Consiglio di Stato Sez. VII n. 8358 del 15 settembre 2023
Urbanistica.Costruzioni interrate e permesso di costruire
Le costruzioni interrate, in via generale, sono annoverabili nella nozione di nuova costruzione, quando, per la loro incidenza sull’assetto urbanistico, comportano una trasformazione del territorio. In tali casi è necessario il permesso a costruire. Infatti, in materia urbanistico-edilizia, relativamente alla definizione degli interventi edilizi, la definizione contenuta nell'art. 3, comma 1, n. 1, del D.P.R n. 380 del 2001 include nella nozione di "interventi di nuova costruzione" la costruzione di "manufatti edilizi fuori terra o interrati", a conferma del fatto che è indifferente la collocazione dell'edificio al di sotto del piano di campagna, e che solo in via eccezionale è consentito a livello amministrativo di non computare piani interrati di edifici per il resto realizzati fuori terra
Pubblicato il 15/09/2023
N. 08358/2023REG.PROV.COLL.
N. 06600/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6600 del 2019, proposto da
Pietro Ranzato, Alessandra Munaro, rappresentati e difesi dagli avvocati Natalia Paoletti e Raffaella Rampazzo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Natalia Paoletti in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 34
contro
Comune di Montecchio Maggiore, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Silvano Ciscato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Vicenza, Contrà Santa Corona, 9
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. 101/2019
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Montecchio Maggiore;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 5 luglio 2023 il Cons. Diana Caminiti e uditi per le parti gli avvocati Natalia Paoletti per parte appellante e Silvano Ciscato per il Comune appellato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.Con atto notificato in data 26 luglio 2019 e depositato il successivo 30 luglio Pietro Ranzato e Alessandra Munaro, proprietari di un terreno avente destinazione agricola nel Comune di Montecchio Maggiore, sul quale era stato realizzato da un precedente proprietario un rustico in difformità dal progetto approvato in base alla concessione edilizia n. 57/98, hanno interposto appello avverso la sentenza del Tar per il Veneto, sezione II, 22 gennaio 2019, n. 101, che ha rigettato il ricorso dagli stessi proposto avverso il provvedimento, emesso dal Comune di Montecchio Maggiore, n. 31089 del 25 novembre 2002, di parziale accoglimento dell’istanza di concessione edilizia a sanatoria di locali interrati e il parere della Commissione Edilizia del 20 novembre 2002, nonché avverso l’ordinanza, emessa sempre dal predetto Ente, n. 2125 del 29 novembre 2002, di demolizione di un locale interrato.
2. Dagli atti di causa risulta quanto di seguito specificato.
2.1. Al di sotto del fabbricato di proprietà degli appellanti, già ricorrenti in prime cure, era stato realizzato un interrato, diviso in tre vani che si sviluppa oltre il perimetro del medesimo rustico, il cui volume però era stato azzerato con il riempimento di terra.
2.2. Stante l’impossibilità di accedere all’interrato, l’impossibilità di umana permanenza e di qualsiasi utilizzazione di tale interrato, i ricorrenti avevano quindi presentato l’istanza di sanatoria per sanarlo come “vespaio”, essendo esso solo utile per preservare dall’umidità le fondazioni e per la salubrità dell’intero edificio.
2.3. Con provvedimento n. 31089 del 25/11/2002, il Comune di Montecchio Maggiore comunicava il parere favorevole alla sanatoria solo dell’interrato sotto l’annesso rustico, mentre escludeva la sanatoria per la parte extra sagoma dell’edificio fuori terra, in quanto al di sopra della stessa non esisterebbe alcun edificio da proteggere dall’umidità, cosicché il vespaio non risultava giustificabile dal punto di vista normativo.
3. Con ricorso innanzi al Tar Veneto i sig.ri Ranzato e Munaro pertanto impugnavano il provvedimento di parziale accoglimento dell'istanza di concessione e l’ordinanza di demolizione del locale interrato, unitamente agli atti presupposti.
3.1. In particolare i ricorrenti articolavano, in prime cure, i seguenti due motivi di ricorso:
I) Violazione di legge (art. 97 L.R. 27/6/1985 n. 61); eccesso di potere per difetto di presupposto, per illogicità manifesta e difetto di motivazione.
Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti contestavano la concessione solo parziale di sanatoria, ritenendo che, ai sensi dell'art. 97 della L.R. n. 61/1985, essa dovesse essere concessa per l’interezza dell’opera, nulla affermando il provvedimento in relazione alle norme vigenti ostative al rilascio della richiesta in sanatoria.
