Consiglio di Stato Sez. IV n. 5124 del 31 agosto 2018
Urbanistica.Presentazione domanda di accertamento di conformità e poteri sanzionatori del comune

La presentazione della domanda di accertamento di conformità, ex art. 36 D.P.R. n. 380/2001 , non comporta alcuna paralisi dei poteri sanzionatori già esercitati dal Comune e, dunque, non determina l'inefficacia sopravvenuta dell'ingiunzione di demolizione emessa. Essa non determina l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza d'interesse, dell’impugnazione proposta avverso l’ordinanza di demolizione, ma comporta, tuttalpiù, un arresto temporaneo dell’efficacia della misura repressiva che riacquista la sua efficacia nel caso di rigetto della domanda di sanatoria. Infatti, se si sostenesse che l’amministrazione, nell'ipotesi in cui debba operare un rigetto esplicito o implicito dell'istanza di accertamento di conformità, avesse l'obbligo di riadottare l’ordinanza di demolizione, ciò equivarrebbe a riconoscere in capo a un soggetto privato, destinatario di un provvedimento sanzionatorio, il potere di paralizzare, attraverso un sostanziale annullamento, quel medesimo provvedimento


Pubblicato il 31/08/2018

N. 05124/2018REG.PROV.COLL.

N. 08585/2007 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8585 del 2007, proposto dalla signora Carmela Mele, rappresentata e difesa dagli avvocati Guido Finelli e Giuseppe Fimiani ed elettivamente domiciliata presso lo studio Patrizia Finelli in Roma, via G. Calderini n. 68;

contro

Comune di Napoli, in persona del Sindaco in carica pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Edoardo Barone, Giuseppe Tarallo, Fabio Maria Ferrari, Antonio Andreottola e Bruno Ricci, elettivamente domiciliato in Roma al Corso Vittorio Emanuele II n. 18 c/o lo studio Grez & Associati srl;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Campania – Napoli, Sezione IV, n. 7692 del 26 luglio 2006, resa inter partes, concernente diniego concessione edilizia in sanatoria di opere abusive e ordine di ripristino dello stato dei luoghi .


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Vista la memoria dell’appellato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 giugno 2018 il consigliere Giovanni Sabbato e udito, per l’appellato, l’avvocato Gabriele Pafundi su delega di Bruno Ricci;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La signora Carmela Mele ha impugnato, davanti al T.a.r. per la Campania – Napoli, sez. IV, il provvedimento prot. n. 822 del 21 dicembre 2015, col quale veniva respinta la sua istanza, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, di sanatoria di opere edilizie abusive - realizzate in Napoli, alla via Torciolano n. 40 - e conseguentemente le veniva ordinato il ripristino dello stato dei luoghi.

2. La signora Mele ha lamentato l’illegittimità di tale determinazione reiettiva perché incurante della disciplina urbanistica localmente vigente, non suffragata da adeguata motivazione, non accompagnata dal rinnovo dell’ordine demolitorio precedentemente adottato e non preceduta dal necessario contraddittorio nelle forme dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990.

3. Costituitasi l'Amministrazione comunale, il Tribunale, con la sentenza in epigrafe (n. 7692 del 26 luglio 2006), ha rigettato il ricorso e compensato le spese di lite.

4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:

- “il provvedimento impugnato, non solo riporta l'iter procedimentale percorso, la compiuta istruttoria e l'acquisito parere della Commissione edilizia, ma esplicita altresì, compiutamente ed analiticamente, le ragioni ostative al rilascio della richiesta sanatoria, e ciò in relazione sia alla normativa di riferimento in materia edilizia ed urbanistica, sia agli specifici vincoli incidenti sull' area in questione”;

- “la demolizione dì manufatti abusivi è atto dovuto in presenza di opere realizzate senza alcun titolo abilitativo e quindi abusivamente”;

- “l'Amministrazione comunale, proprio perché necessario rinnovare l'ordine di demolizione dopo il diniego di sanatoria, ha rinnovato tale ordine con il provvedimento gravato”;

- “il provvedimento di rigetto dell'istanza di concessione edilizia in sanatoria non deve essere preceduto dall'avviso dell'inizio del procedimento, essendo questo iniziato ad istanza dell'interessato”.

