Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5700, del 28 novembre 2013
Urbanistica.Sistemazione del piano campagna e altezze degli edifici

I limiti alle altezze degli edifici previsti dagli strumenti urbanistici non possono variare a seconda della “sistemazione” che il richiedente intende dare al piano di campagna circostante con lo stesso progetto su cui chiede al Comune l’assenso, ma devono essere ancorati a dati certi e oggettivi ricavabili dalla situazione dei luoghi anteriore. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 05700/2013REG.PROV.COLL.

N. 02449/2008 REG.RIC.

N. 09880/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2449 del 2008, proposto da: 
Comune di Cassano delle Murge, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Nicolo' De Marco, con domicilio eletto presso Sandro De Marco in Roma, via Cassiodoro N.1/A;

contro

Segeco S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni D'Innella, con domicilio eletto presso Francesco Altieri in Roma, via Ridolfino Venuti, 42;

nei confronti di

Varvara S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Felice Eugenio Lorusso, con domicilio eletto presso Felice Eugenio Lorusso in Roma, via della Scrofa 64;




sul ricorso numero di registro generale 9880 del 2008, proposto da: 
Comune di Cassano delle Murge, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Nicolo' De Marco, con domicilio eletto presso Sandro De Marco in Roma, via Cassiodoro N.1/A;

contro

Segeco S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni D'Innella, con domicilio eletto presso Francesco Altieri in Roma, via Ridolfino Venuti, 42;

nei confronti di

Varvara S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Felice Eugenio Lorusso, con domicilio eletto presso Felice Eugenio Lorusso in Roma, via della Scrofa 64;

per la riforma

quanto al ricorso n. 2449 del 2008:

della sentenza del T.a.r. della Puglia – Sede di Bari- Sezione Iii n. 02106/2007, resa tra le parti, concernente sanzione pecuniaria per difformita' edificio rispetto a concessione edilizia

quanto al ricorso n. 9880 del 2008:

della sentenza del T.a.r. della Puglia – Sede di Bari - Sezione Iii n. 02017/2008, resa tra le parti, concernente parziale d.i.a. - demolizione opere



Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Varvara S.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 novembre 2013 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Sandro De Marco, per delega dell'Avv. Nicolò De Marco, D'Innella e Lorusso;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con i riuniti ricorsi in appello il comune di Cassano delle Murge ha gravato la sentenza parziale del T.A.R. della Puglia, Sezione Terza, nr. 2106/2007 (ricorso nr. 2449 del 2008) e la sentenza del T.A.R. della Puglia, Sezione III, nr. 2017/2008 (ricorso nr. 9880 del 2008) con la quale è stato accolto definitivamente il ricorso proposto dalla società appellata.

La complessa vicenda processuale può essere così sintetizzata.

La Segeco srl, odierna appellata, aveva gravato in giudizio la nota prot. 18526 nr. 4\2006 del 1 dicembre 2006 settore SAT del Comune di Cassano delle Murge con cui era stato disposto l’annullamento parziale della DIA presentata l’11 ottobre 2006 e integrata il 24 novembre 2006, integrativa dei grafici della concessione edilizia nr. 81\02 e la demolizione di parte del corpo di fabbrica, riservandosi la determinazione della sanzione pecuniaria e, successivamente, il provvedimento prot. nr. 1251 del 24 gennaio 2007 con cui il Responsabile dell’Area Tecnica SAT del Comune di Cassano delle Murge, a scioglimento della riserva, aveva determinato la sanzione pecuniaria per parziale difformità relativa a maggiore altezza dell’edificio.

L’odierna appellata, quale avente causa della società S.I.L.CO. S.r.l., aveva fatto presente di essere subentrata nella titolarità della concessione edilizia n. 81/02 rilasciata l’8 aprile 2003, relativa alla realizzazione di un fabbricato per civili abitazioni, composto di quattro corpi di fabbrica con distinte scale (A, B, C, D) in Cassano delle Murge, traversa di Viale della Repubblica, in catasto a foglio 38 particella n. 2117.

Con successiva denuncia d’inizio attività n. 156/067/D dell’11 ottobre 2006, la Se.Ge.Co. aveva presentato variante alla concessione edilizia.

Tuttavia, a seguito di contenzioso sorto con la parte proprietaria del suolo confinante, con ordinanze dirigenziali n. 2 e 3 del 2006 era stata disposta la sospensione dei lavori e la comunicazione d’avvio del procedimento di annullamento della d.i.a., anche in esito a sopralluogo presso il cantiere svolto il 3 novembre 2006.

Con determinazione del dirigente il servizio assetto del territorio n. 18256 di prot. O.D. S.A.T. n. 4/2006 del 1° dicembre 2006, rilevata la difformità dell’altezza del piano interrato (a garage) posto al confine nord e una maggior altezza dell’edificio di cui alla lettera D, era stata disposta la demolizione del solaio sovrastante la corsia di accesso e manovra al piano seminterrato e del muro perimetrale di delimitazione della corsia posto sul confine nord del suolo di proprietà aliena e l’annullamento parziale della d.i.a., con riserva di determinare la sanzione pecuniaria ex art. 34 del d.P.R. n. 380/2001.

Essa era insorta prospettando plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere.

Aveva poi gravato il provvedimento determinativo della sanzione, per invalidità derivata, riproponendo il terzo motivo di censura articolato avverso la determinazione “genetica”.

L’amministrazione comunale odierna appellante e la controinteressata Varvara srl proprietaria del suolo posto sul confine nord interessata all’esecuzione del provvedimento dirigenziale repressivo avevano chiesto di respingere i ricorsi in quanto infondati in fatto.

L’amministrazione comunale, infatti, aveva fatto presente che il muro realizzato dall’appellata al confine con la proprietà aliena presentava altezze variabili da 3,60 a 5,00 metri su fronte ininterrotto di circa 65 metri, rispetto alla quota sottoposta del fondo confinante, e tale parte emergente del piano c.d. cantinato destinato a garage rappresentava pertanto volume edilizio, in contrasto con il progetto (e neppure sanabile alla stregua delle sopravvenute prescrizioni del P.R.G), mentre, per altro verso, sussisteva la maggior altezza del corpo D.

La controinteressata Varvara, S.r.l., dal canto proprio, aveva rimarcato che il muro realizzato sul confine, per dimensioni e caratteristiche strutturali (con asserite altezze variabili sino addirittura a un massimo di otto metri) non presentava la natura di muro di cinta ma di manufatto costruito in violazione della distanza minima dal confine.

Essa aveva poi negato l’avvenuta effettuazione di qualsivoglia movimento di terra e/o sistemazioni del proprio piano di campagna nonché la preesistenza di muro a secco sul confine, depositando una perizia giurata di parte esplicativa.

Il primo giudice, con la sentenza parziale n. 2106/2007 ha esaminato la terza censura del mezzo principale (e la connessa censura del ricorso per motivi aggiunti) ed ha disposto incombenti istruttori quanto alle ulteriori doglianze.

In particolare, ha scrutinato, ed accolto, il mezzo incentrato sulla asserita insussistenza di alcuna violazione relativa all’altezza massima del corpo D.

