Consiglio di Stato Sez. VI n.3391 del 10 luglio 2017
Urbanistica.Responsabilità di tipo sussidiario del proprietario

In materia urbanistica il proprietario assume logicamente una responsabilità di tipo “sussidiario”, nel senso cioè che, pur quando egli non sia responsabile dell’abuso, è tenuto a dare esecuzione all’ordine di demolizione solo quando ciò sia per lo stesso materialmente possibile. Il perseguimento dell’interesse pubblico urbanistico è, invero, interesse pubblico di carattere preminente e, dunque, l’ordinamento vuole che la legalità violata sia ripristinata anche dal proprietario. Tanto discende anche dalla natura “reale” dell’illecito e della sanzione urbanistica, i quali sono riferibili alla res abusiva e, dunque, il ripristino dell’equilibrio urbanistico violato viene a fare carico anche sul proprietario. Nulla quaestio nel caso in cui egli sia soggetto connivente, ma nel caso in cui lo stesso non risulti responsabile dell’abuso né sia nella disponibilità e nel possesso del bene, risulta evidente che l’ordine non può produrre effetti nei suoi confronti se non quando egli ne riacquisti la disponibilità e il possesso e, dunque, sia nella materiale possibilità di dare corso all’esecuzione dell’ordine demolitorio.

Pubblicato il 10/07/2017

N. 03391/2017REG.PROV.COLL.

N. 08077/2016 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8077 del 2016, proposto da:
Francesco Tomassini, Valentina Tomassini, rappresentati e difesi dall'avvocato Adriano Tortora, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cicerone 49;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall avv.'Andrea Camarda, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, 21;

nei confronti di

Roberto Tomassini, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I QUA n. 08005/2016, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 giugno 2017 il Cons. Francesco Mele e uditi per le parti gli avvocati Tortora, e Camarda.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo per il Lazio i signori Francesco Tomassini e Valentina Tomassini, nella qualità di nudi proprietari di un appezzamento di terreno sito in Roma, via della Riserva del Carbucceto, proponevano ricorso avverso: la determinazione dirigenziale n. 446 del 17-3-2015, con la quale era stato ingiunto il pagamento della sanzione pecuniaria di euro 20.000 a causa dell’inottemperanza all’ordine di demolizione di opere abusive realizzate sul predetto terreno dall’usufruttuario, signor Roberto Tomassini; il verbale di accertamento di nottemperanza prot. n. 13657 dell’11-12-2014; il verbale recante la valutazione economica dell’abuso.

Esponevano che lo stesso Tribunale, con sentenza n. 1457/2014, aveva annullato la determinazione con cui si ordinava la demolizione delle opere abusive, nella parte relativa alla acquisizione gratuita in danno dei proprietari, riconoscendo che gli stessi non fossero responsabili degli abusi commessi (manufatti adibiti a ricovero animali ed attrezzi agricoli).

Il Tribunale Amministrativo per il Lazio ( Sezione Prima Quater), con sentenza n. 8005/2016 del 13/7/2016 rigettava il ricorso proposto.

Avverso la prefata sentenza i signori Francesco Tomassini e Valentina Tomassini hanno proposto appello dinanzi a questo Consiglio di Stato, deducendone l’erroneità e chiedendone la riforma.

L’appello veniva affidato a sei articolati motivi di ricorso, dei quali appresso si esporranno i contenuti.

Si è costituita in giudizio Roma Capitale, deducendo l’inammissibilità dell’appello e chiedendone il rigetto.

Le parti hanno presentato memorie illustrative.

La causa è stata discussa ed introitata per la decisione all’udienza del 27-6-2017.

DIRITTO

Con il primo motivo gli appellanti lamentano: Error in iudicando et in procedendo per travisamento dei fatti- Errata interpretazione di elementi essenziali- difetto di presupposti – contraddittorietà e perplessità- violazione del principio di legalità.

Censurano la sentenza di primo grado in primo luogo in quanto essa non avrebbe considerato che gli appellanti non sono proprietari tout court del bene, ma meri nudi proprietari, essendo il signor Roberto Tommasini, fin dal 2004, usufruttuario del bene.

