Consiglio di Stato Sez. VI n. 2658 del 16 giugno 2016
Urbanistica.Rapporto intercorrente tra autorizzazione paesaggistica e permesso di costruire

L’autorizzazione paesaggistica ha il carattere di atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire. Infatti il rapporto tra autorizzazione paesaggistica e permesso di costruire è un rapporto di presupposizione, necessitato e strumentale tra le valutazioni paesistiche e quelle urbanistiche. E tale principio resta fermo anche quando le disposizioni urbanistiche sono dettate tenendo conto pure dei valori paesaggistici di un’area.

 

N. 02658/2016REG.PROV.COLL.

N. 03899/2015 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3899 del 2015, proposto da:
Porzia S.r.l. e da Calpurnia S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentate e difese dagli avvocati Pasquale Di Rienzo e Rosanna Serafini, con domicilio eletto presso Pasquale Di Rienzo in Roma, viale Giuseppe Mazzini, n. 11;

contro

Comune di Ponza, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Giacomo Mignano, con domicilio eletto presso Paolo De Persis in Roma, Via della Scrofa, n. 57;

per la riforma:

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sezione Staccata di Latina, Sezione I, n. 155 del 13 febbraio 2015, resa tra le parti, concernente la demolizione di opere ritenute abusive.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Ponza;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 maggio 2016 il Cons. Dante D'Alessio e uditi per le parti l’avvocato Rosanna Serafini e l’avvocato Mario Sanino, su delega dell'avvocato Giacomo Mignano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1.- Le società Porzia e Calpurnia, proprietarie di un immobile sito nell’Isola di Palmarola nel Comune di Ponza, hanno impugnato davanti al T.A.R. per il Lazio, sostenendone l’illegittimità, il provvedimento n. 5 del 21 gennaio 2008, con il quale il Sindaco di Ponza ha ordinato la demolizione di opere edilizie eseguite in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, consistenti nella «realizzazione di un manufatto in muratura costituito da pietre poste a faccia vista con malta cementizia e copertura in laminati metallici, tavolate e canneti», dalle dimensione esterne di mt 12,50 x 6,50 x 2,47 di altezza, seminterrato con 2 ingressi e due finestre sul prospetto principale.

2.- Il T.A.R. per il Lazio, Sezione Staccata di Latina, Sezione I, con sentenza n. 155 del 13 febbraio 2015 ha respinto il ricorso.

3.- Le società Porzia e Calpurnia hanno appellato l’indicata sentenza ritenendola erronea per diversi profili.

3.1.- Dopo aver precisato che il Comune di Ponza ha inteso sanzionare un solo preteso abuso, che è descritto nel provvedimento impugnato anche come seminterrato, le società appellanti hanno insistito nel sostenere che il manufatto in questione è stato realizzato all’interno di un preesistente gradone (macera), per la sistemazione dei gruppi elettrogeni necessari per la produzione dell’energia elettrica a servizio dell’immobile di proprietà, e che tale intervento è stato realizzato in forza di una DIA presentata il 6 novembre 2003, integrata l’11 aprile 2005, e in forza delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dalla Regione Lazio il 22 aprile 2004 e il 12 novembre 2004.

3.2.- Le appellanti hanno anche evidenziato che il procedimento penale che era stato iscritto, in relazione alla realizzazione delle opere in questione, dinanzi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Latina, è stato archiviato con provvedimento in data 23 marzo 2015, su richiesta del P.M. il quale aveva evidenziato, (il 9 giugno 2009) che «non emergono ipotesi di abusivismo penalmente rilevanti, come si evince dalla espletata CT in atti, cui ci si riporta».

3.3.- Le appellanti hanno aggiunto che dall’esame della indicata CTU si rileva, in particolare, che le “macere” preesistevano, che gli interventi posti in essere per l’alloggiamento dei gruppi elettrogeni all’interno del “gradone” erano stati regolarmente autorizzati, ed hanno lasciato inalterato l’assetto esterno delle “macere” e del “gradone”, e che il locale destinato al ricovero dei gruppi elettrogeni costituisce accessorio afferente all’unità immobiliare residenziale ubicata sull’adiacente particella.

