Cass. Sez. III n. 47040 del 13 dicembre 2022 (UP 29 set 2022)
Pres. Ramacci Est. Zunica Ric. De Marco
Rifiuti.Materiali provenienti da demolizione

Ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 256, commi 1-3, del d. lgs. n. 152 del 2006, i materiali provenienti da demolizione debbono essere qualificati dal giudice come rifiuti, in quanto oggettivamente destinati all’abbandono, salvo che l’interessato non fornisca la prova della sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per l'applicazione di un regime giuridico più favorevole, quale quello relativo al “deposito temporaneo” o al “sottoprodotto”, dovendosi al riguardo ribadire che, in tema di gestione dei rifiuti, l’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità del deposito cosiddetto controllato o temporaneo, fissate dall’art. 183 del d. lgs. n. 152 del 2006, grava sul produttore dei rifiuti, in considerazione della natura eccezionale e derogatoria di tale deposito rispetto alla disciplina ordinaria

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23 febbraio 2022, il Tribunale di Castrovillari, all’esito di giudizio abbreviato, condannava Gino De Marco alla pena, condizionalmente sospesa, di 6.000 euro di ammenda, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui agli art. 256 e 183 del d. lgs. n. 152 del 2006, reato a lui contestato perché, quale legale rappresentante della “Impresa immobiliare Costruzioni De Marco s.r.l.”, con sede in Maierà, effettuava un’attività di gestione di rifiuti speciali pericolosi e non, provenienti dai lavori di ristrutturazione dell’ospedale, per un totale di 198 mc. di rifiuti depositati in maniera incontrollata direttamente sul suolo nudo; fatto accertato in Mormanno il 2 maggio 2017, data del sequestro.
         2. Avverso la sentenza del Tribunale calabrese, De Marco, tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
         Con il primo, la difesa contesta la formulazione del giudizio di colpevolezza dell’imputato, censurando in particolare il ragionamento del Tribunale che ha fatto coincidere l’accumulo dei residui della lavorazione edile con la data di sottoscrizione del contratto di appalto, ritenendo presuntivamente che da tale data (8 maggio 2017) e fino all’epoca del sequestro (18 ottobre 2018), l’imputato abbia ininterrottamente depositato il materiale predetto, laddove l’istruttoria dibattimentale ha dimostrato che il momento in cui ha avuto inizio l’attività di produzione dei residui di lavorazione risaliva al massimo a qualche mese prima della data in cui era avvenuto il sequestro, come da deposizione testimoniale assunta il 17 novembre 2021 e come da esame dell’imputato.
Peraltro, lo stesso teste di P.G. non è stato in grado di fornire prove circa l’inizio dell’attività di deposito dei residui della lavorazione, a ciò aggiungendosi che, in ogni caso, il ragionamento del Tribunale, oltre che illogico, si è rivelato anche contraddittorio, avendo il giudice considerato che il volume complessivo dei rifiuti accumulati confermava l’irregolarità del deposito, mentre era stato lo stesso giudice a riconoscere che la maggior parte del materiale rinvenuto nel sito in occasione del sequestro non fosse riconducibile all’attività edile posta in essere dalla ditta di De Marco, negando che la dimensione complessiva del materiale accumulato potesse costituire elemento comprovante l’irregolarità del deposito.
Parimenti improprio sarebbe poi, nell’ottica del giudizio di responsabilità, il richiamo del Tribunale alla mancanza dei formulari di smaltimento del materiale al momento del sequestro dell’area, atteso che a tale epoca non era ancora scaduto il termine annuale di cui all’art. 183 del d. lgs. n. 152 del 2006, per cui il produttore dei residui della lavorazione non era ancora obbligato al relativo smaltimento, essendo i lavori iniziati al massimo due mesi prima del sequestro.
Legittimamente i residui dei lavori erano sul piazzale in attesa di essere prelevati dalla ditta specializzata, venendo in rilievo un mero deposito temporaneo.
Con il secondo motivo, la difesa si duole del diniego delle attenuanti generiche, non avendo il giudice indicato al riguardo alcun elemento ostativo.
