Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3603, del 8 luglio 2013
Urbanistica.Limitazione alla proprietà privata e pianificazione urbanistica

La proprietà privata è certamente tutelata dalla Costituzione e dagli accordi internazionali, ma in ogni caso l'art. 42, II co. prevede comunque che possano essere imposti “… limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale”. Non può perciò ravvisarsi alcuna violazione dei principi costituzionali quando, in sede di pianificazione urbanistica generale l'amministrazione, ritenendo persistenti le esigenze e le ragioni d’interesse pubblico che sorreggono la reiterazione dei vincoli, imponga dei limiti al diritto di proprietà in vista della realizzazione di superiori interessi pubblici. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 03603/2013REG.PROV.COLL.

N. 02066/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2066 del 2012, proposto da: 
Maura Ceccarelli, Andrea Ceccarelli, rappresentati e difesi dall'avv. Mario De Grazia, con domicilio eletto presso Associati Mariani Menaldi in Roma, via Savoia ,78;

contro

Comune di Massa, rappresentato e difeso dagli avv. Sergio Menchini, Cristiana Carcelli, con domicilio eletto presso Mario Giuseppe Ridola in Roma, via Ludovisi 35;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. TOSCANA - FIRENZE: SEZIONE I n. 01919/2011, resa tra le parti.



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Massa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2013 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Cristiana Carcelli e Criscuolo (su delega di Giuseppe Femia);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

Si deve premettere che gli odierni appellanti sono proprietari di due porzioni di terreni siti nel Comune di Massa sui quali, il P.R.G. adottato nel 1980 aveva previsto l’ampliamento, mai realizzato, di un asse viario già esistente. Tale destinazione, trent’anni dopo, era stata confermata dal Piano Strutturale, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 66 del 19.12.2010, con cui di conseguenza era stato apposto un nuovo vincolo di inedificabilità.

Con il presente gravame si chiede l’annullamento della sentenza di primo grado del TAR Toscana n. 1919/2011, con cui:

-- è stata rigettato il loro ricorso a diretto, previo annullamento della nota comunale prot. N. 0024886 dell’8.06.2011, alla declaratoria dell’illegittimità del silenzio inadempimento del Comune di Massa sull’istanza/diffida a provvedere alla ri-pianificazione dell’area di loro proprietà connessa alla sopravvenuta inefficacia dei vincoli di inedificabilità apposti con P.R.G. approvato con delibera della Giunta Regionale n. 10603/1980;

-- è stata rigettata la domanda di condanna del Comune di Massa ad avviare il procedimento di ri-pianificazione con attribuzione, di una specifica destinazione edificatoria, dell’area di proprietà degli odierni appellanti con la nomina di commissario ad acta in caso di perdurante inadempimento nel termine assegnato all’amministrazione;

-- è stata respinta la richiesta risarcitoria dei danni ex art. 30 comma 4 c.p.a., d.lgs. n. 104/2010.

L’appello è affidato alla denuncia di quattro motivi relativi all’errores in judicando per il travisamento dell'oggetto della domanda da parte del giudice di primo grado; violazione dell'art. 9 del T.U. sull'edilizia e delle norme costituzionali relative alla proprietà privata, all’erronea applicazione dell'art. 30 d.lgs. 104/2010; ed alla violazione dei principi di imparzialità e di buon andamento dell'attività amministrativa.

Il Comune di Massa, costituitosi in giudizio, con i propri scritti difensivi ha replicato analiticamente alle tesi di controparte ed ha concluso per l’integrale conferma della sentenza di primo grado.

Alla Camera di Consiglio la causa, uditi i difensori delle parti,veniva trattenuta in decisione.

L’appello è infondato.

___ 1.§. Gli appellanti, con il primo motivo, lamentano che il TAR avrebbe travisato l'oggetto della loro domanda in quanto, il silenzio da loro censurato, non sarebbe stato quello generico inerente alla mancata pianificazione del territorio comunale, bensì quello specificamente concernente l’edificabilità dei terreni di loro proprietà, rimasti dal 1985 senza destinazione urbanistica.

L’assunto è inconferente.

Il TAR non ha affatto travisato la loro pretesa, ma al contrario ha esattamente puntualizzato che qui la materia del contendere non concerneva affatto la generica richiesta a che venisse comunque attuata un’attività di pianificazione, ma ha esattamente specificato che gli appellanti chiedevano la destinazione edificatoria dei loro terreno già in precedenza soggetto a vincoli espropriativi.

Nel rigettare la domanda in questione ha semplicemente rilevato come la specifica richiesta giurisdizionale di illegittimità del silenzio sulle istanze di tipizzazione delle loro aree per scadenza dei vincoli urbanistici ai sensi dell'art. 2 L. 19 novembre 1968 n. 187 non aveva pregio.

