Consiglio di Stato Sez. VI n. 8256 del 26 settembre 2022
Urbanistica.Trasformazione di un sottotetto in uno spazio abitabile
La trasformazione di un sottotetto in uno spazio abitabile è urbanisticamente rilevante in quanto incidente sul carico urbanistico e, come tale, necessita di un titolo abilitativo il cui difetto determina una situazione di illiceità, che deve essere rilevata dall'amministrazione nell'esercizio del suo potere di vigilanza. Tali trasformazioni, infatti, non consentono di mantenere la qualificazione di dette superfici in termini di locali tecnici, come tali privi di impatto sul carico urbanistico, essendosi realizzato un mutamento della destinazione d’uso fra categorie non omogenee: impatto che prescinde dal mantenimento dei prospetti e sagome preesistenti.
Pubblicato il 26/09/2022
N. 08256/2022REG.PROV.COLL.
N. 02068/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2068 del 2016, proposto da
Elena Carletti, rappresentata e difesa dall’Avvocato Massimiliano Marsili, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale dei Parioli n. 44;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocato Umberto Garofoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 09858/2015, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 settembre 2022 il Cons. Marco Poppi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
L’appellante è proprietaria di un fabbricato realizzato su quattro livelli, due dei quali fuori terra, in area sottoposta a vincolo archeologico e paesistico apposto con DD.MM. 19 ottobre 1954 e 16 ottobre 1998.
Relativamente a detto immobile, l’amministrazione accertava che:
- al piano interrato (S1), mutando la destinazione di una cantina e due ripostigli, veniva realizzata una sala hobby che si presentava come arredata e «soggiornabile»;
- al piano primo, anche in questo caso modificando la destinazione d’uso, nel locale lavatoio-stenditoio venivano realizzate delle tramezzature ricavando due camere da letto e un servizio igienico;
- nell’area pertinenziale del fabbricato veniva costruito, a ridosso del muro di confine, un manufatto della superficie di mq. 20 e altezza m. 2,50 all’interno del quale venivano ricavate una cameretta, un cucinotto e un servizio igienico, già oggetto di istanza di sanatoria presentata il 10 dicembre 2004 ai sensi del D.L. n. 269/2003, dichiarando l’ultimazione dei lavori entro il termine legale del 31 dicembre 2003.
Le suesposte violazioni venivano contestate alla proprietà con nota dell’11 aprile 2004 cui seguiva la sospensione dei lavori disposta con l’ordinanza n. 710 del 22 aprile 2005 alla quale l’amministrazione attribuiva espressamente valore di comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio ex art. 7 della L. n. 24/1990.
Seguivano:
- con ordinanza n. 56 del 13 gennaio 2006, l’ingiunzione a demolire gli interventi interessanti il fabbricato principale (ai piani S1 e 1°) non oggetto della citata domanda di sanatoria;
- con determinazione n. 256 del 22 marzo 2006, il rigetto dell’istanza di condono riferita al manufatto pertinenziale poiché ricadente in area «sottoposta a vincolo archeologico e paesistico ai sensi del D. Lgs.vo n. 42/04 p.II e p. III, art. 142, lett. M imposti con D.M 19.10.1954 e 16.10.1998»;
- con ordinanza n. 2350 del 15 dicembre 2006, l’ingiunzione a demolire il «manufatto in muratura di mq. 20x2.50 di altezza circa»;
Con atti del 9 ottobre 2006 e 25 luglio 2007 veniva accertata, rispettivamente, l’inottemperanza alle ordinanze n. 56/2006 e n. 2350/2006.
L’appellante impugnava innanzi al Tar Lazio:
- con ricorso iscritto al n. 8220/2005 R.R., l’ordinanza n. 710/2005;
- con un primo ricorso per motivi aggiunti, l’ordinanza di demolizione n. 56 del 13 gennaio 2006;
- con un secondo ricorso per motivi aggiunti l’ordinanza di demolizione n. 2350 del 15 dicembre 2006;
- con separato ricorso, il rigetto della domanda di condono edilizio.