Con il terzo motivo, oggetto di doglianza è il mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, avendo il Tribunale omesso completamente di pronunciarsi sulla espressa richiesta difensiva, legittimamente fondata sia sulla scarsa quantità dei rifiuti prodotti e sulla conseguente insussistenza di pregiudizi ambientali, sia sulla occasionalità del fatto, sia sull’integrale bonifica dell’area, avvenuta previo smaltimento dei rifiuti tramite ditta specializzata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

     È fondato unicamente il terzo motivo sul difetto di motivazione della sentenza impugnata rispetto all’invocata causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., mentre il ricorso è infondato nel resto.
     1. Iniziando dal primo motivo, deve osservarsi che il giudizio sulla responsabilità penale dell’imputato appare immune da censure, avendo il Tribunale compiuto un’adeguata disamina delle fonti dimostrative disponibili, pervenendo a coerenti conclusioni sia in ordine all’inquadramento giuridico del fatto, sia in merito all’ascrivibilità dello stesso al ricorrente.
In particolare, nella sentenza impugnata sono stati innanzitutto richiamati gli esiti dell’attività di indagine dei Carabinieri della Stazione di Mormanno i quali, la mattina del 18 ottobre 2018, nel corso di un controllo presso il locale ospedale Vincenzo Minervini, rilevavano che un bobcat, condotto da un dipendente della ditta di costruzioni amministrata da Gino De Marco, Aldo Biancamano, prelevava dei rifiuti dal nosocomio per trasportarli in un terreno adiacente, distante circa 20 metri, di proprietà dell’Azienda Sanitaria 2 di Castrovillari, dove vi era un cumulo consistente di rifiuti (circa 200 mc.), costituiti da materiale di risulta di attività edile e da rifiuti pericolosi riposti sul terreno nudo, come infissi dismessi, termosifoni arrugginiti, pezzi igienici danneggiati, plastica, vetro e cartone.
Non essendo l’impresa di De Marco in possesso delle autorizzazioni necessarie, né dei formulari per lo smaltimento dei rifiuti, gli operanti procedevano al sequestro dell’area, che in seguito diveniva oggetto di bonifica a cura della ditta del ricorrente, ovvero la “Impresa immobiliare costruzioni di De Marco Gino”, che circa un anno e mezzo prima aveva stipulato un appalto per eseguire dei lavori presso l’Ospedale di Mormanno, con inizio lavori fissato per l’8 maggio 2017.
Orbene, il Tribunale, rispetto ai rifiuti diverso dagli inerti da demolizione, ha escluso la sicura riconducibilità del relativo abbandono alla ditta dell’imputato, trattandosi di materiale rinvenuto su un’area non recintata e non adibita esclusivamente al deposito di materiale di risulta dell’attività di messa in sicurezza dell’ospedale appaltata a De Marco nel 2017; diversamente, il giudice monocratico ha attribuito all’imputato, per la sua veste di legale rappresentante dell’impresa incaricata dei lavori, la responsabilità per l’abbandono nel terreno del materiale di risulta proveniente dall’attività edilizia in corso di svolgimento presso l’ospedale, stante la coerenza di tali rifiuti con i lavori che la ditta amministrata dall’imputato stava portando avanti da oltre un anno, il che valeva a escludere la possibilità di legittimo riutilizzo del materiale inerte abbandonato.
Le dichiarazioni del teste della difesa Biancomano, che ha tentato di collocare la posa dei rifiuti nel terreno a circa 7-8 mesi prima dell’accertamento, sostenendo che la prima fase dei lavori è stata dedicata al rifacimento della facciata e all’applicazione del cappotto termico, sono state ritenute contraddittorie e imprecise, oltre che smentite dal fatto che, tra i rifiuti presenti nel terreno adiacente all’ospedale, sono stati trovati anche pannelli isolanti per cappotto termico, il che conferma la continuità nel tempo dell’abbandono dei rifiuti, avendo del resto il teste quantificato in 4-5 mesi la durata della preparazione del cantiere, il che rende poco credibile l’altra affermazione secondo cui le attività di abbandono dei rifiuti sarebbero state risalenti a 7-8 mesi prima del controllo.