Il provvedimento assumeva unicamente che il manufatto in questione non fosse giustificabile funzionalmente; in tesi di parte ricorrente, se anche ciò fosse vero, non risulterebbe giustificato il diniego di concessione in sanatoria, ove non vi sia una norma che disponga in tal senso. Peraltro, diversamente da quanto sostenuto dal Comune, i ricorrenti ribadivano la funzionalità del vespaio, in quanto volto ad assicurare l'isolamento del fabbricato dal terreno.
II) Violazione di legge (art. 93 L.R. 27/671985 n. 61); eccesso di potere per difetto di presupposto, di istruttoria e di motivazione.
Con il secondo motivo i ricorrenti sostenevano che difettavano i presupposti per l’adozione della sanzione di demolizione del vano interrato realizzato in parziale difformità dalla concessione edilizia.
L’art 93 della L.R. n. 61/1985 richiede, infatti, oltre alla difformità parziale con la concessione edilizia anche il contrasto con la disciplina urbanistica vigente. Contrasto che, nella fattispecie, non sussisterebbe e che neppure verrebbe menzionato nell'impugnata ordinanza.
Peraltro, anche nell’ipotesi di sussistenza del contrasto con le norme urbanistiche vigenti, l'art. 93 prevede che la sanzione della demolizione può essere comminata solo se non ne deriva pregiudizio alle parti realizzate conformemente alla concessione edilizia.
Nell’ipotesi di specie, sebbene il vano interrato oggetto dell'ordinanza impugnata sia esterno al sedime del fabbricato legittimamente realizzato, le opere fanno parte di un unico assetto territoriale, che comporta che gli interventi di demolizione sotterranei si ripercuotono su tutta l'area circostante, con conseguenze anche su quanto realizzato conformemente alla concessione rilasciata. La demolizione, pertanto, non potrebbe avvenire senza rischi per le opere legittimamente costruite.
4. Il giudice di prime cure ha rigettato entrambi i motivi ricorsuali, osservando:
- quanto al primo motivo, che il vano interrato, esterno all’area di sedime era stato realizzato in mancanza di un titolo abilitativo e costituiva un volume a sé stante, ancorchè interamente interrato e non accessibile. Infatti, le costruzioni interrate sono annoverabili nella nozione di nuova costruzione, quando, per la loro incidenza sull’assetto urbanistico, comportano una trasformazione del territorio. Neppure rilevava il fatto che, in forza della normativa vigente, le opere in contestazione sarebbero da considerare attività libera, dovendo la legittimità del provvedimento amministrativo essere accertata con riferimento alla normativa vigente al momento della sua adozione, in ossequio al principio tempus regit actum;
- quanto al secondo motivo, che la struttura interrata in oggetto, in quanto nuova costruzione, richiedeva il rilascio del permesso a costruire. L’immobile non era qualificabile come vespaio e, pertanto, era stata negata la sanatoria e disposta la demolizione. Alcuna rilevanza poteva annettersi alla problematica dell’eseguibilità della demolizione, essendo l’amministrazione tenuta al solo accertamento dell’abusività dell’opera e non della realizzabilità del ripristino, ed essendo invece, onere del privato, che intende evitare la demolizione dimostrare l’ineseguibilità della stessa senza pregiudizio per la parte conforme: onere che, nel caso di specie, non era stato assolto.
5. Avverso tale sentenza i sig.ri Ranzato e Munaro hanno articolato con l’odierno atto di appello i seguenti due motivi:
I) Error in iudicando per il rigetto del 1° motivo del ricorso principale: violazione di legge (art. 97 L.R. 27/6/1985 n. 61); eccesso di potere per illogicità manifesta e difetto di motivazione;
II) Error in iudicando per il rigetto del 2° motivo del ricorso principale: violazione di legge (art. 93 L.R. 27/6/1985 n. 61); eccesso di potere per difetto di presupposto, di istruttoria e di motivazione.
6. Si è costituito il Comune di Montecchio Maggiore, con memoria di mero stile, instando per il rigetto dell’appello.
7. In vista della trattazione di merito dell’appello il Comune ha prodotto documenti e memoria di discussione, ex art. 73 comma 1 c.p.a., concludendo per la reiezione del gravame, sulla base di articolate difese, e parte appellante ha prodotto memoria diretta, insistendo ulteriormente per l’accoglimento dell’appello, e di replica, evidenziando come il Comune avesse con le difese in giudizio in parte integrato in via postuma la motivazione dei provvedimenti gravati in prime cure.