Con sentenza n. 9858 del 20 luglio 2015, il Tar dichiarava inammissibile il ricorso introduttivo ritenendo superata la disposta sospensione dei lavori; respingeva il primo ricorso per motivi aggiunti e dichiarava inammissibile il secondo ricorso per motivi aggiunti ritenendo che «nessuna connessione esiste tra il primo provvedimento recante la demolizione delle opere che hanno determinato il mutamento di destinazione d’uso di alcuni spazi dell’immobile e quello che intima la demolizione di altro manufatto a seguito del rigetto dell’istanza di condono edilizio».
Con il presente appello, depositato il 16 marzo 2016, l’appellante impugnava la sentenza di primo grado riproponendo sostanzialmente le censure formulate in primo grado avverso i provvedimenti interessanti il fabbricato principale, che il Tar avrebbe erroneamente respinto.
Roma Capitale si costituiva formalmente in giudizio il 25 marzo 2016 e, con nuovo difensore il 14 aprile 2022, cui faceva seguito un deposito documentale il 5 agosto successivo.
All’esito della pubblica udienza del 15 settembre 2022, la causa veniva decisa.
L’appellante censura la sentenza impugnata articolando le proprie censure in due capi d’impugnazione:
Capo A, con il quale lamenta il mancato rilievo, da parte del Tar, dei vizi procedimentali dedotti in primo grado;
Capo B con il quale contesta nel merito la ritenuta abusività degli interventi edilizi sanzionati.
L’appellante espone che in esito alla notifica del citato provvedimento di sospensione (contenente formale comunicazione di avvio del procedimento sfociato nei successivi provvedimenti repressivi), produceva osservazioni difensive con le quali rappresentava:
- la pendenza del procedimento di condono invocando il conseguente effetto sospensivo delle procedure sanzionatorie;
- che il contestato mutamento di destinazione era addebitabile al precedente proprietario;
- che il vano cantina non era interessato ad alcun intervento edilizio (nei locali cantina e ripostiglio non venivano aperte finestre né venivano compiute «opere murarie o di rifinitura» tali da determinarne un uso abitativo);
- che nel locale lavatoio venivano realizzate solo opere interne consistenti nella realizzazione di due tramezzi.
Ciò nonostante l’amministrazione ingiungeva la demolizione di cui alla richiamata ordinanza n. 56/2006 senza menzione alcuna delle proprie osservazioni: profilo non rilevato dal Tar che respingeva il ricorso ritenendo erroneamente che in materia di abusi la natura vincolata dell’attività repressiva non richiedesse una estesa motivazione circa le sottese esigenze di interesse pubblico, essendo sufficiente la descrizione dell’abuso accertato.
Il Tar avrebbe, inoltre, errato laddove afferma che, benché coinvolta nel procedimento, la proprietaria «non contesta che le opere siano state realizzate, ovvero, che sia stato determinato il mutamento di destinazione d’uso di alcuni locali dell’immobile di proprietà, in assenza di alcun titolo autorizzatorio».
Le suesposte censure sono infondate.
Deve in primis evidenziarsi l’irrilevanza della doglianza da ultimo formulata, riferita ad una affermazione decontestualizzata il cui significato, alla luce delle ulteriori statuizioni del Tar, deve essere inteso come rilievo della mancata prova contraria in merito alle contestazioni comunali.
Di ciò se ne trae conferma scorrendo le successive affermazioni del giudice di prime cure che affronta tutti i singoli profili di doglianza oggetto di ricorso, sostanzialmente riproduttivi delle osservazioni difensive prodotte in fase procedimentale.
Infondati sono, in ogni caso, i molteplici profili di illegittimità dedotti dall’appellante avendo il Tar fatto corretta applicazione della disciplina normativa vigente, conformandosi al pacifico contesto giurisprudenziale dell’epoca, consolidatosi negli anni successivi.
Deve, quindi, condividersi l’affermazione del Tar per la quale la misura demolitoria conseguente all'accertamento della natura abusiva delle opere edilizie, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto dovuto (fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 5 giugno 2017, n. 2681; id., 25 febbraio 2019, n. 1281; Sez. II, 26 giugno 2019, n. 4386).