L’appellata, aveva in proposito sostenuto che, a cagione della circostanza che trattavasi di unico edificio con autonomi corpi scala, l’altezza massima doveva essere calcolata, (ex art. 7 N.T.A. del previgente P.d.F), in funzione della media di tutte le altezze medie dei vari fronti dell’edificio.

La tesi del comune, in ogni caso, era errata in quanto dall’altezza massima del corpo D pari a ml. 11,13 doveva essere detratto lo spessore dei solai intermedi per la parte eccedente 30 cm..Posto che i quattro solai intermedi avevano spessore di 39 cm., il calcolo aritmetico dimostrava il rispetto dell’altezza massima (4x9= 36 cm.; 11,13-0,36= 10,77 inferiore a ml. 11,00).

Per altro verso, anche considerando la semisomma algebrica delle altezze agli estremi fuori terra del corpo D si otteneva un valore inferiore a ml. 11,00 (10,60+11,70=22,30:2=11,15-0,36=10,79).

Il primo giudice ha disatteso la prima parte della censura dell’odierna appellata, pervenendo al convincimento per cui la determinazione dell’altezza del corpo di fabbrica D doveva essere calcolata tenendo conto delle sole altezze del medesimo.

Ciò in quanto i quattro corpi di fabbrica, salve alcune parti comuni (cortili interni e piano cantinato a garage), erano del tutto autonomi e distinti, tra loro non comunicanti, con separati accessi, vani scale, atrii e ascensori: era inaccoglibile,pertanto, l’assunto secondo cui il corpo D sarebbe stato “corpo scala” di un unico edificio comprensivo anche degli altri tre corpi di fabbrica.

La determinazione dell’altezza del corpo di fabbrica D (tenuto conto delle sole altezze del medesimo) doveva essere verificata sia in relazione alla specifica prescrizione contenuta nel punto 12 della concessione edilizia n. 81/02 dell’8 aprile 2003, sia in ragione della generale prescrizione di cui all’art. 7 delle N.T.A. del P.d.F., nel cui vigore, incontestatamente e secondo quanto ammesso nell’ordinanza dirigenziale del 1° dicembre 2006, fu rilasciata la medesima concessione.

La prima prescrizione disponeva “…che la scala D a sistemazione finita abbia agli estremi altezza fuori terra tale che la semi-somma algebrica non superi 11 mt.”.

La seconda prevedeva che “l’altezza massima è data dalla media di tutte le altezze medie misurate sui fronti di un edificio dal piano di marciapiede pubblico o di campagna e l’estradosso dell’ultimo solaio”.

Dalla perizia di parte (incontestata sul punto) emergeva che le altezze sui vari fronti del corpo di fabbrica D variavano tra un minimo di ml. 10,60 (su sette punti) a un massimo di ml. 12,20 (su unico punto), con altezze intermedie di ml. 12,10, 12,02 e 11,95 (ciascuna su unico punto).

Sommando le altezze ai due estremi opposti del corpo di fabbrica, pari a ml. 10,60 e ml. 11,95 e dividendole per due (semisomma delle altezze), si otteneva un’altezza pari a ml. 11,27 (e superiore, quindi, a quella prescritta).

Dalla stessa, però doveva essere detratta, in base all’art. 2 della l.r. 13 agosto 1998 n. 23, la misura dello spessore dei quattro solai intermedi eccedente i 30 cm., pari a 9 cm. e quindi un totale di 36 cm. (9 cm. x 4), sicché l’altezza computabile restava determinata nella differenza 11,27 ml - 36 cm. = 10,91 ml. inferiore a ml. 11.

Il primo giudice ha rilevato poi che ad analogo risultato si perveniva considerando la prescrizione di cui all’art. 7 delle N.T.A. del previgente P.d.F., in base al quale l’altezza media del corpo di fabbrica sub D sarebbe stato pari a ml. 11,13: detratti i 36 cm. di spessore dei solai, essa sarebbe stata pari, al massimo, a ml. 10, 77(e quindi inferiore a ml. 11,00).

Alla stregua di tali argomentazioni è stata affermata l’insussistenza della contestata violazione dell’altezza riferita al corpo di fabbrica D, come rilevata nell’ordinanza dirigenziale del 1° dicembre 2006 e sanzionata in via pecuniaria con la determinazione dirigenziale del 14 gennaio 2007 ed i detti atti sono stati pertanto annullati.

Con la medesima sentenza n. 2106/2007 è stato disposto un approfondimento istruttorio (verificazione tecnica) quanto all’altra violazione, contestata e sanzionata con l’ingiunzione di demolizione, relativa alla asserita realizzazione fuori terra e sul confine di parte del piano cantinato destinato a garage, e in specie del muro sul confine nord e del solaio di copertura della rampa di accesso al garage che in esso s’innestava.

Con la sentenza n. 2017/2008 il Tar ha definito la controversia con riguardo a tale ultimo profilo, giovandosi dell’apporto della disposta verificazione tecnica (e del disposto supplemento di perizia nascente dalla circostanza che la controinteressata Varvara s.r.l., aveva ipotizzato che il progetto licenziato avesse artatamente alterato la rappresentazione dello stato dei luoghi onde celare la circostanza che la corsia di accesso al piano garages veniva realizzata all’interno di un terrapieno solo in parte naturale).

Anche in questo caso il Tar ha ritenuto fondate le doglianze contenute nel mezzo di primo grado, non essendo stata acquisita certezza in ordine alla sussistenza degli abusi contestati (riposanti nella realizzazione, fuori terra, del piano destinato a garages e del relativo muro perimetrale collocato sul confine nord) né venendo in considerazione una presunta illegittimità della concessione edilizia 81/02, rilasciata il 29/04/2003, che non risultava essere stata annullata.

Ad avviso del comune il muro era illegittimo in quanto “realizzato in modo difforme alla rilasciata concessione edilizia per le altezze raggiunte sul livello naturale del suolo confinante raggiunte dalla porzione del corpo di fabbrica costituita dal solaio di copertura della corsia di accesso ai garages e dal relativo muro perimetrale posto a confine”.

Si ipotizzava, quindi. che detto corpo di fabbrica fosse stato realizzato parzialmente fuori terra, contravvenendo al progetto assentito con la c.e. 81/02, dando luogo ad un muro costituente costruzione a distanza illegale, nonché a volumetria (contenuta all’interno di esso e al di sotto del solaio di copertura della rampa di accesso al piano sotterraneo) abusiva in quanto non conteggiata nella volumetrìa assentita.

L’appellata aveva contestato dette affermazioni, sostenendo che la edificazione del muro, nella sua attuale consistenza, era legittima in quanto prima dei lavori il terreno oggetto dell’intervento edilizio non era pianeggiante, ma era costituito, in sostanza, da un collinetta : in particolare, in corrispondenza del confine nord il piano campagna si trovava ad una altezza superiore rispetto al terreno Varvara s.r.l., tale da aversi, in quel punto, un vero e proprio salto di quota, di almeno mt. 1,10, tra le due proprietà. L’altezza del muro perimetrale, comunque, era stata definita facendo riferimento alle quote della strada interna realizzata così come da progetto: pertanto il corpo di fabbrica di cui si discute non è difforme dai titoli edilizi rilasciati.

