Consiglio di Stato Sez. VI n. 3773 del 19 giugno 2018
Urbanistica.Ordine di demolizione e decorso del tempo dalla realizzazione dell’abuso

Il trascorrere del tempo non può incidere sull'ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l'illecito edilizio attraverso l'adozione della misura repressiva prescritta, dovendo escludersi che l'ordinanza di demolizione, sebbene adottata dopo un periodo di tempo assai considerevole dalla realizzazione dell’abuso, debba essere motivata anche sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità. Nel caso di tardiva emanazione del provvedimento di demolizione di un abuso edilizio, la mera inerzia da parte dell’Amministrazione nell’esercizio del relativo potere/dovere non è idonea a far divenire legittimo ciò che è sin dall’origine illegittimo: tale inerzia – di cui non si può certo dolere l’interessato che continua ad utilizzare un bene che non doveva essere realizzato e che deve essere rimosso - non può certamente radicare un affidamento di carattere legittimo in capo al proprietario dell’abuso


Pubblicato il 19/06/2018

N. 03773/2018REG.PROV.COLL.

N. 06525/2015 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6525 del 2015, proposto dal Centro Nautico Fusina s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefano Capo e Nicola Di Pierro, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Nicola Di Pierro in Roma, via Tagliamento, n. 55;

contro

il Comune di Venezia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Nicoletta Ongaro, Niccolò Paoletti, Antonio Iannotta e Maurizio Ballarin, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Nicolò Paoletti in Roma, via Barnaba Tortolini, 34;
e la Provincia di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituitasi in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto - sezione seconda - n. 693 del 2015, resa tra le parti;


Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Venezia;

Vista l’ordinanza collegiale della sezione n. 3985 del 2017 di accoglimento della istanza di misure cautelari;

Viste le memorie depositate dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 3 maggio 2018 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti l’avvocato Federica Scafarelli, su delega dell'avvocato Stefano Capo, per la società appellante, e l’avvocato Ginevra Paoletti, in dichiarata delega dell’avvocato Nicoletta Ongaro, per il Comune appellato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

In data 30 settembre 1986, la società “Centro Nautico Fusina srl”, ricorrente in primo grado e odierna appellante (e proprietaria di un’area sita nel territorio del Comune di Venezia, lungo la riva del Naviglio Brenta, in località Moranzani – Fusina, sottoposta a vincolo paesaggistico e a vincolo ex lege n. 431 del 1985, oggetto di un contratto di comodato in favore della associazione Nauticlub 11 Fusina, ove viene svolta attività di alaggio, rimessaggio, custodia e manutenzione di imbarcazioni), presentava una istanza di condono.

Con il provvedimento n. 30738/01 del 25 settembre 1996, il Comune respingeva l’istanza relativamente ai manufatti in lamiera e ai container, richiamando il parere negativo reso dalla Commissione beni ambientali della Provincia di Venezia con atto del 6 luglio 1993, con il quale era stata rilevata l’incompatibilità di tali opere col paesaggio e l’ambiente, in quanto inserite in un contesto di pregevole bellezza ambientale, per l’uso dei materiali, tecnologie e morfologia costruttiva, (esse) alterano l’ambiente circostante incidendo negativamente sulle motivazioni stesse che stanno alla base del vincolo.

In data 3 settembre 1997, il Comune, con provvedimento n. 53548/30738/00, in merito alla medesima istanza di sanatoria, dava il proprio assenso limitatamente alle opere eseguite abusivamente e consistenti nel cambio d’uso dell’area da agricola ad artigianale per rimessaggio barche a cielo aperto, con esclusione di tutti i manufatti per i quali era stato invece espresso il sopra menzionato diniego n. 37038/01 del 25 settembre 1996.

In data 12 agosto 2014 il Comune emanava due ordinanze di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi.

