Cons. di Stato Sez. VI sent. 120 del 19 gennaio 2007
Beni culturali. Imposizione vicnolo su complesso archeologico
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.120/2007
Reg.Dec.
N. 613 Reg.Ric.
ANNO 2006
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha
pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto da Ministero per i beni e le
attività culturali- Soprintendenza per i beni archeologici
dell’Etruria meridionale, in persona del Ministro pro-tempore
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato
presso cui è ope legis domiciliato in Roma via dei
Portoghesi 12;
contro
Bisenzio s.r.l. in persona del legale rappresentante p.t.,
rappresentato e difeso dagli avv.ti prof. Fabrizio Lemme e Giuliano
Lemme, presso cui è elettivamente domiciliato in Roma, Corso
di Francia 197;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio sede di
Roma Sezione II n.7649 del 3 ottobre 2005.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della
società appellata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 31 ottobre 2006 relatore il Consigliere
Luciano Barra Caracciolo.
Uditi l’avv. dello Stato Galluzzo e l’avv. Fabrizio
Lemme;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con la sentenza in epigrafe il Tar del Lazio ha accolto, per quanto di
ragione, il ricorso proposto dalla società Bisenzio avverso
il decreto della Soprintendenza regionale per i beni e le
attività culturali del Lazio, datato 8 luglio 2003, con il
quale, ad integrazione di un vincolo archeologico preesistente (d.m. 13
marzo 1999), è stata dichiarata di interesse particolarmente
importante un’area di sua proprietà sita in Comune
di Capodimonte, tra la S.P. Verentana e le sponde del lago di Bolsena,
interessata da lavori conseguenti ad un piano di lottizzazione.
L’adito Tribunale premetteva che, a causa del ritrovamento
dei resti di una villa rustica romana nel corso di sbancamenti
afferenti lavori di cui ad un piano di lottizzazione, con d.m. 13 marzo
1999, il Ministero per i beni e le attività culturali
dichiarava l’interesse particolarmente importante, ai sensi
della l. 1° giugno 1939, n. 1089, di immobili di
proprietà della società ricorrente, siti in
Comune di Capodimonte (fg. 15, p.lle 109, 447, 449 e 450).
La previsione edificatoria prevista per tali immobili (realizzazione di
una struttura alberghiera) veniva indi trasferita su altre aree di
proprietà della medesima società, ed, in
particolare, sul lotto 34 del piano di lottizzazione, pari a mq. 4550
(fg. 15, p.lle 350, 370 parte, 351 parte, 431, 432, 359 parte, 444
parte e 230 parte). Nel corso dei relativi scavi, venivano rinvenuti
resti di un tratto di strada di epoca romana, lungo m. 70 e largo m. 3.
La Soprintendenza archeologica per l’Etruria Meridionale,
sulla base dell’assunto che il tratto di strada ritrovato
costituisse un antico tracciato perilacuale, parallelo alla sponda del
lago, direzione N-S, e ipotizzando un collegamento tra la villa romana
e lo stesso, manifestava l’intento di ampliare il precedente
vincolo sull’intero lotto 34, solo in parte interessato dal
ritrovamento (p.lle 350 parte, 432 parte e 359 parte),
nonché su altre aree, alcune delle quali già
irriversibilmente modificate in seguito alla realizzazione di opere
previste dalla lottizzazione.
L’area di cui al lotto 34 veniva, quindi, interessata da
scavi e saggi, a spese della società e sotto la vigilanza
della Soprintendenza, che non conducevano ad altri ritrovamenti.
La medesima Soprintendenza formalizzava, comunque, la proposta di
vincolo sull’intera area predetta, ivi incluso il lotto 34.
Interveniva, poi, la comunicazione di avvio del procedimento.
Alla luce dell’esito degli esperimenti di cui sopra, la
società ricorrente richiedeva in più occasioni la
limitazione del costituendo vincolo alla striscia di terreno
interessata dal tracciato della strada e alla relativa zona di
rispetto, al fine di realizzare, con i necessari accorgimenti, la
previsione edificatoria sulla parte del lotto non interessata dai
ritrovamenti. In particolare, la società proponeva un
ridimensionamento della progettata struttura alberghiera e il suo
inserimento in un progetto di riqualificazione (parco archeologico)
dell’area.
