che non può più essere svolta dalla Macellaro Pasquale & C. S.r.l., dopo aver verificato che i vigenti strumenti urbanistici non ne consentono una sua diversa utilizzazione da parte dei ricorrenti sul predetto terreno, di loro proprietà”.
Nel successivo provvedimento demolitorio, impugnato nel primo grado del presente giudizio, il Comune ha affermato che “la realizzazione della vasca di raccolta acque bianche, muretti per installazione cancello scorrevole e cabina elettrica prefabbricata (…) era connessa e funzionale esclusivamente all’esercizio dell’attività produttiva di estrazione di inerti cessata (…), pertanto anche tali opere devono obbligatoriamente essere rimosse ai sensi dell’art. 1 bis, comma 4, della L.R. n. 12/1979 in quanto il vigente PRG non consente una diversa utilizzazione di manufatti, impianti ed ogni altra opera collegata alla cessata attività della cava”.
Vi difetta, però, quella verifica che i vigenti strumenti urbanistici non ne consentano una diversa utilizzazione, di cui alla precedente sentenza. L’ordinanza si limita a richiamare la destinazione all’esercizio dell’agricoltura impressa all’area “intesa non soltanto come funzione produttiva ma anche come funzione di salvaguardia del sistema idrogeologico e dell’equilibrio ecologico e naturale” e i conseguenti limiti all’edificazione e conclude che “le opere edilizie accertate risultano invece funzionali all’esercizio di un’attività produttiva di estrazione di inerti di non trascurabile entità e sicuramente incidente sull’equilibrio ecologico e naturale che nella zona agricola si intende invece salvaguardare: in definitiva tali opere non rientrano fra le attività consentite dall’art. 13 delle norme tecniche di attuazione del PRG vigente del Comune di Vietri di Potenza aventi finalità agricola e pertanto non risultano né autorizzabili né sanabili in quanto non conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente”.
Dunque l’accento vi è posto esclusivamente sulla funzionalità delle opere all’esercizio di un’attività produttiva di estrazione di inerti, sicuramente estranea alla finalità agricola dell’area, senza valutare se, invece, la vasca e la cabina fossero suscettibili di una diversa utilizzazione, compatibile con quella destinazione di zona, come ritenuto necessario dalla precedente sentenza alla luce di quanto stabilito dell’art. 1 bis, comma 4, della l.r. n. 12/1979.
E’ questa mancanza che si deve ritenere il T.A.R. abbia inteso nella sostanza censurare affermando, nel capo appellato, che “tenuto conto del citato art. 1 bis, comma 4, L.R. n. 12/1979 e della destinazione agricola dei terreni in questione, la vasca di raccolta delle acque e la cabina elettrica prefabbricata potrebbero essere utilizzate “per scopi irrigui”, connessi all’attività agricola”.
Le considerazioni svolte in giudizio dall’appellante incidentale sulle condizioni di autorizzabilità dell’impianto e il requisito soggettivo di coltivatore diretto si risolvono, invece, in una non consentita integrazione postuma della motivazione del provvedimento.
9. – Per queste ragioni, in conclusione, entrambi gli appelli sono infondati e vanno respinti.
10. – Le spese del grado del giudizio sono compensate per reciproca soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sugli appelli proposti dalle parti in via principale e in via incidentale, li respinge entrambi.
Compensa le spese del grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 settembre 2023 con l’intervento dei magistrati:
Oberdan Forlenza, Presidente
Giovanni Sabbato, Consigliere
Antonella Manzione, Consigliere
Francesco Guarracino, Consigliere, Estensore
Carmelina Addesso, Consigliere