Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 498, del 28 gennaio 2013
Urbanistica.Legittimità dei manufatti “risalenti”

La legittimità dei manufatti “risalenti” in mancanza di licenza edilizia, è predicabile, esclusivamente per quelli realizzati “sino alla data del 1.9.1967 (data di entrata in vigore della L. n. 765/1967, legge-ponte)” e all’ulteriore condizione che si trattasse di edificazione al di fuori dei centri abitati. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00498/2013REG.PROV.COLL.

N. 07221/2008 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7221 del 2008, proposto da: 
Innocenti Clara, Berti Alejandro e Berti Fioremma, rappresentati e difesi dall'avv. Mario Bovecchi, con domicilio eletto presso il medesimo (studio legale avv. Rosa Carlo) in Roma, via Annia Regilla, 137;

contro

Comune di Pietrasanta, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Luisa Gracili, con domicilio eletto presso Mario Sanino in Roma, viale Parioli, 180; 
Ministero per i beni culturali e ambientali -Soprintendenza per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici di Pisa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Calafiore Gaetana, rappresentata e difesa dall'avv. Duccio M. Traina, con domicilio eletto presso Duccio M. Traina in Roma, via G. Carducci, 4;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. TOSCANA - FIRENZE: SEZIONE III n. 37/2008, resa tra le parti, concernente CONCESSIONE IN SANATORIA E DEMOLIZIONE OPERE ABUSIVE



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero per i beni culturali e ambientali -Soprintendenza per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici di Pisa e di Calafiore Gaetana;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 giugno 2012 il Cons. Silvia La Guardia e uditi per le parti gli avvocati Tommasi per delega di Bovecchi, Izzo per delega di Gracili , dello Stato Meloncelli, e Paoletti per delega di Traina;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1.- Con provvedimento di data 14 settembre 1998 la Soprintendenza per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici di Pisa ha annullato l’autorizzazione ambientale n. 336/98 rilasciata dal Comune di Pietrasanta nell’ambito del procedimento di condono richiesto in data 13 marzo 1986 da Berti Amedeo, comproprietario con la moglie Innocenti Clara, relativamente ad un manufatto in legno ad uso ripostiglio in via Asmara n. 49, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.

Hanno fatto seguito il diniego di concessione in sanatoria adottato il 24 febbraio 2003 e l’ordinanza di demolizione datata 21 agosto 2006.

2.- Detti provvedimenti sono stati impugnati dalla signora Innocenti Clara unitamente agli altri eredi del signor Berti Amedeo con tre distinti ricorsi (rispettivamente n. 4242/98, n. 969/03 e n. 535/07), riuniti e decisi dall’adito Tribunale amministrativo regionale per la Toscana con la sentenza n. 37 del 2008 oggetto del presente appello; il giudice di primo grado ha dichiarato inammissibile il primo ricorso, proposto avverso l’atto della Soprintendenza, perché notificato alla predetta presso la sua sede di Pisa e non nel domicilio ex lege presso l’Avvocatura dello Stato, ed ha respinto gli altri due, ritenendo, in estrema sintesi, doversi escludere la formazione del preteso silenzio assenso sulla domanda di condono ex art. 35, comma 13, l. 28 febbraio 1985, n. 47, insussistente l’addotta violazione dell’art. 7 l. 7 agosto 1990, n. 241, idonea la motivazione del diniego per relazione al decreto di annullamento della Soprintendenza, del tutto vincolata l’attività di repressione dell’illecito amministrativo permanente e pertanto non necessaria particolare motivazione sul pubblico interesse alla demolizione pur a distanza di molto tempo dalla realizzazione dell’opera abusiva, non operante, ex art. 2909 cod. civ., nei confronti dell’amministrazione l’invocata sentenza del Tribunale di Lucca che aveva accertato la realizzazione dell’abuso prima del 1968, rilevando, inoltre, che “La data di realizzazione dell’abuso, poi, è indicata nel 1975 nella stessa istanza di condono del 13.3.86.”.

3.- La sentenza è gravata dagli odierni appellanti con la deduzione di motivi che possono così sintetizzarsi: a) omessa pronuncia su questione fondamentale esposta nei tre ricorsi presentati; b) erroneità con riguardo al valore probatorio della sentenza del Tribunale di Lucca sulla data di realizzazione del manufatto; c) erroneità in punto di necessità di adeguata motivazione dei provvedimenti circa l’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso a distanza di circa quarant’anni dalla sua realizzazione; d) incongrua liquidazione delle spese in relazione alla fattispecie trattata e all’attività difensionale della Soprintendenza.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali, il Comune di Pietrasanta e la controinteressata signora Calafiore Gaetana (in aderenza a parete della cui abitazione è stato costruito il manufatto in questione).

