Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1881, del 5 aprile 2013
Urbanistica.Abusivismo e acquisizione gratuita al patrimonio comunale del bene e relativa area di sedime e delle c.d. pertinenze urbanistiche
Mentre per l’area di sedime l’automatismo dell’effetto acquisitivo, che si verifica ope legis per effetto della mera inottemperanza all’ordine di demolizione, rende superflua ogni motivazione sul punto ulteriore alla semplice identificazione dell’abuso, l’individuazione dell’ulteriore area la cui acquisizione è parimenti doverosa secondo la disciplina dettata dall’art. 7, comma 3, l. n. 47 del 1985 va motivata, volta per volta, con l’esplicitazione delle modalità di delimitazione della stessa, proprio perché il legislatore non ha predeterminato, se non nel massimo, l’ulteriore area acquisibile, ma ha indicato un criterio per determinarla rapportato alla normativa urbanistica rilevante nel singolo caso; viene, dunque, delineato un procedimento di determinazione della c.d. pertinenza urbanistica da condurre di volta in volta sulla base di criteri di individuazione che tengano conto di quanto previsto dalle vigenti disposizioni urbanistiche per la realizzazione di opere analoghe a quelle abusive. Correlata alla determinazione quantitativa dell’area è anche, costituendo l’atto di accertamento di inottemperanza e di acquisizione titolo per la trascrizione nei registri immobiliari, la sua specifica delimitazione dal punto di vista localizzativo. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 01881/2013REG.PROV.COLL.
N. 01509/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1509 del 2012, proposto dal signor Giovanni Longobardo, rappresentato e difeso dall'avvocato Gennaro Barbirotti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Antonio Brancaccio in Roma, via Taranto, 18;
contro
Comune di Angri, non costituitosi nel secondo grado del giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - SEZ. STACCATA DI SALERNO: SEZIONE II n. 1306/2011, resa tra le parti, concernente ACQUISIZIONE GRATUITA AL PATRIMONIO COMUNALE PER INOTTEMPERANZA ALL'ORDINE DI DEMOLIZIONE OPERE ABUSIVE EDILIZIE.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2012 il Cons. Silvia La Guardia e udito per la parte appellante l’avvocato Rizzo, per delega dell'avvocato Barbirotti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso proposto dal signor Giovanni Longobardo per l’annullamento del provvedimento del Comune di Angri prot. n. 7838 del 23 marzo 1993 di accertamento dell’inottemperanza a precedente ordine di demolizione e di acquisizione gratuita al patrimonio comunale del bene e relativa area di sedime e delle c.d. pertinenze urbanistiche.
Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso ritenendo, in sintesi:
a) che il provvedimento è conforme al disposto del comma 3 dell’art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in quanto contenente l’indicazione, ritenuta esaustiva ai fini dell’individuazione dell’area oggetto di acquisizione, delle caratteristiche dimensionali del bene risultante dall’attività abusiva (“seminterrato di mq. 38, 50 e mc. 103,95”) nonché dell’area di sedime pari a “mq. 385,50 da distaccarsi dalla maggiore consistenza della part. 365 foglio 12”;
b) che siano tardive le contestazioni rivolte all’ordinanza di demolizione, cui è riconducibile anche quella tesa ad affermare l’attrazione dell’opera al regime delle pertinenze;
c) che sia infondata la tesi della natura di ristrutturazione delle opere, trattandosi di costruzione ex novo in cemento armato o, comunque, di totale trasformazione di preesistente baracca;
d) che sia infondata, in considerazione del carattere di atto dovuto e della natura meramente dichiarativa del verbale di inottemperanza, anche la censura di difetto di motivazione e altresì quella di violazione dei criteri di calcolo fissati dalla normativa, essendo stato rispettato il rapporto di 1/10 tra superficie abusivamente costruita e area oggetto di acquisizione, tenuto conto che l’area del manufatto (38,5 mq.) va ricompresa e non aggiunta all’area di sedime (385 mq.);
e) che sia irrilevante la richiesta di concessione in sanatoria del 1° marzo 1995, dimessa in vista dell’udienza di discussione, riferita ad opere distinte.