Più precisamente, a seguito di un sopralluogo svolto il 22 ottobre 2013, con l’ordinanza n. 2014/339087, l’Amministrazione ingiungeva la demolizione delle costruzioni realizzate (un edificio a uso ufficio realizzato dall’accostamento di tre containers su di una platea di cemento, un box prefabbricato utilizzato come servizi igienici, tre tettoie, un manufatto adibito a sala riunioni, un manufatto utilizzato come deposito e officina, e un magazzino), e con l’ordinanza n. 2014/339032 del 12 agosto 2014 disponeva la demolizione delle opere qualificate come esterne, consistenti in un manufatto adibito a deposito delle pompe idrauliche, in una recinzione infralotto in rete metallica con due cancelli, uno pedonale e l’altro carraio, e nella recinzione a nord posta ortogonalmente alla precedente, in un cancello posto nella recinzione a sud verso il naviglio Brenta, in una recinzione infralotto presso l’ingresso, nella tombinatura di una scolina agricola, nella pavimentazione in lastre di ghiaino e nel cambio di destinazione d’uso da agricolo ad artigianale di una porzione di terreno di circa m. 30 per 15, per una superficie di mq 450.

La società proponeva tre ricorsi dinanzi al TAR del Veneto: il n. 956 del 1997, il n. 364 del 1998 e il n. 1252 del 2014.

Col primo, il Centro nautico Fusina impugnava, con quattro motivi, il diniego di sanatoria di cui al citato provvedimento del 25 settembre 1996.

Con il ricorso n. r. g. 364 del 1998, la società contestava con due censure la concessione in sanatoria del 3 settembre 1997, limitatamente alla previsione che limita la destinazione dell’area a rimessaggio a cielo aperto.

Con il ricorso n. r. g. 1252 del 2014, la società impugnava, con quattro motivi, le ordinanze di demolizione del 12 agosto 2014, sopra indicate.

Nella resistenza del Comune, il TAR del Veneto, previa riunione dei tre ricorsi, con la sentenza in epigrafe ha respinto i primi due ricorsi e, in parte, anche il terzo; e ha accolto in parte il ricorso n. r. g. 1252 del 2014 annullando, per l’effetto, l’ordinanza n. 2014/339032 del 12 agosto 2014, limitatamente alla parte in cui ha disposto la demolizione delle recinzioni.

Avverso tale sentenza, il Centro nautico ha interposto appello con svariati motivi, non specificamente rubricati.

Il Comune si è costituito per resistere.

L’istanza di misure cautelari è stata accolta, avendo la sezione ritenuto di dover mantenere la situazione di fatto inalterata sino alla decisione nel merito della presente controversia.

Nella udienza del 31 maggio 2018, dopo che erano stati chiesti dalle parti, e accordati dal collegio, due rinvii, la causa è passata in decisione.

2. L'appello è infondato è va respinto.

2.1. Preliminarmente, non risulta accoglibile la (terza) domanda di rinvio, formulata dalle parti in prossimità della udienza pubblica del 3 maggio 2018, motivata dalla circostanza secondo cui la delibera comunale inerente alla approvazione del progetto presentato dalla società appellante è probabile vada in discussione in una delle prossimesedute utili.

Sul punto, va osservato che su domanda di entrambe le parti costituite era già stato disposto un duplice rinvio in precedenti udienze e che non sono state esposte ragioni gravi, inerenti alle esigenze di tutela del diritto di difesa.

Nel sistema della giustizia amministrativa, una volta fissata l’udienza di trattazione del ricorso il giudizio deve essere definito e, anche in considerazione degli interessi pubblici coinvolti (Cons. Stato, sez. V, 22 febbraio 2016, n. 700; sez. V, 29 dicembre 2014, n. 6414), la parte ricorrente non ha un diritto al rinvio della discussione ( Consiglio di Stato, Sez. V, 22 febbraio 2010, n. 1032; id., 7 ottobre 2008, n. 4889).

2.2.1. Con il primo motivo l'appellante deduce il travisamento dei fatti nel quale sarebbe incorsa la sentenza di primo grado nell’affermare che il parere dato dalla Commissione provinciale risulta adeguatamente motivato con riferimento al pregiudizio arrecato dai manufatti ai caratteri ambientali e paesaggistici della zona. Tale motivazione, prosegue il parere, si fonderebbe sui diversi sopralluoghi effettuati in loco.