Il primo giudice - vagliate le argomentazioni prospettate dal verificatore, e le contrapposte obiezioni delle parti- ha sul punto osservato che (anche avuto riguardo all’accertato stato dei luoghi) risultava indubitabile la conformità delle opere eseguite al progetto assentito: dagli atti progettuali si poteva tranquillamente percepire sin dall’inizio che sul confine nord-est sarebbe stato realizzato un corpo di fabbrica emergente rispetto al un piano campagna.

Il problema riposava nell’asserita illegittimità della concessione edilizia rilasciata a monte, e mai impugnata né annullata.

Tale questione poneva numerosi interrogativi ( quale fosse lo stato dei luoghi preesistente le opere; quale metodologìa fosse stata seguita per determinare il piano di campagna, ossia: per quale motivo esso era stato di fatto individuato alla quota di – 3,20 mt. rispetto allo zero altimetrico collocato su viale della Repubblica; se su terreni in pendenza la volumetria e le altezze massime dovessero essere verificate in ogni punto con riferimento al piano naturale di campagna o se fosse ammissibile che tali parametri, tenuto conto della necessaria e preliminare opera di livellamento che il terreno in pendenza richiede, venissero valutati con riferimento ad una quota di piano campagna unica, determinata in modo “convenzionale”, al di sotto della quale il piano eventualmente realizzato dovesse considerarsi interrato ad ogni effetto di legge; se il riporto di terra conseguente al necessitato livellamento del terreno in pendenza, fosse o meno influente, oltre che al fine di determinare volumetria ed altezza, anche al fine di stabilire se i corpi di fabbrica in esso eventualmente ricavati costituissero o meno costruzione interrata, non soggetta alle distanze dai confini; se nel regolamento edilizio o nelle norme di attuazione del vigente P.d.F. esistessero norme che consentissero la realizzazione a confine di fabbricati, e se tali eventuali norme potessero essere applicate al muro in contestazione ed al solaio di copertura della corsia di accesso ai garages, per la parte effettivamente emergente rispetto all’originario piano di campagna).

Seononché non era dato al Tar il potere di esaminare l’effettiva legittimità o meno del titolo edilizio, in quanto esso non costituiva presupposto della ordinanza di demolizione impugnata(determina 01/12/2006).

Quest’ultima si limitava ad annullare parzialmente la DIA 156/06 D “in relazione alle unità immobiliari e loro pertinenze site sub nn. 58-59-60-61 della particella 2117 del Foglio 38 di questo Comune, nonché per i sub nn. 64 e 96 della medesima particella”, senza intaccare la validità della concessione edilizia 81/02 rilasciata nell’aprile 2003.

Neppure erano state ivi chiarite le ragioni per le quali la DIA 156/06 veniva parzialmente annullata in relazione ai corpi di fabbrica B e C.

Essa rimaneva totalmente incomprensibile, e perciò illegittima, alla luce della affermazione che il Responsabile aveva reso al punto 1 del dispositivo: “conclude in riferimento alle pratiche in oggetto, il procedimento revisionale avviato con proprie ordinanze di sospensione lavori nn.. 2 e 3 dell’anno 2006, confermandone allo stato i contenuti solo in riferimento alle unità immobiliari site all’ultimo piano dell’edificio condominiale contraddistinto con la lettera D comprendenti i sovrastanti lavatoi”.

Ha osservato in proposito il Tar che, se l’illegittimità era stata alla fine verificata solo in riferimento al corpo D, non si comprendeva vede perché la DIA 156/06 fosse stata annullata in relazione ai corpi B e C.

Avverso entrambe le dette sentenze il Comune di Cassano delle Murge ha proposto i due articolati appelli di seguito indicati, contestandone la esattezza.

Ricorso nr. 2449 del 2008 avverso la sentenza non definitiva n. 2106/2007.

Il Comune di Cassano delle Murge ha censurato la detta decisione in quanto errata in punto di fatto.

Ha fatto presente che, contrariamente a quanto ivi sostenutosi, le misurazioni svolte dalla ditta Sogeco appellata, e poste a base della statuizione accoglitiva del mezzo, erano state puntualmente contestate dal Comune medesimo.

Nel merito, se si poteva convenire con il principio per cui il criterio di calcolo dell’altezza media dovesse essere quello dell’altezza media del singolo edificio per cui veniva contestato lo “sforamento” (e non già quello dell’altezza media di tutti gli edifici), e che pertanto il calcolo dovesse essere svolto con esclusivo riferimento al corpo D, ugualmente la decisione del Tar si appalesava errata.

Gli artt. 6 e 7 delle NTA al precedente Piano di Fabbricazione prevedevano infatti che:

a) le altezze dei fabbricati dovessero essere calcolate dal marciapiedi e, ove questo non fosse stato esistente dal piano stradale (art. 6);

b) l’altezza massima era data dalla media di tutte le altezze medie misurate sui fronti di un edificio dal piano di marciapiede pubblico o campagna, e l’estradosso dell’ultimo solaio (art. 7).

I dati presi in esame dal Tar (che aveva pedissequamente “recepito” le misurazioni prospettate dall’appellata ditta Sogeco) utilizzavano un valore mt. 10, 60 che era errato in sé e quindi fuorviante.

Ciò in quanto il detto valore di altezza pari a mt. 10.60 era stato calcolato misurando a partire (non già dal piano stradale, come prescritto dalla norma di cui all’art. 6 delle Nta surrichiamato, posto che non era presente alcun marciapiedi ma) da un confinante solaio intermedio che fungeva da cortile o ballatoio esterno.

Era evidente che a detta “misura” di mt. 10.60 dovesse essere aggiunta l’altezza dal piano stradale al solaio, e questa non era stata artificiosamente computata dalla ditta.

Ne conseguiva che l’altezza media era pari a mt. 12,21 (ovvero a mt. 12.12, secondo altro criterio).

Anche defalcando lo spessore dei solai (9 cm per ognuno dei quattro solai, per uno spessore complessivo di 36 cm) era evidente che l’altezza media era pur sempre superiore a mt. 11.

Ne conseguiva l’erroneità di detta decisione, e la correttezza delle statuizioni comunali anche in punto di applicazione della sanzione per la maggiore altezza del corpo D riscontrata.

Ricorso nr. 9880 del 2008 avverso la sentenza definitiva nr. 2017/2008.

Il Comune di Cassano delle Murge ha censurato la detta decisione definitiva sostenendo che la stessa fosse erronea e fondata su dati di fatto in realtà insussistenti.