Deducono che la costituzione del diritto di usufrutto comporta la privazione di ogni utilità connessa alla diretta fruizione del bene da parte del proprietario.

Di conseguenza, il nudo proprietario non può esercitare le medesime azioni del proprietario, in quanto non ha facoltà di disporre del bene in maniera piena ed esclusiva e, pertanto, essi non potevano essere sanzionati in quanto il proprietario risponde dell’abuso solo nei casi in cui ne sia corresponsabile o comunque abbia la concreta disponibilità del bene su cui esso viene commesso, elementi che difettano nella fattispecie concreta.

La pronunzia del Tribunale sarebbe errata, laddove ha affermato contraddittoriamente che “il provvedimento gravato ….ha individuato come destinatari dell’applicazione della conseguente sanzione pecuniaria di cui all’art. 31 del D.P.R. 380/2001 e all’art. 15 della L.r. Lazio n. 15/2008 …sia i ricorrenti nella qualità di proprietari del terreno….non responsabili dell’abuso, sia l’usufruttuario del bene, quale responsabile dello stesso”, specificando, poi, che “ le citate norme sanzionatorie si riferiscono, infatti, non all’autore, ma al responsabile dell’abuso, quest’ultimo inteso come esecutore materiale, ma anche come proprietario o come soggetto che abbia la disponibilità del bene, al momento dell’emissione della misura repressiva”.

D’altra parte, lo stesso T.A.R., con sentenza n. 1457/2014 ha già acclarato sia l’estraneità dei sig.ri Tommasini nell’esecuzione degli abusi, sia la non conoscenza degli stessi.

Di conseguenza sarebbe da escludere anche l’eventuale “presunzione di corresponsabilità” dei nudi proprietari, i quali hanno dimostrato la non corresponsabilità e l’indisponibilità del terreno.

Con il secondo motivo gli appellanti deducono: Error in iudicando et in procedendo con riferimento alla carenza di motivazione in relazione all’art. 15 della legge reg. Lazio n. 15/2008 – sviamento di potere – violazione dei principi di trasparenza, correttezza e buon andamento della p.a.

Lamentano che il giudice di primo grado avrebbe errato nell’interpretazione della richiamata norma, affermando “l’irrilevanza della censura , pure avanzata con il secondo motivo, volta a far constare che il provvedimento non individua né l’area destinata agli interventi demolitori”, in quanto non necessaria.

L’affermazione non sarebbe condivisibile né suffragata da idonea motivazione, in quanto il citato articolo 15 prevede preliminarmente che l’atto di accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire definisce la consistenza dell’area da acquisire previo frazionamento catastale effettuato dall’ufficio tecnico e successivamente dispone che l’accertamento dell’inottemperanza comporta, altresì, l’applicazione di una sanzione pecuniaria da un minimo di 2 mila euro ad un massimo di 20 mila euro, in relazione all’entità delle opere (comma 3).

La determinazione dirigenziale sarebbe errata in quanto ha individuato dei destinatari estranei alla vicenda e non seguendo l’iter procedimentale previsto.

Con il terzo motivo i signori Tomassini deducono: Error in iudicando et in procedendo con riferimento alla violazione dell’art. 31 del d.p.r. 380/2001 – violazione dell’art. 112 c.p.c. – violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 – eccesso di potere per difetto di istruttoria – travisamento dei fatti- irragionevolezza ed ingiustizia manifesta.

Deducono che sussiste violazione del citato articolo 31 nel caso in cui non venga correttamente individuato il destinatario del provvedimento.

Nel caso di specie, è evidente il difetto di istruttoria da parte dell’amministrazione, la quale non ha esaminato tutti gli elementi necessari all’emanazione del provvedimento sanzionatorio, considerato che l’acclarata assenza di responsabilità degli appellanti incide in maniera decisiva sul contenuto della determina ingiungente l’irrogazione della sanzione pecuniaria, in quanto il proprietario, la cui esclusione di reponsabilità e la non disponibilità del bene sia stata accertata non può essere sanzionato, ricadendo tutte le conseguenze sul responsabile degli abusi.