A detta dell'appellante, tuttavia, il giudice di primo grado non avrebbe considerato il fatto che la Commissione consultiva provinciale avrebbe reso il parere negativo senza avere verificato in concreto la consistenza e la morfologia di tali manufatti.

Ove si volesse prendere in considerazione il sopralluogo svolto da un tecnico del Comune di Venezia il 10 giugno 1986, si dovrebbe convenire sul fatto che il rapporto suddetto non conteneva riferimento alcuno alla incidenza delle opere sulla zona vincolata, né rappresentazione alcuna della collocazione delle stesse nel contesto tutelato; il rapporto era privo di indicazioni sul come i materiali incidessero negativamente sul contesto ambientale, contenendo unicamente la descrizione degli edifici e dei materiali da cui tali opere abusive sono composte.

Il motivo non è fondato.

Occorre convenire con il giudice di primo grado nel riconoscere la coerenza del parere negativo espresso dalla Provincia di Venezia che, nel consentire il mutamento d'uso per l'attività di ricovero e di manutenzione dei natanti, effettuando una distinzione tra attività e manufatti compatibili con la permanenza in loco - rimessaggio e custodia delle imbarcazioni, tipiche del contesto fluviale e lagunare dell’area – e, invece, incompatibili, ha fatto ricadere tra queste ultime quelle strutture che per materiali, tecnologia e morfologia costruttiva, alterano l’ambiente circostante, comportando un impatto edilizio rilevante, tale da modificare i caratteri ambientali e paesaggistici della zona, con ciò vanificando la ragion d’essere del vincolo.

L'attività di rimessaggio, ricovero e manutenzione delle imbarcazioni – secondo una valutazione compiuta dall’Amministrazione e sindacabile dal giudice amministrativo per difetto di motivazione, manifesta irrazionalità ovvero travisamento di fatto decisivo, elementi nella specie insussistenti - ha trovato legittimazione, da parte dell’autorità amministrativa, unicamente nelle modalità c. d. a cieloaperto in cui la stessa veniva svolta, con la presenza cioè delle sole strutture strettamente indispensabili, e caratteristiche di quella particolare attività di carattere nautico, e senza altre strutture, ritenute impattanti per la zona, a destinazione agricola e sottoposta a vincolo, e considerate comunque degradanti nel contesto in esame, posto a ridosso del Naviglio Brenta, a meno di 100 metri dall’argine.

Tali aspetti sono stati correttamente presi in considerazione nella sentenza.

Quanto al rilievo per cui la Commissione provinciale avrebbe reso il parere senza avere visto i manufatti, sulla base delle dimensioni dei medesimi, e dello stato dei luoghi così come “attestati” nel verbale di sopralluogo del 1986, questo collegio ritiene che, avuto riguardo alle dimensioni dei manufatti e alle risultanze del verbale di sopralluogo, l’allegazione di documentazione fotografica non era da considerarsi indispensabile per poter affermare, come è stato fatto, che le caratteristiche costruttive erano eccessivamente impattanti.

Bene quindi in sentenza si osserva che la motivazione (del parere della Commissione,) che distingue tra interventi ritenuti incompatibili ed interventi ritenuti incompatibili, è sufficiente a rendere palesi ed intellegibili le ragioni poste a fondamento del diniego, che sono le medesime che avevano indotto il Comune ad adottare la precedente ordinanza di demolizione prot. n. 8/9/281/291 del 1° agosto 1986, emanata a seguito di sopralluoghi ed accertamenti in loco e che fanno riferimento ad una verifica in concreto dell'incidenza delle nuove opere sugli interessi presidiati dal vincolo. Infatti, con valutazioni tecnico discrezionali che appaiono immuni da vizi logici, sono state ritenute incompatibili le costruzioni comportanti un impatto edilizio rilevante ed idoneo ad alterare i caratteri ambientali e paesaggistici, e compatibile lo svolgimento dell’attività di rimessaggio e custodia delle imbarcazioni, con gli impianti di sollevamento, perché tipico dell’attività nautica del contesto fluviale e lagunare dell’area.

