Consiglio di Stato Sez. VI n. 5737 del 5 ottobre 2018
Urbanistica.Pergontenda
 
Per aversi una pergotenda occorrerebbe, infatti che l’opera principale sia costituita non dalla struttura in sé, ma dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole o dagli agenti atmosferici, con la conseguenza che la struttura deve qualificarsi in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda.

Pubblicato il 05/10/2018

N. 05737/2018REG.PROV.COLL.

N. 06606/2018 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6606 del 2018, proposto da:
Emidio Sebastianelli e Matteo Sebastianelli, rappresentati e difesi dall'avvocato Vittorio Attolino, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Francesco Ferraironi, 25;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Camarda, con domicilio eletto in Roma, via del Tempio di Giove 21;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il LAZIO – ROMA - SEZIONE II-BIS, n. 6483/2018, resa tra le parti, concernente l’impugnazione della Determinazione Dirigenziale n. 2416 del 31 luglio 2017, notificata il 22 agosto 2017, del Municipio VII, Direzione Tecnica, Ufficio disciplina edilizia, prot. 156861, avente ad oggetto ingiunzione a rimuovere o demolire gli interventi di ristrutturazione edilizia abusivamente realizzati in VIA TROPEA, N° 34 (art. 16, Legge Regione Lazio n. 15/2008 e s.m.i.).


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 27 settembre 2018 il Consigliere Oswald Leitner e uditi, per gli appellanti, l’avvocato Vittorio Attolino e, per Roma Capitale, l’avvocato Andrea Camarda;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per il Lazio i signori Sebastianelli Emidio e Sebastianelli Matteo hanno impugnato la determinazione dirigenziale n. 2416 del 31.07.2017 di Roma Capitale, avente ad oggetto la rimozione o demolizione degli interventi di ristrutturazione edilizia abusivamente realizzati in via Tropea n. 34.

I ricorrenti, proprietari di un immobile sito in via Tropea n. 34 ricadente in zona soggetta a vincolo paesaggistico, hanno lamentato l’illegittimità, per violazione di legge ed eccesso di potere per travisamento dei fatti, del provvedimento con cui Roma Capitale aveva loro ingiunto la rimozione/demolizione degli interventi abusivi consistenti nell’installazione “nella corte di pertinenza dell’immobile…(di) una copertura con telo in pvc su di una struttura in legno di mt 7,00 x 3,00 circa, già presente in un precedente sopralluogo” e, “sempre sullo stesso terrazzo…, (di) un’altra struttura in legno … coperta da telo ombreggiante delle dimensioni di mt 6,00x2,00 circa”, deducendo a) di essersi limitati a realizzare nel 2013 una pergotenda/gazebo corrispondente alle indicazioni fornite dal Comune di Roma nella circolare esplicativa del 9.03.2012 e rientrante, come tale, nella cd. “edilizia libera”; b) di aver successivamente apposto al gazebo una copertura di cartone per proteggere la struttura dagli oggetti e dai rifiuti gettati dai proprietari delle unità immobiliari sovrastanti il loro appartamento; c) di aver tempestivamente rimosso, a seguito di segnalazione della Polizia Locale, le suddette onduline, limitandosi a coprire la struttura con un telo ignifugo; d) di aver presentato, in data 1.08.2016, istanza relativa all’applicazione dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004 per le opere in contestazione che, ai sensi del DPR n. 31/2017, non essendo soggette ad alcuna autorizzazione al di fuori di quella necessaria per l’esistenza del vincolo paesaggistico, non avrebbero comunque potuto essere oggetto di ordine di demolizione.

Si è costituita in giudizio Roma Capitale, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato.

Con ordinanza n. 5757/2017 del 6.11.2017, il T.A.R. ha accolto la sospensiva.

Con sentenza n. 6483/2018 del 12.06.2018 il T.A.R. ha quindi rigettato il ricorso, ritenendo non condivisibili le censure formulate. In particolare, il T.A.R. ha ritenuto di non trovarsi a cospetto di una semplice pergotenda, bensì di una struttura solida e permanente, priva quindi del carattere della precarietà e, soprattutto, tale da determinare una evidente variazione di sagoma e prospetto dell’edificio, come emergerebbe in modo palese anche dalla foto-documentazione allegata dall’Amministrazione. Da qui la correttezza del provvedimento impugnato che ha qualificato l’intervento, eseguito senza titolo, come “ristrutturazione edilizia”, posta in essere, tanto più, in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico. Per la natura delle opere realizzate, che, non rientrando nella cd. “edilizia libera”, avrebbero necessitato comunque di un titolo edilizio e non solo dell’autorizzazione dell’ente preposto alla tutela del vincolo, non pertinenti risulterebbero le doglianze di omessa applicazione del DPR n. 31/2017 che presuppone la non assoggettabilità delle opere “ad altro titolo all’infuori dell’autorizzazione paesaggistica”.