8. La causa è stata trattenuta in decisione all’esito dell’udienza straordinaria del 5 luglio 2023.
DIRITTO
9.Viene in decisione l’appello avverso la sentenza del Tar Veneto che ha rigettato il ricorso proposto dagli odierni appellanti avverso il provvedimento, emesso dal Comune di Montecchio Maggiore, di parziale accoglimento dell’istanza di concessione edilizia a sanatoria di locali interrati ed avverso l’ordinanza, emessa sempre dal predetto Ente, di demolizione di un locale interrato.
9.1. Come descritto nella parte in fatto, l’Ente, previo parere della Commissione Edilizia, ha concesso la sanatoria per la parte di fabbricato interrato realizzata sotto il rustico di proprietà dei ricorrenti, assentito in forza di concessione edilizia, in quanto qualificabile come “vespaio”, ma l’ha negata per la parte esterna alla sagoma di detto fabbricato, non essendo detta parte collegabile funzionalmente in detti termini al fabbricato soprastante, legittimamente realizzato. Il Comune, in particolare, ha dato conto del fatto che “la realizzazione di vespai può considerarsi sanabile inerentemente alla porzione di fabbricato interrato sottostante il fuori terra, mentre non risulta giustificabile la realizzazione di un vespaio all’esterno dell’annesso rustico, ma si configura come una mera giustificazione di quanto abusivamente realizzato”.
10. Con il primo motivo gli appellanti, nel criticare la sentenza di prime cure, ribadiscono l’illegittimità del diniego parziale di sanatoria, in quanto oggetto di sanatoria è un locale che, sebbene non posizionato direttamente sotto il fabbricato fuori terra, è la prosecuzione dell’interrato posto sotto l’edificio. Il riempimento di terra di tutto l’interrato avrebbe inoltre contribuito, in tesi di parte appellante, all’isolamento del fabbricato e alla preservazione delle fondazioni. Inoltre, non esisterebbe una norma di legge o di regolamento locale che impedisca l’esistenza di uno spazio sottoterra, inaccessibile, impraticabile, privo di una qualsivoglia umana utilizzazione.
Il fatto che l’interrato non si trovi direttamente sotto l’edificio fuori terra non lo renderebbe un volume autonomo, potendosi accedere allo stesso solo tramite l’edificio principale, essendo stato tra l’altro costruito contestualmente ad esso.
Inoltre, secondo l’appellante, non sarebbe condivisibile l’assunto del giudice di prime cure, secondo cui l’immobile sarebbe nuova costruzione, non avendo lo stesso alcuna incidenza sull’assetto urbanistico, non comportandone una trasformazione: il riempimento di terra inoltre aveva azzerato il volume, rendendolo inidoneo allo svolgimento di qualsiasi funzione edilizia, cosicché, sotto il profilo, urbanistico il volume dovrebbe considerarsi inesistente.
Il giudice di prime cure aveva inoltre negato all’interrato la funzione di vespaio facendo ricorso alla definizione contenuta nell’art. 75 del R.E. comunale, secondo cui “tutti gli edifici, nonché i locali al piano terra devono essere impostati su vespaio ventilato di almeno cm 30” ma, in tesi di parte appellante, dalla mancata rispondenza del locale interrato alle caratteristiche richieste dalla norma locale non poteva esserne dedotta la insanabilità.
Dirimente inoltre in tesi di parte ricorrente sarebbe poi l’argomento che la fattispecie concreta rientrerebbe all’attualità sotto la disciplina dell’art. 6 del D.P.R. n. 380/2001, come novellato, per cui in base alle disposizioni vigenti, il fabbricato potrebbe essere liberamente realizzato, non richiedendo alcun titolo abilitato edilizio.
11. Il motivo, così variamente articolato, va disatteso.
11.1. Ed invero come osservato dal giudice di prime cure “le costruzioni interrate, in via generale, sono annoverabili nella nozione di nuova costruzione, quando, per la loro incidenza sull’assetto urbanistico, comportano una trasformazione del territorio. In tali casi è necessaria la concessione edilizia, ora permesso a costruire (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 05/09/2017, n. 4243)”.
11.2. Infatti, come anche di recente ritenuto da questo Consiglio di Stato, in materia urbanistico-edilizia, relativamente alla definizione degli interventi edilizi, la definizione contenuta nell'art. 3, comma 1, n. 1, del D.P.R n. 380 del 2001 include nella nozione di "interventi di nuova costruzione" la costruzione di "manufatti edilizi fuori terra o interrati", a conferma del fatto che è indifferente la collocazione dell'edificio al di sotto del piano di campagna, e che solo in via eccezionale è consentito a livello amministrativo di non computare piani interrati di edifici per il resto realizzati fuori terra (Cons. Stato Sez. VII, 09/02/2023, n. 1440).