A tal proposito, ripercorso l’andamento del contenzioso di primo grado, ha rammentato che:

a) il provvedimento concessorio originario n. 8172002, rilasciata nel 2003 aveva assentito un progetto che prevedeva, tra altro, la realizzazione di un manufatto (corsia garage) che, nei grafici allegati alla domanda, era rappresentato come integralmente interrato;

b) nel prosieguo dei lavori era emersa la realizzazione di un manufatto (muro) di lunghezza pari a mt. 65 che fuoriusciva dal piano di campagna per una altezza variabile tra mt. 4 e 6;

c) erano stati quindi sospesi i lavori;

d) parte appellata aveva presentato un Dia, avente natura e portata confessoria, in cui era rappresentato il detto muro ( che, nella originaria domanda di concessione non esisteva, in quanto era invece rappresentato un manufatto interrato) e per di più posto a meno di mt. 5 dal confine; negli elaborati allegati alla detta richiesta del 24 novembre 2006, il progettista riportava nuove quote, rispetto a quelle sottese alla originaria richiesta di rilascio di provvedimento concessorio (ammettendo quindi di essersi sbagliato illo tempore).

e) ne conseguiva che la precedente concessione era legittima,, che esattamente oggetto dell’azione amministrativa repressiva era stata soltanto la successiva Dia, integrativa dell’originaria domanda concessoria,, che non vi sarebbe stato alcun motivo di annullare la concessione originaria, in quanto ci si trovava unicamente al cospetto di opere difformi da quelle autorizzate.

L’omessa corretta valutazione di tali dati e di detta sequenza cronologica (sia in sede di Ctu che, poi nella sentenza che quest’ ultima aveva recepito) aveva condotto ad una sentenza gravemente erronea che non aveva colto che l’intervento repressivo comunale era l’unico possibile per evitare che sorgesse un manufatto non previsto né assentito in sede di concessione e che, per di più, violava la tassativa distanza di mt. 5 dal suolo confinante.

L’annullamento della Dia ed il conseguente ordine di demolizione erano, pertanto, assolutamente legittimi.

Non era vero che il manufatto “finale”, fosse conforme alla originaria concessione rilasciata: ivi il manufatto era rappresentato come totalmente interrato (se non per una piccola porzione irrilevante ai fini del rispetto delle distanze).

Nella sola tavola 1 allegata alla domanda di originaria concessione erano riportate quote del suolo preesistente (comunque errate) prese a riferimento dalla Ctu per affermare che ne dovesse discendere che il manufatto non fosse interrato: tutti gli altri elaborati, le dichiarazioni di impegno, etc, facevano riferimento invece ad un manufatto interrato ed al rispetto della distanza di mt 5 dal confine.

E comunque, anche a tenere conto di detta tavola 1 (non tenuta presente dal Comune in sede di rilascio del provvedimento concessorio) il muro avrebbe potuto avere al più un’altezza massima pari a mt.3, e non mai corrispondente a quello realizzato.

Fondandosi su detta tavola 1(allegata alla domanda di originaria concessione), ed obliando la tavola 5 (parimenti allegata alla domanda di originaria concession)e e tutti gli altri documenti dai quali risultava che la corsia garage era interrata e che non v’era alcun muro che fuoriusciva, e che pertanto il limite di mt 5 dal confine era stato rispettato la Ctu aveva concluso che l’opera realizzata era conforme alla concessione: ciò era assolutamente errato (e comunque, trattandosi di violazione di norme imperative in ordine alla distanza, comunque si sarebbe giustificato un intervento repressivo del Comune).

Parimenti, (secondo motivo d’appello) e per quanto suesposto, ex art. 22 del TU Edilizia, l’unico titolo da annullare era rappresentato dalla Dia in variante e, (terzo motivo) gli atti gravati non erano privi di motivazione o affetti da contraddittorietà.

Con successiva memoria l’appellante amministrazione comunale ha puntualizzato e ribadito quanto dedotto con l’appello

L’appellata e controinteressata Varvara Spa, rimasta soccombente, si è costituita chiedendo di accogliere l’appello dell’amministrazione comunale.

L’Appellata Segeco, vittoriosa in primo grado, ha depositato un’articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello in quanto infondato.

Alla pubblica udienza del 10 luglio 2012 la Sezione, previa riunione dei suindicati ricorsi, ha ritenuto che sussistessero le condizioni per disporre una nuova verificazione, in quanto, sulla scorta delle allegazioni e deduzioni del Comune appellante era possibile ritenere l’incompletezza e inattendibilità della documentazione sulla scorta della quale in primo grado si erano svolti gli accertamenti tecnici disposti e si era pervenuti alle conclusioni esposte nelle sentenze impugnate.

Ciò, alla stregua delle seguenti considerazioni:“a) le conclusioni raggiunte nella sentenza nr. 2106 del 2007 circa le altezze del corpo di fabbrica “D” si fondano sulle misure riportate in una perizia di parte prodotta dalla ricorrente Se.Ge.Co. S.r.l., ritenute non contestate ex adverso, laddove l’Amministrazione appellante assume di avere invece contestato tali misure anche con l’ausilio di documentazione grafica e fotografica; b) la tesi del Comune, secondo cui le misurazioni contenute nella perizia di parte sono inaccettabili in quanto non tengono conto dell’esistenza di solai intermedi (calcolati invece, in corretta applicazione della disciplina di zona, ai fini dell’adozione degli atti impugnati in prime cure), appare confermata dal censurato provvedimento sanzionatorio (prot. nr. 1251 del 24 gennaio 2007) laddove, ai fini del calcolo delle altezze dell’edificio necessarie alla quantificazione della sanzione medesima, si tiene conto anche “del numero dei solai intermedi”;

c) in ogni caso, appare quanto meno dubbia la piena applicabilità del principio di non contestazione a un atto quale è la perizia di parte, la quale non si limita ad affermare fatti storici (rispetto ai quali può avere senso un onere di contestazione della loro veridicità) ma contiene anche valutazioni tecniche costituenti espressione di giudizio, più che di scienza; d) quanto alla sentenza nr. 2017 del 2008, parte appellante ha documentato che la verificazione sulla quale questa si basa è stata condotta sulla base di documentazione incompleta, non essendo stati versati in atti nella loro totalità i documenti prodotti al Comune in data 24 novembre 2006 a integrazione della documentazione allegata alla DIA, dai quali emergerebbe che fu proprio in tale momento che il progetto fu sostanzialmente modificato con la trasformazione della rampa di accesso al garage in corpo fuori terra; e) tale rilievo – non contestato ex adverso – ha importanza decisiva, atteso che nel giudizio amministrativo di primo grado l’Amministrazione resistente ha l’onere di depositare il provvedimento impugnato e gli atti e documenti del relativo procedimento amministrativo e gli altri ritenuti utili e, se non provvede a tale adempimento, il giudice ordina anche d’ufficio l’esibizione dei documenti, di modo che tali atti sono per definizione “indispensabili” al giudizio e la mancata produzione da parte dell’Amministrazione non comporta decadenza, sussistendo il potere-dovere del giudice di acquisirli d’ufficio, anche in grado di appello (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 dicembre 2011, nr. 6497); f) inoltre, la medesima Amministrazione appellante – anche in questo caso senza adeguata contestazione sul punto – ha rilevato che la stessa documentazione a disposizione del verificatore era contraddittoria rispetto all’originario posizionamento della predetta rampa in quanto, a fronte di una tavola di progetto (la nr. 1) allegata alla originaria concessione edilizia nr. 81 del 2002 dalla quale si è evinto che già a tale epoca la rampa sarebbe stata fuori terra, ve ne erano altre (p.es. la nr. 5) dalla quale emergeva uno stato dei luoghi diverso;”.