Interveniva, da ultimo, l’impugnato decreto 8 luglio 2003, di
dichiarazione dell’interesse particolarmente importante di
tutte le particelle interessate, ab inizio, dalla proposta di vincolo,
ivi compreso l’intero lotto 34.
Rilevava il Tar come, nella controversia in esame, fosse pacifico,
emergendo dal complesso degli atti di causa, che il rinvenimento di
reperti archeologici ha interessato solo in parte l’area,
più vasta, di proprietà della ricorrente.
In particolare, precisava la relazione fatta pervenire
dall’amministrazione in data 28 maggio 2005, in esito
all’incombente istruttorio disposto dal Collegio, trattarsi
di un’area di mq. 3.400 priva di emergenze archeologiche, a
fronte di una superficie di mq. 12.500 complessivi.
E’, altresì, pacifico che l’imposizione
del vincolo sull’area non interessata da ritrovamenti si
fondava sull’ipotesi, esternata sia in sede di relazione
illustrativa al provvedimento, sia in sede giudiziale, che
tratterebbesi, nella specie, di un “vuoto
strutturale” e non di un “vuoto
archeologico”, riferibile all’esistenza di un
collegamento viario tra il tracciato perilacuale e la villa romana
già oggetto di vincolo.
Poste tali premesse, il Collegio conveniva con le censure proposte
dalla società ricorrente nel secondo motivo di ricorso
(contrasto con i criteri di proporzionalità e
ragionevolezza).
Si osservava, in particolare, che il su riferito ordine argomentativo
adottato dall’amministrazione traduce in fatto una mera
ipotesi, non suffragata dal concorso di elementi obiettivi, certi e
concordanti, movendo dai quali fosse possibile affermare
indiscutibilmente che i reperti rinvenuti in una certa zona
costituissero l’emersione di un più vasto
insediamento che interessasse altra area circostante, e che il
carattere inscindibile ed unitario del compendio rendesse
indispensabile il sacrificio degli interessi privati coinvolti.
E’, invero, acquisito dalla giurisprudenza il principio
secondo cui imprescindibile presupposto per l’imposizione del
vincolo diretto di cui agli artt.1 e 3 della legge n. 1089 del 1939
è la dimostrata, effettiva esistenza delle cose da tutelare;
con la conseguenza che il relativo provvedimento si deve considerare
illegittimo, per carenza o errore nei presupposti, ove sia stato
acclarato che in un’area non irrilevante della zona vincolata
in realtà non esiste alcun bene archeologico suscettibile di
protezione.
Ciò in quanto la legge in esame, dove consente
l’imposizione del vincolo diretto sulle cose di interesse
artistico, storico o archeologico, incide, comprimendolo, sul diritto
di proprietà; se ne traeva la conseguenza che, al fine di
evitarne un’inutile limitazione, è consentito
all’amministrazione di adottare il relativo provvedimento
soltanto nel presupposto della già acquisita certezza
dell’esistenza delle cose oggetto di tutela e previa rigorosa
delimitazione della zona da proteggere (C. Stato, sez. VI, 09-05-02, n.
2525).
Né valeva a contrario obiettare che la medesima
giurisprudenza ammette che l’esistenza dell’oggetto
della tutela possa essere dimostrata anche per presunzione.
Nel procedimento sopra descritto, infatti, la presunzione di cui
trattasi ha formato oggetto di indagini, che non ne hanno confortato la
fondatezza.
Si è, quindi, in presenza non di una dimostrazione
presuntiva, bensì di una mera ipotesi, ovvero, in altre
parole, di un indicazione che, se idonea a supportare una specifica
istruttoria, com’è accaduto nella fattispecie, non
poteva tradursi, al relativo esito, nel quale è risultata
priva di qualsiasi riscontro obiettivo, nel definitivo provvedimento.
D’altra parte, se così non fosse e si ammettesse
la possibilità di adottare la misura vincolistica sulla base
di una mera indicazione di esistenza del bene archeologico ed in vista
di una eventuale, successiva attività diretta ad
individuarne la consistenza ed a portarlo alla luce, il relativo
provvedimento di vincolo finirebbe con l’assumere la
fisionomia di misura di salvaguardia del patrimonio in questione, non
prevista dalla legge n. 1089 del 1939 e, pertanto, non suscettibile di
applicazione.
