Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 224, del 4 maggio 2015
Urbanistica.Manufatto di alluminio (veranda) con copertura in panelli di lamiera, edificato sul balcone ed addossato alla parete perimetrale dell'edificio

La veranda di cui trattasi non può essere considerata mero volume tecnico a protezione della caldaia, alla cui definizione difetta l’autonomia funzionale anche solo potenziale e la non adattabilità ad uso abitativo o diverso da quello necessario per contenere, senza possibili alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, gli impianti tecnologici serventi la costruzione principale, le dimensioni del manufatto sono, all’evidenza, ben maggiori di quelle necessarie a contenere la caldaia e ciò è sufficiente ad escluderne la riconducibilità alla categoria pretesa dall’appellante. Inoltre, comporta modifica del volume, della superficie, della sagoma e del prospetto dell’edificio, l’intervento sanzionato (compresa la tettoia, realizzata stabilmente in prosecuzione della veranda) rientra nella nozione della ristrutturazione edilizia come definita dall’art. 10, comma 1, lett. c) del d.P.R. 6 380/2001, la cui realizzazione sconta il previo permesso di costruire da parte del Comune, a prescindere da qualunque considerazione circa la natura pertinenziale o meno del manufatto realizzato. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02224/2015REG.PROV.COLL.

N. 01680/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1680 del 2015, proposto da: 
Giorgetti Andreina, rappresentata e difesa dall'avvocato Salvatore Menditto, con domicilio eletto presso David Giuseppe Apolloni in Roma, via Conca d'oro, 285; 

contro

Comune di Ancona in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Federico Canalini e Gianni Fraticelli, presso il primo elettivamente domiciliato in Roma, via Collazia, 2/F; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. MARCHE n. 622/2014, resa tra le parti, concernente demolizione di manufatto abusivo.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Ancona;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 aprile 2015 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti gli avvocati Menditto e Canalini.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

I) La signora Andreina Giorgetti chiede la riforma, previa sospensione dell’esecuzione, della sentenza in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale amministrativo delle Marche ha respinto il ricorso proposto avverso l’ordinanza dirigenziale n. 9 del 2012, recante ordine di demolizione “delle seguenti opere: un manufatto di alluminio con copertura in panelli di lamiera, edificato sul balcone ed addossato alla parete perimetrale dell'edificio delle dimensioni di circa mt. 1.48 x 0.92 x 3, 00 di altezza, dotato di impianto idrico ed elettrico; una tettoia edificata in continuità al manufatto sopracitato, della dimensione di mt. 1,30 x 0,02 x 3,00 di altezza", nonché "la remissione in pristino dello stato dei luoghi a proprie spese entro il termine massimo di 90 gg. dalla notifica della presente ordinanza".

All’odierna camera di consiglio, nella quale è stata tratta l’istanza cautelare proposta con l’appello, le parti sono state avvertite dell’intenzione del Collegio di procedere alla definizione del merito del gravame, ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm., sussistendone i presupposti.

II) L’appello è infondato.

Come ha rilevato il primo giudice, la consistenza del manufatto oggetto dell’ordinanza impugnata, realizzato senza assenso edilizio su un terrazzo dell’appartamento della ricorrente (box avente le dimensioni di metri 1,48 x 0,92 x 3,00 h, costituito da una struttura in alluminio e vetro, con copertura di pannelli in lamiera, addossata alla parete perimetrale dell’edificio e tettoia realizzata in continuità con la copertura dello stesso) rientra nella definizione edilizia propria della veranda, definizione per la quale non rileva la chiusura su tutti i lati del manufatto stesso, essendo invece necessario e sufficiente l’effetto di incremento di volumetria e di modifica della sagoma dell’edificio causato dall’intervento edilizio (solo in presenza di una tettoia o di un porticato aperto da tre lati può essere esclusa la realizzazione di un nuovo volume: per tutte, Cons. Stato, sez. V, 14 ottobre 2013, n. 4997).

Per effetto di questa considerazione, che rende infondato il principale motivo dell’appello, devono essere respinti anche le ulteriori censure rivolte avverso la sentenza impugnata.

Infatti:

- la veranda di cui trattasi non può essere considerata mero volume tecnico a protezione della caldaia, alla cui definizione difetta l’autonomia funzionale anche solo potenziale e la non adattabilità ad uso abitativo o diverso da quello necessario per contenere, senza possibili alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, gli impianti tecnologici serventi la costruzione principale (per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 21 gennaio 201, n. 175): le dimensioni del manufatto sono, all’evidenza, ben maggiori di quelle necessarie a contenere la caldaia e ciò è sufficiente ad escluderne la riconducibilità alla categoria pretesa dall’appellante, anche ai sensi dell’art. 13 del regolamento edilizio comunale;

- in quanto comportante modifica del volume, della superficie, della sagoma e del prospetto dell’edificio, l’intervento sanzionato (compresa la tettoia, realizzata stabilmente in prosecuzione della veranda) rientra nella nozione della ristrutturazione edilizia come definita dall’art. 10, comma 1, lett. c) del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, la cui realizzazione sconta il previo permesso di costruire da parte del Comune, a prescindere da qualunque considerazione circa la natura pertinenziale o meno del manufatto realizzato e dallo specifico oggetto dell’attività difensiva spiegata dal Comune nel corso del giudizio di primo grado;

- alla legittimità del provvedimento repressivo di un abuso edilizio non è necessaria, per pacifico e condiviso principio giurisdizionale, la specificazione di una specifica motivazione, né rileva l’asserita disparità di trattamento con altre situazioni analoghe, disparità che non può, in ogni caso, consentire il protrarsi di situazioni comunque non conformi alle norme, né la tutela del preteso legittimo affidamento, dato che la repressione di abusi edilizi costituisce, per il Comune, atto vincolato non soggetto a limiti temporali.

III) In conclusione, l’appello deve essere respinto.

Le spese del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe indicato, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna l’appellante a rifondere all’Amministrazione resistente le spese del doppio grado del giudizio, nella misura di 3.000 euro, oltre IVA e CPA.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 aprile 2015 con l'intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore

Carlo Mosca, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 04/05/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)