La Sezione ha pertanto, con la ordinanza collegiale n. 04927/2012, disposto una nuova verificazione vertente sui seguenti quesiti:

“1. Individuazione dell’altezza media del corpo di fabbrica di cui alla scala “D” dell’immobile oggetto della concessione edilizia nr. 81/02 dell’8 aprile 2003, rilasciata dal Comune di Cassano delle Murge in favore della S.I.L.CO. S.r.l. (poi sostituita dalla Se.Ge.Co. S.r.l.) e dalla successiva DIA in variante dell’11 ottobre 2006;

2. Accertamento della conformità tra quanto eseguito e quanto progettato in relazione al muro sul confine nord ed al solaio di copertura della rampa di accesso al piano cantinato destinato a garage sul medesimo immobile, interessati dall’ingiunzione di demolizione nr. 18256 del 1 dicembre 2006;

3. In particolare, individuazione delle quote sul confine nord prima e dopo l’intervento edilizio, dell’altezza effettiva del corpo di fabbrica a confine e dell’eventuale esubero volumetrico fuori terra, nonché della relazione tra il solaio di copertura della rampa di accesso al garage, il solaio dello stesso garage e gli altri solai e parti strutturali fuori terra dei vari corpi di fabbrica.”

In proposito è stato precisato che in particolare, ai fini del calcolo delle altezze e delle quote, occorrerà tener conto del piano di campagna naturale o artificiale quale esistente anteriormente al rilascio del titolo ad aedificandum per cui è causa, senza dunque tener conto di terrapieni e solai intermedi che risultassero realizzati, (secondo l’interpretazione dell’art. 3 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Cassano delle Murge che si è ritenuta preferibile in altro giudizio fra le stesse parti -ricorsi nn. 9373 del 2010 e 1957 del 2012, spediti in decisione alla udienza del 10 luglio 2012 -).

Alla pubblica udienza del 26 marzo 2013 con ordinanza collegiale n. 01721/2013 il termine di esperimento dell’incarico concesso al verificatore è stato prorogato, e le riunite cause sono state rinviate alla odierna pubblica udienza del 5 novembre 2013.

In data 28 maggio 2013 il verificatore ha depositato l’elaborato tecnico, corredato di grafici, nell’ambito del quale è stata data risposta ai quesiti posti dal Collegio.

L’amministrazione comunale di Cassano delle Murge ha depositato una articolata memoria nell’ambito della quale, richiamandosi all’elaborato tecnico redatto in sede di verificazione, ha chiesto di accogliere i riuniti appelli e, per conseguenza, di respingere il mezzo di primo grado.

La società Segeco S.r.l. ha depositato una articolata memoria insistendo nelle proprie difese e sostenendo la inattendibilità delle valutazioni espresse nell’elaborato tecnico redatto in sede di verificazione.

Richiamando le conclusioni contenute nella relazione tecnica di parte redatta dal proprio consulente di fiducia e versata in atti, ha sostenuto che il verificatore era incorso in un grave errore, allorchè aveva considerato quale quota di riferimento per la misurazione delle altezze, la stradina privata edificata dalla Segeco medesima e posta a sud del corpo di fabbrica D.

L’art. 7 delle Nta prevedeva invece che il calcolo delle altezze facesse riferimento a strade pubbliche, e non anche private, ed in ogni caso la detta stradina privata era anche priva di marciapiede.

Per altro verso, il verificatore aveva male interpretato la precisazione recata nella Ordinanza collegiale della Sezione laddove si era fatto riferimento ai c.d. “solai intermedi”, ritenendo applicabile alla fattispecie la disposizione di cui all’art. 3 delle NTa, sebbene non vigente al tempo in cui venne rilasciata la concessione edilizia.

Il mancato accertamento della “quota di campagna” viziava altresì le conclusioni con riferimento al muro ed al solaio.

Alla odierna pubblica udienza del 5 novembre 2013 le riunite cause sono state poste in decisione dal Collegio.

DIRITTO



1.I riuniti appelli (la riunione è già stata disposta con la ordinanza che ha disposto l’incombente istruttorio) devono essere accolti, con conseguente riforma delle gravate decisioni e reiezione dei ricorsi di primo grado.

1. In via preliminare rileva il Collegio - al fine di perimetrare il materiale cognitivo esaminabile - che gli unici argomenti di critica da sottoporre a scrutinio sono quelli prospettati dall’appellante amministrazione comunale: parte appellata infatti,si è costituita con memoria di stile, e soltanto successivamente ha depositato memorie esplicative delle proprie difese. Premesso che l’intera vicenda processuale risulta governata, ratione temporis dalle disposizione antevigenti rispetto all’entrata in vigore del c.p.a., si deve fare applicazione del consolidato principio secondo il quale (Cons. Stato Sez. IV, 10-08-2011, n. 4766) “in applicazione estensiva dell'art. 346 c.p.c. che, nel processo amministrativo, si afferma il principio della riproponibilità dei motivi assorbiti o non esaminati mediante memoria, così semplificando gli oneri dell'appellante incidentale (proprio), esentandolo dalla necessità di notificazione dell'atto. Peraltro, se pure si consente la riproposizione dei motivi per il tramite di memoria e non di appello incidentale (accordando prevalenza all'art.346 c.p.c. sull'art. 37 R.D. n. 1054/1924), non si può escludere che detta memoria debba essere comunque depositata entro il termine previsto dal citato art. 37. E ciò a maggior ragione vista l'assenza di diversa previsione nell'art. 346 c.p.c.”.

Nel caso di specie posto che il termine di cui all'art. 37 R.D. n. 1054/1924 non è stato rispettato, non serebbe esaminabile alcun motivo assorbito, né alcuna censura incidentalmente riproposta da parte appellata.

1.2. Ciò premesso, il Collegio ha sintetizzato – nella parte in fatto della presente decisione – lo sviluppo del contenzioso di primo grado, le censure mosse dal comune odierno appellante alle motivazioni contenute nelle gravate decisioni,e da tale esposizione può agevolmente ricavarsi la ratio sottesa alla ordinanza collegiale istruttoria n. 4927/2012 del 10 luglio 2012.

In data 28 maggio 2013 è stato depositato l’elaborato di verificazione mercè il quale è stata data risposta ai tre macroquesiti sviluppati nell’ordinanza collegiale.

E’ utile rammentare che il primo dei detti quesiti incideva sulle statuizioni contenute nella sentenza parziale nr. 2106/2007 gravata nell’ambito del ricorso nr. 2449 del 2008 mentre gli ulteriori due quesiti facevano riferimento alle statuizioni contenute nella sentenza definitiva del TA.R. della Puglia, Sezione III, nr. 2017/2008 gravata nell’ambito del ricorso nr. 9880 del 2008.

In particolare, il primo quesito faceva riferimento alla questione della (contestata nel mezzo di primo grado ed esclusa nella sentenza parziale 2106/2007) maggior altezza del corpo di fabbrica di cui alla scala D come rilevata nell’ordinanza dirigenziale del 1° dicembre 2006 e sanzionata in via pecuniaria con la determinazione dirigenziale del 14 gennaio 2007 entrambe gravate vittoriosamente in primo grado (la suindicata sentenza aveva annullato la determinazione dirigenziale n. 1251 del 14 gennaio 2007).