Avverso tale sentenza hanno interposto gravame i sig.ri Sebastianelli, formulando un unico articolato motivo di appello.

Si è costituita in giudizio Roma Capitale, per resistere al gravame.

All’udienza del 27.09.2018, le parti sono state avvertite, ex art. 60 c.p.a., della possibilità che la controversia potesse essere definita con sentenza semplificata e la causa è passata in decisione.

DIRITTO

1. Sussistono i presupposti ex art. 60 c.p.a. per definire la controversia con sentenza semplificata, possibilità della quale le parti sono state avvertite all’udienza del 27.09.2018.

2. Con l’articolato motivo di gravame, gli appellanti deducono l’errata interpretazione delle risultanze probatorie, l’errata valutazione della consistenza dell’opera realizzata ed il difetto di motivazione nella valutazione della consistenza dell’opera.

Secondo gli appellanti, nel merito andrebbe innanzitutto contestato il capo della sentenza del T.A.R. che ha ignorato il motivo n. 2 del ricorso in primo grado “violazione e mancata applicazione del DPR n. 31/2017, art. 17 in relazione all’art. 167, D.L.vo n. 42/2004”. Con tale motivo si era dedotto che erroneamente con comunicazione nota prot. n. CI220866 del 15/11/2016 dell'Ufficio Disciplina Edilizia era stato comunicato l'accoglimento della sospensione del procedimento amministrativo relativo all'abuso posto in essere, fino alla scadenza del termine di 180 giorni dalla data di presentazione dell'istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica presso la Regione Lazio. Appare evidente che la determinazione dirigenziale di demolizione era legata unicamente alla mancanza del parere sul vincolo paesaggistico da parte della Regione Lazio, tanto che il procedimento è stato sospeso in attesa di tale parere per 180 giorni su specifica istanza dei ricorrenti. Se infatti fosse stato presente altro motivo ostativo oltre alla mancanza di parere sul vincolo paesaggistico, il procedimento non poteva essere sospeso.

Il Tar avrebbe glissato tali censure osservando che ci si trova al cospetto “di una struttura ‘solida e permanente’, priva, quindi, del carattere della precarietà e, soprattutto, tale da determinare una evidente variazione di sagoma e prospetto dell’edificio, come emerge in modo palese anche dalla documentazione fotografica allegata dall’Amministrazione”.

Orbene, la stessa determinazione dirigenziale descriverebbe le opere nel seguente modo: “copertura con telo in PVC su di una struttura in legno di mt. 7,00 x 3,00 circa già presente in un precedente sopralluogo del 19/04/2013, inoltre, sempre sullo stesso terrazzo è presente un’altra struttura in legno e coperta da telo ombreggiante delle dimensioni di mt. 6,00 x 2,00 circa”.

Il Giudice di prime cure citerebbe, per giungere a negare che si tratti di pergotenda, la sentenza di questo Consiglio di Stato n. 306/2017 che descriverebbe effettivamente le caratteristiche di tale struttura. Ma ometterebbe di indicare il punto essenziale di tale sentenza, ove viene negato il carattere di pergotenda ad una delle due strutture.

In particolare, tale sentenza affermerebbe: “9.2- Sulla base di tali considerazioni la Sezione ha quindi ritenuto che una delle due strutture nella fattispecie realizzate, destinata unicamente al sostegno (in alluminio) di un elemento di arredo temporaneo consistente in una tenda retrattile, non abbisognava del previo rilascio di un permesso di costruire, risolvendosi «in un mero elemento di arredo del terrazzo su cui insiste». Infatti la struttura di alluminio anodizzato (nella fattispecie esaminata) è stata ritenuta un mero elemento di sostegno della tenda e quindi non poteva considerarsi un nuovo organismo edilizio determinante una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio. 9.3- Mentre nell'altra struttura contestualmente esaminata, la natura e la consistenza del materiale utilizzato (il vetro) faceva sì che la struttura di alluminio anodizzato si configurava non più come mero elemento di supporto di una tenda, ma piuttosto costituiva la componente portante di un vero e proprio manufatto, che assumeva la consistenza di una vera e propria opera edilizia, connotandosi per la presenza di elementi di chiusura che, realizzati in vetro, costituivano vere e proprie tamponature laterali con un carattere di stabilità tale da non poter essere realizzate in assenza del titolo abilitativo necessario per le nuove costruzioni”.

Orbene, è ovvio che con tale sentenza si sia negata la qualificazione di pergotenda ad una struttura chiusa con vetrate laterali, che costituiscono vera e propria cubatura, ma tale manufatto nulla avrebbe a che vedere con i due manufatti oggetti del presente giudizio che sono composti da esigui travetti in legno che sorreggono una tenda di stoffa o in PVC, retraibile o meno non ha importanza alcuna.