Peraltro l’affermazione secondo la quale l’attività di alaggio, rimessaggio, custodia e manutenzione delle imbarcazioni non potrebbe essere svolta senza il mantenimento degli immobili per i quali è stata respinta la domanda di condono, è del tutto indimostrata, potendosi tutt’al più ravvisare una maggiore o minore fruibilità dell’attività in ragione della presenza dei locali accessori, e comunque costituisce una circostanza ininfluente ai fini dello scrutinio della legittimità del diniego motivato con riferimento all’incompatibilità con i valori paesaggistici dell’area, in ragione degli autonomi presupposti sui quali si esprime la commissione provinciale a tutela del paesaggio.

La presenza di tale motivazione posta a corredo del diniego, e l’intelligibilità delle valutazioni che, a tutela degli specifici interessi paesaggistici, hanno indotto l’Amministrazione ad assentire solo alcuni interventi ma non i manufatti realizzati con i container, comportano la reiezione delle (prime due) censure dedotte.

2.2.2. Con il secondo motivo, l'appellante censura la statuizione, trascritta sopra, con la quale il TAR ritiene che l'attività di rimessaggio, custodia e manutenzione dei natanti possa essere svolta senza il mantenimento dei manufatti oggetto del diniego di sanatoria (con l’esclusione di tuttii manufatti come da diniego…del 25.9.1986), e ciò sul presupposto che la presenza di locali accessori inciderebbe esclusivamente sulla maggiore o minore fruibilità dell'attività rendendone solo più difficoltoso lo svolgimento. Per l'appellante, al contrario, nessuna attività potrebbe essere svolta in assenza di strutture “accessorie”. E sarebbe illogico assentire lo svolgimento di un’attività artigianale senza che vengano concessi gli strumenti per svolgerla.

Anche tale motivo non è fondato, atteso che il mutamento di destinazione dell’area da agricola ad artigianale esclusivamente per il rimessaggio delle barche a “cielo aperto” non giustifica di per sé né una modifica della disciplina urbanistica e tantomeno paesaggistica e neppure, quindi, la costruzione di fabbricati a supporto dell’attività dapprima svolta in modo abusivo, permanendo la destinazione agricola originaria e il vincolo.

Anche sotto questo profilo, dunque, la statuizione del primo giudice va confermata.

2.2.3. Con il terzo motivo, parte appellante deduce l'erroneità della sentenza per non avere il TAR considerato censurabile la decisione di Comune e Provincia di suggerire / imporre modificazioni alle strutture per adeguarle all’ambiente, vista la sanatoria accordata alla attività.

Si sostiene in particolare che l’Amministrazione avrebbe dovuto, coerentemente con la decisione di “sanare l'attività”, dare parere favorevole “al condono degli edifici” impartendo nel contempo ‘prescrizioni’ relative ad aspetti (asseritamente) incongrui degli stessi.

L’appellante deduce la compatibilità tra l’accoglimento della istanza di condono e la prescrizione dialcuni accorgimenti.

Anche tale motivo è infondato e va respinto.

Il giudice di primo grado ha infatti valutato in modo condivisibile la legittimità dei provvedimenti impugnati, evidenziando come sia stata accolta la domanda di sanatoria edilizia, ai sensi degli artt. 31 e seguenti della legge 28 febbraio 1985, n. 47, limitatamente al cambio d’uso dell’area da destinazione agricola ad artigianale per rimessaggio della barche a cielo aperto, (il che) rende legittimo lo svolgimento dell’attività prima svolta in modo abusivo, ma non può conferire alcun ulteriore beneficio, dato che l'istituto del condono edilizio si limita ad adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, con il rilascio di un titolo che consente l'ulteriore utilizzazione dell’immobile, senza legittimare lo svolgimento di ulteriori lavori o attività eccedenti la situazione in atto (cfr. ex pluribus Consiglio di Stato, Sez. V, 10 febbraio 2015, n. 673…).

Da tali premesse discende che l’accoglimento della domanda di condono non comporta una automatica variazione della destinazione urbanistica del terreno ove insiste l'attività condonata, né una modifica della disciplina urbanistica.