5. Avverso tale pronuncia la signora Mele ha interposto appello, ritualmente notificato il 9 ottobre 2007 e depositato il 6 novembre 2007, articolando tre motivi di gravame nei termini di seguito sintetizzati:

I) l’Amministrazione ha omesso di motivare compiutamente l’effettivo contrasto tra l’opera realizzata e gli strumenti urbanistici essendosi limitato “a rinviare, in maniera generica, alla normativa generale urbanistica vigente nonchè a richiamare il parere del responsabile del procedimento, tuttavia quest'ultimo non messo a disposizione del ricorrente”;

II) “l’adozione dell'atto impugnato in l° grado non è stato correlato ad un nuovo procedimento sanzionatorio, ma si riferisce anche al precedente procedimento di applicazione della sanzione edilizia”;

III) l’Amministrazione ha omesso di comunicare l’avviso di avvio procedimentale, necessario anche per i procedimenti ad istanza di parte, nonché “l’ulteriore, diverso, procedimento sanzionatorio avviato di ufficio”.

6. Il Comune di Napoli si è costituito, in data 8 aprile 2018, con memoria di stile.

7. In vista della trattazione nel merito del ricorso il Comune appellato ha presentato memoria insistendo per il rigetto del gravame.

8. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza del 12 giugno 2018, non merita accoglimento.

8.1. L’appellante, nel riproporre il primo e secondo motivo del ricorso instaurativo della lite (pagine 2 e ss.), reitera la censura del difetto di motivazione ritenuta insussistente dal Tribunale, evidenziando che l’Amministrazione si sarebbe limitata a ravvisare il generico contrasto delle opere con la disciplina urbanistica localmente vigente ed a richiamare il parere sfavorevole del responsabile del procedimento secondo le forme della motivazione per relationem ma senza metterlo a disposizione dell’interessato; onere motivazionale tanto più incombente considerato che non trattasi di opere interamente ex novo ma dell’ampliamento di un manufatto preesistente.

8.2. Il rilievo non può essere condiviso.

Va preliminarmente osservato che il provvedimento impugnato in prime cure contiene l’esatta ostensione delle ragioni poste a suo fondamento, avendo il redattore dello stesso precisato, con formula adeguatamente eloquente, i motivi di contrasto delle opere con la disciplina urbanistica vigente nei termini che seguono: “l’intervento non è sanabile in quanto la realizzazione di nuovi volumi non consentita a norma dell’art. 47, comma 5, della variante generale che, nelle more dell’approvazione degli strumenti urbanistici esecutivi, prevede esclusivamente interventi di conservazione dei volumi legittimi preesistenti”. Non si attagliano quindi alla vicenda di causa le coordinate interpretative che presiedono all’individuazione dei limiti di ammissibilità della motivazione costituita dal richiamo di atti istruttori (appunto detta per relationem) risultando l’avversato diniego accompagnato da motivazione che, attraverso l’incorporazione del contenuto del parere, dà conto in modo autonomamente esplicativo delle risultanze dell’istruttoria espletata e quindi del percorso logico-giuridico seguito nell’emanazione dell’atto finale.

8.3. Infondato è anche il secondo motivo d’appello, col quale, nel contestare la legittimità del contestuale ordine demolitorio, si lamenta la mancata riattivazione del procedimento sanzionatorio con conseguente pretesa violazione delle regole procedimentali, censura sulla quale il Tribunale non si sarebbe adeguatamente soffermato.