3.4.- All’appello si oppone il Comune di Ponza che ne ha chiesto il rigetto perché infondato.

4.- Con il motivo centrale del loro appello, le società Porzia e Calpurnia hanno sostenuto che la sentenza appellata è il risultato di un palese travisamento della reale effettiva consistenza e della natura degli interventi eseguiti e, per altro verso, della mancata considerazione dei titoli abilitativi acquisiti (che si sono prima ricordati).

4.1.- Al riguardo, si deve ricordare che, le società appellanti sono state sanzionate, con l’ordine di demolizione n. 5 del 21 gennaio 2008, per aver realizzato, in assenza di permesso di costruire, «un manufatto in muratura costituito da pietre poste a faccia vista con malta cementizia e copertura in laminati metallici, tavolate e canneti», dalle dimensione esterne di mt 12,50 x 6,50 x 2,47 di altezza, seminterrato con 2 ingressi e due finestre sul prospetto principale.

4.2.- La consistenza di tale manufatto, che era stato realizzato per alloggiare i gruppi elettrogeni al servizio dell’immobile di proprietà delle appellanti, è stata accertata, come si evince dalla documentazione in atti, all’esito di un sopralluogo congiunto effettuato il 4 ottobre 2007 da un funzionario dell’Ufficio tecnico del Comune di Ponza, dal maresciallo dei Vigili Urbani, dai Carabinieri della Stazione di Ponza e dalla Capitaneria di Porto di Ponza.

Come si legge nella relazione presentata al Sindaco del Comune all’esito del sopralluogo il manufatto era stato realizzato «in zona di vincoli ambientali costituiti da: zona rurale vincolata di PRG, Zona Ti P.T.P. Legge del 1939 n. 1497 – Dichiarata OASI anno 1975».

Dalla stessa relazione si rileva che il manufatto «è privo di Autorizzazione/ concessione edilizia rilasciata dal Comune di Ponza» e che «la pratica edilizia è in itinere presso il Comune di Ponza al n. 91/2007 del 19/7/2007».

La relazione predisposta all’esito del sopralluogo aggiunge, infine, che «dagli atti d’ufficio si rileva che i gruppi elettrogeni già in precedenza erano installati in locali che sono stati trasformati abusivamente per uso di civile abitazione e successivamente oggetto di condono edilizio».

4.3.- A seguito di tale sopralluogo il Comune di Ponza ha quindi ordinato, in data 12 novembre 2007, la sospensione dei lavori accertati e, in data 21 gennaio 2008, ha emesso l’ordinanza di demolizione impugnata.

5.- Tale ordinanza di demolizione, secondo le appellanti è illegittima, per il palese travisamento della reale effettiva consistenza e della natura degli interventi eseguiti, comunque oggetto di una DIA presentata al Comune di Ponza (e di successiva integrazione) e di autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dalla Regione Lazio (non annullate dal Ministero per i Beni e le Attività culturali).

6.- La Sezione ritiene che la sentenza appellata e l’ordinanza di demolizione impugnata non possano definirsi viziate da alcun travisamento della reale effettiva consistenza e della natura degli interventi eseguiti e ritiene, conseguentemente, che le opere accertate non potevano essere realizzate sulla base della DIA presentata al Comune di Ponza e delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dalla Regione Lazio.

7.- Per quanto riguarda l’effettiva consistenza e la natura degli interventi eseguiti, la Sezione rileva che, come emerge con chiarezza dalla documentazione anche fotografica in atti, le opere poste in essere hanno determinato la realizzazione di un manufatto delle dimensioni esterne, indicate nella stessa ordinanza, di mt 12,50 x 6,50 e mt 2,47 di altezza, seminterrato con 2 ingressi e due finestre sul prospetto principale, e quindi di un immobile con una superficie di oltre 80 mq. e un volume di circa 200 mc., in un’area sottoposta a rigorosissime disposizioni di tutela sia sotto il profilo urbanistico che per gli aspetti paesaggistici.

