Consiglio di Stato, Sez. IV n. 6557, del 19 dicembre 2012.
Urbanistica. Sul termine decadenziale per l’impugnazione dei provvedimenti in materia edilizia.
Per consolidato principio per cui la dimostrazione della tardività del ricorso e, quindi, della pregressa piena conoscenza degli elementi essenziali dell’atto in capo al destinatario, deve, in ossequio agli ordinari criteri di riparto dell’onere della prova (art. 2697 cod. civ.), essere fornita da chi eccepisce la tardività dell’impugnazione, e anche in disparte dell’ulteriore e parimenti costante giurisprudenza secondo la quale la conoscenza effettiva e completa del titolo edilizio da parte del terzo si verifica di regola con l’ultimazione dei lavori di costruzione dell’immobile e non solo con il loro inizio.
N. 06557/2012REG.PROV.COLL.
N. 05437/2012 REG.RIC.
N. 08315/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 5437 del 2012, proposto da:
Pasquale Alfonso, rappresentato e difeso dall’Avv. Raffaele Guido Rodio, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’Avv. Alfredo Placidi, via Cosseria, 2;
contro
Sarcina Francesco, rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe Sarcina e dall’Avv. Luigi D’Ambrosio, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’Avv. Alfredo Placidi, via Cosseria, 2;
nei confronti di
Comune di Trinitapoli (Fg);
sul ricorso numero di registro generale 8315 del 2012, proposto da:
Comune di Trinitapoli (Fg), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Nino Matassa, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’Avv. Alfredo Placidi, via Cosseria, 2;
contro
Sarcina Francesco, rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe Sarcina e dall’Avv. Luigi D’Ambrosio, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’Avv. Alfredo Placidi, via Cosseria, 2;
nei confronti di
Pasquale Alfonso;
per la riforma
quanto ad entrambi iricorsi:
della sentenza del T.A.R. per la Puglia, Bari, Sez. III, n. 1001 dd. 23 maggio 2012, resa tra le parti e concernente permesso di costruire;
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Sarcina Francesco;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2012 il Cons. Fulvio Rocco e uditi per l’appellante Pasquale Alfonso l’Avv. Raffaele Guido Rodio, per l’appellante Comune di Trinitapoli l’Avv. Nino Matassa e per l’appellato Sarcina Francesco l’Avv. Luigi D’Ambrosio;
Sentite le stesse parti a’ sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto che gli appelli in epigrafe vanno respinti per quanto qui appresso specificato.
1.1. L’attuale appellato, Sig. Francesco Sarcina ,è proprietario di un fabbricato ubicato in Trinitapoli (Fg), corso Trinità nn. 52-54 e ricadente in zona destinata dal vigente strumento urbanistico primario ad: “A2 - area di discreto interesse storico-ambientale”.
Con ricorso proposto sub R.G. 479 del 2008 innanzi al T.A.R. per la Puglia, Sede di Bari, il Sarcina ha chiesto l’annullamento del permesso di costruire n. 101/07 dd. 29 novembre 2007, rilasciato dal Responsabile del V° Settore - Urbanistica e gestione del territorio del Comune di Trinitapoli e per effetto del quale è stata assentita la realizzazione di un fabbricato residenziale di proprietà dell’Ing. Alfonso Pasquale, previa demolizione del preesistente immobile ad un piano ubicato al civico n. 76 di corso Garibaldi, confinante con il fronte sud dell’anzidetto fabbricato di proprietà del medesimo ricorrente in primo grado.
Tale impugnativa è stata estesa ad ogni altro atto presupposto e conseguente, ivi segnatamente compreso il parere reso in data 3 gennaio 2007 dal medesimo Responsabile del V° Settore, nonché, mediante motivi aggiunti di ricorso, al susseguente provvedimento dello stesso Responsabile Prot. n. 2487 dd. 11-13 marzo 2008, recante la reiezione di un’istanza di riesame dell’anzidetto permesso di costruire medio tempore presentata dal medesimo Sarcina.
