Consiglio di Stato Sez. II n. 7817 del 22 novembre 2021
Urbanistica.Realizzazione soppalco quale ristrutturazione edilizia
La realizzazione di un soppalco rientra nella ristrutturazione edilizia laddove sia idoneo a generare un maggiore carico urbanistico, mentre potrà considerarsi un intervento minore nel caso in cui i lavori siano tali da dare vita a una superficie accessoria, non utilizzabile per il soggiorno delle persone, ossia un vano chiuso, senza finestre o luci, di altezza interna modesta, tale da renderlo assolutamente non fruibile alle persone.
Pubblicato il 22/11/2021
N. 07817/2021REG.PROV.COLL.
N. 09253/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9253 del 2014, proposto da
Teresa Lucianelli, rappresentata e difesa dagli avvocati Roberto De Masi, Felice Laudadio, con domicilio eletto presso lo studio Felice Laudadio in Roma, via Alessandro III n.6;
contro
Comune di Napoli, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Maria Ferrari, Giacomo Pizza, Antonio Andreottola e Andrea Camarda con domicilio eletto presso lo studio Nicola Laurenti in Roma, via F. Denza, 50/A;
Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali e Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quarta) n. 02066/2014, resa tra le parti, concernente la revoca del condono edilizio in sanatoria e l’ordine di ripristino stato dei luoghi;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli, del Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali e della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 novembre 2021 il Cons. Carmelina Addesso e uditi per le parti gli avvocati Avv. De Masi Roberto e Avv. Amoroso Maria Immacolata, in sostituzione dell'Avv. Piazza Giacomo, nonché l’Avv. dello Stato Maurizio Greco;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La signora Teresa Lucianelli ha impugnato la sentenza n. 2066/2014 del 26 marzo 2014 con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, sezione quarta, ha respinto, previa riunione, i ricorsi n. 2485/2010 e n. 5262/2010 proposti avverso, rispettivamente, la disposizione dirigenziale n. 52 del 22 febbraio 2010, con il Comune di Napoli (Direzione centrale VI) ha ordinato alla ricorrente il ripristino dello stato dei luoghi mediante eliminazione di un soppalco nell'immobile di proprietà sito in Napoli, via Belvedere n. 33 sc B, 2° piano, e la disposizione dirigenziale n. 102 dell'8 marzo 2010, con cui il medesimo Comune ha annullato in autotutela il provvedimento n. 253 del 27 luglio 2007, avente ad oggetto il condono edilizio per le opere realizzate nell’immobile sopra indicato.
1.1 Deduce l’appellante di essere proprietaria di un appartamento sito in Napoli, via Belvedere n. 33, individuato in catasto al foglio 14 particella n. 28 e che l’immobile in questione era stato ristrutturato in assenza di titolo abilitativo dal proprio dante causa, sig. Giuseppe Giordano, il quale aveva presentato nel 1986 istanza di condono ex l. 47/1985. L’istanza de qua veniva accolta con il rilascio di provvedimento di condono n. 253 del 27.07.2007 in favore dell’appellante, divenuta nelle more proprietaria dell'immobile.
1.2 Con successivo provvedimento n. 102 dell'8 marzo 2010, a seguito di segnalazione della Procura della Repubblica, il Comune di Napoli annullava in autotutela il provvedimento di sanatoria n. 253/2007, sul presupposto dell’esistenza di un vincolo storico -ambientale non dichiarato dall’appellante nella autocertificazione prot. n. 34413 del 3.12.2007, prodotta in conformità con la delibera di G.M. n. 4981/2006. Il provvedimento di autotutela dava atto della preesistenza, rispetto alla domanda di sanatoria e alla successiva autocertificazione, di un vincolo storico-artistico sul complesso denominato “Villa Belvedere”, imposto ex l. 364/1909 con D.M. 1.11.1924 e D.M. 11.07.1924, in seguito rinnovato con decreto del Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania n. 461/2009.
1.3 Il decreto da ultimo citato veniva annullato, dapprima, con decreto del Presidente della Repubblica del 18 maggio 2011, su parere conforme della seconda Sezione del Consiglio di Stato n. 205/2011, (limitatamente ai sub. 20 e 106 della particella n.28) a seguito di ricorso straordinario proposto dalla sig.ra Annamaria Esposito, e, successivamente, con sentenza del TAR Campania n. 6939/2014, non appellata, a seguito di ricorso proposto dalla sig.ra Lucianelli con riferimento all’immobile di sua proprietà.
1.4 In data 10 marzo 2010 veniva, altresì, notificata all’appellante la disposizione dirigenziale n. 52 del 22 febbraio 2010, con cui si ordinava ai sensi dell'art. 33 DPR 380/2001 il ripristino dello stato dei luoghi mediante eliminazione di un soppalco. Il provvedimento traeva origine dal verbale di sopralluogo della Polizia municipale del 20 gennaio 2009, in cui si dava atto del rinvenimento di un soppalco con travi di acciaio e cemento di 60 mq, impostato a 2,25 metri dal calpestio e a 2,30 metri dalla copertura. Ne scaturiva anche un decreto di sequestro preventivo che veniva successivamente revocato a seguito di archiviazione del relativo procedimento penale.