Dimesse memorie, la causa è stata posta in decisione all’udienza del 22 giugno 2012.

4.- Con il primo motivo gli appellanti lamentano che il Tribunale amministrativo abbia “totalmente omesso di pronunciarsi sull’aspetto fondamentale dell’intera controversia” , trascurando che in ciascuno dei tre ricorsi era stato posto in risalto il vizio di disparità di trattamento in cui sarebbero incorsi tanto la Soprintendenza che il Comune di Pietrasanta, a suffragare il quale era stata “depositata ampia documentazione, corredata di fotografie, contenente i pareri favorevoli espressi dalla Soprintendenza relativamente a numerosissime fattispecie di costruzioni perfettamente identiche a quella in oggetto: cosicchè si profilava quanto mai inspiegabile la resipiscenza della Soprintendenza proprio per il (solo) box in questione”.

La riproposta censura di disparità di trattamento non può trovare accoglimento. Il ricorso avverso l’asseritamente disparitario provvedimento della Soprintendenza, determinato da ragioni di incompatibilità con il vincolo paesaggistico, è stato definito in rito, con declaratoria della relativa inammissibilità, e tale capo della sentenza n. 37 del 2008 non è stato impugnato ed è passato in giudicato. Ne consegue l’improcedibilità della censura ripresentata nei confronti del conseguente diniego di condono, che nell’ormai indenne decreto della Soprintendenza trova il proprio diretto ed esclusivo presupposto, e dell’ordinanza di demolizione strettamente consequenziale al diniego di sanatoria. Tali atti, del resto, si presentano come del tutto vincolati e pertanto non è configurabile in relazione ai medesimi il vizio di disparità di trattamento, che postula una componente discrezionale dell’attività amministrativa (cfr., in tal senso, ad esempio, Cons. Stato, Sez. IV, 27 dicembre 2011, n. 6873); la censura è, quindi, comunque infondata.

Non persuade anche la riproposta censura secondo la quale l’amministrazione comunale, prima di adottare l’ordinanza di demolizione, avrebbe dovuto riesaminare la questione alla luce della sentenza n. 74 del 2005 resa dal Tribunale di Lucca in un contenzioso tra gli odierni appellanti e la vicina signora Calafiore, che aveva riscontrato la realizzazione del manufatto in epoca antecedente l’11.2.1968; sentenza segnalata all’amministrazione in occasione delle deduzioni presentate a seguito della comunicazione dell’avvio del procedimento sanzionatorio per infrazione edilizia.

Gli appellanti sostengono che dalla datazione del manufatto contenuta nella relazione del CTU richiamata nella predetta sentenza “discende che lo stesso non aveva alcun bisogno di essere condonato né poteva essere sanzionato, non necessitando di alcun titolo edificatorio, stante la sua posizione al di fuori del centro storico” e lamentano che “sbrigativo e semplicistico” sia il rilievo del giudice di primo grado della non opponibilità della sentenza stessa all’amministrazione estranea a quel giudizio; contestano che il Tar non abbia tenuto in alcuna considerazione gli accertamenti allora svolti, malgrado la particolare affidabilità delle prove raccolte e senza quantomeno disporre una nuova perizia, e ciò in contrasto col principio di economia processuale e comunque immotivatamente, non potendosi considerare adeguato il riferimento alla data indicata nella domanda di condono; osservano che l’aver preferito un simile elemento rispetto al complesso probatorio sulla cui base si era formato il convincimento di altro organo giudicante costituirebbe“eccessiva ingenuità”, stante la notoria imprecisione o infedeltà delle dichiarazioni dei privati contenute nelle istanze di condono.

Contrariamente all’avviso degli appellanti, questo Collegio reputa che la conclusione cui, sulla base delle stringate argomentazioni sopra riferite, è giunto il Tar sia condivisibile. La valorizzata sentenza del Tribunale di Lucca non costituisce, infatti, elemento idoneo a paralizzare l’azione repressiva dell’amministrazione, imponendole, come preteso, un riesame della questione, in quanto non solo non “fa stato” nei confronti dell’amministrazione, tenuta invece a non trascurare quanto risultante agli atti del procedimento e così, in particolare, l’indicazione sull’epoca di realizzazione dell’abuso contenuta nella domanda di condono, ma neppure fornisce elementi atti a comprovare la legittimità del manufatto e con essa l’insussistenza del presupposto sostanziale per l’applicazione della sanzione ripristinatoria.