Nel giudizio di primo grado il Sarcina ha dedotto al riguardo l’avvenuta violazione dell’art. 10 e ss. del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, anche in relazione degli artt. 42, 6, 13 e 14 delle N.T.A. del P.R.G.
1.2. Con motivi aggiunti depositati il 20 maggio 2008 è stato in seguito anche impugnato, come in precedenza rilevato, il provvedimento del Responsabile del V Settore - Urbanistica e gestione del territorio Prot. n. 2487 dd. 11-13 marzo 2008 prot. n. 2487 recante la reiezione dell’istanza di riesame del permesso di costruire proposta all’Amministrazione Comunale dallo stesso Sarcina in data 22 febbraio 2008. Si sono costituiti nel giudizio di primo grado Il Comune ed il titolare della concessione, i quali hanno preliminarmente eccepito l’irricevibilità e l’inammissibilità del ricorso, e hanno comunque replicato nel merito alle censure in esso contenute concludendo per la sua reiezione.
1.3. Con sentenza n. 1001 dd. 23 maggio 2012 la Sez. III dell’adito T.A.R., previa reiezione dell’eccezione di irricevibilità del ricorso, lo ha accolto per quanto segnatamente attiene alla violazione dell’art. 42.4 delle N.T.A. del P.R.G. di Trinitapoli e – per l’effetto – ha annullato l’impugnato titolo edilizio, dichiarando improcedibili i motivi aggiunti di ricorso.
Il giudice di primo grado ha integralmente compensato tra le parti le spese del giudizio.
2.1. Con il primo appello in epigrafe (R.G. 5437 del 2012) il Pasquale chiede la riforma di tale sentenza, censurandola laddove il giudice di primo grado ha respinto le eccezioni di irricevibilità e di inammissibilità del ricorso proposto in primo grado, nonché laddove sarebbero stati erroneamente interpretati o applicati l’art. 42.4 delle N.T.A. del P.R.G. e l’art. 72 del Regolamento edilizio comunale.
2.2. Si è costituito in tale ulteriore grado di giudizio l’appellato Francesco Sarcina, replicando puntualmente alle censure avversarie e concludendo per la reiezione dell’appello.
3.1. Con il secondo appello in epigrafe (R.G. 8315 del 2012) omologo ricorso è stato proposto dal Comune di Trnitapoli.
3.2. Anche in questo procedimento si è costituito l’appellato Francesco Sarcina, dispiegando i medesimi argomenti di difesa già da lui proposti sub R.G. 5437 del 2012 e ha pertanto concluso anche per la reiezione di tale ulteriore appello.
4. All’odierna camera di consiglio le due cause sono state concomitantemente chiamate e trattenute in decisione con sentenza breve ex art. 60 cod. proc. amm., previa comunicazione della relativa circostanza alle parti.
5. Preliminarmente va disposta la riunione dei due appelli, a’ sensi dell’art. 96, comma 1, cod. proc. amm.
6.1. Tutto ciò doverosamente premesso, vanno innanzitutto respinti i motivi di appello con i quali è stata dedotta l’irricevibilità del ricorso proposto in primo grado.
A tale riguardo nella sentenza impugnata si legge che “la tardività risulterebbe dal fatto che già nel gennaio 2008 l’istante avrebbe avuto perfetta consapevolezza delle caratteristiche del nuovo immobile, oggetto del permesso di costruire, e quindi della lesività dell'atto autorizzatorio, come dimostrerebbe la nota del 10 gennaio 2008 diretta al controinteressato. Il Collegio però ritiene che da tale lettera non si possa dedurre in modo inequivocabile che il ricorrente conoscesse gli elementi salienti della costruzione come progettata e autorizzata, i cui lavori erano appena iniziati” (cfr. ivi, pag. 4).
Secondo la comune prospettazione delle parti appellanti, il Sarcina avrebbe dimostrato di aver avuto piena conoscenza del titolo edilizio da lui impugnato già alla data del 7 gennaio 2008, posto che egli ha inoltrato tre giorni più tardi, ossia il 10 gennaio 2008, una lettera all’Ing. Pasquale in cui ammette di aver appreso – per l’appunto, il 7 gennaio 2008 – la circostanza dell’avvenuto inizio dei lavori, rivendicando contestualmente l’esistenza di un diritto di veduta sul lastrico solare interessato dai lavori di costruzione intrapresi dal medesimo Ing. Pasquale.