7.1.- Le appellanti non si sono quindi limitate a posizionare all’interno di un preesistente “gradone” i gruppi elettrogeni necessari alla produzione di energia elettrica per l’immobile di loro proprietà, come dichiarato nella DIA da loro presentata il 6 novembre 2003 ed integrata l’11 aprile 2005, ma hanno realizzato un vero e proprio nuovo manufatto che, per la sua tipologia e le sue dimensioni (sia di superficie, sia in termini di altezza utile), integra oggettivamente una vera e propria nuova costruzione.

Pertanto, facendo applicazione dei consolidati principi in materia, per la sua realizzazione (in disparte il fatto che palesemente l’opera non sarebbe stata compatibile con le disposizioni urbanistiche e paesaggistiche regolanti l’attività edilizia nell’area interessata) sarebbe occorso il permesso di costruire – in concreto, ovviamente, neppure rilasciabile, in relazione a quanto si è già detto, con il corollario che l’opera realizzata semplicemente nell’isola di Palmarola non poteva né può realizzarsi – ai sensi dell’art. 10 del DPR n. 380 del 6 giugno 2001, recante il T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia.

La realizzazione delle opere in questione, in assenza di tale titolo, le rende abusive e comporta quindi la doverosa adozione, da parte del Comune, dell’ordine di demolizione delle stesse.

7.2.- Né si può giungere a conclusione diversa in relazione alla circostanza che tale manufatto è stato realizzato servendosi anche della conformazione naturale del terreno (cd. macere), posto che comunque l’immobile in questione, come emerge chiaramente dalle fotografie e dai rilievi in atti, ha un suo chiaro autonomo e rilevante ingombro volumetrico (plasticamente ribadito e scandito dalla relativa copertura).

8.- Le appellanti hanno sostenuto peraltro che le opere in questione non necessitavano del permesso di costruire per la loro natura e che comunque le stesse dovevano ritenersi assentite con la DIA presentata il 6 novembre 2003, integrata l’11 aprile 2005, e in forza delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dalla Regione Lazio il 22 aprile 2004 e il 12 novembre 2004.

Tali tesi, anche se in parte confortata dalle conclusioni soggettivamente raggiunte dal CTU nella consulenza fatta nel giudizio penale poi archiviato, non sono condivisibili.

9.- Al riguardo, si deve preliminarmente chiarire che non possono avere decisiva rilevanza in questo giudizio amministrativo, concernente la legittimità di un ordine di demolizione determinato dalla realizzazione di opere edilizie in assenza del (necessario) titolo abilitativo edilizio, le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate per le stesse opere dalla Regione Lazio.

9.1.- Sebbene infatti per realizzare un’opera edilizia nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico occorra sia l’assenso a fini edilizi e sia l’assenso a fini paesaggistici, con la conseguenza che in tali aree non si può realizzare un’opera edilizia se non sono presenti entrambi i titoli abilitativi, tuttavia i due atti di assenso operano su piani diversi essendo posti a tutela di interessi pubblici che sono solo parzialmente coincidenti.

Pertanto il possibile rilascio di uno dei due atti di assenso non comporta il necessario rilascio anche dell’altro e la mancanza del necessario titolo edilizio non consente, come nella fattispecie, la realizzazione di un’opera anche se per la stessa è stato rilasciato l’assenso a fini paesaggistici.

9.2.- In proposito, si è anche di recente ricordato che, per principio consolidato, l’autorizzazione paesaggistica ha il carattere di atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire. Infatti il rapporto tra autorizzazione paesaggistica e permesso di costruire è un rapporto di presupposizione, necessitato e strumentale tra le valutazioni paesistiche e quelle urbanistiche (Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 521 del 9 febbraio 2016).

E tale principio resta fermo anche quando le disposizioni urbanistiche sono dettate tenendo conto pure dei valori paesaggistici di un’area.

10.- Ciò posto, le appellanti hanno sostenuto che le opere in questione dovevano ritenersi assentite, ai fini edilizi, con la DIA presentata il 6 novembre 2003, integrata l’11 aprile 2005.

Ma la DIA risulta uno strumento certamente inadeguato per legittimare, ai fini edilizi, le opere che sono state concretamente realizzate e che, accertate dal Comune di Ponza nella loro effettiva consistenza, hanno determinato l’irrogazione del provvedimento sanzionatorio impugnato.