Il TAR esattamente ha ritenuto sostanzialmente legittimo il comportamento e la risposta alle diffide degli appellanti del Comune fondata sul fatto che era in corso il procedimento di pianificazione del P.S. dell’intero territorio comunale, il quale per la zona in questione prevedeva l’ampliamento della strada.

Certamente il rito del silenzio, sia pure con certi limiti, può essere azionato per sollecitare la ritipizzazione di singole aree per le quali sono scaduti i vincoli (cfr. Cons. Stato Sez. IV 13 giugno 2011 n. 3591: Cons. Stato, Sez. IV, 29 maggio 2008 n. 2572 e Cass. civ., Sez. I, 31 maggio 2008 n. 8384).

Tuttavia una volta che l’Amministrazione stia provvedendo ad adottare gli strumenti urbanistici generali o le varianti generali, deve escludersi che si possa comunque configurare un silenzio-inadempimento.

La richiesta giudiziale di orientare una specifica scelta di alta discrezionalità amministrativa -- limitatamente ai soli propri terreni -- concerne invece una pretesa che non può essere oggetto del rito del silenzio. Ciò per la fondamentale ragione tale delibazione giudiziale implicherebbe comunque la destinazione edificatoria di suoli, al di fuori degli specifici e complessi procedimenti urbanistici, che sono previsti dalle leggi regionali al fine di armonizzare i diversi, e contrastanti, interessi coinvolti.

Un intervento del giudice il quale, in sede di impugnativa del silenzio, imponesse omisso medio un particolare vincolo assoluto alla pianificazione urbanistica dell’amministrazione, costituirebbe una diretta ed inammissibile violazione del principio di separazione tra attività amministrativa ed attività giurisdizionale; e di conseguenza si porrebbe al di fuori dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa stessa.

L’ordinamento affida infatti all’amministrazione locale la salvaguardia degli equilibri ed i contenuti generali della pianificazione, che è il momento finale di un processo diretto ad assicurare che l’espansione edilizia persegua gli interessi generali della collettività, assicurando risposte strutturalmente adeguate alla “c.d. domanda sociale” di verde, di attrezzature di scuole, di trasporti, ecc. ecc. .

In ogni caso, l'obbligo di provvedere alla rideterminazione urbanistica di un'area -- in relazione alla quale sono decaduti i vincoli espropriativi precedentemente in vigore -- non comporta affatto che essa debba necessariamente ricevere una destinazione urbanistica edificatoria nel senso voluto dal privato.

Nel caso in esame dunque, il comportamento dell’amministrazione non può dunque considerarsi né inadempiente né elusivo, tenendo conto che -- a fronte di quanto già previsto dal Piano Strutturale, e in attesa della disciplina di dettaglio che spetta al R.U. -- sarebbe stato del tutto incongruo con l’interesse pubblico introdurre una destinazione edificatoria limita ai terreni dei ricorrenti assolutamente contraria e contrastante alla pianificazione organica della zona.

Il motivo va dunque respinto.

___ 2.§. Con il secondo motivo, in parte si riprendono la medesima doglianza già respinta al punto precedente a cui si rinvia e, dall’altro, si assume -- sotto diversi profili tra di loro sostanzialmente coincidenti -- la contraddittorietà della sentenza che in violazione dell’art.2 della L. n.241/1990, da un lato avrebbe erroneamente assimilato la loro domanda ad una pretesa alla tipizzazione dei terreni e dall’altro avrebbe escluso l’inadempimento del Comune.

La variante impugnata sarebbe tardivamente arrivata nel 2010 per cui, essendo mancata una tempestiva reitera del vincolo o comunque entro un “ragionevole” termine, i loro terreni sarebbero rimasti assoggettati alla disciplina delle zone bianche di cui all'art.9 T.U. sull'edilizia d.p.r. n. 389/2001.

Inoltre, erroneamente il Tar avrebbe affermato che il Regolamento Urbanistico era “in itinere” in quanto la semplice nomina del professionista incaricato della redazione del R.U. non avrebbe integrato l’avvio della Pianificazione, in considerazione del fatto che lo stesso P.S. risultava sospeso in attesa della conferenza di cui all’art.25 della L.R. Toscana n. 1/2005.

In subordine chiede l’annullamento del predetto atto che avrebbe avuto un carattere meramente soprassessorio.

Il motivo è infondato.

Il primo profilo della censura, che peraltro appare in parziale contraddizione con il motivo precedente, è per la gran parte costituito dalla trascrizione di numerosissime massime giurisprudenziali che, alla luce di quanto sopra, risultano ineccepibili in linea di principio, ma del tutto inconferenti nel caso di specie.

Contrariamente a quanto affermano gli appellanti, è infatti risolutivo e tranciante il fatto che il Comune, quasi due anni prima alle istanze, con la ricordata delibera del Consiglio comunale n. 66 del 09.12.2010 aveva approvato il P.S. , e quindi aveva iniziato l’iter di formazione del R.U..