Quanto al primo aspetto, la pronuncia civile, come esattamente rilevato dal primo giudice, non spiega alcuna efficacia di giudicato nei confronti della amministrazione terza; i fatti in quella sede accertati, quindi, rilevano come elementi di giudizio da valutare nel complesso degli altri elementi in atti e il prevalente risalto condivisibilmente dato dal Tar all’indicazione dell’epoca (1975) di completamento del manufatto, nella precisa consistenza di cui alla domanda di condono, ivi indicata non pare potersi utilmente contrastare con interessate dichiarazioni di erroneità di tale indicazione o generici riferimenti alla possibile infedeltà delle dichiarazioni rese in sede di presentazione di istanze di condono, infedeltà della quale, nella specie, non viene, a suffragarne l’esistenza, plausibilmente spiegata la ragion d’essere.

In ogni caso, la legittimità, in mancanza di licenza edilizia, dei manufatti “risalenti” è predicabile, come indicato dagli stessi appellanti al punto 13.1 dell’atto di appello, per quelli realizzati “sino alla data del 1.9.1967 (data di entrata in vigore della L. n. 765/1967, legge-ponte)” e all’ulteriore condizione che si trattasse di edificazione al di fuori dei centri abitati. Quanto al primo e di per sé decisivo aspetto, la sentenza civile invocata non consente di ritenere esclusa per il manufatto in questione la necessità di un titolo abilitativo, in quanto dalla stessa ne emerge la presenza solo alla posteriore data dell’11 febbraio 1968 (e, tenuto conto dell’entità del manufatto in rapporto alla distanza delle due date, neppure in via presuntiva può dirsi conseguita una idonea prova dell’anteriorità a quella qui rilevante).

Anche il secondo ordine di critiche va, dunque, disatteso.

Quanto alla riproposta censura di carenza di motivazione in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico attuale alla rimozione dell’abuso molto tempo dopo la relativa realizzazione, questo Collegio reputa non vi siano ragioni per discostarsi dalla giurisprudenza dominante, anche di questa Sezione, (cfr., ad esempio, Cons. Stato, sez. IV, 20 luglio 2011, n. 4403; sez. VI, 11 maggio 2011, n. 2781; sez. V, 27 aprile 2011, n. 2526) secondo cui il provvedimento di repressione degli abusi edilizi costituisce un atto dovuto in mera dipendenza dall’accertamento dell’abuso e dalla riconducibilità del medesimo ad una delle fattispecie di illecito previste dalla legge, circostanza, questa, che comporta che il provvedimento sanzionatorio non richiede particolare motivazione, essendo sufficiente la rappresentazione del carattere illecito dell’opera realizzata, né previa espressa comparazione tra l’interesse pubblico alla rimozione dell’opera, che è in re ipsa, e quello privato alla relativa conservazione, e ciò anche se l’intervento repressivo avvenga a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso.

Nel presente caso, in particolare, il diniego di condono è disceso dall’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica e la circostanza implica necessariamente l’applicazione della sanzione demolitoria ai sensi dell’art. 32, comma 7, l. 28 febbraio 1985, n. 47, senza possibilità per l’amministrazione comunale di discrezionalmente valutare l’eventuale applicazione di sanzioni alternative.

Non sono, infine, condivisibili le critiche rivolte al capo relativo alla liquidazione delle spese di giudizio, considerata, in particolare, la pluralità dei ricorsi decisi con la sentenza gravata.

Le spese del presente grado di giudizio seguono, nei confronti del Comune di Pietrasanta e della signora Calafiore, la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, mentre nulla si dispone nei confronti del Ministero per i beni culturali e ambientali la cui attività difensionale è stata limitata al tardivo deposito di atto di costituzione di forma ed alla presenza in udienza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello, n. 7221 del 2008, lo respinge.

Condanna gli appellanti, in solido, a rifondere al Comune di Pietrasanta ed a Calafiore Gaetana le spese del presente grado che liquida in complessivi € 4.000,00 (quattromila) di cui € 2.000,00 (duemila) per ciascuna parte, oltre i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Nulla per le spese nei confronti del Ministero dei beni culturali e ambientali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Giovannini, Presidente

Aldo Scola, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

Silvia La Guardia, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)