A tale riguardo, e in relazione alla circostanza che l’atto introduttivo del giudizio di primo grado è stato notificato l’11 marzo 2008, ossia dopo l’asserita scadenza del termine decadenziale di 60 giorni all’epoca contemplato dall’allora vigente art. 21, primo comma, della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, le difese delle parti appellanti hanno in particolare richiamato la giurisprudenza secondo cui per l’identificazione del momento in cui si realizza la piena conoscenza ai fini della decorrenza del termine perentorio di sessanta giorni per impugnare il permesso di costruire da parte di terzi viene in primo luogo in rilievo la conoscenza del titolo giuridico che non postula necessariamente la conoscenza di tutti i suoi elementi, essendo sufficiente quella degli elementi essenziali quali l’autorità emanante, la data, il contenuto dispositivo e il suo effetto lesivo, salva la possibilità di proporre motivi aggiunti ove dalla conoscenza integrale del provvedimento e degli atti presupposti emergano ulteriori profili di illegittimità, e ben potendo solo in secondo luogo venire in rilievo la conoscenza della realtà materiale (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez VI, 18 aprile 2012 n. 2209).
Il Collegio, per parte propria, rileva che tale assunto della giurisprudenza va comunque correlato con l’altrettanto consolidato principio per cui la dimostrazione della tardività del ricorso - e, quindi, della pregressa piena conoscenza degli elementi essenziali dell’atto in capo al destinatario - deve, in ossequio agli ordinari criteri di riparto dell’onere della prova (art. 2697 cod. civ.), essere fornita da chi eccepisce la tardività dell’impugnazione (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 31 maggio 2012 n. 3269); e , anche in disparte dell’ulteriore e parimenti costante giurisprudenza secondo la quale la conoscenza effettiva e completa del titolo edilizio da parte del terzo si verifica di regola con l’ultimazione dei lavori di costruzione dell’immobile e non solo con il loro inizio (cfr. al riguardo, tra le tante e le più recenti, Cons. Stato, Sez. IV, 30 luglio 2012 n. 4287), risulta ben evidente che il Pasquale e l’Amministrazione Comunale non hanno comunque fornito la prova al riguardo richiesta.
Nella predetta nota a firma del Sarcina datata 10 gennaio 2008 e inviata al Pasquale, si legge che “lo scorso lunedì” - ossia il 7 gennaio 2008 – “avete iniziato lavori di natura edilizia sul … lastrico solare che, allo stato, non (si) conosce per entità e tipologia. …Ove dovesse eseguire lavori di sopraelevazione senza la distanza stabilita ex art. 907 c.c., sa bene che essi arrecherebbero una lesione al diritto di veduta (e proprietà) tutelabile giudizialmente”.
Risulta ben evidente dalla nota surriferita che il Sarcina all’anzidetta data del 7 gennaio 2008 aveva potuto riscontrare il solo avvio materiale di lavori da parte del Pasquale senza conoscere non solo il titolo edilizio in forza del quale gli stessi erano stati assentiti, ma anche la loro natura, potendo solo supporre – tra le altre eventualità – l’ipotesi di una sopraelevazione dell’edificio attiguo, altrettanto ragionevolmente ignota, a quel tempo, nella sua entità: e, del resto, dalla stessa relazione tecnica prodotta dal Pasquale nel giudizio di primo grado consta che il cantiere era stato allestito in data 8 gennaio 2008 e che il giorno 11 gennaio 2008 erano stati iniziati i lavori di ristrutturazione al piano terra dell’edificio; e – semmai – va evidenziato che lo stesso Sarcina, contestualmente alla propria nota dd. 10 gennaio 2008 inoltrata al Pasquale al fine di ottenere i predetti chiarimenti sulla natura dei lavori da lui intrapresi, ha chiesto al Comune di Trinitapoli a’ sensi dell’art. 22 e ss. della L. 7 agosto 1990 n. 241 l’accesso agli atti della pratica edilizia ivi presentata dal medesimo Pasquale, ottenendone susseguentemente copia in epoca congrua agli effetti del rispetto dell’anzidetto termine decadenziale per la proposizione del ricorso innanzi al giudice di primo grado.