2.- L’appellante lamenta: 1) con riferimento alla quantificazione e alla lamentata mancanza di individuazione dell’area da acquisire, violazione dell’art. 7, comma 3, l. n. 47 del 1985, erronea e carente motivazione, erronea interpretazione del primo motivo di ricorso ed omessa pronuncia; 2) con riferimento alla pretesa natura di ristrutturazione delle opere realizzate, violazione degli artt. 7 e 9 l. n. 47 del 1985, in relazione all’art. 31, lett. d, stessa legge ed erronea motivazione; 3) violazione dell’art. 7, comma 3, della legge predetta, omessa pronuncia e violazione di legge, sostenendo che per il calcolo dovesse essere considerata la superficie utile e non quella lorda del manufatto e che su tale aspetto il giudice di primo grado non si era soffermato ed, inoltre, che l’amministrazione avrebbe finito per acquisire un’area pari a undici volte l’area di sedime; 4) eccesso di potere per erroneità del presupposto, carenza di istruttoria e della motivazione, travisamento dei fatti, sostenendo che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tar la domanda di sanatoria presentata dal signor Longobardo e prodotta in giudizio il 6 maggio 2011 era relativa a opere che comprendevano anche quella in questione, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere dichiarata l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, in relazione alla inefficacia dei precedenti provvedimenti sanzionatori determinata dalla presentazione della domanda di sanatoria, dovendo il Comune, anche in caso di reiezione della stessa, emettere una nuova ordinanza di demolizione.
Il Comune di Angri, ritualmente intimato, non si è costituito.
Con ordinanza n. 1221 del 2012 è stata accolta l’istanza cautelare.
3.- L’atto di appello è fondato limitatamente all’aspetto della quantificazione, non motivata, dell’entità dell’area da acquisire, e alla mancata specifica individuazione dell’area acquisita col provvedimento impugnato in primo grado.
Infondate sono, invece, le critiche, logicamente prioritarie, in quanto volte ad affermare, per un verso l’inapplicabilità della sanzione dell’acquisizione e, per altro verso la sopravvenuta inefficacia dei provvedimenti sanzionatori emessi dal Comune di Angri, esposte con i motivi II e VI.
Il secondo motivo di appello ripropone la censura secondo la quale le opere in questione costituivano ristrutturazione edilizia e, pertanto, erano sottoposte alla disciplina dell’art. 9 l. 28 febbraio 1985, n. 47, che non prevede acquisizione alcuna in caso di inottemperanza.
Fermo restando che lo stesso appellante riferisce che “il Sindaco del Comune di Angri ordinò la demolizione delle opere ai sensi dell’art. 7 L 47/85” e che, quindi, la censura tende, nella sostanza, ad inammissibilmente discutere la qualificazione dell’illecito operata dall’amministrazione con l’inoppugnato ordine di demolizione, la critica risulta comunque infondata, essendo pienamente condivisibile quanto argomentato dal Tar, che evidenzia come era rimasta del tutto indimostrata l’esistenza, valorizzata dal ricorrente, di una preesistenza, definita nella perizia di parte come “vecchia e fatiscente baracca”, e che nella stessa istanza di sanatoria avanzata ex art. 13 l. n. 47 del 1985 dall’interessato in data 31 agosto 1989 i lavori abusivi venivano descritti come consistenti nella sostanziale demolizione del manufatto e nella sua ricostruzione in cemento armato invece che in legno.
E’ stata, quindi, posta in essere una entità edilizia del tutto diversa da quella preesistente per caratteristiche costruttive e materiali utilizzati che rende l’intervento qualificabile come opera ex novo.
Si condivide, altresì, la statuizione del primo giudice che il seminterrato in questione non corrisponde alla descrizione (“capannone a piano terra con sottostante cantinato”) delle opere alle quali si riferisce la richiesta di concessione in sanatoria del 1° marzo 1995, considerato che la dimessa perizia non convince della identificabilità del manufatto oggetto di causa con parte delle opere cui si riferisce la predetta istanza di sanatoria. Anche il quarto motivo deve, dunque, essere respinto.