1.5 Entrambi i provvedimenti sopra indicati (l’annullamento in autotutela del condono e l’ordine di demolizione) venivano impugnati dalla sig.ra Lucianelli con separati ricorsi al TAR Campania (n.2485/2010 e n. 5262/2010) che, con sentenza n. 2066/2014, previa riunione, li respingeva, con compensazione delle spese.
1.6 Rilevava, in particolare, il TAR che:
- il decreto n. 461 del 19 febbraio 2009 del direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania deve ritenersi sostanzialmente ricognitivo e novativo (ai sensi dell'art. 128 del d.lgs. n. 42 del 2004) del vincolo illo tempore imposto con decreto ministeriale 1° novembre 1924, che aveva ad oggetto la villa nella sua interezza, poiché i due corpi di fabbrica, unitamente al viale, rappresentano un unico complesso connotato da alto valore storico ed architettonico.
- a fronte di tali elementi precisi e puntuali, non ha pregio la censura relativa alla violazione di garanzie meramente formali, quali la mancata osservanza del disposto dell'art. 7 legge 241/90, non potendo avere il provvedimento un contenuto diverso, in ragione della presentazione di una istanza di condono non veritiera, in quanto relativa ad immobili sottoposti ad un peculiare regime di tutela vincolistica;
- l'annullamento d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell'interessato (come nel caso in esame, dove è palese l'erronea allegazione dell'effettiva natura dell'immobile oggetto dei lavori), non necessita di un'espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse;
- la legittimità della eliminazione del provvedimento di condono adottato con disposizione dirigenziale n. 253 del 27 luglio 2007 si riflette immediatamente sull'ordine di ripristino impugnato con ricorso n. 2485 del 2010, dissolvendo in radice la censura relativa alla adozione di misure repressive in pendenza di un titolo edilizio legittimante l'intervento;
- non è dubitabile che l'intervento in parola richiedesse un titolo edilizio legittimante, tenuto conto che l'opera deve farsi rientrare nella categoria della ristrutturazione edilizia, in quanto la realizzazione di un soppalco può farsi rientrare, per le sue limitate caratteristiche di estensione, nel concetto di restauro o risanamento conservativo solo quando sia di modeste dimensioni. Nel caso di specie si è una presenza di una chiara utilizzazione della struttura pensile a fini abitativi (5 vani per una superficie di 60 mq), in violazione delle altezze minime richieste ai fini dell’abitabilità, risultando anche difforme dall’istanza di condono (non risulta dagli atti del condono la specificazione dell'altezza del soppalco).
2. Con ricorso in appello notificato in data 31 ottobre 2014 la sig.ra Lucianelli lamenta l’erroneità della sentenza di primo grado per i seguenti motivi:
1) ERRORE DI GIUDIZIO IN RELAZIONE AL VINCOLO DI PARTICOLARE INTERESSE AI SENSI DELLA L. N 364/1909 ED AL DECRETO DELLA DIREZIONE REGIONALE DEI BB.CC. E PP. N. 461/2009 — VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE D.LVO N. 42/2004 — INESISTENZA DEL PRESUPPOSTO — ECCESSO DI POTERE — DIFETTO DI ISTRUTTORIA — TRAVISAMENTO. Erroneamente il giudice di primo grado ha ritenuto che il vincolo storico-architettonico riguardasse la villa Belvedere nella sua interezza, essendo lo stesso limitato al corpo di fabbrica principale. Come evidenziato dal parere della Sezione II del Consiglio di Stato n. 205/2011, reso in sede di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, il fabbricato ove è situato l’immobile dell’appellante è stato pesantemente rimaneggiato nel corso dei decenni e non ha nessuna relazione con la villa Belvedere, a causa delle numerose edificazioni, peraltro di scadente qualità edilizia, sorte tra la villa e la particella n.28. L’annullamento del decreto n. 461/2009 per l’inesistenza dei presupposti legittimanti la tutela del fabbricato comprova la radicale erroneità della sentenza di primo grado.
2) ERRORE DI GIUDIZIO IN RELAZIONE ALLA PREESISTENZA DEL VINCOLO STORICO ARTISTICO - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL D.M 1.11.1924 EX LEGE 364/1909-VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ART. 128 D.LVO 42/2004 -INESISTENZA DEL PRESUPPOSTO - DIFETTO DI ISTRUTTORIA - TRAVISAMENTO - ECCESSO DI POTERE. La sentenza impugnata è radicalmente erronea anche con riferimento alla presunta preesistenza del vincolo, richiamato a presupposto dell'atto di annullamento del condono edilizio rilasciato nel 2007. L'immobile di proprietà della appellante, infatti, non è mai stato vincolato prima della dichiarazione presentata in sede di autocertificazione dalla sig.ra Lucianelli in data 3.12.2007 prot. 34413. Il TAR ha errato nel ritenere che il vincolo apposto con decreto n. 461/2009 fosse meramente ricognitivo e novativo di un vincolo preesistente, come dimostrato dalla perizia di parte depositata in atti. Stante l’inesistenza del vincolo, non sussistevano i presupposti per l’esercizio dell’autotutela.
