Cass. Sez. III n. 40528 del 1 ottobre 2014 (Ud 10 giu 2014)
Pres. Fiale Est. Scarcella Ric. Cantoni
Rifiuti.Discarica non autorizzata e responsabilità del proprietario del terreno

Il proprietario di un terreno non risponde dei reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata, anche in caso di mancata attivazione per la rimozione dei rifiuti, a condizione che non compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti, atteso che tale responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell'evento lesivo

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 13 giugno 2012, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere condannava C.G. alla pena di anni due e mesi dieci di reclusione ed Euro 1.500 di multa, reputandolo colpevole dei reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), e art. 349 c.p., per aver, rispettivamente, realizzato una serie di opere in cemento armato, in zona sismica ed in assenza del permesso, e per aver violato i sigilli apposti, nella sua qualità di custode.

L'impugnazione dell'imputato era parzialmente accolta dalla Corte d'Appello di Napoli il 27 maggio 2014. Il predetto giudice rideterminava la pena in anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 900 di multa, ferme restando le statuizioni civili a favore del Comune di Sparanise.

La Corte territoriale riconfermava la penale responsabilità dell'imputato, anche sotto il profilo soggettivo, rimarcando la prosecuzione delle opere anche dopo il sequestro, nonchè il fatto che il permesso a costruire in sanatoria non avrebbe potuto assumere alcun rilievo, al fine di escludere i reati.

2. Ricorre per cassazione l'imputato, mediante due doglianze, rispettivamente rivolte all'inosservanza o erronea applicazione della legge penale, con mancanza o manifesta illogicità della motivazione, ed alla mancata concessione delle attenuanti generiche, con giudizio di prevalenza.


RITENUTO IN FATTO

1. C.C. ha proposto ricorso, a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, avverso la sentenza del tribunale di MILANO, emessa in data 11/02/2013, depositata in data 4/04/2013, con cui questi veniva dichiarato colpevole del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a), (per aver, quale comproprietario di un fondo, effettuato un'attività di raccolta, trasporto, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti da demolizione mescolati a terra, ghiaia, pezzi di asfalto, blocchi di cemento, mattoni, tondini in ferro e piastrelle, provenienti dall'area sita nel Comune di (OMISSIS), fg. 22, mappale 22 del NCTC, in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione e comunicazione agli enti competenti).
Fatti accertati in epoca anteriore e prossima al (OMISSIS).

2. Con il ricorso, proposto dal difensore fiduciario del ricorrente, vengono dedotti due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Deduce, con un primo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione alla ritenuta corresponsabilità del ricorrente per il reato ascritto.

La censura investe l'impugnata sentenza per aver il giudice ritenuto il ricorrente responsabile del predetto reato in quanto tenuto a vigilare, quale comproprietario dell'area interessata dall'illecita gestione dei rifiuti, che i soggetti a cui aveva affidato i lavori osservassero le norme ambientali in tema di formazione di un deposito incontrollato, in assenza delle prescritte autorizzazioni; tale argomentazione non sarebbe condivisibile, atteso che il tribunale non avrebbe preso in considerazione alcuni elementi probatori (il riferimento è, in particolare, all'esistenza di un accordo tra il ricorrente e la società SCAVI COSTRUZIONI s.r.l., cui erano stati affidati i lavori, con cui il C. aveva preteso che il materiale da utilizzare fosse accompagnato dall'analisi dei terreni, ciò che denotava l'esercizio del potere di vigilanza del medesimo; il riferimento è, ancora, alla qualifica sostanziale di committente del ricorrente che ne avrebbe escluso la responsabilità; infine, ulteriore considerazione riguarda la mancata valutazione da parte del tribunale del fatto che il ricorrente avesse provveduto alla nomina di un direttore dei lavori, ossia di un soggetto che verificasse che tutte le operazioni materiali venissero svolte in maniera regolare); in definitiva, quindi, non ravvisandosi alcun profilo di colpa a carico del ricorrente, nè emergendo una partecipazione morale o materiale al reato, la sentenza dev'essere annullata.

2.2. Deduce, con un secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione all'art. 40 c.p., comma 2, e D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 192, e relativi vizi motivazionali in ordine alla ritenuta partecipazione concorsuale del ricorrente al reato ascrittogli.