10.1.- Peraltro la DIA presentata il 6 novembre 2003 prevedeva (e solo negli elaborati tecnici), la realizzazione di opere con una parziale diversa tipologia e con dimensioni molto più contenute, sia per la superficie interessata che per l’altezza della copertura, rispetto a quelle poi realizzate. Ed anche la successiva comunicazione integrativa dell’aprile 2005 non conteneva in modo espresso una denuncia di inizio di attività per la realizzazione di un vero e proprio nuovo manufatto, con una superficie e con un volume praticamente raddoppiato rispetto a quello indicato negli elaborati allegati alla denuncia del 6 novembre 2003. E nemmeno una formale DIA per le opere poi realizzate può rinvenirsi nella successiva comunicazione, pervenuta al Comune di Ponza in data 31 maggio 2005, nella quale, con riferimento al mancato rilascio del parere dell’Ufficio Marittimo per le opere da realizzarsi in prossimità del demanio marittimo, le società appellanti, hanno comunicato la realizzazione di una prima fase di lavori, riguardanti il posizionamento dei serbatoi di gasolio interrati e dei gruppi elettrogeni, ed hanno trasmesso al Comune, fra l’altro, le planimetrie dell’area interessata dal posizionamento dei gruppi elettrogeni.

10.2.- Fermo restando che, come si è detto, le opere sanzionate, per la loro tipologia e la loro dimensione, non potevano essere realizzate con una DIA, ma solo con un permesso di costruire (ammesso e non concesso che tale atto potesse essere assentito in applicazione delle rigorose disposizioni urbanistiche e paesaggistiche regolanti l’attività edilizia nell’isola di Palmarola).

10.3.- Del resto le stesse appellanti, per porre in essere ulteriori modifiche alle opere realizzate e per il completamento delle stesse, avevano ritenuto necessario richiedere al Comune di Ponza un permesso di costruire in data 14 settembre 2007.

11.- Non si può poi ritenere che il suddetto titolo edilizio non fosse necessario in considerazione della destinazione ad alloggiamento dei gruppi elettrogeni del manufatto in questione, nella consistenza accertata dal Comune di Ponza.

11.1.- Al riguardo, si deve preliminarmente ricordare che, per principio generale, per realizzare una nuova volumetria, e quindi una “nuova costruzione”, occorre il rilascio di un permesso di costruire (o del titolo avente efficacia equivalente).

Si può solo ammettere, nei limiti in cui le disposizioni urbanistiche (e paesaggistiche) lo consentano, la realizzazione di modesti volumi tecnici, ma solo nei suddetti limiti e se strettamente necessari all’uso per il quale sono destinati.

11.2.- In proposito, si è affermato che possono considerarsi volumi tecnici solo quei volumi che sono realizzati per esigenze tecnico-funzionali della costruzione (per la realizzazione di impianti elettrici, idraulici, termici o di ascensori) che non possono essere ubicati all’interno di questa e che sono del tutto privi di propria autonoma utilizzazione funzionale, anche potenziale.

Si è, quindi, escluso che possa parlarsi di volumi tecnici al di fuori di tale ambito “al fine di negare rilevanza giuridica ai volumi comunque esistenti nella realtà fisica” (in termini: Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 novembre 2014, n. 5428; Sezione VI, 29 gennaio 2015 n. 406).

11.3. Facendo applicazione di tali principi, si deve osservare che, nel caso di specie, le appellanti hanno sostenuto la strumentalità del manufatto contenente i gruppi elettrogeni al servizio dell’immobile principale, ma non hanno anche dimostrato che sussiste l’impossibilità di ubicare tali impianti all’interno dei locali già esistenti della costruzione principale (ovvero anche all’aperto).

E ciò a prescindere dalla circostanza, evidenziata negli atti del Comune, secondo cui i gruppi elettrogeni risultavano in precedenza allocati in altri locali per i quali, con richiesta di condono edilizio, si era provveduto ad un mutamento della destinazione d’uso.