Ne consegue che nel caso all’esame la destinazione urbanistica dell’area rimane quella originaria, di tipo agricolo, e che le facoltà edificatorie (che prevedono limiti soggettivi ed oggettivi) rimangono quelle proprie delle zone territoriali omogenee di tipo agricolo, mentre per effetto dell’accoglimento della domanda di condono, sull’area di tipo agricolo può svolgersi solo l’attività economica o imprenditoriale cristallizzata dal provvedimento di condono, senza che, in mancanza di una variazione degli strumenti urbanistici, possa consentirsi una destinazione difforme da quella allora in atto o lo svolgimento di qualsivoglia attività artigianale… pertanto, è corretta l’indicazione contenuta nel provvedimento di concessione in sanatoria n. 53548/30738/00 del 3 settembre 1997, circa la necessità che l’attività sia svolta a cielo aperto… .

Ogni deduzione ulteriore potrebbe concretizzarsi in una pretesa a che questo giudice oltrepassi il limite invalicabile del sindacato di legittimità, sconfinando in una attività sostitutiva di quella esercitata in sede amministrativa, il che non è ammissibile.

2.2.4. Ancora, l'appellante critica la sentenza rilevando come il TAR non avrebbe correttamente accertato la situazione di fatto.

E invero, una corretta indagine avrebbe appurato che le strutture, ritenute negativamente impattanti, erano in realtà quasi “invisibili” in quanto inserite in un contesto già degradato (lo stato dei luoghi evidenziava una situazione di degrado nell’area circostante a quella della ricorrente).

Ciò avrebbe dovuto indurre a un atteggiamento di tolleranza ambientale anche per i manufatti in lamiera e per i containers.

Anche questo motivo è infondato.

La circostanza che una zona sia già degradata non solo non fa venire meno l'esigenza di valorizzarla e comunque di evitare interventi peggiorativi ulteriori, dato che un eventuale atto di assenso non può fondarsi sull’accettazione di uno stato di fatto illecito, illegittimo e comunque non coerente con i contenuti del vincolo paesaggistico, ma impone di ‘salvare il salvabile’.

La tesi dell’appellante basata sull’esigenza di manifestare “tolleranza ambientale” è dunque infondata, in quanto contrastante con i principi – anche costituzionali – in tema di salvaguardia delle aree vincolate.

2.2.5. Con un motivo ulteriore, il quinto (e la disamina si sposta, così, sulle statuizioni del TAR attinenti alle ordinanze di demolizione di opere e di ripristino dello stato dei luoghi del 12 agosto 2014), l'appellante deduce che il TAR avrebbe erroneamente respinto la censura imperniata sulla violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241 del 1990, argomentando in ragione della natura vincolata dei provvedimenti di demolizione.

Il motivo di appello è infondato e va respinto, dato che viene in questione un procedimento avviato d'ufficio e avente carattere strettamente vincolato (cfr. art. 21 – octies, comma 2, della l. n. 241 del 1990).

Il mancato invio dell’avviso di avvio del procedimento di cui all'art. 7 della l. n. 241 del 1990, o del preavviso previsto dall'art. 10 bis l. cit. non comportano l'illegittimità del provvedimento lesivo finale quando il suo contenuto sia vincolato e non possa essere modificato sulla base di eventuali osservazioni del destinatario (giurisprudenza pacifica).

2.2.6. Ugualmente infondato e da respingere è il sesto motivo, con il quale l'appellante critica la sentenza nella parte in cui non realizza che la recinzione non è l'unico manufatto sanato, ma lo sono anche i due varchi, con relativo cancello, realizzati lungo la medesima recinzione.

Il vizio dedotto comporta l’esame della statuizione con cui il TAR ha annullato l'ordinanza n. 2014/339032 del 12 agosto 2014 nella parte in cui il Comune ha disposto l'ordine di demolizione delle opere “esterne”, precisando che le sole recinzioni in quanto già sanate vadano escluse.

Dalla analisi della statuizione appare evidente che il TAR ha considerato, nell'oggetto dell'esclusione, anche i due varchi realizzati lungo la recinzione medesima: dal che, la carenza d’interesse al motivo.