3) ERRORE DI GIUDIZIO-VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ART. 38 L.N. 47/85- VIOLAZIONE PRINCIPIO DELLA NON ADOTTABILITA' DI MISURE REPRESSIVE IN PRESENZA DI TITOLO EDILIZIO VALIDO ED EFFICACE - ECCESSO DI POTERE. L’ordine di ripristino dello stato dei luoghi è viziato per violazione dell’art 38 l. 47/1985, in quanto è precluso all’amministrazione disporre un ordine di demolizione in presenza di un titolo valido ed efficace, dovendo considerarsi tale il provvedimento di condono;
4) ERRORE DI GIUDIZIO - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ARTT 7 - 21 OCTIES E NONIES L. N. 241/90 ECCESSO DI POTERE - VIOLAZIONE PRINCIPI GENERALI IN MATERIA DI ANNULLAMENTO DI UFFICIO. L’annullamento d’ufficio del provvedimento di condono è stato adottato in assenza dei presupposti legittimati l’autotutela, in relazione alla valutazione di tutti gli interessi coinvolti, all’affidamento del privato e al termine ragionevole. La sentenza impugnata ha omesso di rilevare la violazione degli artt. 21 octies e 21 nonies, pienamente applicabili al caso di specie, nonché la violazione dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, dequotandolo a vizio meramente formale.
5) ERROR IN PROCEDENDO ET IN JUDICANDO- OMESSO ESAME DI CENSURE DECISIVE. La sentenza appellata ha totalmente ignorato le censure formulate con il terzo motivo del ricorso n. 5262/2010 che vengono, pertanto, riproposte: il vincolo ex l. 364/1909 era comunque decaduto per mancato rinnovo ex art 12 l. 197/1997, da compiersi su istanza dei legittimi proprietari entro 1 anno dall’entrata in vigore della legge.
6) ERRORE DI GIUDIZIO - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ART. 6 DPR N. 380/2001- ART. 43 COMMA 2 L. N. 457/1978 - ART. 38 L. N. 47/1985 - CONTRADDITTORIETA'-TRAVISAMENTO. Nella domanda di condono del 30.09.1986 era indicato, tra le opere realizzate, la “costruzione di un soppalco in muratura realizzato nella maggiore altezza degli ambienti”, sicché il soppalco era incontestabilmente compreso nella domanda di sanatoria. Di qui l’errore di giudizio del TAR che ha inquadrato la realizzazione del soppalco nella categoria della ristrutturazione, omettendo di considerare che tale intervento rientrava tra quelli assentiti con provvedimento di condono;
7) ERRORE DI GIUDIZIO - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ART. 7 L. N. 241/90 - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEI PRINCIPI GENERALI IN MATERIA DI ANNULLAMENTO DI UFFICIO - DIEFETTO DI MOTIVAZIONE. Diversamente da quanto affermato dal TAR, nella fattispecie si imponeva la previa comunicazione di avvio del procedimento preordinato all'ordine di demolizione, nonché una congrua motivazione, atteso il tempo trascorso dalla realizzazione degli interventi e la presenza di un titolo edilizio valido ed efficace.
2.1 In data 20 novembre 2014 si è costituito il Comune di Napoli, istando per la reiezione dell’appello.
2.2 Si sono costituiti, altresì, la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania e il Ministero per i beni e le attività culturali, entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato.
2.3 La signora Lucianelli e il Comune di Napoli hanno presentato memorie, insistendo nelle rispettive difese.
2.4 Il Ministero ha depositato, in data 29.09.2021, la documentazione già versata in atti nel giudizio di primo grado.
2.5 All’udienza del 16 novembre 2021, previa discussione orale, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
3. L’appello è infondato.
3.1 Con i primi due motivi di appello, che possono essere esaminati congiuntamente, l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il vincolo posto con decreto n. 461/2009, successivamente annullato, in relazione all’immobile per cui è causa, a seguito di ricorso al TAR della medesima appellante, fosse meramente ricognitivo e novativo di un vincolo preesistente che comprendeva l’intero complesso residenziale denominato “Villa Belvedere”.
Per contro, come dimostrato anche dalla perizia tecnica a firma dell’Ing. Sergio Onofaro, il vincolo non ha mai riguardato la particella n. 28, ove si trova l’appartamento dell’appellante, anche alla luce del duplice rilievo per cui, sul piano fattuale, il contesto in cui l’immobile è collocato ha perso le caratteristiche originarie con la costruzione di numerosi edifici a partire dal secondo dopoguerra, sicché non sussiste più alcun collegamento storico-architettonico tra la particella n. 28 e la Villa Belvedere e, sul piano documentale, la particella in questione non è mai menzionata negli atti della Sovraintendenza relativa agli edifici monumentali e soggetti a vincolo della città, nemmeno nella parte in cui si riferiscono alla Villa Belvedere.
3.2 Il motivo è infondato.
3.3 L’esame della documentazione depositata nel giudizio di primo grado dal Ministero appellato in ottemperanza all’ordinanza istruttoria n. 5425/2013 del TAR Campania (produzioni Ministero del 16.01.2014 e 21.02.2014, depositate anche in grado di appello in data 28.09.2021) conferma l’esistenza di un vincolo storico e architettonico sul complesso residenziale denominato “Villa Belvedere” già in data antecedente all’emanazione del decreto n. 461/2009, successivamente annullato in sede giurisdizionale.