Non risultando peraltro smentito dagli appellanti, il fatto che l’Amministrazione abbia pubblicato il 13.3.2013 i nuovi elaborati sul suo sito web, deve escludersi la reale serietà e correttezza dell’iter amministrativo.

In ogni caso la variante impugnata integrava comunque la conclusione del procedimento ex art. 2 primo co. della L. n.241/1990, essendo assolutamente irrilevanti le vicende connesse il procedimento di cui all’art. 25 della L.R. Toscana n.1/2005 e smi. , in quanto quest’ultimo deve essere collocato nell’alveo classico dell’eventuale fase integrativa dell’efficacia del P.S. .

Depone in tal senso proprio la struttura stessa della predetta norma regionale per cui in caso di possibile incompatibilità o contrasto con la pianificazione territoriale già vigente:

-- gli altri comuni, le provincie, la Regione, o anche i cittadini organizzati in forme associative (III° co.) possono richiedere la pronuncia della Conferenza paritetica interistituzionale di cui all’art. 24, relativamente però “… uno strumento della pianificazione territoriale, un regolamento urbanistico comunale, un piano complesso di intervento, una variante a taluno di tali strumenti o atti approvati da altra amministrazione….;”;

-- la richiesta deve essere fatta “… nel termine perentorio di sessanta giorni dall'avviso sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana dell'avvenuta approvazione dello strumento o atto…”;

-- la richiesta di pronuncia sospende, anche in parte, l'efficacia delle parti dello strumento alla data di pubblicazione di cui al comma 5° sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana.

E’ dunque evidente come il procedimento concernente l’intervento della Conferenza paritetica interistituzionale costituisce una fase “sui generis”, ulteriore e comunque successiva al provvedimento di approvazione della variante, che costituiva il provvedimento finale rilevante sul piano del rispetto dell’art.2 della L. n.241/1990.

In definitiva quindi il comportamento tenuto dall'amministrazione non può affatto qualificarsi come elusivo o inadempiente, rispetto all'obbligo legislativamente fissato di disciplinare il territorio ed il preteso ritardo tra il 1985 ha un rilievo giuridicamente del tutto insussistente.

___ 3.§. Con il terzo motivo si assume la violazione delle norme costituzionali relative alla proprietà privata, all'imparzialità e al buon andamento dell'attività amministrativa che sarebbero conseguenti alla reitera del vincolo di inedificabilità, che di fatto decorrerebbe dal lontano 1980 e quindi a tempo indeterminato.

La mancata ri-pianificazione dell'area a seguito della scadenza del vincolo espropriativo si sarebbe tradotta in una compressione del contenuto essenziale del diritto di proprietà, ed avrebbe inciso sul godimento del bene in modo tale da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua naturale destinazione edificatoria, e ne avrebbe diminuito il suo valore economico.

L’assunto va respinto.

In primo luogo si deve rilevare che esattamente la difesa del Comune ha sottolineato come, dalla data decadenza del vincolo nel 1985 fino alla presente azione giurisdizionale iniziata con l’istanza del 20.7.2011, gli appellanti non abbiamo esperito alcuna attività relativamente ai terreni in questione.

La proprietà privata è certamente tutelata dalla Costituzione e dagli accordi internazionali, ma in ogni caso l'art. 42, II co. prevede comunque che possano essere imposti “… limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale “.

Non può perciò ravvisarsi alcuna violazione dei principi costituzionali quando, in sede di pianificazione urbanistica generale l'amministrazione, ritenendo persistenti le esigenze e le ragioni di interesse pubblico che sorreggono la reiterazione dei vincoli, imponga dei limiti al diritto di proprietà in vista della realizzazione di superiori interessi pubblici.

Nel caso in esame deve comunque escludersi ogni contenuto vessatorio o comunque ingiusto nella reiterazione di vincoli, preordinati all'espropriazione e che comportino l'inedificabilità dei terreni degli appellanti, alla luce della complessiva valutazione della situazione e degli interessi coinvolti.

L’allargamento dell’asse viario previsto nel P.S. e nella bozza di R.U. appare ragionevolmente motivato non tanto con il riferimento allo generico sviluppo delle aree circostanti, quanto soprattutto con riguardo alla finalità di migliorare la viabilità, e assicurare ai cittadini un efficiente collegamento il Nuovo Ospedale Unico delle Apuane, vale a dire con un servizio pubblico assolutamente essenziale.