La verificazione ha fornito in proposito un esito univoco, essendosi ivi accertato che l’altezza media del corpo di fabbrica di cui alla scala “D” dell’immobile oggetto della concessione

Edilizia nr. 81/02 dell’8 aprile 2003, rilasciata dal Comune di Cassano delle Murge in favore della

S.I.L.CO. srl (poi sostituita dalla Se.Ge.Co. srl) e dalla successiva DIA in variante dell’11 ottobre

2006 risultava pari a 12.02 metri (12.38-[4x(0.39-0.30)] = 12.02 metri) e pertanto superiore ai m.11.00 ammessi dal vigente PdF (dato, quest’ultimo, rimasto pacifico ed incontestato dalle parti durante tutto lo svolgimento del giudizio di primo grado).

Quanto agli ulteriori due quesiti, già riportati per esteso nella parte in fatto della presente decisione, ma che appare utile per comodità espositiva ritrascrivere di seguito: (“Accertamento della conformità tra quanto eseguito e quanto progettato in relazione al muro sul confine nord ed al solaio di copertura della rampa di accesso al piano cantinato destinato a garage sul medesimo immobile, interessati dall’ingiunzione di demolizione nr. 18256 del 1 dicembre 2006;

In particolare, individuazione delle quote sul confine nord prima e dopo l’intervento edilizio, dell’altezza effettiva del corpo di fabbrica a confine e dell’eventuale esubero volumetrico fuori terra, nonché della relazione tra il solaio di copertura della rampa di accesso al garage, il solaio dello stesso garage e gli altri solai e parti strutturali fuori terra dei vari corpi di fabbrica.”) anche in tale caso la verificazione ha fornito esito univoco.

Ivi infatti è stato affermato che, quanto al primo profilo, “si rileva una mancata conformità tra il progetto assentito con Concessione Edilizia 81/’02 e l’opera cosi come eseguita (v. tabella 4 – difformità). Infatti secondo quanto progettato il muro sul confine nord della proprietà Se.Ge.Co. srl doveva avere una altezza variabile da m. 1.80 a m. 2.50, fatta esclusione per il parapetto non conteggiato né rappresentato in sezione, come già detto. Dai rilievi condotti tale muro, sempre al netto del parapetto, mostra una altezza che, in corrispondenza degli analoghi punti, è variabile da m. 3.95 a m. 4.71.”.

Quanto invece al secondo degli aspetti oggetto di approfondimento istruttorio, “l’esubero volumetrico fuori terra consta di mc 477.85 se si considera il volume del corpo

di fabbrica rilevato rispetto al terreno di proprietà Varvara srl; consta invece in mc 236.55 se si

considera come parte in eccesso rispetto a quanto rappresentato nella Tav.1 di progetto -seppure

non assentito in quanto non rientrante nel computo dei volumi a farsi di cui alla citata Tavola 6

della stessa C.E. 81/’02-“).

1.2. Il Collegio ritiene che le conclusioni cui è giunta la verificazione non siano revocabili in dubbio: in particolare, il rigore scientifico che traspare dal modus procedendi prescelto, la completezza dell’analisi ivi effettuata, ed il rigoroso vaglio delle argomentazioni difformi via via prospettate dalle parti nel corso dei lavori persuadono il Collegio nel concludere che siano inaccoglibili eventuali ulteriori dubbi in ordine alla correttezza ed affidabilità delle conclusioni cui l’incombente istruttorio è pervenuto.

3. A questo punto, possono essere esaminati nel merito gli argomenti di critica prospettati da parte appellante e, insieme, le originarie doglianze della ditta destinataria dei provvedimenti sanzionatori.

3.1. Quanto al primo versante impugnatorio (contestata altezza del corpo D maggiore di quanto realizzabile) occorre muovere dal condivisibile assunto fatto proprio dal Tar – ed ormai res judicata, in quanto non gravato da alcuna delle parti processuali- secondo il quale doveva essere considerato “ inaccoglibile, pertanto, l’assunto della Segeco secondo cui il corpo D sarebbe stato “corpo scala” di un unico edificio comprensivo anche degli altri tre corpi di fabbrica.”: ciò in quanto “ i quattro corpi di fabbrica, salve alcune parti comuni (cortili interni e piano cantinato a garage), erano del tutto autonomi e distinti, tra loro non comunicanti, con separati accessi, vani scale, atrii e ascensori”.

3.1. Proprio muovendo da tale punto di partenza, deve svilupparsi lo scrutinio del Collegio.

Ciò peraltro, nella piena condivisione della affermazione contenuta nella citata sentenza parziale (anch’essa non specificamente gravata, e costituente quindi accertamento regiudicato) secondo cui “la determinazione dell’altezza del corpo di fabbrica D deve essere operata quindi tenendo conto delle sole altezze del medesimo e va verificata sia in relazione alla specifica prescrizione contenuta nel punto 12 della concessione edilizia n. 81/02 dell’8 aprile 2003, sia in ragione della generale prescrizione di cui all’art. 7 delle N.T.A. del P.d.F., nel cui vigore, incontestatamente e secondo quanto ammesso nell’ordinanza dirigenziale del 1° dicembre 2006, fu rilasciata la medesima concessione.

La prima ha stabilito “…che la scala D a sistemazione finita abbia agli estremi altezza fuori terra tale che la semi-somma algebrica non superi 11 mt.”.

La seconda disponeva che “L’altezza massima è data dalla media di tutte le altezze medie misurate sui fronti di un edificio dal piano di marciapiede pubblico o di campagna e l’estradosso dell’ultimo solaio”.

3.2. Ribadisce in proposito il Collegio che la verificazione depositata ha chiarito ogni aspetto controverso, quanto a tale profilo della causa.

Il verificatore, infatti, ha innanzitutto indicato il “metodo di calcolo” contenuto negli artt. 7 ed 8 delle Nta del Pdf (art. 7 comma 3 : L’altezza massima del fabbricato è la massima tra quelle misurate in un qualsiasi punto del perimetro del fabbricato, a partire dal livello del terreno naturale oppure, se più basso, dal livello dei marciapiedi -oppure,qualora questo manchi, dal livello della strada o piazza, oppure dal livello del sito circostante comunque sistemato-, sino all’estradosso del solaio di copertura, esclusi i volumi tecnici ed il parapetto pieno se con altezza inferiore a m. 1,20, se la copertura è a terrazzo;…”; art. 7 “L’altezza massima è data dalla media di tutte le altezze misurate sui fronti di un edificio da piano del marciapiede pubblico o campagna e l’estradosso dell’ultimo solaio”; art. 8 :“Il volume di un fabbricato è dato dalla somma dei prodotti di tutte le superfici coperte fuori terra,piano per piano, per l’altezza rappresentata dalla differenza di quota fra i rispettivi pavimenti”.)

