Consiglio di Stato Sez. II n. 349 del 14 gennaio 2020
Urbanistica.Procedura sanzionatoria

Qualora l'Amministrazione abbia prima dato corso all'iter ordinario disciplinato dall'art. art. 31, comma 2, T.U.E., notificando anche l'ordine di sospensione lavori, e successivamente, abbia ordinato una demolizione secondo quanto dispone la procedura prevista dall'art. 27 del T.U.E. non effettua una duplicazione procedimentale illegittima. Infatti, la sovrapposizione dei due procedimenti è più apparente e formale che sostanziale, atteso che in entrambe le ipotesi, comunque il manufatto per cui è causa avrebbe dovuto essere demolito: sia che la demolizione intervenga in corso d'opera, sia che la stessa intervenga su un immobile già completato, dal punto di vista sostanziale i poteri esercitati sono i medesimi, poiché l'Amministrazione interviene a tutela degli interessi edilizie e urbanistici rilevando l'incompatibilità del bene costruito o costruendo con i predetti interessi e con la finalità di rimuoverlo definitivamente.

Pubblicato il 14/01/2020

N. 00349/2020REG.PROV.COLL.

N. 05076/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5076 del 2009, proposto dal signor Felici Vincenzo, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Petrachi e Giorgio Petrachi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Isabella d’Este, 13,

contro

Roma Capitale (Municipio XVI, Unità Organizzativa Tecnica), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pietro Bonanni e Andrea Camarda, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, domiciliatari ex lege in Roma, via del Tempio di Giove, 21,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 3259/2008, resa tra le parti, concernente la demolizione di opere edilizie abusive e il ripristino dello stato dei luoghi.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2019, il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti gli avvocati Andrea Camarda e Annalisa Cetrano, su delega di Giorgio Petrachi;


FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, sez. I-quater, con la sentenza 16 aprile 2008, n. 3259, ha respinto i ricorsi, previamente riuniti, proposti dall’attuale parte appellante, per l’annullamento:

- della determinazione dirigenziale n. 774 del 14 aprile 2005 con la quale il Comune di Roma — constatata la “realizzazione di un manufatto in blocchi di cemento precompresso”, composto da un primo piano interrato e da un piano terra, di circa mq. 250 ciascuno, “senza concessione” — ha determinato “la demolizione d’ufficio delle opere suddette e di ogni altra eventuale opera nel frattempo eseguita ed il ripristino dello stato dei luoghi”;

- del provvedimento in data 13 marzo 2007, prot. n. 15989, avente ad oggetto la DIA in sanatoria, riguardante un altro manufatto sito in Roma, via del Casal Lumbroso n. 217, destinato ad autorimesse private, realizzato in adiacenza alla recinzione perimetrale dell’area di sedime di un fabbricato realizzato in assenza di titolo, con cui il Comune di Roma ha ingiunto la demolizione delle opere cui la medesima si riferiva;

- della determinazione dirigenziale n. 748 del 2 aprile 2007 con cui è stata disposta l’immediata sospensione dei lavori;

- della determinazione dirigenziale n. 875, concernente la demolizione d’ufficio di opere abusive, individuate nella prosecuzione dei lavori afferenti il manufatto già sanzionato con il provvedimento n. 774 del 14 aprile 2005 e nel manufatto già oggetto del provvedimento prot. n. 15989 del 13 marzo 2007.

Secondo il TAR, sinteticamente:

- quanto alla denunciata violazione degli artt. 27 e 31 d.P.R. n. 380-2001, il diverso schema procedurale dipende dalla particolare gravità dell’illecito e, quindi, la scelta del legislatore si spiega agevolmente considerando la necessità di predisporre un meccanismo sanzionatorio idoneo a reintegrare con immediatezza il bene protetto, pregiudicato dall’intervento edilizio abusivo;

- si esclude, tuttavia, che a differenziare le due ipotesi concorra lo stato dell’opera ritenendosi che, nella fattispecie, la determinazione dirigenziale di demolizione d’ufficio sia sufficientemente giustificata dal fatto che l’opera abusiva ricada in zona “H” del P.R.G.;