8.3.1. Anche tale critica non può essere condivisa in quanto il T.a.r., nel disattendere tale deduzione, ha opportunamente richiamato l’orientamento giurisprudenziale, coltivato anche da questo Consiglio, secondo cui “La presentazione della domanda di accertamento di conformità, ex art. 36 D.P.R. n. 380/2001 , non comporta alcuna paralisi dei poteri sanzionatori già esercitati dal Comune e, dunque, non determina l'inefficacia sopravvenuta dell'ingiunzione di demolizione emessa” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 6 giugno 2018, n. 3417). Si afferma più precisamente che la presentazione dell'istanza di sanatoria non determina l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza d'interesse, dell’impugnazione proposta avverso l’ordinanza di demolizione, ma comporta, tuttalpiù, un arresto temporaneo dell’efficacia della misura repressiva che riacquista la sua efficacia nel caso di rigetto della domanda di sanatoria. Infatti, se si sostenesse che l’amministrazione, nell'ipotesi in cui debba operare un rigetto esplicito o implicito dell'istanza di accertamento di conformità, avesse l'obbligo di riadottare l’ordinanza di demolizione, ciò equivarrebbe a riconoscere in capo a un soggetto privato, destinatario di un provvedimento sanzionatorio, il potere di paralizzare, attraverso un sostanziale annullamento, quel medesimo provvedimento (Cons. Stato, sez. VI, 27 febbraio 2018, n. 1171). Dal diniego di sanatoria, quindi, non consegue la necessità di innescare un nuovo iter procedimentale, come assume l’appellante, inteso alla riedizione del potere sanzionatorio, con conseguente infondatezza del rilievo sollevato che appunto postula tale (insussistente) necessità.

8.3.2. Nel contesto di altro profilo di censura, l’appellante lamenta altresì la mancata individuazione dell’area di sedime da acquisire in caso di inottemperanza, ma trattasi di motivo inammissibile per violazione del divieto di nova in appello, ex art. 104 comma 2 c.p.a., non rinvenendosi una censura di siffatto tenore nel libello introduttivo della lite. Il rilievo è comunque destituito di fondamento, in quanto, come da consolidato orientamento di questo Consiglio, “Nell'ingiunzione di demolizione è necessaria e sufficiente l'analitica descrizione delle opere abusivamente realizzate, in modo da consentire al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente, ogni altra indicazione esulando dal contenuto tipico del provvedimento, non occorrendo in particolare anche la descrizione precisa della superficie occupata e dell'area di sedime che dovrebbe essere confiscata in caso di mancata spontanea esecuzione; elementi questi, invece, necessariamente afferenti alla successiva ordinanza di gratuita acquisizione al patrimonio comunale” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 dicembre 2017, n. 5788).

8.4. Infondato è anche il terzo motivo d’appello, col quale si ripropone il quarto motivo del ricorso di primo grado (pagina 6), ove si contesta la pronuncia di primo grado in ordine alla statuizione reiettiva della censura del difetto di avviso dell’avvio procedimentale ex art. 7 della legge n. 241 del 1990, in quanto tale modulo partecipativo, come correttamente rilevato dal Tribunale, non si attaglia ai procedimenti ad istanza di parte. Ad opinare diversamente, infatti, “l'avviso dell'avvio sarebbe una mera duplicazione di attività” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 8 settembre 2003, n. 5034) e comunque il rilascio dell’accertamento di conformità urbanistica, richiedendo solo la verifica delle possibili ragioni di contrasto con la relativa disciplina, non implica l’espletamento di apprezzamenti di natura discrezionale che possano giovarsi del contributo partecipativo dell’interessato.

8.4.1. Né residuano margini in favore dell’applicazione del principio partecipativo nel procedimento che conduce all’emissione dell’ordine demolitorio, in quanto, come ha avuto modo di rilevare la giurisprudenza di questo Consiglio (in particolare la recente Adunanza plenaria 17 ottobre 2017, n. 9; successivamente si veda la prima applicazione fattane da Cons. Stato, sez. IV, 29 novembre 2017, n. 5595 nonché Cons. Stato n. 2799/18), “l’ordine di demolizione è un atto vincolato ancorato esclusivamente alla sussistenza di opere abusive e non richiede una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla rimozione dell’abuso. In sostanza, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l’Amministrazione ha il dovere di adottarlo, essendo la relativa ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore. In ragione della natura vincolata dell’ordine di demolizione, non è pertanto necessaria la preventiva comunicazione di avvio del procedimento (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 12 dicembre 2016, n. 5198), né un'ampia motivazione”.

9. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.

10. Le spese del presente grado di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (R.G. n. 8585/2007), lo respinge.

Condanna l’appellante alla rifusione, in favore del Comune di Napoli, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 giugno 2018 con l'intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi, Presidente

Alessandro Verrico, Consigliere

Nicola D'Angelo, Consigliere

Giovanni Sabbato, Consigliere, Estensore

Roberto Caponigro, Consigliere

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Giovanni Sabbato        Antonino Anastasi