Cass. Sez. III n. 21842 del 1 giugno 2011 (Ud. 17 feb. 2011)
Pres. Gentile Est. Grillo Ric. Iacono
Beni ambientali. Opere nel sottosuolo

Il reato di cui all’ari. 181 comma 1 bis del D. L.vo 42/04 (che si pone come tipica ipotesi di reato di pericolo), si configura anche in caso di lavori realizzati, in difetto di autorizzazione, nel sottosuolo di zone sottoposte a determinati vincoli paesaggistici in quanto la norma in parola vieta l’esecuzione di lavori di qualunque genere su beni paesaggistici, dovendosi ritenere realizzata anche in tali casi una modificazione, anche se non immediatamente visibile, dell’assetto del territorio. La ratio della norma incriminatrice , quindi, la tutela massima del paesaggio, dovendosi escludere il reato solo nella residuale ipotesi che, nemmeno in via astratta, l’opera realizzata (o in corso di esecuzione) sia idonea a pregiudicare il bene paesaggistico protetto dalla norma

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale


Composta dagli ill.mi Sigg.:


1. Dott. GENTILE Mario                                   Presidente
2. Dott. FIALE Aldo                                         Consigliere
3. Dott. GRILLO Renato                                  Consigliere (est.)
4. Dott. MARINI Luigi                                      Consigliere
5. Dott. SARNO Giulio                                    Consigliere


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


- sul ricorso proposto da IACONO Ernesto, nato a Capri il 30.05.1935;
- avverso la sentenza emessa il 17 settembre 2010 dalla Corte di Appello di Napoli
- udita nella pubblica udienza del 17 febbraio 2011 la relazione fatta dal Consigliere Dr. Renato GRILLO;
- udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Sante SPINACI che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;


Svolgimento del processo e motivi della decisione


Con sentenza del 17 settembre 2010 la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Napoli - Sezione Distaccata di Ischia - emessa in data 11 ottobre 2008 con la quale IACONO Ernesto, imputato dei reati di violazione della legge urbanistica, edilizia ed antisismica (artt. 44 lett. c), 93, 94 e 95 D.P.R. 380/01 e 181 comma 1 bis del D. Lg.vo 42/04 [fatti commessi in data 1 marzo 2006], era stato ritenuto colpevole dei suddetti reati e condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e ritenuta la continuazione, alla pena - condizionalmente sospesa - di mesi otto e giorni quindici di reclusione.


In risposta agli specifici motivi di impugnazione (con i quali era stata richiesta in principalità, l'assoluzione dai reati anzidetti con la più ampia formula liberatoria, versandosi in tema di opere interne non abbisognevoli di preventivi permessi, non incidenti sull'assetto territoriale e comunque di dimensioni ridottissime e, in subordine, una congrua riduzione della pena da ritenersi condonata, unitamente alla revoca del disposto ordine di demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi), la Corte territoriale aveva disatteso tutte le doglianze difensive, chiarendo che, indipendentemente dai riscontri documentali di tipo fotografico, attestanti la realizzazione di lavori di entità non trascurabile, il reato di cui all'art. 181 comma 1 bis D. L.vo 42/04 era in ogni caso configurabile anche se i lavori erano stati eseguiti nel sottosuolo, tenuto conto delle finalità perseguite dalla norma e del bene giuridico protetto (tutela del paesaggio).


Rilevava poi, quanto ai motivi subordinati, che l'entità delle opere ostava alla invocata riduzione della pena e che l'eventuale concedibilità dell'indulto avrebbe potuto formare oggetto di valutazione in sede di esecuzione.


Ricorre avverso la detta sentenza l'imputato a mezzo del proprio difensore, deducendo violazione della legge penale (art. 181 comma 1 bis D. L.vo 42/04) sotto il profilo che i lavori realizzati ed in corso d'opera non avevano alterato affatto - come ritenuto dalla Corte territoriale - le bellezze paesaggistiche, in quanto si trattava di opere eseguite all'interno di una grotta, senza interessamento della crosta terrestre superficiale soprastante, tanto che la stessa Corte aveva affermato trattarsi di opere non visibili dall'esterno.


Denuncia, anche, contraddittorietà della motivazione ed illogicità manifesta per avere la Corte nonostante l'affermazione che si trattava di opere non visibili dall'esterno - ritenuto che tali opere non erano consentite, in quanto insistenti in zona vincolata.


Denuncia, poi, violazione della legge e difetto di motivazione con riferimento al reato di cui al capo b) in quanto l'opera realizzata riguardava l'esecuzione di un tramezzo interno non in cemento armato e dunque sottratto al regime sanzionatorio previsto dagli artt. 61 e 72 del D.P.R. 380/01.