Ha rilevato l’errore di partenza nel computo dell’altezza media dell’edificio D, facendo presente che il calcolo dell’altezza di questi spigoli nel progetto, rispetto al ballatoio, non risulta corretto, in

quanto il ballatoio, non può essere certo inteso come “piano del marciapiede pubblico o campagna

….” secondo le specifiche indicazioni dell’art. 7 delle NTA del P.d.F. né con riferimento all’art. 11

delle NTA del PRG citato, adottato in data 20.03.1990 (le cui norme di salvaguardia risultano

comunque decadute) trattandosi appunto di un solaio intermedio dell’edificio.

Individuata l’altezza media (12, 38) ha proceduto al relativo calcolo in conformità del principio contenuto nella l.R. n. 23/98( abrogata dall’art.17 della LR 13/2008 ma il cui principio è tuttavia ripreso dall’art. 11 comma 1b. della stessa legge) secondo cui non sono considerati nel computo per la determinazione dei volumi, delle superfici, delle distanze e nei rapporti di copertura (…) il maggior spessore dei solai intermedi e di copertura oltre la funzione esclusivamente strutturale; nel computo delle altezze deve essere sottratto ad ogni solaio il valore eccedente i 30 centimetri del suo spessore.

In ordine alla consistenza di detta doverosa,“sottrazione” – è appena il caso di precisare – ed all’an della medesima non v’è né può esservi alcuna contestazione, posto che in parte qua l’operazione matematica svolta dal verificatore coincide in pieno con quella effettuata dal primo giudice e rimasta incontestata,(“la misura dello spessore dei quattro solai intermedi eccedente i 30 cm., pari a 9 cm. e quindi un totale di 36 cm. -9 cm. x 4-).

Il primo giudice, muovendo dal dato rappresentato da un’altezza media inferiore rispetto a quella computata in sede di verificazione, ha concluso per l’affermazione secondo la quale l’altezza del predetto corpo di fabbrica era inferiore a mt 11.00 (“ sicché l’altezza computabile resta determinata nella differenza 11,27 ml - 36 cm. = 10,91 ml. inferiore a ml. 11”).

3.2.1. Ritiene il Collegio che, da un canto, in sede di verificazione sia stato correttamente accertato il valore di riferimento dal quale muovere ( e che, pertanto, risulti chiarito l’errore della misurazione “di partenza” assunta a parametro dal Tar) e che, per altro verso, le critiche mosse da parte appellata a tale quantificazione non possano essere condivise.

Invero la tesi secondo cui il verificatore era incorso in un errore, allorché aveva considerato quale quota di riferimento per la misurazione delle altezze, la stradina privata edificata dalla Segeco medesima e posta a sud del corpo di fabbrica D appare indimostrata e non condivisibile, posto che, da un canto, il postulato dal quale essa muove (l’art. 7 delle Nta prevedeva invece che il calcolo delle altezze facesse riferimento a strade pubbliche e non anche private) non è rinvenibile e, per altro verso, la circostanza che della privata stradina fosse priva di marciapiede, non rileva in quanto la richiamata norma di cui all’art. 7 prevede giustappunto che, qualora il marciapiedi manchi, il calcolo della quota debba partire dal livello della strada o piazza.

Risulta pertanto definitivamente accertato che l’altezza del corpo D realizzato è pari a mt 12.02 e, è pertanto, ben superiore alla quota massima fissata in mt. 11.00 .

3.2.2. Sarà altresì consentita, sul punto, la esposizione di una ulteriore considerazione reiettiva delle considerazioni ed eccezioni proposte dalla Segeco che, per il vero, pur senza essere di seguito ripetuta, è certamente traslabile anche alle ulteriori eccezioni da questa prospettate e riferite agli ulteriori profili di accertamento oggetto della verificazione.

Le causa in esame è abbastanza peculiare: la particolarità della stessa riposa infatti (e ciò traspare da quanto affermato anche nella ordinanza che ha disposto la verificazione soprarichiamata) nella circostanza che, per speculari ed in parte analoghe violazioni è stato celebrato un processo avente ad oggetto la illegittimità del titolo edilizio rilasciato alla Varvara srl e gravato dalla odierna appellata Segeco.

In sostanza, le società Varvara e Segeco proprietarie di fondi finitimi, hanno reciprocamente contestato l’attività edificatoria dalle stesse rispettivamente intrapresa e censurato i titoli abilitativi all’uopo rilasciati dal Comune.

Nell’ambito delle riunite cause n. 09373/2010 e n. 01957/2012 è stata emessa la sentenza n. 04923/2012 , il cui contenuto deve intendersi integralmente richiamato in questa sede, nell’ambito della quale è stata affermata la correttezza della sentenza gravata dalla ditta Varvara, con la quale il T.A.R. della Puglia, in accoglimento del ricorso proposto dalla Se.Ge.Co. S.r.l., aveva annullato il permesso di costruire nr. 63 del 2006, alla Varvara rilasciato dal Comune di Cassano delle Murge ed è stata altresì affermata la immunità da vizi della sentenza reiettiva del ricorso proposto dalla Se.Ge.Co. S.r.l. avverso il nuovo permesso di costruire rilasciato alla ditta Varvara dal Comune di Cassano delle Murge a seguito dell’annullamento giurisdizionale del primo titolo edilizio.

E’ appena il caso di precisare che l’area geografica è la stessa, e pertanto la individuazione dei tratti essenziali dell’attività costruttiva posta in essere ha presentato problematiche analoghe a quelle oggetto della odierna causa.

Nella detta decisione n. 04923/2012 peraltro, è stato espresso un principio che, certamente condiviso da questo Collegio, è stato posto a sostegno della elaborazione dei quesiti sottesi alla ordinanza collegiale n. 4927/2012 del 10 luglio 2012, e che vale la pena riportare per esteso.

Ivi infatti (capo 3.3. della richiamata decisione) si è affermato che “Quanto al terzo motivo d’appello, con esso si assume l’erroneità dell’interpretazione del citato art. 3 delle N.T.A. che il primo giudice, sulla scorta della verificazione, ha ritenuto di accogliere.

Tale disposizione, per quanto qui interessa, al fine di fissare i limiti massimi di altezza dei fabbricati assentibili nella zona de qua, così prescrive: “...L’altezza massima del fabbricato è la massima tra quelle misurate in un qualsiasi punto del perimetro del fabbricato, a partire dal livello del terreno naturale oppure, se più basso, dal livello del marciapiedi (oppure, qualora questo manchi, dal livello della strada o piazza, oppure dal livello del sito circostante comunque sistemato), sino all’estradosso del solaio di copertura, esclusi i volumi tecnici ed il parapetto pieno se con altezza inferiore a mt. 1,20, se la copertura è a terrazzo (...)”.

Orbene, il contrasto inter partes concerne il significato da attribuire all’espressione “dal livello del sito circostante comunque sistemato”: avendo il primo giudice ritenuto che con essa si faccia riferimento a quella che risulti essere la pregressa condizione “naturale” del piano di campagna dal quale muove la misurazione dell’altezza, con rigorosa esclusione di qualsivoglia “sistemazione” artificiale (anteriore o contestuale all’intervento da assentire), mentre l’odierna appellante insiste nell’affermare che l’aggettivo “sistemato” non potrebbe non essere inteso quale indicativo dell’intento di ricomprendere anche la suddette “sistemazioni” artificiali.