Al più, è documentalmente comprovata una sufficiente conoscenza da parte del Sarcina degli atti rilevanti del procedimento di rilascio del titolo edilizio da lui contestato alla data del 22 febbraio 2008, ossia quando egli ebbe a chiederne l’annullamento in via di autotutela da parte dell’amministrazione Comunale: ma, se così è, il lasso di tempo intercorrente tra tale data e quella della notificazione del ricorso in sede giurisdizionale (11 marzo 2008) è ampiamente capiente rispetto al predetto termine decadenziale di sessanta giorni contemplato per l’idonea proposizione del ricorso giurisdizionale).
6.2. Parimenti infondate risultano pure le deduzioni delle parti appellanti laddove prospettano l’inammissibilità del ricorso in primo grado per difetto di interesse alla sua proposizione.
Il Sarcina ha in tal senso affermato che la propria posizione legittimante a ricorrere si fonderebbe su di una sua servitù di veduta sul lastrico solare dell’edificio attiguo, che viceversa il Pasquale e il Comune reputano non comprovata nella sua esistenza.
Più esattamente, l’edificio del Pasquale si affaccia sulla strada parallela a corso Trinità e che confina nella parte interna con quello del Sarcina, il quale – per l’appunto - vanterebbe, quale proprietario, una servitù sull’immobile vicino e che, dalla documentazione inerente all’azione proposta dallo stesso Sarcina a’ sensi dell’art. 1170 c.c. sub R.G. 180 del 2009 innanzi alla Sezione distaccata di Trinitapoli del Tribunale ordinario di Foggia risulterebbe duplice: ossia una prima servitù collegata a una luce o a un affaccio al primo piano e una seconda che consterebbe propriamente nella veduta dal terrazzo/lastrico solare.
Il giudice di primo grado, prescindendo da ciò, ha reputato che la legittimazione a ricorrere da parte del Sarcina si giustificherebbe anche con la sola “vicinitas”: condizione, questa che nella specie assodatamente sussiste, avuto riguardo alla posizione delle due proprietà.
A ragione gli appellanti hanno smentito tale assunto del T.A.R., rilevando che la più recente giurisprudenza afferma che la vicinitas è condizione necessaria ma non sufficiente per radicare l’interesse al ricorso avverso il titolo edilizio, dovendosi dimostrare anche il pregiudizio concreto che il titolo medesimo apporta alle facoltà dominicali del ricorrente (così, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 24 gennaio 2011 n. 485).
Gli appellanti medesimi non riescono peraltro a smentire proprio la sussistenza di tale pregiudizio, posto che il giudice civile ha dichiarato l’esistenza della servitù di veduta a favore del Sarcina, prescrivendo al Pasquale di eseguire le opere edilizie nel fabbricato di sua proprietà senza ledere il diritto del vicino.
Dall’accertata sussistenza della servitù discende, pertanto, la sussistenza della posizione legittimante del Sarcina al fine dell’idonea proposizione di ricorsi anche in sede di giurisdizione
amministrativa al fine di ottenere l’annullamento dei titoli edilizi che ledono il proprio qualificato interesse alla legittimità dell’azione amministrativa conclusasi con la loro emanazione.
6.3. Venendo alle censure degli appellanti che pertengono al merito di causa, va rammentato che il Sarcina ha dedotto nel giudizio di primo grado che l’intervento edilizio assentito a favore del Pasquale non rientra nell’ipotesi ammessa dall’art. 42 delle N.T.A. del P.R.G. di Trinitapoli, posto che nella specie non sarebbe stata realizzata infatti una semplice sopraelevazione, così come consentita da tale articolo, ma una demolizione con ricostruzione peraltro assentibile in tale zona soltanto con rispetto del precedente volume, e che - soprattutto - non sarebbe stata rispettata l’altezza massima dell’edificio attiguo prevista dall’artr. 42.4 delle medesime N.T.A.