- quanto alla questione del vincolo di inedificabilità, si ritiene bastevole il richiamo alla zona in cui l’edificio si trova;

- si deve escludere che si possa parlare di revoca, data la medesimezza dell’interesse pubblico perseguito con i due, incompatibili, rimedi provvedimentali, atteso che, nella fattispecie, si è realizzato un parziale annullamento del provvedimento già adottato, diretto ad una più corretta applicazione della disciplina urbanistica, il quale non necessiterebbe di un’espressa e specifica motivazione;

- si esclude che le agevolazioni dell’art. 9 della L. 122-1989 possano applicarsi al manufatto in contestazione poiché lo stesso avrebbe dimensioni non proporzionali rispetto al fabbricato cui sarebbe asservito.

La parte appellante contestava la sentenza del TAR deducendone l’erroneità e riproponendo, in sostanza, i motivi del ricorso di primo grado.

Con l’appello in esame chiedeva l’accoglimento del ricorso di primo grado.

Si costituiva il Comune appellato chiedendo la reiezione dell’appello.

All’udienza pubblica del 10 dicembre 2019 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Parte appellante contesta la sentenza del TAR impugnata nella parte relativa ai motivi di illegittimità da essa dedotti nel ricorso introduttivo in riferimento all’edificio ad uso abitazione.

Secondo parte appellante, erroneamente il TAR avrebbe disatteso i motivi nn. 2, 3 e 4 del ricorso di primo grado RG n. 6749-2005 ed i motivi nn. 1, 2 e 3 del ricorso di primo grado RG n. 6860-2007 i quali censuravano il provvedimento illegittimo per profili di violazione di legge (art. 27 e 31 d.P.R. n. 380-2001) ed eccesso di potere (vizio di motivazione e di istruttoria, errore sui presupposti).

Il Collegio osserva al riguardo che l’art. 31 d.P.R. n. 380-2001 definisce gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali e le fasi sanzionatorie previste.

In particolare, nella prima fase (art. 31, comma 2), il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto a esso, notifica al proprietario e al responsabile dell’abuso l’ingiunzione a demolire le opere (o a rimuovere gli effetti degli interventi posti in essere senza la realizzazione di trasformazioni fisiche), indicando l’area che, in caso di inottemperanza all’ordine, sarà acquisita al patrimonio del Comune.

Nella seconda fase (art. 31, commi da 3 a 6), se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi entro 90 giorni dalla notificazione dell’ingiunzione a demolire, il bene abusivo e l’area di sedime (nonché quella necessaria, secondo le prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive) sono acquisiti, di diritto e gratuitamente, al patrimonio del Comune.

In questa fase, l’atto con cui si accerta l’inottemperanza all’ingiunzione a demolire entro il termine di 90 giorni costituisce, previa notifica all’interessato, titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari.

Parte appellante evidenzia ulteriormente che, sotto il profilo procedimentale, l’Amministrazione, prima ha dato corso all’iter ordinario disciplinato dall’art. art. 31, comma 2, T.U.E., notificando anche l’ordine di sospensione lavori, e successivamente, in modo che ipotizza illegittimo, ha ordinato una demolizione secondo quanto dispone la procedura prevista dall’art. 27 del T.U.E.

In specifico, pare utile riportare il testo normativo di cui all’art. 27 d.P.R. n. 380-2001, dedicato alla “Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia”, che dispone che “1. Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente, la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi. 2. Il dirigente o il responsabile, quando accerti l’inizio o l'esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi (…)”.

Ritiene il Collegio che tale duplicazione procedimentale non possa ritenersi illegittima, né dimostri in alcun modo un difetto di istruttoria o altra figura sintomatica di eccesso di potere nei termini denunciati dalla parte appellante.