Nel caso di specie, premesso che l’edificio oggetto del permesso di costruire insiste su un suolo caratterizzato da plurimi dislivelli e terrazzamenti, il T.A.R. ha rilevato come inammissibilmente l’altezza di alcuni dei box di cui al progetto originariamente assentito era stata calcolata a partire dalla sommità di un “terrapieno artificiale” di altezza superiore di circa mt- 1,5-2 rispetto alla strada preesistente, del quale nello stesso progetto era prevista la realizzazione.

La Sezione, come già anticipato in fase cautelare (cfr. ordinanza nr. 2851 del 2010), condivide appieno tale interpretazione, dal momento che i limiti alle altezze degli edifici previsti dagli strumenti urbanistici non possono variare a seconda della “sistemazione” che il richiedente intende dare al piano di campagna circostante con lo stesso progetto su cui chiede al Comune l’assenso, ma devono essere ancorati a dati certi e oggettivi ricavabili dalla situazione dei luoghi anteriore (cfr. Cons. St., sez. IV, 24 aprile 2009, nr. 2579).“.

La Segeco non pare avere compreso né la portata di tale affermazione, né la sostanza delle considerazioni poste a sostegno della disposta verificazione , e ripropone critiche in parte ripetitive di argomentazioni superate, ed in parte riferibili all’elaborato peritale di primo grado del quale a Sezione ha già rilevato la non persuasività complessiva, pertanto l’inutilizzabilità nell’odierno grado di giudizio.

Rileva in contrario senso il Collegio (e tale rilievo è anche assorbente rispetto all’inciso contenuto nella consulenza tecnica che fa riferimento all’art. 3 Nta inapplicabile al capo di specie)che: la disposizione dell’art. 7 delle Nta non esonera, ma impone che le misurazioni avvengano da una quota “reale” e non artificialmente creata; che tale non era il ballatoio utilizzato dall’appellata quale quota 0 di partenza, e ciò sarebbe sufficiente a respingere il mezzo di primo grado, essendosi accertato che quella era una quota artificiale; che muovendo dalla quota “0” erano stati largamente superati i limiti di altezza.

Tutte le critiche prospettate non superano tali evidenze: in parte qua, pertanto, l’esito della verificazione va pienamente recepito, il che impone la riforma della sentenza parziale n. 46/2007, ed il rigetto del terzo motivo di censura contenuto nel ricorso di primo grado e, conseguentemente, del ricorso per motivi aggiunti nella parte in cui esso era teso da ottenere l’annullamento della determinazione dirigenziale che, aveva determinato nella somma di € 125.058,00 la sanzione pecuniaria per la violazione relativa alla maggior altezza del corpo D.

4. Quanto al secondo aspetto della problematica, parimenti ritiene il Collegio che la sentenza vada riformata, con conseguente reiezione del mezzo di primo grado, e salvezza degli atti impugnati.

4.1. Al fine di evitare di ripetere nuovamente considerazioni già esternate, il Collegio ribadisce e fa proprie le valutazioni contenute nella ordinanza collegiale della Sezione n. 04927/2012 (con la quale è stata disposta la più volte richiamata verificazione) secondo cui la sentenza di prime cure si era fondata su una documentazione insufficiente e parziale.

Ciò esonera il Collegio da una partita disamina della motivazione in essa contenuta, in quanto giocoforza fondata su dati progettuali inadeguati (anche tale aspetto non pare essere stato ben colto dalla appellata Segeco, che continua a richiamare le conclusioni dell’elaborato peritale di primo grado) e consente di passare immediatamente in rassegna gli argomenti contenuti della relazione depositata dal verificatore, in considerazione della circostanza che a quest’ultimo è stato devoluto il compito di rivisitare integralmente gli atti di causa alla luce delle censure articolate in primo grado.

4.2. Come già accennatosi in precedenza, anche in tale caso l’esito del disposto incombente istruttorio è stato univoco.

Ciò in quanto è emerso che rispetto al progetto assentito, il muro sul confine nord della proprietà Se.Ge.Co. srl (che doveva avere una altezza variabile da m. 1.80 a m. 2.50) mostrava una altezza che, in corrispondenza degli analoghi punti, era variabile da m. 3.95 a m. 4.71.

Alla accertata maggiore altezza del muro (con uno scarto imponente che rende irrilevante l’eventuale margine di errore) fa da contraltare un accertato esubero volumetrico fuori terra anch’esso imponente (si va da uno scarto di mc 477.85 ad uno di mc 236.55).

La contestazione mossa da parte appellata al rigore di detto accertamento tecnico appare tanto generica (non si sarebbe tenuto conto del “salto di quota” preesistente e pari a mt. 1.10 sul confine tra le proprietà Vazzana e Segeco) quanto infondata: in particolare essa giunge a conclusioni già prima facie non condivisibili in quanto (oltre a ripetere considerazioni già precedentemente confutate con riguardo al primo quesito), si spinge a sostenere che sotto il profilo urbanistico la parte di edificio spiccante ampiamente dal suolo dovesse considerarsi interrata (pag. 13 della consulenza di parte versata in atti).

Anche in tale caso il Collegio ribadisce la propria adesione alle conclusioni tecniche raggiunte nell’elaborato di verificazione, dovendosi unicamente aggiungere che, sul punto, le difese del Comune e della ditta Varvara srl hanno gioco facile nel far risaltare la endemica contraddittorietà delle difese della Segeco e la loro inattitudine a revocare in dubbio le conclusioni cui è giunto il verificatore.

Quanto all’ultimo profilo, ed al fine di non ripetere considerazioni già esposte, la difesa dell’appellata fornisce una giustificazione dell’omesso computo del volume, in quanto “costituiva volume interrato”.

Senonché, a tacere d’altro, l’attività realizzativa del medesimo ha fatto sì che – come agevolmente comprovabile dalla documentazione fotografica in atti - lo stesso volume (garage e corsia di manovra) tutto sia (rectius: siano) tranne che volumi interrati, e pertanto suscettibili di conteggio qual volume.

Ne consegue anche sotto tale angolo prospettico la condivisione dell’elaborato redatto dal verificatore e la reiezione degli argomenti difensivi prospettati dalla Segeco.

5. Conclusivamente, pare al Collegio che l’elaborato di verificazione vada integralmente condiviso e che lo stesso abbia consentito di affermare la fondatezza degli appelli proposti dall’amministrazione comunale sotto tali assorbenti considerazioni, mentre tutti gli argomenti di doglianza e di eccezione non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

I riuniti appelli vanno pertanto accolti e, in riforma delle gravate sentenze, deve essere respinto il ricorso di primo grado.

6. Le spese processuali devono essere integralmente compensate, mentre la soccombente Segeco dovrà corrispondere le spese della eseguita verificazione che si liquidano nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sui riuniti appelli, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l’effetto, in riforma delle gravate decisioni, respinge il ricorso di primo grado.

Compensa tra le parti le spese processuali sostenute, mentre la soccombente Segeco dovrà corrispondere le spese della eseguita verificazione che si quantificano in complessivi € 4000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Francesca Quadri, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28/11/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)