3.4 Più precisamente, dalla documentazione versata in atti emerge che:
-con D.M. 11.07.1924 venne apposto un vincolo con riferimento al viale di lecci antistante la villa e con D.M. 1.11.1924 fu apposto un analogo vincolo sulla villa Belvedere, comprensiva del viale. Il decreto da ultimo citato, in particolare, sottoponeva a vincolo “il palazzo della già Villa del Principe di Belvedere (…) con l’annesso viale fiancheggiato da secolari Quercus-Ilex”. Ai suddetti decreti non erano allegate le planimetrie, in quanto non previsto dalla normativa dell’epoca, sicché gli immobili sottoposti a vincolo non venivano individuati in maniera specifica in relazione alle singole particelle, ma con riferimento onnicomprensivo al “palazzo della già Villa Belvedere”;
-con il più recente decreto n. 6 del 20 settembre 2004, a fine di garantire l’integrità del complesso architettonico e delle sue condizioni di prospettiva, luce, visibilità e decoro, è stato posto un vincolo di tutela indiretto ex art 45 d.lgs 42/2004 sull’area scoperta adiacente al viale che fiancheggia l’immobile. Il suddetto decreto individua l’edificio di Villa Belvedere precisando: “il complesso è composto da due distinti corpi di fabbrica, contrassegnato catastalmente alla sezione Avvocata, foglio 14, particelle 28-43-48-60-78-79, l’uno prospiciente la via Belvedere, corpo di ingresso, e l’altro retrostante costituisce l’edificio residenziale fra loro collegati da un viale alberato di lecci… costituenti un unico complesso avente valore storico e architettonico”;
- con decreto n. 461/2009 la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici, richiamando i precedenti D.M. 1.11.1924 e 11.07.1924, disponeva il rinnovo del vincolo ai sensi dell’art 128 d.lgs 42/2004 di Villa Belvedere “distinta nel N.C.E.U., sezione AVV., foglio 14, part. 28, 43, 48, 60 e 78 e nel NCT al foglio 128, part. 575 esedra”;
3.5 I decreti più recenti, quindi, individuano la “Villa Belvedere”, precisando che si tratta di un complesso costituito da due distinti corpi di fabbrica, uno prospiciente la via Belvedere e l’altro più arretrato, e indicando espressamente, tra le particelle catastali che lo indentificano, la particella n. 28 ove si trova l’appartamento di proprietà dell’appellante.
3.6 Per contro, i provvedimenti risalenti al 1924, non corredati da planimetria catastale, si limitano ad indicare come oggetto di vincolo la Villa Belvedere, senza ulteriore precisazione. La mancata indicazione delle particelle catastali non modifica, tuttavia, sull’estensione del vincolo che interessa, come per i più recenti decreti del 2004 e del 2009, la villa intesa come complesso unitario, comprensivo della residenza principale e degli altri corpi di fabbrica pertinenziali, ivi compreso l’edificio su cui si innesta l’ingresso monumentale del portone e in cui è ubicato l’immobile dell’appellante, un tempo collegato alla residenza signorile vera e propria dal viale alberato.
3.7 La legislazione in materia (l. 1089/1939, d.lgs 490/1999, d.lgs 42/2004) conferma l’interpretazione estensiva del termine “villa” che non si esaurisce nell’edificio principale, ove era ubicata la residenza dell’originario proprietario, ma ha un significato più ampio e articolato, identificando un bene che, pur essendo composto da una pluralità di edifici e fondi tra loro nettamente distinti sul piano fattuale (la residenza principale, le pertinenze, i locali di servizio e di rappresentanza, i parchi e i giardini), deve essere inteso giuridicamente come unitario in quanto espressivo, nel suo insieme, di un rilevante valore storico e culturale.
3.8 Il particolare interesse sul piano storico e architettonico non può, quindi, che afferire alla villa intesa come complesso unitario, che non si identifica e non si risolve nella semplice sommatoria dei singoli elementi che la compongono, esprimendo un quid pluris di valore che rappresenta l’oggetto della tutela: da ciò discende che il vincolo, che quell’interesse mira a preservare, deve investire il bene nella sua unitarietà.
3.9 Non a caso, la legislazione in materia contempla espressamente, accanto ai parchi e ai giardini, le ville, inserendole tra i beni culturali e le cose immobili aventi carattere storico e archeologico particolarmente importante ed disciplinando espressamente, nell’ambito del genus dei beni immobili (in cui sarebbe certamente ricompreso, senza necessità di specificazione alcuna, il singolo edificio padronale) siffatta tipologia di bene complesso, espressione di un valore che trascende quello dei singoli componenti e che ne impone una tutela unitaria.
3.10 Sotto tale profilo, la previsione contenuta nell’art 10, comma 4, lett f) d. lgs 42/2004 si colloca sulla scia della disciplina previgente, a conferma della costante considerazione, ai fini della protezione artistico-architettonica, della villa come complesso unitario.
3.11 L’art 1, comma 2, della l. 1 giugno 1939, n. 1089 già sanciva, infatti, che tra le cose immobili soggette a tutela rientrano le ville, oltre ai parchi e i giardini, che abbiano interesse artistico o storico, enucleando, come sopra precisato, tra le cose immobili contemplate dall’art 1 l. 364/1909, una particolare categoria di beni che, proprio in considerazione del valore unitario di cui sono espressione, non sono suscettibili di tutela frazionata ed atomistica in relazione ai singoli componenti. La medesima previsione è stata, successivamente, ribadita all’art 2, comma 2, lett f) d.lgs 29 ottobre 1999 n. 490 e ripresa dal già citato art. 10, comma 4, lett f) d. lgs 42/2004.