Infatti, la sovrapposizione dei due procedimenti è più apparente e formale che sostanziale, atteso che in entrambe le ipotesi, comunque il manufatto per cui è causa avrebbe dovuto essere demolito: sia che la demolizione intervenga in corso d’opera, sia che la stessa intervenga su un immobile già completato, dal punto di vista sostanziale i poteri esercitati sono i medesimi, poiché l’Amministrazione interviene a tutela degli interessi edilizie e urbanistici rilevando l’incompatibilità del bene costruito o costruendo con i predetti interessi e con la finalità di rimuoverlo definitivamente.

Pertanto, è giustificabile l’interpretazione che il TAR ha dato della vicenda procedimentale che si è sovrapposta, ovvero che vi sia stata una conferma dell’ordine di demolizione iniziale del manufatto, con un parziale annullamento della precedente ingiunzione di tipo soltanto procedimentale e formale, riguardante soltanto il rilievo circa l’avvenuto completamento o meno del manufatto stesso.

Si condivide, quindi, quanto in proposito argomentato dal TAR, secondo cui la previa emissione dell’ordine di sospensione è un mero vizio di natura procedimentale, irrilevante ai sensi dell’art. 21-octies L. n. 241-1990, poiché, comunque, il provvedimento finale non avrebbe potuto avere diverso contenuto, trattandosi di atto comunque vincolato, insensibile a qualsiasi ipotesi di ponderazione di interessi.

Peraltro, questo Consiglio ha già affermato che ai fini dell’adozione dell’ordine di demolizione è necessario e sufficiente che l’opera sia stata eseguita senza titolo ed in presenza di una delle condizioni prescritte (quali l’insistenza su un’area vincolata e/o la difformità dalle norme-urbanistiche), qualunque sia lo stato della costruzione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 11 gennaio 2002, n. 125).

Inoltre, attesa la tipologia di annullamento parziale e di modifica dell’iniziale ordinanza, è evidente che non occorreva una specifica motivazione, essendo centrale il rilievo dell’abuso che doveva inderogabilmente essere sanzionato.

In questa prospettiva, nessuna contraddizione o incompatibilità tra le ordinanze può sussistere, così come invece deduce parte appellante.

2. Il terreno ricade in zona “H” del P.R.G. e la costruzione in esame è indiscutibilmente in contrasto con le N.T.A. del P.R.G. vigente che descrivono la zona H, destinata a Parchi e zone agricole, dove sono consentite edificazioni funzionali e limitate, a seconda delle sottozone, ma senza dubbio non compatibili con quelle prospettate dalla parte appellante.

D’altronde, nemmeno parte appellante è in grado di indicare in specifico le norme del P.R.G. che legittimerebbero la sua iniziativa edilizia, limitandosi nell’atto di appello a contestazioni del tutto generiche e, pertanto, irrilevanti e avvalorando così la tesi dell’Amministrazione.

3. Parte appellante, in riferimento all’edificio ad uso parcheggio, ritiene che il TAR avrebbe erroneamente disatteso il motivo 5 (in relazione all’ingiunzione di demolizione n. 15989 del 13 marzo 2007) del ricorso di primo grado R.G. n. 4589-2007 ed i motivi 1, 2 e 3 del ricorso di primo grado R.G. n. 6860-2007 laddove si censuravano profili di violazione e falsa applicazione degli artt. 27 e 31 d.P.R. n. 380-2001 nonché dell’art 3 L. n. 241-1990.

Sotto tali profili, può rimandarsi a quanto appena esposto in merito a quanto avvenuto per l’edificio principale (punto n. 1 della presente sentenza), attesa la coincidenza sul piano sostanziale delle relative contestazioni.

4. Parte appellante, sempre in riferimento all’edificio ad uso parcheggio, ritiene inoltre che il TAR avrebbe erroneamente disatteso i motivi 1 e 2 (in relazione all’ingiunzione di demolizione n. 15989 del 13 marzo 2007) del ricorso di primo grado R.G. n. 4589-2007 ed i motivi 4 e 5 del ricorso di primo grado R.G. n. 6860-2007 laddove si censuravano profili di violazione e falsa applicazione della legge (art. 9 legge n. 122- 1989; artt. 31 e 37 d.P.R. n. 380-2001).