2.2.7. Con la settima censura, l'appellante deduce l'erroneità della sentenza per avere ritenuto irrilevante e comunque priva di fondamento la doglianza inerente all’affermata insufficienza della motivazione dell'ordine di demolizione, in ragione del considerevole lasso di tempo intercorso dall'abuso; l’ordine di demolizione è stato emesso dal Comune dopo che era stata rilasciata l’autorizzazione allo scarico per quei servizi igienici di cui ora viene chiesta la demolizione.

Il motivo è infondato, dato che il fatto che sia trascorso molto tempo dall’abuso non obbliga l’Amministrazione a una motivazione “rinforzata” della ingiunzione di demolizione, e ciò sia perché vengono in questione atti vincolati, i quali non richiedono una valutazione specifica di ragioni di interesse pubblico, e sia perché i manufatti de quibus si trovano entro un’area sottoposta a vincolo e sono privi di autorizzazione paesaggistica (cfr. , amplius, Cons. Stato, Ad. plen. n. 9 del 2017).

Il trascorrere del tempo non può incidere cioè sull'ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l'illecito edilizio attraverso l'adozione della misura repressiva prescritta, dovendo escludersi che l'ordinanza di demolizione, sebbene adottata dopo un periodo di tempo assai considerevole dalla realizzazione dell’abuso, debba essere motivata anche sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità.

Nel caso di tardiva emanazione del provvedimento di demolizione di un abuso edilizio, la mera inerzia da parte dell’Amministrazione nell’esercizio del relativo potere/dovere non è idonea a far divenire legittimo ciò che è sin dall’origine illegittimo: tale inerzia – di cui non si può certo dolere l’interessato che continua ad utilizzare un bene che non doveva essere realizzato e che deve essere rimosso - non può certamente radicare un affidamento di carattere legittimo in capo al proprietario dell’abuso (Sez. VI, 2 maggio 2018, n. 2612; Sez. VI, 26 marzo 2018, n. 1887).

E’ dunque condivisibile l’osservazione del TAR, per la quale non può ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può di per sé legittimare.

D’altra parte, nella specie il Comune si è attivato sotto l’aspetto repressivo sin dal 1986, con l’ordinanza n. 8/9/281/109 del 1° agosto.

2.2.8. Infine, con l'ottavo motivo l’appellante censura l'errore che avrebbe commesso il primo giudice nell’avere disatteso la sua istanza di nomina di un consulente tecnico.

Anche tale ultima censura non può essere accolta.

Il TAR ha, infatti, in maniera convincente, respinto l’istanza istruttoria sull’assunto che la consulenza tecnica non può essere accordata per supplire alle mancanze delle proprie allegazioni ovvero per compiere indagini esplorative alla ricerca di elementi di fatto o circostanze non provati”.

Infine, in modo coerente il Collegio ha ritenuto di non ammettere neppure la prova testimoniale, perché, per come sono articolati i quesiti, ha ad oggetto fatti e circostanze, quali l’identificazione di eventuali ulteriori manufatti per i quali sarebbe stata accolta la domanda di condono, che possono essere provate solo documentalmente e che sono smentite da quanto risulta dai provvedimenti impugnati, e sono altresì prive di riscontri nella documentazione allegata al ricorso (è stata prodotta documentazione che comprova l’accoglimento del condono oltre che per il cambio di destinazione d’uso dell’area da agricola ad artigianale, solo per la recinzione).

D’altra parte, di per sé il successivo rilascio di una concessione in ampliamento di specchio acqueo per installare pontili e passerelle, e di un’autorizzazione paesaggistica sul punto, è irrilevante per la definizione della attuale controversia.

Sulla base delle considerazioni esposte sopra l'appello va respinto e la sentenza impugnata confermata.

Le spese del secondo grado del giudizio sono poste a carico della parte appellante nella misura indicata nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 6525 del 2015, come in epigrafe proposto, lo respinge confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.

Condanna la società appellante a rifondere al Comune di Venezia le spese del presente grado del giudizio, che si liquidano in complessivi € 3.000,00 (euro tremila/00), oltre agli accessori come per legge, se dovuti.

Dispone che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3 maggio 2018, con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere, Estensore

Francesco Mele, Consigliere

Oreste Mario Caputo, Consigliere

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Marco Buricelli        Luigi Maruotti