3.12 La ratio delle sopra indicate disposizioni si identifica nell’esigenza di garantire che all’unitarietà del bene dal punto di vista storico-architettonico corrisponda l’unitarietà della tutela, che sarebbe gravemente pregiudicata in caso di frazionamento o, peggio ancora, di limitazione del vincolo ai singoli edifici o immobili che lo compongono.
3.13 In considerazione della disciplina richiamata e della finalità ad esso sottesa, i decreti del 1924, che indicano come oggetto di vincolo la Villa Belvedere, non possono che riferirsi all’intero complesso monumentale, e non al solo edificio principale, come correttamente osservato dal giudice di primo grado.
3.14 A diverse conclusioni non conducono gli assunti della difesa di parte appellante relativi, da un lato, all’avvenuta dequotazione, sul piano architettonico ed edilizio, del contesto in cui è ubicato l’immobile e, dall’altro lato, alla mancata indicazione della particella n. 28 negli atti della Sopraintendenza nonché alla mancata menzione del vincolo negli atti di compravendita aventi ad oggetto il bene.
3.15 Il progressivo deterioramento del contesto in cui sorge l’edificio principale ha certamente depauperato il valore storico-architettonico dell’intero complesso identificato con la denominazione “Villa Belvedere” e siffatta circostanza è alla base dell’annullamento giurisdizionale del decreto n. 461/2009 di rinnovo del vincolo (che ha fatto seguito all’annullamento in sede di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica), essendo venuto meno, unitamente alle originarie caratteristiche di pregio architettonico, anche l’interesse pubblico che un tempo ne aveva giustificato l’apposizione.
3.16 Tuttavia, lo scadimento qualitativo del contesto architettonico ed edilizio ove è ubicato l’immobile della signora Lucianelli, se priva di giustificazione la permanenza, ex art. 128 d.lgs 42/2004, del vincolo pro futuro, non è altrettanto idoneo ad eliminare, in chiave retrospettiva e in via di puro fatto, il vincolo imposto con i più volte citati decreti del 1924.
3.17 Questo Consiglio ha, in più occasioni, osservato che “L'avvenuta edificazione di un'area o le sue condizioni di degrado non costituiscono ragione sufficiente per recedere dall'intento di proteggere i valori estetici o paesaggistici ad essa legati, poiché l'imposizione del vincolo costituisce il presupposto per l'imposizione al proprietario delle cautele e delle opere necessarie alla conservazione del bene e per la cessazione degli usi incompatibili con la conservazione dell'integrità dello stesso.” (Cons. Stato Sez. VI, 11/11/2019, n. 7715, 15 giugno 2011, n. 3644). E’ stato rilevato, altresì, che “lo stato di degrado dell'area non impedisce all'amministrazione di adottare provvedimenti di tutela del residuo pregio del bene vincolato, impedendo la sua ulteriore compromissione. La sezione ha fatto altresì riferimento all'esigenza di evitarne l'ulteriore degrado, (cfr. ad es. sentenza 20 ottobre 2000, n. 5651), ritenendo che la maggiore o minore compromissione di un'area meritevole di tutela paesaggistica non preclude, ed anzi maggiormente richiede (all'autorità delegata o, in via sostitutiva, al ministero per i beni culturali), di salvaguardare il territorio e di impedirne l'ulteriore degrado” (Cons. Stato Sez. VI, 30-06-2021, n. 4923).
3.18 D’altra parte, la circostanza per cui, a dispetto nel vincolo, nel corso degli anni il valore culturale dell’area si sia progressivamente ridotto in conseguenza della costruzione di numerosi edifici di scadente qualità edilizia, non può assurgere, di per sé, a fattore idoneo ad affermarne la sopravvenuta inesistenza sul piano giuridico, in quanto ciò equivarrebbe ad attribuire alla violazione del vincolo un effetto estintivo dello stesso, privandolo di qualunque funzione e ragion d’essere.
3.19 Quanto all’omessa menzione della particella n. 28 nei documenti relativi agli edifici di interesse storico-architettonico conservati dalla Sovraintendenza (indicati in dettaglio nella perizia allegata al ricorso in appello), la stessa non può assolvere alcuna valenza probatoria, stante la natura meramente descrittiva della documentazione in questione, che è scevra di qualunque efficacia giuridica, sia essa costitutiva di un vincolo inesistente oppure estintiva di un vincolo in realtà esistente.
3.20 Del pari, non è possibile desumere l’inesistenza del vincolo in esame- in contrasto con quanto emerge dalla documentazione versata in atti dall’amministrazione appellata-dalla mancata menzione del medesimo nell’atto di compravendita, tra parti terze, del 30.12.1996 (cfr. all. n. 3 produzioni Lucianelli del 5.10.2021), avente ad oggetto alcuni immobili dell’ampio complesso “Villa Belvedere”. L’omessa menzione del vincolo nell’atto di trasferimento, infatti, ove si accompagni all’omessa denuncia di trasferimento (artt. 59 e 61, comma 2, d.lgs 42/2004), è idonea, al più, a far sorgere una responsabilità dell’alienante nel caso in cui l’acquirente subisca l’evizione in conseguenza dell’esercizio della prelazione prevista dall’art 60 d.lgs 42/2004.
4. In questa sede, è opportuno esaminare, per ragioni di connessione logica con il primo e secondo motivo, anche il quinto motivo di appello con cui l’appellante deduce che il vincolo imposto con D.M. del 1924 avrebbe perso efficacia per mancato rinnovo ex art 12 l. 197/1997, da compiersi su istanza dei legittimi proprietari entro 1 anno dall’entrata in vigore della legge.