Legittimamente il giudice monocratico ha dunque ritenuto configurabile nel caso di specie il reato ex art. 256 commi 1 e 2 del d. lgs. n. 152 del 2006, dovendosi richiamare in tal senso il condiviso e costante orientamento di questa Corte (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 29084 del 14/05/2015, Rv. 264121), secondo cui, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 256, commi 1-3, del d. lgs. n. 152 del 2006, i materiali provenienti da demolizione debbono essere qualificati dal giudice come rifiuti, in quanto oggettivamente destinati all’abbandono, salvo che l’interessato non fornisca la prova della sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per l'applicazione di un regime giuridico più favorevole, quale quello relativo al “deposito temporaneo” o al “sottoprodotto”, dovendosi al riguardo ribadire che, in tema di gestione dei rifiuti, l’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità del deposito cosiddetto controllato o temporaneo, fissate dall’art. 183 del d. lgs. n. 152 del 2006, grava sul produttore dei rifiuti, in considerazione della natura eccezionale e derogatoria di tale deposito rispetto alla disciplina ordinaria (cfr. in termini Sez. 3, n. 35494 del 10/05/2016, Rv. 267636 e Sez. 3, n. 23497 del 17/04/2014, Rv. 261507).
In definitiva, in quanto sorretto da argomentazioni non illogiche e coerenti sia con gli elementi probatori disponibili, sia con le coordinate interpretative prima richiamate, il giudizio sulla configurabilità della contravvenzione ascritta al ricorrente resiste alle censure difensive, con cui sollecita, sostanzialmente, una differente lettura del materiale probatorio, operazione questa non consentita in sede di legittimità, dovendosi richiamare in proposito la consolidata affermazione della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
Di qui l’infondatezza delle doglianze in punto di responsabilità.
        2. Il secondo motivo è manifestamente infondato, in quanto generico.
Ed invero, nell’escludere l’esistenza di ragioni apprezzabili ai fini della concessione delle attenuanti generiche, il Tribunale ha comunque optato per la sanzione pecuniaria in luogo di quella detentiva, per cui il complessivo trattamento sanzionatorio non appare connotato da eccessivo rigore, non potendosi in ogni caso sottacere che non sono stati illustrati nel ricorso specifici elementi suscettibili di positivo apprezzamento, che in concreto avrebbero giustificato valutazioni differenti in punto di concessione delle attenuanti generiche e, più in generale, rispetto alla determinazione della pena.
        3. Il terzo motivo è invece meritevole di accoglimento.
Dalle conclusioni delle parti riportate a pagina 2 della sentenza, oltre che dalla lettura del verbale di udienza del 23 febbraio 2022, risulta infatti che, in sede di conclusioni, la difesa, in via subordinata, aveva invocato l’applicazione all’art. 131 bis cod. pen., ma a tale sollecitazione, che non presentava alcun profilo di inammissibilità, non è stata fornita alcuna risposta da parte del Tribunale.
Il silenzio argomentativo della pronuncia impugnata sul punto integra una lacuna motivazionale che ne impone l’annullamento con rinvio in parte qua, spettando dunque al giudice del rinvio, ovvero al Tribunale di Castrovillari in diversa composizione fisica, il compito di verificare l’esistenza o meno dei presupposti di fatto e di diritto per poter eventualmente qualificare il fatto per cui si è proceduto in termini di particolare tenuità, richiedendosi in tema una valutazione di merito che, evidentemente, non può essere compiuta in sede di legittimità.
      3.1. Sul punto deve solo precisarsi che, ferma restando l’autonomia della valutazione di merito da compiere in sede di rinvio, resta comunque cristallizzato il giudizio sulla sussistenza del reato contestato all’imputato, dovendosi richiamare in tal senso l’affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 30383 del 30/03/2016, Rv. 267590 e Sez. 3, n. 50215 del 08/10/2015, Rv. 265434), secondo cui, nel caso di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione, limitatamente alla verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, il giudice di rinvio non può dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen., con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Castrovillari.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso, il 29/09/2022