L’affermazione contenuta in sentenza secondo la quale ci si troverebbe di fronte ad “una struttura ‘solida e permanente’, priva, quindi, del carattere della precarietà e, soprattutto, tale da determinare una evidente variazione di sagoma e prospetto dell’edificio, come emerge in modo palese anche dalla documentazione fotografica allegata dall’Amministrazione” apparirebbe del tutto apodittica in quanto, anche dalle foto dell’Amministrazione (alquanto oscure e comunque riconducibili all’epoca in cui era stata apposta una tettoia di cartone, immediatamente rimossa tanto da non essere presente nella descrizione della DD), si evincerebbe trattarsi di struttura con esigui travetti lignei posti a sorreggere una tenda, e, cosa più importante, struttura aperta ai lati. Contrariamente a quanto affermato, l’elemento principale è la tenda sorretta dalla struttura in travetti di legno.

La stessa sentenza n. 306/2017, in contraddizione a quanto affermato dal T.A.R. Lazio, ribadirebbe che la struttura in questione anche qualora sia “priva, quindi, del carattere della precarietà”, è una pergotenda, in quanto la precarietà è caratteristica non indicata come essenziale, ammettendo che le pergotende “sono installate per soddisfare quindi esigenze non precarie”.

Inoltre la sentenza impugnata avrebbe definito la struttura in maniera apodittica, “tale da determinare una evidente variazione di sagoma e prospetto dell’edificio”. A tal proposito il Consiglio di Stato, Sezione Sesta, con una più recente sentenza (n. 2715/2018) del 7/5/2018 sarebbe tornato sull’argomento definendo con ulteriore precisione le pergotende rientranti nella c.d. edilizia libera, in un caso perfettamente analogo.

Nella fattispecie si trattava della rimozione “in quanto abusiva, perché realizzata senza titolo alcuno, di una copertura con tenda in tessuto sorretta da una struttura principale e secondaria di legno installata sulla terrazza a livello del locale soffitta al sesto piano dell’immobile”. “Il T.A.R. ha respinto il ricorso proposto dagli interessati contro tale provvedimento, ritenendo che l’opera integrasse ristrutturazione soggetta al necessario rilascio di un permesso di costruire, e non di un titolo edilizio minore, in quanto struttura stabile modificatrice della sagoma dell’edificio, e che quindi in mancanza del permesso stesso ne fosse stata correttamente ingiunta la demolizione”.

Motiva il Consiglio di Stato: “L’abuso contestato ai ricorrenti appellanti consiste nella realizzazione di una tettoia, ovvero di un manufatto la cui disciplina non è definita in modo univoco né nella normativa né in giurisprudenza. 2.1 Dal punto di vista normativo, va considerato anzitutto l’art. 6 del T.U. 6 giugno 2001 n. 380, che contiene l’elenco delle opere di cd edilizia libera, le quali non necessitano di alcun titolo abilitativo; a prescindere dalla natura esemplificativa o tassativa che si voglia riconoscere a tale elenco, va poi osservato che esso comprende voci di per sé abbastanza generiche, tali da poter ricomprendere anche opere non espressamente nominate. Con riferimento alle tettoie, rileva in particolare la voce di cui all’art. 6 comma lettera e) quinquies, che considera opere di edilizia libera gli “elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici”, concetto nel quale può sicuramente rientrare una tettoia genericamente intesa, come copertura comunque realizzata di un’area pertinenziale, come il terrazzo. La norma è stata introdotta dall’art. 3 del D.L.vo 25 novembre 2016 n.222, ma si deve considerare applicabile anche alle costruzioni precedenti, come quella per cui è causa (…omissis…). 2.2 In materia, è poi intervenuto di recente un chiarimento da parte del legislatore, ovvero il recente D.M. 2 marzo 2018, pubblicato nella G.U. 7 aprile 2018 n. 81, di “Approvazione del glossario contenente l'elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera”, ai sensi dell'articolo 1, comma 2 del citato D.L.vo 222/2016. (… omissis…) Il decreto ministeriale attuativo di cui s’è detto comprende, al n. 50 del glossario delle opere realizzabili senza titolo edilizio alcuno, in particolare le cd. pergotende, ovvero, per comune esperienza, strutture di copertura di terrazzi e lastrici solari, di superficie anche non modesta, formate da montanti ed elementi orizzontali di raccordo e sormontate da una copertura fissa o ripiegabile formata da tessuto o altro materiale impermeabile, che ripara dal sole, ma anche dalla pioggia, aumentando la fruibilità della struttura. Si tratta quindi di un manufatto molto simile alla tettoia, che se ne distingue secondo logica solo per presentare una struttura più leggera. 3. Da tutto ciò, emerge chiara una conseguenza: non è possibile affermare in assoluto che la tettoia richiede, o non richiede, il titolo edilizio maggiore e assoggettarla, o non assoggettarla, alla relativa sanzione senza considerare nello specifico come essa è realizzata. In proposito, quindi, l’amministrazione ha l’onere di motivare in modo esaustivo, attraverso una corretta e completa istruttoria che rilevi esattamente le opere compiute e spieghi per quale ragione esse superano i limiti entro i quali si può trattare di una copertura realizzabile in regime di edilizia libera”.