Con il quarto motivo lamentano: Error in iudicando et in procedendo con riferimento alla violazione dell’art. 31 del d.p.r. 380/2001 – mancata allegazione dl verbale di accertamento- difetto di motivazione- eccesso di potere per difetto di istruttoria – illogicità manifesta e violazione dell’art. 24 della Costituzione.

Censurano, in particolare, la gravata sentenza nella parte in cui ha rigettato il motivo di ricorso relativo alla mancata allegazione al provvedimento impugnato del verbale di accertamento, affermando che “non assume alcuna valenza viziante la mancata allegazione al provvedimento impugnato del verbale di Polizia Municipale che ha constatato dell’inottemperanza all’ingiunzione demolitoria”, affermando poi che “Gli stessi ricorrenti danno infatti atto che tale verbale è stato correttamente e puntualmente indicato nel provvedimento in esame e non contestano in alcun modo l’accertamento negativo che ne costituisce oggetto”.

Rilevano, in proposito, che è essenziale la conoscenza dei contenuti del verbale di accertamento e che è illegittimo il comportamento di Roma Capitale, che non solo non ha allegato detto verbale al provvedimento impugnato, né ne ha riprodotto i contenuti né ha adottato provvedimento alcuno che facesse proprio l’accertamento dei vigili.

Con il quinto motivo viene dedotto: Error in iudicando et in procedendo con riferimento alla illegittimità della sanzione per violazione della deliberazione del Consiglio Comunale n. 44/2011- difetto di motivazione – difetto di istruttoria per mancata allegazione della valutazione economica dell’abuso- violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990.

Evidenziano che la richiamata deliberazione prescrive che per la determinazione della sanzione pecuniaria deve utilizzarsi il criterio quantitativo e qualitativo e che, pertanto, l’importo da irrogare deve essere determinato sia in funzione della quantità di superficie abusivamente realizzata, che della zona omogenea in cui ricade l’immobile interessato.

Orbene, non risultando gli atti determinativi della sanzione allegati al provvedimento impugnato, è stato impedito agli istanti di conoscere le modalità di calcolo ed il percorso logico seguito, configurandosi nella specie una nullità del provvedimento. Né il denunciato vizio motivazionale può essere sanato dal deposito documentale effettuato in giudizio, trattandosi di inammissibile integrazione postuma della motivazione.

Con il sesto motivo gli appellanti lamentano: Error in iudicando et in procedendo con riferimento alla violazione del principio di proporzionalità.

Censurano la sentenza del T.A.R. nella parte in cui ha ritenuta legittima l’entità della sanzione, evidenziando che gli abusi sono stati commessi su area sottoposta a vincolo e, quindi, ha trovato applicazione l’art. 31, comma 4 bis, del dpr n. 380/2001, che stabilisce che in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell’art. 27 la sanzione è sempre irrrogata nella misura massima.

Deducono in proposito: che la sanzione viene a colpire soggetti che non hanno realizzato gli abusi e sono completamente estranei alla vicenda; che la sanzione non è stata irrogata ai sensi dell’art. 31 del d.p.r. n. 380/2001, ma in base all’art. 15, comma 3 della l.r. n. 15/2008 e che tale norma prevede che la sanzione venga irrogata in base alla natura delle opere realizzate; che le strutture, per lo più in legno e lamiera non potevano comportare una sanzione pecuniaria così elevata e, dunque, si pongono in contrasto con il principio di proporzionalità.

Tanto esposto in ordine al contenuto del gravame, ritiene il Collegio che sia fondato, con valenza assorbente, il primo motivo di appello proposto dai signori Tomassini.

La Sezione, invero, non condivide la determinazione reiettiva emessa dal giudice di prime cure per le ragioni che di seguito si espongono.