Con un terzo motivo il ricorrente lamenta violazione dell'art. 521 c.p.p. in quanto la Corte aveva affermato, diversamente da quanto contestato, la realizzazione di nuovi volumi in prosecuzione di un fabbricato preesistente mediante scavo.


Con un quarto motivo viene poi denunciato travisamento dei fatti e della prova, avendo la Corte affermato, diversamente da quanto riferito dal teste verbalizzante, l'avvenuta constatazione di uno scavo teso alla creazione di nuovi volumi.


Con l'ultimo motivo viene dedotta l'omessa motivazione relativamente al diniego della riduzione della pena, esplicitato con il ricorso ad una clausola di stile, lamentandosi, anche, la mancata applicazione dell'indulto, senza che venisse revocata la concessa sospensione della pena.


Il ricorso è infondato.


La prima censura rivolta alla sentenza impugnata concerne la ritenuta colpevolezza per il reato di cui all'art. 181 comma 1 bis D.P.R. 380/01, che il ricorrente reputa non configurabile in quanto l'intervento edilizio non era visibile dall'esterno ed, in ogni caso, non aveva interessato la crosta superficiale terrestre ma aveva interessato il sottosuolo: da qui l'inapplicabilità della normativa contestata afferente invece ad opere incidenti sulla modifica dell'assetto territoriale, purchè esternamente visibili.


La norma invocata dal ricorrente (art. 149 del D. L.vo 42/04) non appare però attinente alla fattispecie in esame: come più volte precisato dalla giurisprudenza di questa Corte, il reato di cui all'art. 181 comma 1 bis del D. L.vo 42/04 (che si pone come tipica ipotesi di reato di pericolo), si configura anche in caso di lavori realizzati, in difetto di autorizzazione, nel sottosuolo di zone sottoposte a determinati vincoli paesaggistici in quanto la norma in parola vieta l'esecuzione di lavori di qualunque genere su beni paesaggistici, dovendosi ritenere realizzata anche in tali casi una modificazione, anche se non immediatamente visibile, dell'assetto del territorio (Cass. Sez. 3^ 16.1.2007 n. 7292, Armenise ed altro, Rv. 236080).


La ratio della norma incriminatrice è, quindi, la tutela massima del paesaggio, dovendosi escludere il reato solo nella residuale ipotesi che, nemmeno in via astratta, l'opera realizzata (o in corso di esecuzione) sia idonea a pregiudicare il bene paesaggistico protetto dalla norma (Cass. Sez. 3^ 24.5.202 nr. 26276, Rv. 222231).


Ne consegue che la disposizione di cui all'art. 149 del menzionato D. L.vo in tanto può valere, in quanto l'opera realizzata non alteri lo stato dei luoghi: circostanza che la Corte - e prima ancora il Tribunale - aveva radicalmente escluso con motivazione immune da vizi logici oltre che coerente con i dati probatori acquisiti (non solo la riferita testimonianza resa dall'ufficiale di P.G. verbalizzante di cui è cenno nella sentenza impugnata, ma soprattutto il dato obiettivo fotografico attestante la tipologia dei lavori eseguiti).


Parimenti infondata la censura mossa in merito al difetto di motivazione riguardante la richiesta di assoluzione dal reato di cui agli artt. 93 e 95 del D.P.R. 380/01: anche in questo caso, infatti, la difesa ritiene che la norma in questione non fosse applicabile sol perché il tramezzo realizzato non fosse in cemento armato con conseguente non necessità del deposito di calcoli strutturali.


Secondo le prescrizioni contenute nell'art. 93 del D.P.R. 380/01 qualsiasi opera edilizia - senza distinzione di sorta anche con riferimento alla struttura dell'opera - laddove eseguita in zona sismica, abbisogna della previa presentazione del progetto all'Ufficio del Genio Civile: trattasi come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte di violazioni di tipo c.d. "formale" per le quali non assume alcun rilievo la eventuale pericolosità della costruzione anche laddove attraverso una verifica postuma dovesse accertarsi l'assenza di pericolo (in tal senso, v. Cass. Sez. 3^ 13.5.1997 n. 5738, Rv. 208299).


Non appare poi condivisibile quanto sostenuto dal ricorrente circa la mancata motivazione da parte della Corte sulla specifica doglianza mossa con l'atto di appello, avendo la Corte napoletana richiamato nella sua integralità i contenuti della sentenza di primo grado, specifica anche su tale punto, e, conseguentemente, avendo reso una motivazione adeguata, sia pure per relationem.