4.1 La censura deve essere respinta.
4.2 La disposizione citata disciplina il rinnovo non del vincolo, ma delle formalità di notificazione le quali, di per sé, non hanno efficacia costitutiva del medesimo, nel senso che il vincolo esiste ed è idoneo a conformare la proprietà anche in assenza della prescritta notificazione e trascrizione.
4.3 L’art. 12, comma 3, L. 15/05/1997, n. 127 dispone che “i beni immobili notificati ai sensi della L. 20 giugno 1909, n. 364, o della L. 11 giugno 1922, n. 778, per i quali non siano state in tutto o in parte rinnovate e trascritte le notifiche ai sensi dell'art. 2 della L. 1° giugno 1939, n. 1089 , sono, su domanda degli aventi diritto, da presentarsi entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, ricompresi a tutti gli effetti tra gli immobili notificati e vincolati ai sensi della L. 1° giugno 1939, n. 1089”.
4.4 La disposizione sancisce, a fini di semplificazione, che le formalità di rinnovo e trascrizione delle notifiche possono essere sostituite da una semplice domanda degli aventi diritto, volta ad includere i beni tra quelli notificati e vincolati.
4.5 L’omessa notifica e il mancato rinnovo della stessa, come pure l’omissione della domanda degli aventi diritto prevista dall’art. 12 l. 127/1997, non producono alcun effetto decadenziale sul vincolo, la cui vigenza, espressione di un interesse pubblico alla particolare tutela, è chiaramente sottratta alla disponibilità del titolare del bene.
4.6 Il provvedimento di imposizione del vincolo, infatti, non ha natura recettizia, poiché la notifica in forma amministrativa ai privati proprietari, possessori o detentori delle cose che presentano interesse culturale “ha natura meramente informativa e non svolge una funzione costitutiva del vincolo stesso, che è perfetto indipendentemente da esso, essendo preordinata esclusivamente a creare nel destinatario di essa la conoscenza degli obblighi su di lui incombenti”. (Cons. Stato, Sez. VI, 13-03-2013, n. 14909; 9 ottobre 2009, n. 6213). Per tali ragioni, anche l’eventuale notifica del vincolo al venditore nel momento in cui il medesimo abbia già perso la titolarità del bene a seguito del trasferimento non costituisce causa di invalidità del decreto impositivo.
4.7 L’efficacia meramente informativa e non costitutiva della notificazione, sancita dalla giurisprudenza amministrativa, trova riscontro e conferma nella legislazione di settore e, in particolare, nell’art 128 d.lgs 42/2004. La disposizione sancisce, con una previsione analoga al previgente art 13 d lgs 490/1999, che i beni culturali di cui all’art 10, comma 3 (tra cui rientrano le ville, ai sensi del comma 4 lett f del medesimo articolo) per i quali non sono rinnovate e trascritte le notifiche effettuate, tra l’altro, ai sensi della legge 364/1909, sono sottoposti al procedimento di dichiarazione di interesse culturale di cui all’art 14 del medesimo decreto, con conseguente nuova comunicazione al proprietario, possessore o detentore del bene; il medesimo articolo precisa che, fino alla conclusione del suddetto procedimento, le notifiche precedenti restano comunque valide.
4.8 La disposizione conferma, quindi, che il mancato rinnovo della notifica non si traduce in una decadenza del vincolo, ma determina semplicemente l’avvio di un nuovo procedimento di dichiarazione di interesse culturale con conseguente nuova comunicazione al proprietario, possessore o detentore, fermo restando, nelle more, gli effetti delle precedenti notifiche.
4.9 In conclusione, i motivi primo, secondo e quinto devono essere respinti in quanto infondati.
5. Con il terzo motivo di appello l’appellante censura il capo della sentenza impugnata che ha ritenuto legittimo l’ordine di demolizione pur in presenza di un valido ed efficace provvedimento di condono.
5.1 Il motivo è connesso ai successivi sesto e settimo, anch’essi incentrati sulla illegittimità dell’ordine di demolizione, sia per la presenza di un titolo edilizio legittimante la realizzazione del soppalco sia per violazione dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento e per difetto di motivazione. Per tali ragioni, sussiste l’opportunità di procedere ad una trattazione congiunta.
5.2 Ciò posto, l’infondatezza dei suddetti motivi di appello discende, per un verso, da quanto sopra osservato in ordine alla natura vincolata del bene oggetto del provvedimento di condono e, per altro verso, dalla considerazione che l’ordine di demolizione è sorretto da una propria autonoma motivazione, non collegata all’annullamento del condono.
5.3 Sotto il primo profilo, osserva il Collegio che il provvedimento di condono non poteva considerarsi validamente rilasciato a causa della mancanza del necessario parere della Sovraintendenza.
5.4 Il rilascio del provvedimento di sanatoria, infatti, è subordinato al parere vincolante dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo. Il previo rilascio del parere è espressamente imposto dall’art 32 della l. 28 febbraio 1985,n. 47 che statuisce, al primo comma, che “il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso” e, al quarto comma, che “il motivato dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, ivi inclusa la soprintendenza competente, alla tutela del patrimonio storico artistico o alla tutela della salute preclude il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria”.