Ai sensi dell’art. 3, comma 1 lett. e1), del d.P.R. n. 380 del 2001 gli interventi di nuova costruzione, per i quali è richiesto il permesso di costruire, comprendono “la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6)”, il quale a sua volta prevede che sono del pari interventi di nuova costruzione, soggetti a permesso di costruire, “e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale”.
11.3. Da ciò la correttezza in parte qua della sentenza di prime cure, che ha evidenziato come la richiesta sanatoria non potesse essere giustificata qualificando l’intervento de quo, per la parte non al di sotto del fabbricato fuori terra legittimamente assentito, quale vespaio, dovendo intendersi come tale uno spazio (che può essere costituito anche da un volume di significative dimensioni) avente come precipuo scopo quello di proteggere l’edificio sovrastante, isolandolo dall’umidità proveniente dal terreno; ciò avuto altresì riguardo alla circostanza che l’art. 75 del R.E. del Comune resistente, da quest’ultimo richiamato specificamente nel provvedimento gravato in prime cure prevede che “tutti gli edifici” nonché i “locali al piano terra devono essere impostati su vespaio ventilato di almeno cm 30”.
11.4. Neppure può essere condivisa la prospettazione di parte appellante secondo cui il locale de quo, in quanto riempito di terra, sarebbe del tutto irrilevante da un punto di vista edilizio.
11.5. Ed invero premesso che lo stesso è stato realizzato senza il prescritto titolo edilizio e non poteva essere sanato sulla base di un’asserita pertinenzialità con il rustico soprastante, non essendo qualificabile quale vespaio, non si può ritenere che sia irrilevante da un punto di vista edilizio urbanistico, costituendo pur sempre un volume, nel senso dianzi precisato, pur se allo stato inutilizzabile.
11.5.1. Infatti a fronte di opere edilizie realizzate senza il prescritto permesso di costruire, il T.U. Edilizia (D.P.R. 380/2001) prevede la sanzione della “rimozione”, o della “demolizione”, o del “ripristino dello stato dei luoghi” (artt. 31, 33, 34), termini questi che fanno riferimento all’eliminazione dell’opera abusiva, e per quanto riguardo le opere eseguite in parziale difformità, (art. 34), sottintendono una rimessione in pristino rispetto a quanto legittimante assentito. Il riempimento con terreno di un volume interrato non può essere certamente equiparato ad una “rimozione”, e men che meno ad una demolizione o ad un ripristino dello stato dei luoghi. Inoltre, occorre considerare che il riempimento del volume con terreno non determina affatto l’inutilizzabilità definitiva dell’opera: i ricorrenti ben potrebbero, in futuro, rimuovere il terreno e recuperare la possibilità di utilizzo del volume.
11.6. Inoltre, solo ad abundantiam si osserva che, come risultante dagli atti, e dedotto dal Comune con la memoria di discussione ex art. 73 comma 1 c.p.a., il terreno è gravato da vincolo forestale idrogeologico.
Istituito con il R.D.L. 30 dicembre 1923 n. 3267, tale vincolo mira a preservare l’ambiente fisico, impedendo che l'attività del privato possa comportare fenomeni erosivi e/o turbamento del regime delle acque.
È pertanto evidente che una costruzione sotterranea può incidere sulla regimazione delle acque e che il volume dei manufatti infissi del terreno non possa considerarsi irrilevante, ai fini della tutela idrogeologica; pertanto la sigillatura, o comunque la disabilitazione funzionale dei vani sotterranei lascia intatto l’impatto del corpo edilizio sotterraneo sull’assetto idrogeologico dei luoghi.
Sicché, il mantenimento in loco delle murature non autorizzate preclude il pieno ripristino dello status quo ante.
11.6.1. Né si può ritenere che quanto addotto dal Comune con la memoria di discussione, costituisca una motivazione postuma dei provvedimenti gravati, come replicato da parte appellante, posto che nei medesimi provvedimenti e nei relativi atti presupposti si dà atto come l’area su cui ricade l’abuso sia inserita nel vigente PRG in E2a di collina con “tutela paesaggistica” e “vincolo idrogeologico/forestale”.