E' noto, in proposito, il principio in forza del quale la struttura motivazionale della sentenza di appello, laddove le due pronunce di primo e di secondo grado risultino concordanti nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a base delle rispettive decisioni, si salda e si integra con quella precedente di primo grado (Cass. Sez. 2^ 10.1.2007 n. 5606, Conversa e altri; Rv. 236181; Cass. Sez. 1^ 26.6.2000 n. 8868, Sangiorgi, Rv. 216906; Cass. Sez. Un. 4.2.1992 n. 6682, Pm: p.c., Musumeci ed altri, Rv. 191229).


Considerazioni identiche - quanto alla infondatezza del relativo motivo - possono essere svolte con riguardo al motivo afferente la mancata assoluzione dal reato urbanistico di cui al capo a).


Allo IACONO era stata mossa la contestazione di avere effettuato, quale committente, la realizzazione di opere consistite nella realizzazione di un vano internamente ad un preesistente fabbricato in muratura per una superficie di mq. 12 circa ed un'altezza di mt.2,10: evidente, quindi, da una semplice lettura del capo di imputazione, la realizzazione di volumi nuovi e non una diversa suddivisione di un locale preesistente come pretenderebbe il ricorrente.


Orbene, anche su questo punto la Corte ha fornito sufficiente motivazione attraverso il richiamo integrale alla sentenza di primo grado.


Inoltre è da disattendere la censura mossa dal ricorrente per violazione della norma processuale (difetto di correlazione tra accusa e sentenza), in quanto è la stessa lettura del capo di imputazione che esclude che da parte della Corte sia stato espresso un giudizio su un fatto diverso da quello contestato.


Al riguardo va anche rilevato che, contrariamente alle affermazioni della difesa secondo le quali la stessa Corte avrebbe scritto in premessa che `per l'appellante, non necessitava quindi il preventivo rilascio del permesso di costruire" (vds. pag. 4 dei motivi di ricorso), si tratta di una proposizione attribuibile esclusivamente all'appellante (in quanto contenuta nei motivi di appello come riportati sia pure per sintesi dalla Corte nelle premesse della sentenza) ma non di certo alla Corte, che ha invece confermato l'illegittimità dell'opera anche sotto il profilo strettamente urbanistico e dunque la necessità del preventivo permesso di costruire.


Con riguardo al motivo di ricorso afferente omessa motivazione in ordine alla asserita carenza di prova della materialità del reato, va precisato che la stessa Corte, ancora una volta, sinteticamente, ha comunque spiegato - richiamandosi alle considerazioni della sentenza del Tribunale - come nel caso di specie fosse stata constatata la realizzazione di nuovi volumi in prosecuzione ed ampliamento rispetto ad una struttura preesistente, proseguendo poi in tale affermazione - fatta propria nella sentenza impugnata - con il riferimento a riscontri oggettivi (fotografie e testimonianze) conclamanti la prova del commesso reato e correttamente evidenziati dalla Corte di merito.


E, quanto al supposto travisamento della prova, nulla di tutto ciò è dato rinvenire da una lettura coordinata della sentenza di primo grado e di quella di appello, avendo la Corte territoriale esattamente riportato quanto riferito dal teste e collegando poi tali testimonianze ai risultati oggettivi rappresentanti dai rilievi fotografici.


Con riguardo al motivo di ricorso afferente alla omessa motivazione sulla richiesta di riduzione della pena, va chiarito che la Corte ha reso una motivazione convincente, richiamandosi alla entità delle opere realizzate, così implicitamente riconoscendo valore negativo ostativo a tali opere, in piena coerenza con le affermazioni precedenti riguardanti proprio la particolare tipologia dell'intervento edilizio e la sua incidenza sull'assetto territoriale e paesaggistico della zona.


Quanto all'ultimo motivo di doglianza riguardante la mancata applicazione dell'indulto, dalla Corte rinviato ad una fase successiva (quella dell'esecuzione), trattasi di valutazione di merito effettuata dal giudice territoriale nell'ambito dei poteri riconosciutigli quale giudice della cognizione, in maniera congrua ed immune da vizi, anche perché ancorata alla mera richiesta di applicazione del beneficio senza alcun riferimento a questioni legate al concesso beneficio della sospensione condizionale della pena, per come è dato leggere dalla sentenza impugnata. Segue, al rigetto del ricorso, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.


Rigetta il ricorso. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma il 17/2/2011 2011

DEPOSITATA IN CANCELLERIA 1/06/2011