Ciò comporta che, come già rilevato dalla Sezione, «l'ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell'abuso corrisponde per definizione all'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che essa è già dotata di un'adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività ( cfr. Cons. Stato, IV, 5-11-2018, n. 6246)» (Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019, n.903)
In coerenza con i suesposti principi deve ritenersi priva di rilievo la dedotta mancata considerazione degli apporti partecipativi procedimentali.
La decisione di primo grado deve essere condivisa anche nella parte in cui afferma l’irrilevanza della preesistenza dell’abuso all’acquisto dell’immobile non integrando alcun profilo di illegittimità del provvedimento l’imputabilità dell’abuso al precedente proprietario.
Come già chiarito dalla più recente giurisprudenza, l’art. 31, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 individua il destinatario della misura ripristinatoria tanto nel proprietario dell’immobile quanto nel responsabile dell'abuso, in forma non alternativa ma congiunta e simultanea, così rendendo palese che entrambi questi soggetti sono chiamati a ripristinare il corretto assetto edilizio violato dall'abuso (Cons. Stato, Sez. II, 28/09/2020, n. 5700).
Ne deriva che, come pacifico in giurisprudenza, non è richiesto all’amministrazione «un peculiare ed aggiuntivo onere motivazionale, posto che il carattere reale dell'abuso e la stretta doverosità delle sue conseguenze non consentono di valorizzare ai fini motivazionali la richiamata alterità soggettiva» (Cons. Stato, Sez. II, 13 giugno 2019, n.3971).
Nessun rilievo assume, infine, il decorso del tempo dalla commissione dell’abuso che non inibisce per ciò solo l’adozione della misura (Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9) a supporto della quale non è, peraltro, richiesta una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico sottese all’iniziativa repressiva (Cons. Stato, Sez. VI, 9 aprile 2019, n.2328).
Con un secondo ordine di censure (Capo B) l’appellante censura la sentenza nella parte in cui «entrando nel merito della questione sottesa all’ordine di demolizione» afferma che gli interventi contestati, in quanto riconducibili alla ristrutturazione urbanistica, manutenzione straordinaria e restauro e risanamento conservativo, richiedessero un titolo edilizio poiché volti a determinare un mutamento della destinazione d’uso fra categorie funzionalmente autonome.
L’appellante, a conferma dei dedotti vizi delle misure adottate dall’amministrazione, e dell’erroneità delle statuizioni del Tar che ne affermava la legittimità, deduce:
- l’irrilevanza, nei sensi invocati dall’amministrazione, della presenza di arredi nei locali cantina-ripostigli e nello stenditoio-lavatoio ai fini della contestazione del realizzato mutamento della destinazione d’uso degli stessi;
- l’inesistenza di opere realizzate nel vano cantina il cui cambio di destinazione veniva contestato sulla base della sola circostanza che sarebbe «arredato» e «soggiornabile» nonostante, per giurisprudenza pacifica, i cambi di destinazione d’uso senza opere rientrino nella c.d. alla attività edilizia libera o, al più, debbano essere subordinati a DIA;
- l’assenza di alcuna contestazione da parte dell’amministrazione circa il realizzato cambio di destinazione da C2 a A4 (uso residenziale) della cantina che verrebbe, invece, contestato solo in sentenza e ritenuto rilevante in quanto avvenuto fra categorie erroneamente considerate non omogenee;
- l’irrilevanza nei sensi fatti propri dall’amministrazione della realizzazione di tramezzature al piano 1° (locale lavatoio) che in quanto qualificabili in termini di opere interne non sarebbero soggette ad alcun regime autorizzativo poiché non interessanti prospetti e sagome;
- l’irrilevanza dei cambi di destinazione d’uso contestati in quanto interessanti locali interni al fabbricato già adibito ad uso residenziale e ammessi senza necessità di titolo, anche se realizzati mediante opere edili, ai sensi dell’art. 7 della L.R. n. 36/1987;
- l’inidoneità degli interventi realizzati a determinare impatti sul carico urbanistico poiché interessanti vani accessori riconducibili alla nozione di volumi tecnici;
- il mancato sfruttamento da parte dell’appellante dell’interra volumetria assentita dall’originario titolo.