11.6.2. Pertanto ben poteva il Comune, in chiave puramente difensiva, a fronte dell’assunto di parte appellante circa l’idoneità della disabilitazione funzionale a privare il volume interrato di ogni rilevanza urbanistico - edilizia, argomentare in senso contrario; né si può ritenere che detta difesa violi il divieto dei nova ex art. 104 comma 1 c.p.a., applicabile come noto solo alla parte ricorrente in prime cure (ex multis Cons. Stato Sez. VI, 11/01/2023, n. 402 secondo cui il divieto di domande o eccezioni nuove in appello ex art. 104, comma 1, D.Lgs. n. 104/2010 si applica solo all'originario ricorrente, poiché solo a quest'ultimo, una volta delimitato il thema decidendum con i motivi di impugnazione articolati in primo grado, è precluso un ampliamento dello stesso nel giudizio d'appello; viceversa, rispetto alle parti resistenti il medesimo divieto va inteso come riferito alle sole eccezioni in senso tecnico, non rilevabili d'ufficio, ma non anche alle mere difese rispetto agli altrui motivi di impugnazione, il cui accoglimento determina l'interesse a formulare ogni censura volta ad ottenere la riforma della sentenza in sede d'appello).
11.7. Deve inoltre essere disattesa anche l’ulteriore doglianza di parte appellante, secondo cui l’opera de qua rientrerebbe, sulla base della normativa attuale dell’art. 6 D.P.R. 380/2001 - come novellato dal d.lgs. n. 122/2016, che fa menzione delle opere interamente interrate e non accessibili - fra quelle di edilizia libera, dovendo l’abuso, come correttamente osservato dal giudice di prime cure, essere valutato sulla base della normativa ratione temporis vigente, sulla base del principio del tempus regit actum.
Infatti secondo la giurisprudenza “occorre considerare il dato normativo che consente la qualificazione dell’intervento realizzato a prescindere dalle successive evoluzioni della categoria che, diversamente opinando, si tradurrebbero nell’applicazione retroattiva dello ius superveniens al fine di qualificare un intervento in precedenza realizzato” (Cons. Stato, sez. VI, 19/01/2022 n. 8900).
12. Parimenti infondato è il secondo motivo di appello, nella parte in cui si assume che il diniego di sanatoria, al contrario di quanto ritenuto dal giudice di prime cure, e il conseguente ordine di demolizione, non potevano essere giustificati mercé il semplice richiamo alla prescrizione dell’art. 75 del R.E. comunale, trattandosi di disposizione edilizia e non urbanistica; ciò in quanto il R.E. – che trova il suo fondamento nell’art. 2 comma 4 D.P.R. 380/2001, a mente del quale “I comuni, nell'ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all'art. 3 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, disciplinano l'attività edilizia” - è parte integrante della strumentazione edilizia urbanistico-edilizia.
Pertanto correttamente il Comune ha fatto applicazione della prescrizione dell’art. 93 dell’indicata L.R., che stabilisce che per ordinare la demolizione di un intervento edilizio realizzato in parziale difformità dalla concessione edilizia bisogna che l’intervento sia in contrasto con una norma urbanistica vigente o adottata.
13. Detto motivo di appello va inoltre disatteso, sia pure in parte con diversa motivazione, anche nella parte in cui si critica il decisum di prime cure, laddove afferma che era onere del privato dimostare l’ineseguibilità della demolizione dell’opera, realizzata in parziale difformità dal titolo edilizio, senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, richiamando, ad avviso di parte appellante, un indirizzo giurisprudenziale che non aveva tenuto conto delle peculiarità della fattispecie concreta; ciò in quanto, venendo in rilievo uno spazio sottoterra, collegato ad altro del pari sottoterra (assentito in sanatoria), entrambi riempiti di terra, senza soluzione di continuità, le conseguenze che deriverebbero dalla demolizione sarebbero evidenti.
13.1. Ed invero, secondo l’indirizzo giurisprudenziale cui questo collegio intende uniformarsi, la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria, in ipotesi di impossibilità di ripristino dello status quo ante, senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, ex art. 34 D.P.R. 380/2001- cui va assimilata la prescrizione dell’art. 93 della L.R. 27/6/1985 n. 61 invocata da parte appellante - deve essere valutata dall'Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione. In quella sede le parti ben potranno dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato, asseritamente derivante dall'esecuzione della demolizione dell’opere eseguita in difformità (Consiglio di Stato sez. VI, 12/05/2020, n.2980; Consiglio di Stato sez. VI, 12/12/2019, n.8458, entrambe riferite all'esecuzione della demolizione del muro di contenimento del terrapieno, su cui poggiava il fabbricato legittimamente assentito).
14. In considerazione dell’infondatezza di tutti i motivi l’appello va rigettato.
15. Sussistono nondimeno eccezionali e gravi ragioni, avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie per compensare integralmente le spese di lite fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 luglio 2023, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 17, comma 6, del d.l. 9 giugno 2021, con l'intervento dei magistrati:
Claudio Contessa, Presidente
Sergio Zeuli, Consigliere
Giovanni Tulumello, Consigliere
Marco Morgantini, Consigliere
Diana Caminiti, Consigliere, Estensore