Con il primo ed il terzo motivo vengono riproposte le contestazioni relative alla determinazione dell’entità e alla mancata localizzazione dell’area da acquisire. In sintesi, l’odierno appellante lamenta che senza motivazione alcuna sia stata direttamente disposta l’acquisizione dell’entità massima prevista dalla legge, pari a dieci volte la superficie utile del bene abusivamente realizzato – ed anzi di un’entità ancora maggiore, che finiva per essere pari a 11 volte la superficie lorda del manufatto -, senza tener conto del criterio di calcolo della superficie da acquisire stabilito dall’art. 7, comma, 3 l. n. 47 del 1985, riferito a quanto, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, necessario alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive. L’applicazione di tale parametro, soggiunge l’appellante, avrebbe comportato, nel caso concreto - prevedendo le NTA dell’allora vigente PRG, per gli opifici industriali esistenti in zona agricola, la possibilità di ampliamento secondo l’indice della zona industriale, ossia 2 mc./mq. - l’acquisizione di c.d. pertinenze urbanistiche per mq. 51,975, superficie di gran lunga inferiore a quella di 385 mq. indicata nel provvedimento acquisitivo, senza neppure individuare quale fosse la parte del maggior lotto, corrispondente a tale metratura, che veniva acquisita.
Il provvedimento impugnato in primo grado si riferisce al seminterrato per mq. 38,50 e mc. 103,95 e alla relativa area di sedime per mq. 385 da distaccarsi dalla maggiore consistenza della particella 365 figlio 12. E’ chiaro dal tenore dell’atto che viene acquisita una complessiva superficie di 385 mq., comprensiva del vero e proprio sedime del fabbricato, e non di 423,50 mq. (pari a 11 volte la superficie dell’abuso) come paventato dall’appellante.
Ritiene la Sezione che tali indicazioni quantitative, peraltro, come condivisibilmente rilevato dall’odierno appellante, non possono ritenersi esaustive ai fini dell’individuazione dell’oggetto dell’acquisizione e idoneamente motivate, in considerazione della natura del provvedimento, come ritenuto dal primo giudice.
Mentre, infatti, per l’area di sedime l’automatismo dell’effetto acquisitivo, che si verifica ope legis per effetto della mera inottemperanza all’ordine di demolizione, rende superflua ogni motivazione sul punto ulteriore alla semplice identificazione dell’abuso, l’individuazione dell’ulteriore area la cui acquisizione è parimenti doverosa secondo la disciplina dettata dall’art. 7, comma 3, l. n. 47 del 1985 va motivata, volta per volta, con l’esplicitazione delle modalità di delimitazione della stessa, proprio perché il legislatore non ha predeterminato, se non nel massimo, l’ulteriore area acquisibile, ma ha indicato un criterio per determinarla rapportato alla normativa urbanistica rilevante nel singolo caso; viene, dunque, delineato un procedimento di determinazione della c.d. pertinenza urbanistica da condurre di volta in volta sulla base di criteri di individuazione che tengano conto di quanto previsto dalle vigenti disposizioni urbanistiche “per la realizzazione di opere analoghe a quelle abusive”.
Correlata alla determinazione quantitativa dell’area è anche, costituendo l’atto di accertamento di inottemperanza e di acquisizione titolo per la trascrizione nei registri immobiliari, la sua specifica delimitazione dal punto di vista localizzativo.
In altri termini, mentre una specifica motivazione sulla estensione da acquisire non occorre, quando è rilevata la gravità dei fatti accaduti ovvero sono evidenziate le opere ritenute opportune per l’adeguata fruizione dell’immobile ormai acquisito al patrimonio indisponibile, occorre enunciarne le relative ragioni quando si intenda acquisire l’area nel massimo de rapporto proporzionale consentito dalla legge..
Nei limiti anzidetti, l’appello deve, per le esposte ragioni, essere accolto, con riforma della sentenza impugnata, in parte qua, e salvi gli ulteriori doverosi provvedimenti dell’autorità amministrativa
La parziale reciproca soccombenza giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 1509 del 2012, lo accoglie in parte, nei limiti di cui in motivazione, e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado n. 1546 del 1993 nei limiti di cui in motivazione e annulla, limitatamente alla determinazione dell’area acquisita ulteriore a quella di sedime dell’abuso, il provvedimento impugnato, salvi gli ulteriori doverosi atti.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Aldo Scola, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Silvia La Guardia, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/04/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)