L’articolo 29 del DPR n. 380/2001 (rubricato “ Responsabilità del titolare del permesso di costruire, del committente, del costruttore e del direttore dei lavori…”) prevede, al comma 1, che “Il titolare del permesso di costruire, il committente ed il costruttore sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano, nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso ed alle modalità esecutive stabilite dal medesimo. Essi sono, altresì, tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per l’esecuzione in danni, in caso di demolizione delle opere, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell’abuso”.

Previsione di analogo contenuto è presente nell’articolo 12 della legge regionale Lazio n. 15 dell’11-8-1988.

L’articolo 31 del citato DPR n. 380/2001 dispone, al comma 2, che “Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso….ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione e la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3”.

Quest’ultimo prevede che “Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché, quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune. L’area acquisita non può essere comunque superiore a dieci volte la superficie utile abusivamente costruita”.

In base al comma 4 “L’accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al comma 3, previa notifica all’interessato, costituisce titolo per l’immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente”.

Il comma 4 bis prevede che “L’autorità competente, constatata l’inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2000 euro e 20.000 euro, salva l’applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti”.

L’articolo 15 della legge regionale n. 15 del 2008 contiene disposizioni di analogo contenuto.

E’ previsto, invero, che l’ autorità comunale “ingiunge al responsabile dell’abuso, nonché al proprietario, ove non coincidente con il primo, la demolizione dell’opera ed il ripristino dello stato dei luoghi in un congruo termine” (comma 1), che “se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi ….l’opera e l’area di sedime, nonché quella necessaria , secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, sono acquisite di diritto gratuitamente al patrimonio del comune “( comma 2), che “L’accertamento dell’inottemperanza comporta, altresì, l’applicazione di una sanzione pecuniaria da un minimo di 2000 euro ad un massimo di 20.000 euro, in relazione all’entità delle opere”( comma 3).

Dalla lettura combinata delle disposizioni sopra citate risulta in primo luogo quali sono i soggetti “responsabili” degli abusi laddove esista un titolo abilitativo, individuati nel “titolare del titolo abilitativo, nel committente e nel costruttore”, nonché nel “direttore dei lavori” ( art. 29 DPR n. 380/2001 e art. 12 l.r. n. 15/2008).

La previsione è logica, trattandosi dei soggetti direttamente interessati alla realizzazione delle opere, sia in quanto intestatari del titolo abilitativo, sia in quanto soggetti alla cui volontà è ricondotta la realizzazione, sia in quanto materiali esecutori delle stesse.

In tale contesto si inseriscono, poi, le previsioni degli articoli 31 del DPR n. 380/2001 e dell’articolo 15 della citata legge regionale che prevedono, in caso di lavori abusivi, l’ingiunzione di demolizione al responsabile dell’abuso ed al proprietario.

Orbene, quest’ultimo assume logicamente una responsabilità di tipo “sussidiario”, nel senso cioè che, pur quando egli non sia responsabile dell’abuso, è tenuto a dare esecuzione all’ordine di demolizione solo quando ciò sia per lo stesso materialmente possibile.

Il perseguimento dell’interesse pubblico urbanistico è, invero, interesse pubblico di carattere preminente e, dunque, l’ordinamento vuole che la legalità violata sia ripristinata anche dal proprietario.

Tanto discende anche dalla natura “reale” dell’illecito e della sanzione urbanistica, i quali sono riferibili alla res abusiva e, dunque, il ripristino dell’equilibrio urbanistico violato viene a fare carico anche sul proprietario.

Nulla quaestio nel caso in cui egli sia soggetto connivente, ma nel caso in cui lo stesso non risulti responsabile dell’abuso né sia nella disponibilità e nel possesso del bene, risulta evidente che l’ordine non può produrre effetti nei suoi confronti se non quando egli ne riacquisti la disponibilità e il possesso e, dunque, sia nella materiale possibilità di dare corso all’esecuzione dell’ordine demolitorio.