11.4.- Peraltro, come ha osservato il Comune nelle sue memorie, le appellanti non hanno nemmeno dimostrato che per la protezione dei gruppi elettrogeni era necessario realizzare un manufatto di dimensioni tanto consistenti per superficie ed altezza (che peraltro, nella specie, è stata resa sostanzialmente praticabile, in quanto significativamente superiore a m. 2,00).

Inoltre l’immobile, all’atto del sopralluogo, è risultato dotato anche di 2 porte di accesso e di due finestre (che ne lasciavano presagire anche possibili future destinazioni tutt’altro che pertinenziali).

12.- Come ha correttamente osservato il T.A.R., non può avere poi alcun rilievo, per giustificare la realizzazione dell’opera in questione in assenza del necessario titolo abilitativo, la sua destinazione pertinenziale.

Per principio consolidato, infatti, la pertinenza può essere riconosciuta, ai fini edilizi, se vi è un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra la cosa accessoria e quella principale, cioè un nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso pertinenziale durevole, e (soprattutto) se l’opera pertinenziale ha una dimensione ridotta e modesta rispetto alla cosa cui esso inerisce (Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615), tale da rendere l’opera priva di un autonomo valore di mercato e non comportante un carico urbanistico o una alterazione significativa dell’assetto del territorio (Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 406 del 29 gennaio 2015, cit.).

Non può quindi ritenersi meramente pertinenziale, ai fini del possesso dei necessari titoli abilitativi edilizi (e paesaggistici), un’opera quando determina, come nella fattispecie, un nuovo volume di consistenti dimensioni su un’area diversa e ulteriore rispetto a quella già occupata dal preesistente edificio principale (in termini, Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 4290 del 26 agosto 2014).

13.- In via subordinata, le appellanti hanno sostenuto che l’ordinanza di demolizione deve ritenersi illegittima, contrariamente a quanto ha ritenuto il T.A.R., anche per la mancata applicazione dell’art. 33, comma 2, del DPR n. 380 del 2001, che prevede che, qualora il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecuniaria per l’opera realizzata.

13.1.- Il motivo è chiaramente infondato.

La realizzazione di opere edilizie in assenza dei necessari titoli abilitativi comporta la conseguente necessaria adozione delle misure ripristinatorie.

Nella fattispecie – in disparte l’evidente possibilità materiale e giuridica della demolizione dell’opera, con allocazione altrove delle strutture tecniche ivi alloggiate, ovvero anche con loro permanenza nel medesimo luogo, ma all’aperto, a seguito della demolizione della struttura abusivamente realizzata – è stato, quindi, correttamente ritenuto applicabile l’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001, che prevede la demolizione degli interventi di nuova costruzione eseguiti in assenza di permesso di costruire o in totale difformità, e non l’art. 33 del D.P.R. n. 380 del 2001, richiamato dalle appellanti, che disciplina l’irrogazione delle sanzioni per gli interventi di ristrutturazione edilizia di manufatti preesistenti eseguiti in assenza di permesso di costruire o in totale difformità.

14.- Le appellanti hanno infine insistito sulla mancata tempestiva considerazione della richiesta di permesso di costruire che era stata presentata il 14 settembre 2007 avente ad oggetto, fra l’altro, la copertura del gradone, così come asseritamente richiesto dai Vigili del Fuoco.

Ma anche tale censura, come ha giustamente ritenuto il T.A.R., è infondata non potendo la richiesta di variante dell’opera già realizzata precludere l’esercizio delle funzioni di vigilanza sull’attività edilizia già posta in essere e della conseguente attività di repressione degli abusi accertati.

15.- In conclusione, per tutti gli esposti motivi, l’appello deve essere respinto; va da sé che nessun rilievo può riconnettersi alle valutazioni, eventualmente diverse, che siano state espresse – in altra sede e ad altri fini – da diverse autorità giurisdizionali.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna le società appellanti al pagamento, in solido, di € 5.000,00, oltre s.g. e accessori di legge, in favore del Comune di Ponza a titolo di rifusione delle spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 maggio 2016 con l'intervento dei magistrati:

 

Ermanno de Francisco, Presidente

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Dante D'Alessio, Consigliere, Estensore

Andrea Pannone, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16/06/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)