Le suesposte censure sono infondate.
Deve premettersi che oggetto di contestazione è l’idoneità degli interventi realizzati a determinare una diversa destinazione d’uso delle superfici con impatto sul carico urbanistico.
Ciò chiarito, deve rilevarsi che per giurisprudenza pacifica il cambio di destinazione d’uso di un preesistente manufatto non richiede alcun titolo abilitativo nel solo caso in cui si realizzi fra categorie edilizie omogenee; viceversa, «il cambio di destinazione d'uso che interviene tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee integra, quindi, una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, soggetta a permesso di costruire (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 29 gennaio 2009, n. 498)» (Cons. Stato, Sez. II, 12 novembre 2020, n.6948).
Sul punto, la Sezione si è già espressa affermando che qualsiasi «modifica edilizia tale da variare le oggettive attitudini funzionali del bene» determina un cambio di destinazione d'uso (Cons. Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2020, n.714).
Ne deriva che la trasformazione di un sottotetto in uno spazio abitabile (circostanza incontestabile in presenza della realizzazione di tramezzature che consentivano di ricavare due camere da letto e un servizio igienico) è urbanisticamente rilevante in quanto incidente sul carico urbanistico e, come tale, necessita di un titolo abilitativo il cui difetto determina «una situazione di illiceità, che deve essere rilevata dall'amministrazione nell'esercizio del suo potere di vigilanza (cfr.Cons. St., Sez. VI, n. 6562/18)» (Cons. Stato, Sez. VI, 4 gennaio 2021, n.43).
Le contestate trasformazioni, infatti, non consentono di mantenere la qualificazione di dette superfici in termini di locali tecnici, come tali privi di impatto sul carico urbanistico, essendosi realizzato un mutamento della destinazione d’uso fra categorie non omogenee: impatto che, contrariamente a quanto dedotto, prescinde dal mantenimento dei prospetti e sagome preesistenti.
Il realizzato mutamento di destinazione fra categorie non omogenee, priva di pregio il richiamo alla disposizione di cui all’art. 7 della L.R. n. n. 36/1987.
Come, infatti, pacifico in giurisprudenza, il cambio di destinazione d’uso tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, come si verifica in presenza della trasformazione di un sottotetto da lavatoio a superfice residenziale, determina «una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, soggetta a permesso di costruire (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 29 gennaio 2009, n. 498)» (Cons. Stato, sez. II, 12 novembre 2020, n.6948).
Irrilevante è, infine, la circostanza che gli spazi in questione non siano abitati essendo sufficiente a determinare la non conformità dell’immobile una accertata modifica edilizia tale da variare le oggettive attitudini funzionali del bene (Cons. Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2020, n. 714): tale modifica è riscontrabile anche nei locali interrati ove, sia pur senza opere, veniva realizzata una sala hobby trasformando superfici originariamente destinata a cantina e ripostigli.
Tale destinazione del piano interrato, come anche la destinazione a lavatoio-stenditoio del primo piano è attestata dall’atto di acquisto dell’immobile da parte dell’appellante n. rep. 55848/8785 del 2 agosto 1995, richiamato dalla determinazione n. 56/2006.
La dedotta mancata indicazione da parte dell’amministrazione della esatta classificazione delle destinazioni, preesistente e successiva (C2 e A4), indicata espressamente solo in sentenza, è meramente formalistica avendo l’amministrazione descritto esaustivamente lo stato dei luoghi accertato specificando l’idoneità delle modifiche apportate a determinare una destinazione residenziale prima inesistente.
Il dedotto mancato sfruttamento dell’interra volumetria assentita, infine, è censura nuova formulata solo in appello e come tale è inammissibile (Cons. Stato, Sez. IV, 13 maggio 2022, n. 3769).
Per quanto precede l’appello deve essere respinto con condanna dell’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in € 3.000,00 oltre oneri di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 settembre 2022 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Stefano Toschei, Consigliere
Francesco De Luca, Consigliere
Marco Poppi, Consigliere, Estensore