L’opera sanzionata, relativamente all’edificio uso parcheggio, consiste in un “manufatto in struttura mista di blocchetti di cemento, su cordolo di fondazione e solaio di copertura in lastre, di calcestruzzo armato allo stato grezzo avente dimensioni di circa mt. 6.400 x 8,60 e mt. 5,00 ix 4,00 per un’altezza di mt. 3,60 circa ed un volume di mc. 1960,00”.

Il manufatto “destinato ad autorimesse private” è di mq. 540 circa di superficie.

L’unità immobiliare ad uso abitativo cui sarebbe connessa l’autorimessa è, invece, identificabile con un “fabbricato realizzato in assenza di titolo: e per il quale sono state presentate domande di concessione in sanatoria ex lege 724/94”, con una superficie utile abitabile di mq. 180 complessivi.

E’ evidente l'insussistenza del vincolo pertinenziale di cui alla legge n. 122-1989, come ben argomentato dal TAR, la cui motivazione si condivide in toto.

Il vincolo pertinenziale è indiscutibilmente carente, atteso che una unità immobiliare ben può avere uno o più parcheggi a pertinenza, ma un tale rapporto preciso e ben definito tra i parcheggi realizzati e l’unità immobiliare deve emergere in modo certo ed indiscutibile da qualche elemento oggettivo.

Inoltre, un’opera, al fine di poter essere qualificata “parcheggio”, deve essere connotata da profili dimensionali ragionevolmente rispondenti alle esigenze delle unità immobiliari al cui servizio risulta destinata, atteso che è proprio la proporzionalità degli spazi riservati a parcheggio rispetto alla cubatura totale dell’edificio abitativo a connotare la disciplina dettata della legge n. 122-1989, la cui ratio consiste, come è noto, nella necessità di decongestionare le vie cittadine dal traffico automobilistico, prevedendo un numero di posti auto in proporzione al numero delle abitazioni.

Quando, come nella specie, è evidente la sproporzione tra la superficie abitativa e quella dedicata a parcheggio, il vincolo pertinenziale in esame non può esser riconosciuto, con la conseguenza che legittimamente il Comune ha disposto la demolizione del relativo manufatto.

5. Anche i successivi motivi di appello sono infondati.

Infatti:

- in ordine alla lamentata omessa pronuncia sul motivo n. 3 (in relazione all’ingiunzione di demolizione n. 15989 del 13 marzo 2007) del ricorso di primo grado R.G. n. 4589-2007 ed al motivo n. 6 del ricorso di primo grado R.G. n. 6860-2007 laddove si rilevava che il richiamo operato dall’ingiunzione di demolizione alla legge sul conglomerato cementizio fosse errato, si deve confermare che tale censura è assorbita dalla già argomentata abusività dei manufatti, che ne impone comunque la demolizione;

- le ordinanze di demolizione sono sufficientemente specifiche, sono inequivoche nell’identificare i beni oggetto della demolizione e hanno, peraltro, natura vincolata, non potendo la motivazione prendere in considerazione e ponderare interessi pubblici o privati diversi da quelli tutelati dalla legge, potendo quindi, indicare anche solo in modo sintetico (ma non generico, come si evince dalla mera lettura delle ordinanze impugnate) il rilievo dell’avvenuto abuso edilizio;

- il riferimento al pagamento diritti di istruttoria pari ad € 134,18, anche fosse in ipotesi contraddittorio non incide sulla legittimità della disposta demolizione del manufatto;

- il carattere vincolato della demolizione imposta rende irrilevante la dedotta violazione dell’art. 7 L. n. 241-1990 (ex art. 21-octies della medesima legge) ed impedisce la scelta di una sanzione amministrativa diversa.

6. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto, in quanto infondato.

Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe indicato, lo respinge.

Condanna parte appellante al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio in favore del Comune appellato, spese che liquida in euro 3.000,00, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Greco, Presidente

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore

Fulvio Rocco, Consigliere

Francesco Frigida, Consigliere

Cecilia Altavista, Consigliere