Andava, altresì, considerato che è pure acquisito
alla giurisprudenza l’ulteriore principio secondo cui
l’amministrazione può estendere il vincolo ad
intere aree in cui siano disseminati ruderi archeologici
particolarmente importanti: è necessario, però,
in tal caso, non solo che i ruderi stessi costituiscano un complesso
unitario ed inscindibile, ma anche che il sacrificio totale degli
interessi dei proprietari sia reso indispensabile e che non sussista la
possibilità di adottare soluzioni meno radicali, evitandosi,
in ogni caso, che l’imposizione della limitazione sia
sproporzionata rispetto alla finalità di pubblico interesse
cui è preordinata (ibidem).
Che è quanto, invece, avvenuto nel caso in esame, nel quale
l’area priva di emergenze archeologiche non è di
irrilevante entità, costituendo circa un quarto di quella
complessivamente vincolata.
Con riferimento, poi, a tale ultimo profilo, inerente la ponderazione
dell’intensità del sacrificio imposto agli
interessi privati, dovevano ritenersi fondate anche le censure di
difetto di istruttoria e insufficiente motivazione di cui al primo
motivo di ricorso.
Il provvedimento impugnato, invero, nonostante la carenza di riscontri
univoci ed obiettivi all’ipotesi scientifica formulata
anteriormente alle operazioni di scavo e di saggio, dà
attuazione alla suddetta ipotesi, senza neanche confortarla con il
ricorso a circostanziati e consolidati elementi eventualmente
desumibili da diversa fonte, e senza, altresì, darsi carico
di esternare le ragioni ritenute ostative alla possibilità
di limitare il vincolo, con ogni idoneo accorgimento, alle aree
effettivamente interessate dai ritrovamenti archeologici, tema che
aveva formato oggetto di specifico intervento della società
ricorrente nel procedimento.
Di talchè difettavano sia l’esaustiva
illustrazione di non trascurabili elementi che hanno caratterizzato il
procedimento, sia l’apprezzamento della consistenza dei
precipui interessi privati coinvolti, con un effetto di detrimento
della funzione dell’istruttoria e della motivazione, le
quali, vieppiù, assumono particolare valore qualora non sia
possibile, come nella fattispecie, porre in diretta ed immediata
correlazione gli esiti dell’attività medio termine
intervenuta e le scelte definitivamente assunte
dall’amministrazione.
Risultate, indi, fondate le censure da parte ricorrente formulate
avverso il provvedimento di vincolo datato 8 luglio 2003
nell’atto introduttivo del giudizio, il ricorso principale
andava accolto, per quanto di ragione.
Per le medesime motivazioni, risultavano, poi, fondate le doglianze
proposte mediante la presentazione di motivi aggiunti avverso il parere
negativo formulato, ex art. 24, d. lgs. 490/99, dalla Soprintendenza
per i beni archeologici dell’Etruria Meridionale, con nota n.
8194, del 18 dicembre 2003, sul progetto edilizio presentato dalla
ricorrente. Andava, invece, respinta la domanda di risarcimento del
danno, genericamente proposta da parte ricorrente nell’atto
introduttivo del giudizio e non quantificata in corso di
causa.
Appella l’Amministrazione deducendo le seguenti censure:
Il Tar si è essenzialmente basato sul convincimento che
l’asserito collegamento tra i ruderi della Villa romana e
quelli del tracciato di antica strada perilacuale fossero frutto di una
“mera ipotesi, non suffragata dal concorso di elementi
obiettivi, certi e concordanti”.
Al contrario, circa la legittimità del vincolo dell8 luglio
2003, in questa come in altre analoghe circostanze,
l’obiettivo perseguito dall’Amministrazione
è stato di dare continuità e completezza ad
un’azione di tutela già avviata, cfr; vincolo d.m.
13 marzo 1999, alla luce di nuove consistenti, risultanze archeologiche
scaturite da indagini. Il prosieguo degli scavi nell’area
oggetto della lottizzazione ha condotto infatti a individuare ulteriori
elementi archeologici, più rilevanti ed estesi dei primi,
tutti da ricondurre ad un’unica e articolata villa di epoca
romana. Il complesso risulta indagato solo in parte, avendo le indagini
seguito il piano di lottizzazione, mentre parte
dell’insediamento permane nel sottosuolo. Della villa si sono
al momento individuati due soli limiti, in direzione nord, di ingresso
alla struttura e quella con la viabilità di servizio,
gravitanti verso il lago. Sul fronte settentrionale del complesso
individuato non ipotizzando, come sostiene il Tar, ma in presenza di
elementi certi, scaturiti dagli scavi, sono stati riportati in luce due
cippi di confine, disposti ai lati dell’ingresso della villa.