Analoghe considerazioni devono svolgersi in ordine alla applicazione della sanzione pecuniaria prevista per il caso di inottemperanza all’ordine di demolizione dai richiamati commi 4 bis dell’articolo 31 del dpr n. 380/2001 e comma 3 dell’articolo 15 della legge regionale Lazio n. 15/2008.

Invero, le norme non specificano i soggetti cui la stessa deve essere comminata, ma la lettura del comma 4 ter dell’articolo 31 ( “ I proventi delle sanzioni di cui al comma 4 bis spettano al comune e sono destinati esclusivamente alla demolizione ed alla rimessione in pristino delle opere abusive e all’acquisizione e attrezzatura di aree destinate a verde pubblico”) in combinato disposto con il comma 3 ( “se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi…”) ed il comma 5 (“L’opera acquisita è demolita con ordinanza …a spese dei reponsabili dell’abuso…”) consentono di ritenere, in via interpretativa che destinatario della sanzione pecuniaria sia il “responsabile” dell’abuso e non anche il proprietario.

La responsabilità in proposito di quest’ultimo può, invero, sorgere solo nel caso in cui egli sia responsabile dell’abuso ovvero quando, avendo la disponibilità ed il possesso del bene o avendoli successivamente acquisiti, non abbia provveduto alla demolizione.

La sanzione pecuniaria di cui trattasi non può, pertanto, trovare applicazione nei confronti del proprietario non responsabile dell’abuso e che non abbia il possesso del bene per poter procedere alla demolizione.

Ciò posto, deve, dunque, evidenziarsi la non condivisibilità della statuizione della sentenza di primo grado, laddove ha ritenuto legittima l’irrogazione della sanzione pecuniaria a soggetti riconosciuti come non responsabili dell’abuso ( la mancanza di responsabilità per gli abusi commessi in capo ai signori Tommasini Francesco e Valentina Tommasini risulta essere stata riconosciuta dallo stesso Tribunale Amministrativo per il Lazio con la sentenza n. 1457/2014, passata in giudicato).

Né la stessa può derivare dalla qualifica di proprietari del terreno, considerandosi che essi, in qualità di nudi proprietari, non ne hanno disponibilità e possesso e, dunque, non sono nelle condizioni di eseguire l’ingiunzione di demolizione.

La fondatezza del motivo di appello e l’erroneità della sentenza impugnata derivano, infatti, anche da ulteriori considerazioni, inerenti la qualifica soggettiva degli stessi ed il rapporto giuridico con il bene sul quale gli abusi sono stati realizzati.

Risulta, invero, a giudizio del Collegio, rilevante la circostanza che gli stessi siano nudi proprietari del terreno in questione.

Infatti, con atto di compravendita rep. n. 98836 , rogato il 15-7-2004 per notar Pasquale Cordasco, sul terreno in questione il signor Tomassini Roberto acquista il diritto di usufrutto vitalizio, mentre i signori Tomassini Francesco e Tomassini Valentina il diritto di nuda proprietà.

Orbene, già il dato letterale della normativa sopra esaminata induce ad escludere la disciplina sanzionatoria al “nudo proprietario”.

Le norme parlano, infatti, di “proprietario”, dovendosi con tale inciso intendersi la titolarità dell’ordinario diritto di proprietà, inteso come proprietà piena, caratterizzata dalla ricomprensione di ogni facoltà o contenuto ad essa inerente, elementi che consentono al titolare di adoperarsi per impedire l’abuso o eliminarne le conseguenze.

Va, peraltro, considerato anche il contenuto peculiare della nuda proprietà ed il suo rapporto con l’usufrutto.

Invero, ai sensi dell’articolo 981 c.c. “l’usufruttuario ha diritto di godere della cosa, ma deve rispettarne la destinazione economica”, affermandosi che “egli può trarre dalla cosa ogni utilità che questa può dare”.

In base al successivo articolo 982, “L’usufruttuario ha diritto di conseguire il possesso della cosa di cui ha l’usufrutto” e l’articolo 986 c.c. prevede che egli possa eseguire addizioni che non alterino la destinazione economica della cosa.