5.5 Il parere della Sovraintendenza è, per espressa previsione di legge, necessario e vincolante, con la conseguenza che la mancanza o il contenuto non favorevole dello stesso rendono il diniego di condono un atto dovuto (Cons. Stato Sez. VI, 04/03/2019, n. 1483; Cons. Stato Sez. IV, 27/07/2018, n. 4611; Cons. Stato Sez. V, 27/05/2014, n. 2696).
5.6 Sotto il secondo e dirimente profilo, rileva il Collegio che, dalla piana lettura del provvedimento n. 52/2010, emerge come l’ordine di demolizione tragga il proprio fondamento non dall’annullamento in autotutela del condono, ma dagli abusi accertati dalla Polizia municipale nel verbale di sopralluogo del 20.01.2009, da cui emerge la realizzazione di opere difformi rispetto a quelle indicate nell’istanza di condono e sfornite del prescritto permesso di costruire (pur trattandosi di interventi di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art 3 comma 1 lett d) DPR 380/2001), oltre che dei requisiti di abitabilità di cui al D.M. 5.07.1975.
5.7 In particolare, dal richiamato verbale di sopralluogo del 20.01.2009 e dalla documentazione allegata (cfr. produzioni Comune di Napoli allegate alla memoria di primo grado del 19.10.2012 nel fascicolo RG 2485/2010) risultava la realizzazione, al momento dell’intervento, di alcune opere tra cui “un soppalco di mq 60,00, occupante la quasi totalità della superficie della u.i”; veniva accertato, altresì, che “il predetto soppalco risultava essere impostato a metri 2,25 dal calpestio e metri 2,30 dalla copertura” e che “risultavano in essere opere in acciaio e cemento”.
5.8 Il citato verbale evidenzia, pertanto, che erano in corso di realizzazione opere diverse e distinte rispetto a quelle oggetto di condono edilizio e già ultimate nel 1976, come dichiarato dal dante causa dell’appellante, sig Giuseppe Giordano, nella dichiarazione attestante lo stato dei lavori allegata all’istanza di condono. In particolare, dalla predetta istanza, risulta che oggetto di richiesta di sanatoria è un “soppalco in muratura realizzato nella maggiore altezza degli ambienti”, opera che non coincide con il soppalco che la Polizia municipale ha accertato essere in fase di realizzazione nel corso del sopralluogo.
5.9 Le due opere sono indubbiamente diverse sia per consistenza che per estensione: il soppalco oggetto di condono è in muratura, mentre il soppalco in corso di realizzazione al momento del sopralluogo è realizzato con travi in acciaio e in cemento; il primo ha una estensione pari 43,18 mq (cfr. prot. n. 379291 del 14.05.2013 del servizio antiabusivismo e condono edilizio del comune, nonché l’allegata documentazione di pagamento dell’oblazione, depositati dal Comune in primo grado in data 30.05.2013 nel fascicolo RG 5262/2010), mentre il secondo è di 60 mq, realizzato su quasi tutta la superficie dell’immobile, pari a complessivi 80 mq.
5.10 La diversa data di realizzazione, le diverse caratteristiche e la diversa estensione dei manufatti escludono che il più recente rientri tra le opere oggetto del provvedimento di sanatoria, sicché non ha pregio l’assunto difensivo secondo cui l’intervento era legittimo, in quanto sorretto da un titolo valido ed efficace.
5.11 Quanto all’inosservanza del requisito di altezza minima imposto dal D.M. 5.07.1975, del pari indicata nell’ordine di demolizione quale ulteriore profilo di irregolarità dell’opera, la preesistenza della stessa rispetto all’istanza di condono, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dell’appellante, non è idonea a determinarne la sanatoria.
5.12 Per costante giurisprudenza amministrativa, infatti, “il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato conseguente al condono edilizio (ai sensi dell'art. 35, comma 20, della legge n. 47 del 1985), può legittimamente avvenire in deroga solo a norme regolamentari e non anche quando siano carenti le condizioni di salubrità richieste da fonti normative di livello primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per il suo carattere eccezionale e derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio della tutela della salute con evidenti riflessi sul piano della legittimità costituzionale” (ex plurimis, Cons. St., Sez. V, 3 giugno 2013, n. 3034). Conseguentemente, “Nel caso di specie la sanatoria non può, quindi, essere concessa qualora non siano rispettate quelle disposizioni di rango primario in ordine alla presenza di un limite invalicabile di altezze a tutela del diritto della salute la cui mera specificazione è rimessa ad una fonte di rango secondario, ossia al D.M. 5 luglio 1975.” (Cons. Stato, sez VI, 29/10/2021 n. 7285), sicché deve “essere esclusa la configurabilità di un’automatica corrispondenza tra condono ed abitabilità” (Cons. Stato sez. VI 26/03/2021 n. 2575).
5.13 Sotto diverso profilo, non può essere condiviso l’assunto difensivo per cui le opere in corso di realizzazione al momento del sopralluogo della Polizia municipale erano riconducibili alla categoria della manutenzione ordinaria, integrando un’attività edilizia libera.
5.14 Per contro, come rilevato in precedenza, veniva accertato che era in fase di realizzazione un soppalco con travi in acciaio e in cemento armato di 60 mq, non coincidente con quello oggetto di condono.