Il Responsabile del V° Settore - Urbanistica e gestione del territorio del Comune di Trinitapoli ha diffusamente esposto con il proprio anzidetto provvedimento Prot. n. 2487 dd. 11-13 marzo 2008 (come detto innanzi, impugnato in primo grado con motivi aggiunti di ricorso) i motivi che hanno assistito il rilascio del titolo edilizio contestato dal Sarcina, ossia – in sintesi - - che l’intervento edilizio è stato realizzato nel rispetto degli allineamenti dei balconi, marcapiani e aperture con il fabbricato esistente dello stesso proprietario; che il livello intermedio non può essere definito un ulteriore piano fuori terra, e che non comporta peraltro una maggiore volumetria o altezza rispetto al preesistente; che l’attività edilizia assentita non concretizza demolizione con ricostruzione vincolata, ex art. 14 delle N.T.A. del P.R.G., bensì ristrutturazione edilizia ex art.12 delle medesime N.T.A.
Come detto innanzi, il giudice di primo grado ha accolto il ricorso del Sarcina avuto riguardo alla dedotta violazione dell’art. 42.4. delle N.T.A. del P.R.G. di Trinitapoli.
Lo stesso giudice ha in tal senso preliminarmente precisato che l’originaria costruzione al corso Garibaldi 76 è stata soggetta a ristrutturazione e su di essa complessivamente è stata realizzata la sopraelevazione; in definitiva, quindi, tutta la costruzione di proprietà del Pasquale è ora alta m 13,65.
Anche a voler prescindere dal torrino di metri 2 (costruzione, questa, che non sviluppa volumetria e che comunque, sebbene assentito nel permesso di costruire qui impugnato, non è stato realizzato), l’altezza assommerebbe a m 11,65: e, poiché l’originaria costruzione arrivava a m 5,30, si deduce che la sopraelevazione è pari a m. 6,35 e che, pur essendo normalmente tollerabili degli scostamenti nel calcoli delle strutture, essa comunque eccede i 3,70 metri consentiti dall’art. 42.4.
Le fotografie prodotte nel giudizio di primo grado e riprodotte anche innanzi a questo giudice evidenziano quanto materialmente avvenuto: ossia, la preesistente costruzione alquanto modesta è stata sostituita da un edificio in continuità con quello adiacente d’impianto neoclassico, assicurando un’innegabile coerenza architettonica al complesso e, quindi, “con un risultato estetico sicuramente di pregio … e incomparabile rispetto alla scarsa qualità del fabbricato preesistente sul quale l’ingegner Pasquale è intervenuto” (così la sentenza impugnata a pag. 8).
Ed è proprio su tale risultato, pur di per sé innegabilmente pregevole, che si fonda nella sostanza l’argomento di fondo congiuntamente speso dalle difese del Comune e del Pasquale nel corso del giudizio di primo grado e pedissequamente riproposto anche nel presente giudizio d’appello, e cioè che - in sostanza – l’altezza massima di metri 3,70 non costituirebbe un limite assoluto, essendo in effetti prevalente con riguardo ai singoli casi quell’esigenza di continuità architettonica, di linee e di decorazioni che, anche nel caso di specie, l’Amministrazione comunale ha comunque voluto garantire in concreto, avuto riguardo ad una combinata lettura dello stesso arti. 42.4, comma comma secondo, delle N.T.A. del P.R.G. e dell’art. 72 del vigente Regolamento edilizio.