Secondo gli appellanti, se da un lato il T.A.R. con la sentenza impugnata avrebbe omesso in maniera completa di indicare le ragioni per cui i manufatti oggetto del presente giudizio superassero i limiti entro i quali si può trattare di una copertura realizzabile in regime di edilizia libera, la evidente similitudine tra la fattispecie in esame e quella oggetto della sentenza indurrebbero ad una affermazione senz’altro positiva, nel senso che una struttura completamente aperta, composta da modesti travetti lignei poggiati su suolo e coperti da teli in tessuto o PVC rientra senz’altro nelle previsioni di cui al n° 50 del glossario richiamato dal Consiglio di Stato nella prefata sentenza.

Superata la questione della configurabilità dei manufatti come pergotende rientranti nell’edilizia libera, occorrerebbe, secondo gli appellanti, esaminare l’aspetto della mancanza della necessità del parere della Regione sul vincolo sulla base di quanto affermato nel ricorso di primo grado. Qui sarebbe solo il caso di ribadire che, alla luce del D.P.R. n. 31/2017, tale parere è superfluo. Infatti, il decreto che ha novellato la materia all’art. 17 comma 2° stabilirebbe espressamente “Non può disporsi la rimessione in pristino nel caso di interventi e opere ricompresi nell’ambito di applicazione dell’articolo 2 del presente decreto e realizzati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente regolamento non soggette ad altro titolo abilitativo all’infuori dell’autorizzazione paesaggistica.” Quindi, tenuto conto che per le pergotende, come chiarito dal Consiglio di Stato, non necessita alcuna autorizzazione all’infuori del vincolo paesaggistico ove previsto, in osservanza dell’art. 17 del DPR 31/2017 non poteva essere emessa la determinazione dirigenziale di demolizione.

3. L’appello è infondato e va respinto.

In base alla foto-documentazione dimessa dall’Amministrazione, nella specie, non ci si trova di fronte a due pergotende, bensì a vere e proprie tettoie, come tali interventi di ristrutturazione edilizia non rientranti nell’edilizia libera. Per aversi una pergotenda occorrerebbe, infatti che l’opera principale sia costituita non dalla struttura in sé, ma dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole o dagli agenti atmosferici, con la conseguenza che la struttura deve qualificarsi in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda. Nel caso in esame, infatti, trattasi di struttura con travetti lignei di una certa consistenza che sorreggono una tenda, struttura che può essere senz’altro definita solida e permanente e, soprattutto, tale da determinare una evidente variazione di sagoma e prospetto dell’edificio. Contrariamente a quanto affermato dagli appellanti, l’elemento principale non è quindi la tenda sorretta dalla struttura in travi di legno, ma, invece, quest’ultima.

Non trattandosi nel caso in esame di pergotende non può nemmeno, diversamente da come affermato dagli appellanti, trovare applicazione l’art. 17 comma 2° del D.P.R. n. 31/2017 che stabilisce: “Non può disporsi la rimessione in pristino nel caso di interventi e opere ricompresi nell’ambito di applicazione dell’articolo 2 del presente decreto e realizzati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente regolamento non soggette ad altro titolo abilitativo all’infuori dell’autorizzazione paesaggistica”. Nella specie, infatti, non si è in presenza di un intervento riconducibile nella cd. edilizia libera, per cui non è soddisfatto il presupposto per cui la struttura non necessita di alcuna autorizzazione all’infuori del vincolo paesaggistico. In base all’art. 17 del DPR 31/2017 poteva quindi essere ben emessa la determinazione dirigenziale di demolizione.

4. Conclusivamente, il gravame va respinto e la sentenza impugnata va confermata.

5. Le spese del secondo grado di giudizio, così come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

6. Il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso in appello rimane definitivamente a carico degli appellanti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna gli appellanti a rifondere all’appellata le spese del secondo grado di giudizio, liquidate in € 2.000,00-, oltre accessori di legge.

Il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso in appello rimane definitivamente a carico degli appellanti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 settembre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Diego Sabatino, Presidente FF

Silvestro Maria Russo, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Oswald Leitner, Consigliere, Estensore