Dalle norme del codice civile regolatrici dell’istituto, inoltre, emerge che il nudo proprietario può riacquistare la disponibilità del fondo in ipotesi di estinzione di tale diritto reale, il quale si verifica, ai sensi dell’articolo 1014 c.c., in caso di morte dell’usufruttuario, per prescrizione per effetto del non uso durato per vent’anni e per il totale perimento della cosa su cui è costituito.

Il successivo articolo 1015 prevede pure che tale diritto reale possa cessare per l’abuso che egli faccia il suo titolare, ma questo è contemplato in ipotesi di alienazione dei beni, quando l’usufruttuario li deteriori ovvero li lasci andare in perimento per mancanza di ordinarie riparazioni.

Dall’analisi dell’istituto risulta, dunque, che il nudo proprietario è spogliato delle facoltà proprie del relativo diritto dominicale, che egli non ha il possesso del bene e che può riacquistarlo solo al termine dell’usufrutto ed eccezionalmente in altre specifiche fattispecie.

Da quanto sopra emerge, dunque, che egli non è titolare di facoltà tali da incidere sulla commissione dell’abuso edilizio e sul ripristino dello stesso da parte dell’usufruttuario.

Egli è, infatti, privo del godimento della cosa e del suo possesso.

Non può, dunque, sullo stesso farsi ricadere la responsabilità tipica che la normativa edilizia prevede per l’ordinario (pieno) titolare del diritto di proprietà.

In particolare, preme al Collegio evidenziare, sulla base delle considerazioni sopra svolte, che, risultando le facoltà proprie del diritto dominicale in capo all’usufruttuario, solo su quest’ultimo (ferma restando la fattispecie in cui egli sia direttamente autore dell’abuso) può ricadere una eventuale corresponsabilità colposa per mancata dissociazione ovvero per aver omesso di attivare ogni intervento utile alla repressione dell’abuso edilizio, qualora posto in essere da altri.

Vuole in buona sostanza affermarsi che, laddove vi sia costituzione di un diritto di usufrutto, la responsabilità “sussidiaria” che ordinariamente ricade sul proprietario (pieno) viene a gravare, in relazione ai contenuti del suo diritto, sull’usufruttuario e non anche sul nudo proprietario.

Né in proposito rileva il rapporto di parentela nella specie esistente tra l’usufruttuario ed i nudi proprietari, non rilevando tali elementi fattuali sulle ragioni di diritto che escludono la responsabilità di questi ultimi.

Sulla base delle considerazioni sopra svolte deve, di conseguenza, ritenersi la fondatezza dell’appello proposto.

A ciò consegue in primo luogo, l’assorbimento dell’esame dei residui motivi di appello, atteso che l’acclarata fondatezza del primo motivo, escludendo l’obbligo di pagamento in solido in capo ai “nudi proprietari” risulta pienamente satisfattiva della loro pretesa.

Deriva, inoltre, la riforma della sentenza impugnata, con conseguente accoglimento del ricorso di primo grado ed annullamento dell’atto impugnato nei limiti di interesse, cioè nella parte in cui ha posto il pagamento della sanzione pecuniaria in solido anche in capo ai nudi proprietari non responsabili dell’abuso, precisandosi, peraltro, che il provvedimento conserva la sua efficacia nei confronti dell’usufruttuario autore dell’abuso.

Le spese del doppio grado del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza del T.A.R.Lazio n. 8005/2016, accoglie il ricorso di primo grado nei limiti di interesse così come in motivazione specificato e, per l’effetto, annulla l’ingiunzione di pagamento n. 446 del 17-3-2015 nella parte in cui ingiunge il pagamento in solido ai signori Tomassini Francesco e Valentina Tomassini.

Condanna Roma Capitale al pagamento, in favore dell’avv. Adriano Tortora dichiaratosi antistatario, delle spese del doppio grado di giudizio, che si liquidano in complessivi euro 5000 (cinquemila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 giugno 2017 con l'intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Silvestro Maria Russo, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Francesco Mele, Consigliere, Estensore

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Francesco Mele        Luciano Barra Caracciolo