Sotto altro profilo poi, ai sensi dell'art. 39 comma 1, t.u. sugli espropri di cui al d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, il principio della spettanza di un indennizzo al proprietario, nel caso di reiterazione o di tempestiva proroga del vincolo preordinato all'esproprio, non rileva ai fini della verifica della legittimità dei provvedimenti, che hanno disposto l'approvazione dello strumento urbanistico, atteso che i profili attinenti alla spettanza o meno dell'indennizzo e al suo pagamento non attengono alla legittimità del procedimento, ma riguardano questioni di carattere patrimoniale, che presuppongono la conclusione del procedimento di pianificazione e sono devolute alla cognizione della giurisdizione ordinaria (cfr. Consiglio Stato sez. IV 06 maggio 2010 n. 2627).

___ 4.§. Con il quarto motivo gli appellanti lamentano l’erroneità del rigetto della loro richiesta risarcitoria fondata sull’affermazione per cui: -- il termine per provvedere avrebbe dovuto essere computato dalla scadenza del vincolo (1985) con la conseguenza che il termine di decadenza per la proposizione dell’azione risarcitoria sarebbe stato irrimediabilmente scaduto ai sensi dell’art. 30 commi 3 e 4 d.lgs. n. 104 del 2010; -- ovvero non sarebbe stato configurabile alcun termine.

Assumono per contro gli appellanti che nel 1985 non erano in vigore né l’art. 2 della L. n.241/1990 e né l’art. 30 del d.lgs. n.104/2010 del c.p.a. . Inoltre la mancanza di un termine non sarebbe stato ostativo ai fini della valutazione dell’inadempimento del Comune, e quindi della sua risarcibilità, dato che l’Amministrazione non avrebbe provveduto “nel più breve tempo possibile”.

Erroneamente la sentenza afferma che i ricorrenti non avrebbero indicato alcun termine per la definizione dei provvedimenti.

In ogni caso i ricorrenti avrebbero avuto notevoli danni conseguenti al decorso del tempo.

La richiesta risarcitoria è infondata.

In generale, l'art. 34, I° co. lett. b) del. c.p.a. limita espressamente la risarcibilità dei soli danni “da silenzio” alle limitate ipotesi di cui all’art. 31, III° co.-- che sono quelle connesse con il mancato esercizio di attività vincolate ovvero comunque non discrezionali -- nelle quali il giudice può pronunciarsi anche sulla fondatezza sostanziale della pretesa sempreché, a fondamento della responsabilità della P.A. , sia pregiudizialmente accertato l’obbligo della P.A. di provvedere. Deve perciò escludersi che, in tali ipotesi, possa essere comunque configurabile una generica responsabilità per un “comportamento lecito” in termini di “responsabilità precontrattuale” o “extra-contrattuale” (essendo del tutto fuori da ogni paradigma di tipo para-negoziale); o addirittura come una responsabilità oggettiva “sui generis” (che l’ordinamento riconosce solo in tassative specifici casi: es. artt. 2049-2054 c.c.).

Ciò per la fondamentale ragione che l'art. 30 c.p.a. II co. del Codice del processo amministrativo riconduce la risarcibilità degli « interessi legittimi » all’alveo generale proprio dell'art. 2043 c.c., ponendo quindi a fondamento della responsabilità della P.A.:

-- il mancato o l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa: per cui è sempre necessario il previo accertamento della natura antigiuridica della condotta dell'Amministrazione;

-- un « danno ingiusto », e quindi l’accertamento di una lesione economicamente valutabile di carattere manifestamente iniquo perché conseguente all’illegittimità dell’attività provvedimentale;

-- un diretto ed immediato nesso di causalità tra la colpa efficiente dell'Amministrazione e nocumento patrimoniale.

In conseguenza anche a voler estendere l’area propria del danno da silenzio al mero e generico “silenzio-inadempimento” deve comunque rilevarsi come, anche in tal caso, debba sussistere ed essere accertato un preciso obbligo di provvedere.

Pertanto, se l’Amministrazione non è stata inerte ma ha avviato e portato avanti i procedimenti cui è tenuta per legge, non può essere riconosciuto alcun risarcimento.

Nella fattispecie in esame si deve escludere rispettivamente:

-- uno specifico interesse legittimo degli appellanti ad ottenere l’edificabilità dei loro suoli;

-- un’inerzia colpevole in capo al Comune;

-- la ricorrenza dell’elemento della colpevolezza dell’amministrazione tale da connotare il carattere di “ingiustizia” dei danni lamentati.

Di qui il rigetto della richiesta risarcitoria.

___ 5.§. In conclusione l’appello deve essere respinto, con la conseguente conferma della sentenza appellata, sia pure con l’ulteriore integrazione della motivazione di cui sopra.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto:

__ 1. respinge il ricorso di cui in epigrafe.

__ 2. Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente giudizio che vengono liquidate in € 3.000,00 oltre all’ICA ed alla C.P.A. come per legge, a favore dell'amministrazione resistente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:

Marzio Branca, Presidente FF

Fabio Taormina, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore

Oberdan Forlenza, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 08/07/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)