A tale riguardo va evidenziato che il comma secondo dell’anzidetto art. 42.4 delle N.T.A. delP.R.G. dispone che“l’intervento comunque dovrà uniformarsi alle caratteristiche architettoniche degli edifici circostanti”, nel mentre l’art. 72 del R.E. a sua volta dispone che “le fronti degli edifici che prospettano su vie e spazi pubblici e su vie private o sono comunque da questi visibili, debbono soddisfare le esigenze del decoro urbano tanto per la corretta armonia delle linee architettoniche (contorni delle aperture fasce marcapiano, ecc.) quanto per i materiali (…). I fabbricati di nuova costruzione a soggetti a ristrutturazione (...) debbono armonizzarsi nelle linee, nei materiali di rivestimento, nelle tinteggiature nelle coperture con gli edifici circostanti, particolarmente con quelli di notevole importanza artistica, avuto riguardo delle caratteristiche dell’abitato e dell'ambiente urbano in cui vengono inserirsi. Quando si tratti di edifici che costituiscono fondali di vie o di piazze per i quali sorga la necessità di assicurare armoniche prospettive, l’AC ha la facoltà di prescrivere opportune linee architettoniche e forme decorative, stabilire limitazioni di altezza e dare direttive intese a ottenere determinati inquadramenti architettonici od effetti prospettici”.
Secondo la tesi del Comune e del Pasquale l’azione amministrativa dovrebbe dunque essere guidata dall’osservanza di tali parametri, imposta – oltre a tutto – da una nota dirigenziale dd. 11 marzo 2008, puntualmente citata nella motivazione della sentenza impugnata e secondo la quale “al fine di garantire l’armonia architettonica prevista dall’articolo 72 del regolamento edilizio, dato il contesto di zona di discreto interesse storico ambientale in cui l'intervento si pone, si è richiesto il rispetto degli allineamenti dei balconi, marcapiani e aperture con il fabbricato esistente di stessa proprietà”.
Come ha evidenziato lo stesso giudice di primo grado, “è evidente che, in fatto, dato lo stato dei luoghi, la coerenza e la continuità architettonica potevano essere garantite al massimo grado solo edificando in aderenza alla stessa altezza dell’edificio adiacente” (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata); ma, come ha sempre rimarcato il giudice medesimo, il ragionamento dell’Amministrazione Comunale e del Pasquale avrebbe dovuto contenere – anche e soprattutto – l’indefettibile dimostrazione che le esigenze espresse dall’art. 42.4, comma secondo, delle N.T.A. del P.R.G. e dall’art. 72 del R.E. consentano anche di derogare all’altezza massima per le sopraelevazioni imposta dallo stesso dall’articolo 42.4, al primo comma: dimostrazione che non è stata data per il semplice motivo della sua impossibilità, per ben evidenti ragioni.
L’art. 72. del R.E. reca infatti una disciplina di principio finalizzata all’armonizzazione estetica che peraltro non reca alcuna puntuale disposizione che letteralmente deroghi a quella sui limiti delle altezze contenuta nell’art. 42.4 delle N.T.A. del P.R.G.; né va sottaciuto – come puntualmente evidenziato anche dal T.A.R. – che la funzione assolta nella disciplina di settore dal regolamento edilizio, ab origine unica normazione dell’attività urbanistico-edilizia (cfr. sul punto il R.D. 8 giugno 1865 n. 2321), è stata progressivamente ridimensionata dalla prassi – indotta anche dalle legislazioni regionali di settore - consistente nell’introduzione nelle norme tecniche di attuazione degli strumenti urbanistici primari di puntuali disposizioni specificanti le destinazioni d’uso e i relativi indici edilizi, con la conseguenza che alla fonte costituita dal regolamento edilizio non può ragionevolmente essere affidata la competenza di derogare ai parametri propri dell’attività di edificazione.
Né, ancora, va sottaciuto che l’interpretazione sostenuta dalle parti appellanti si risolve in un’inammissibile omologazione tra caratteristiche architettoniche e caratteristiche plano-volumetriche.
7. I due appelli in epigrafe vanno pertanto respinti.
Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidati nel dispositivo.
Vanno, altresì, dichiarati irripetibili le somme corrisposte a’ sensi dell’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche a titolo di contributo unificato per il presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, previa loro riunione li respinge.
Condanna il Comune di Trinitapoli e Pasquale Alfonso al pagamento delle spese e degli onori del presente grado di giudizio, liquidandole a carico di ciascuna di tali parti nella misura di € 2.500,00.- (duemilacinquecento/00) oltre ad I.V.A. e C.P.A.
Dichiara irripetibili le somme corrisposte a’ sensi dell’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche a titolo di contributo unificato per il presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/12/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)