5.15 Si tratta, invero, di interventi di ristrutturazione edilizia comportanti un organismo edilizio in parte diverso da quello precedente, con aumento degli spazi abitabili e della superficie calpestabile e, quindi, necessitanti di permesso di costruire ai sensi dell’art 10 D.P.R. 380/2001, anche nella versione all’epoca vigente.
5.16 La giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato che la realizzazione di un soppalco rientra nella ristrutturazione edilizia laddove sia idoneo a generare un maggiore carico urbanistico, mentre potrà considerarsi un intervento minore nel caso in cui i lavori siano tali da dare vita a una superficie accessoria, non utilizzabile per il soggiorno delle persone, ossia un vano chiuso, senza finestre o luci, di altezza interna modesta, tale da renderlo assolutamente non fruibile alle persone. Al di fuori di tale ultima ipotesi, il soppalco comporta ulteriore superficie calpestabile ed autonomi spazi, e rientra nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, dal momento che determina un aumento della superficie utile dell'unità con conseguente aggravio del carico urbanistico (Cons. Stato Sez. VI, 20/07/2021 n. 5461 e 17/11/2020, n. 7132 relativo a un soppalco di mq 5,16 mq; Cons. Stato Sez. VI, 09/07/2018, n. 4166; Cons. Stato Sez. II, 05/08/2019, n. 5518).
5.17 Nel caso di specie, è stato realizzato un soppalco di 60 mq, suddiviso in cinque ambienti tutti al grezzo, che ha determinato quasi il raddoppio della superficie abitativa fruibile, per cui correttamente il giudice di primo grado ha ricondotto l’intervento nell’ambito della ristrutturazione edilizia che impone il rilascio del permesso di costruire.
5.18. In presenza di un intervento realizzato in assenza del necessario titolo edilizio, l’ordine di demolizione si configura come un atto dovuto di repressione dell’abuso, in relazione al quale non può predicarsi alcuna illegittimità per violazione dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento e dell’obbligo di motivazione.
5.19 L'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo, infatti, ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, corrispondendo per definizione la repressione dell'abuso all'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che essa è già dotata di un'adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività, e non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento (cfr. tra le tante, Cons. Stato Sez. II, 26/03/2021, n. 2550; Cons. Stato Sez. VI, 07/06/2021, n. 4319; Cons. Stato Sez. VI, 04/03/2021, n. 1859; Cons. Stato Sez. VI, 03/11/2020, n. 6771; Cons. Stato Sez. II, 03/06/2020, n. 3485).
5.20 Per le ragioni sopra indicate, i motivi terzo, sesto e settimo sono infondati e devono essere respinti.
6.Con il quarto motivo di appello, l’appellante censura il capo della sentenza impugnata che ha ritenuto legittimo l’annullamento del provvedimento di condono, pur essendo stato adottato in assenza dei presupposti legittimanti l’esercizio dell’autotutela per l’omessa considerazione dell’affidamento ingenerato nel privato, del lungo tempo trascorso dall’adozione del provvedimento di condono nonché per violazione dell’art 7 l. 241/1990.
6.1 L’infondatezza del motivo discende da quanto più sopra osservato in ordine alla soggezione dell’immobile a vincolo storico-architettonico che imponeva l’acquisizione del parere favorevole della Sovraintendenza ai fini del rilascio per provvedimento di sanatoria.
6.2 L’esistenza del vincolo non veniva indicata né nell’istanza di condono presentata in data 30.09.1986 dal sig. Giuseppe Giordano né nell’autocertificazione prodotta dall’attuale appellante a completamento della procedura ai sensi della delibera di G.M. 4981/2006. Il rilascio del provvedimento favorevole è stato determinato, conseguentemente, da una inesatta rappresentazione di fatti da parte del richiedente, circostanza, quest’ultima, che esclude la sussistenza di un affidamento suscettibile di tutela.
6.3 D’altra parte, anche il limite temporale dei 18 mesi per l'esercizio del potere di autotutela, previsto dall'art. 21-nonies l. n. 241/1990 (come mod. dall’art 6 comma 1 lett d n. 1 l. 124/2015, termine successivamente ridotto a 12 mesi dall’art. 63, comma 1, d.l. 77/2021 conv. dalla l. 108/2021), in ossequio al principio del legittimo affidamento con riguardo alla posizione di colui che abbia ottenuto un atto ad esso favorevole, trova applicazione solo se il comportamento della parte interessata, nel corso del procedimento di formazione dell'atto, non abbia indotto in errore l'amministrazione, distorcendo la realtà fattuale oppure determinando una non veritiera percezione della realtà o della sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge (Cons. Stato Sez. VI, 26/03/2021, n. 2575 e 11/01/2021, n. 352).
6.4 L’assenza di un affidamento suscettibile di tutela, con conseguente prevalenza dell’interesse pubblico all’acquisizione del parere dell’autorità preposta alla tutela dei valori culturali di cui il bene è espressione, determina l’irrilevanza della lamentata violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento di autotutela, come rilevato dal giudice di primo grado che correttamente ha escluso la portata invalidante del vizio, ai sensi dell’art. 21 octies l. 241/1990.
7. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.
8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la parte appellante alla refusione a favore delle amministrazioni appellate delle spese del presente grado di giudizio che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre a spese generali e accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2021 con l'intervento dei magistrati:
Diego Sabatino, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere
Giancarlo Luttazi, Consigliere
Francesco Frigida, Consigliere
Carmelina Addesso, Consigliere, Estensore