La censura investe l'impugnata sentenza per aver il giudice ritenuto il ricorrente responsabile in virtù di una posizione di garanzia da questi assunta in forza dei contratti stipulati per la realizzazione dei lavori preso la sua proprietà nonchè per essere questi tenuto a vigilare quale proprietario del terreno su cui vennero rinvenuti i materiali indicati; in ricorso si censurano tali argomentazioni, ritenendo che il ricorrente non avesse alcun obbligo di vigilanza e di denuncia in relazione alla violazione della normativa sui rifiuti, atteso che la normativa ambientale (il riferimento è all'art. 192, TUA), attribuisce al proprietario dell'area solo l'obbligo di rimozione, avvio a recupero e smaltimento, ma non una posizione finalizzata ad impedire la realizzazione od il mantenimento dell'evento lesivo altrui; difetterebbero, quindi, nella motivazione gli elementi per attribuire al ricorrente una responsabilità o diretta o concorsuale, ciò che impone l'annullamento dell'impugnata sentenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso dev'essere accolto per le ragioni di seguito esposte.

4. I motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, attesa l'omogeneità dei profili di doglianza mossi all'impugnata sentenza.

Ed invero, la sentenza fonda la responsabilità del ricorrente sull'esistenza di un obbligo di vigilanza del medesimo quale proprietario dell'area si cui i rifiuti erano stati illecitamente gestiti dai soggetti ai quali il medesimo aveva affidato i lavori di movimentazione, sbancamento, etc..

L'obbligo di vigilanza, tuttavia, viene fondato sulla non corretta esegesi di una decisione di questa Corte (Sez. 3, n. 47432 del 05/11/2003 - dep. 11/12/2003, Bellesini ed altri, Rv. 226868, secondo cui la responsabilità per la attività di gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza, per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione, e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell'azienda), in quanto attinente non alla responsabilità del proprietario dell'area, ma del titolare di una impresa edile produttrice di rifiuti per il trasporto e lo smaltimento degli stessi, con automezzo di proprietà della società, in assenza delle prescritte autorizzazioni. Parimenti, il riferimento in sentenza ad un'ipotesi di culpa in vigilando, riguarda la responsabilità del titolare di un'azienda nel caso di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti ad opera dei dipendenti di una società di capitale, e non di soggetti terzi, come nel caso di specie, rispetto ai quali non sussisteva alcun rapporto di formale dipendenza (Sez. 3, n. 14285 del 10/03/2005 - dep. 18/04/2005, Brizzi, Rv. 231081), nè essendo configurabile un obbligo di controllo può ravvisarsi in carico del proprietario medesimo, in quanto gli obblighi di corretta gestione e smaltimento sono posti esclusivamente a carico dei produttori e dei detentori dei rifiuti medesimi (Sez. 3, n. 49327 del 12/11/2013 - dep. 09/12/2013, Merlet, Rv. 257294).

Pacifico è, invece, che in difetto di elementi di diretta partecipazione al reato o di un contributo materiale o morale nell'illecita gestione dei rifiuti, non è configurabile una responsabilità "di posizione" del proprietario dell'area. Come, infatti, autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, i reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata e stoccaggio di rifiuti tossici e nocivi senza autorizzazione hanno natura di reati permanenti, che possono realizzarsi soltanto in forma commissiva; ne consegue che essi non possono consistere nel mero mantenimento della discarica o dello stoccaggio da altri realizzati, pur in assenza di qualsiasi partecipazione attiva e in base alla sola consapevolezza della loro esistenza (Sez. U, n. 12753 del 05/10/1994 - dep. 28/12/1994, Zaccarelli, Rv. 199385). Per tale ragione, questa stessa Sezione, in linea con l'insegnamento del Massimo Consesso, ha ribadito che i reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata e stoccaggio di rifiuti tossici non possono consistere nel mero mantenimento della discarica o dello stoccaggio realizzati da terzi estranei nel fondo di proprietà, salvo che risulti integrata una condotta concorsuale mediante condotta omissiva, nei casi in cui il soggetto aveva l'obbligo giuridico di impedire la realizzazione od il mantenimento dell'evento lesivo (Sez. F, n. 44274 del 13/08/2004 - dep. 12/11/2004, Preziosi, Rv. 230173).

Deve, conclusivamente, in questa sede essere ribadito il principio secondo cui il proprietario di un terreno non risponde dei reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata, anche in caso di mancata attivazione per la rimozione dei rifiuti, a condizione che non compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti, atteso che tale responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell'evento lesivo (Sez. 3, n. 2206 del 12/10/2005 - dep. 19/01/2006, Bruni, Rv. 233007).

5. Alla stregua di quanto sopra, merita quindi accoglimento il profilo di doglianza difensivo con cui si contesta il difetto assoluto di motivazione in ordine alla ritenuta partecipazione concorsuale del ricorrente al reato ascritto. Ne consegue, pertanto, l'annullamento dell'impugnata sentenza, con rinvio ad altro giudice del tribunale di Milano che accerterà l'esistenza o meno di elementi in virtù dei quali la condotta del ricorrente fosse rivelatrice di una sua partecipazione al reato, secondo i principi in precedenza affermati da questa Corte.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio al tribunale di Milano.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2014.