Davanti all’entrata, in corrispondenza dei cippi, come
evidenziato nella relazione scientifica del provvedimenti impugnato,
un’area sistemata a cocciopesto, appare riferibile ad un
piazzale antistante il complesso. L’ingresso alla villa, poi,
si apre verso l’arteria stradale che
nell’antichità correva lungo il lago, di cui
è stato posto in luce un tratto della lunghezza di m.70, per
una larghezza di m.3, e l’esame topografico delle strutture
rinvenute, pur nella loro frammentarietà dovuta alla moderna
situazione dei luoghi, e alle vicende contingenti dello scavo, collega
l’ingresso della villa alla sua viabilità,
rendendo il complesso inscindibile, come tale tutelabile nella sua
interezza. L’assenza di altre strutture archeologiche nel
lotto 34, è dovuta solo ad un vuoto strutturale, non
archeologico, essendo noto che in strutture come le ville romane vi
erano, accanto a ambienti coperti, spazi aperti adibiti a horti e
giardini, concorrenti, non meno delle strutture, a caratterizzare tale
tipo di insediamenti, formati appunto, da “vuoti e
pieni”. Da tali considerazioni scaturisce
l’imposizione del vincolo a tutta l’area,
perseguendosi, a fronte dell’inscindibilità
dell’intero complesso archeologico e relativa
viabilità, l’intento di salvaguardare
l’unitarietà del contesto.
Dall’incompatibilità dell’edificazione
alberghiera con l’obbligo di conservazione di tale insieme
unitario di elementi scaturisce come logica conseguenza il diniego
della Soprintendenza. L’edificazione, se realizzata,
alterebbe irrimediabilmente una realtà archeologica di per
sé unitaria, stravolgendo la conservazione di un contesto
omogeneo, fornito anche di un proprio asse viario di servizio.
Analogamente, in prospettiva, perderebbe di sostanza il sacrificio
imposto ai privati per le restanti parti già tutelate da
vincolo per le quali verrebbe a cessare il senso di compendio
insediativi omogeneo.
Si è costituita la società appellata deducendo
l’infondatezza dell’appello.
Con ordinanza n.19362006, emanata in sede cautelare, il Collegio ha
disposto incombenti istruttori cui l’Amministrazione ha
ottemperato depositando la nota prot.n.9986 del 12 giugno 2006.
DIRITTO
L’appello è infondato e va respinto.
Come confermato dall’espletata istruttoria,
nell’area denominata “lotto 34”
è stato posto in luce, nella parte settentrionale,
esclusivamente un tratto di antica strada perilacuale, interessante
quindi solo una porzione delimitata del lotto stesso, come ben
evidenziato nella sentenza impugnata, nei termini ampiamente riportati
in narrativa; la stessa istruttoria ha altresì acclarato
ulteriormente come, la restante parte del lotto 34, “venne
scavata senza evidenziare strutture archeologiche e raggiungendo il
banco di arenaria. Alla luce di quanto riportato appare dunque del
tutto improduttivo procedere ad ulteriori indagini in detta area che,
in presenza del banco, non potrebbe fornire nuovi indizi archeologici
in aggiunta a quelli già enunciati”.
Della insufficienza di questi ultimi a giustificare il vincolo esteso
all’intero lotto 34 ha appunto trattato
“funditus” la sentenza di primo grado, con rilievi
che non appaiono superabili in base alla deduzioni, eminentemente
fattuali, su cui è incentrato l’appello.
Quanto affermato dal Tar, sulla contraddittorietà del
vincolo, così esteso, alla luce delle risultanze istruttorie
procedimentali, vieppiù confermate dalla riportata nota
acquisita in questa sede, nonché sulla ingiustificata
sproporzione dell’estensione attribuita allo stesso e sulla
mancata considerazione dell’interesse del privato al fine di
adeguare ragionevolmente il vincolo medesimo alle esigenze
obiettivamente emerse dai ritrovamenti effettivamente accertati come
esistenti, non è invalidato dalle deduzioni appellatorie.
Ed infatti, l’inscindibilità
dell’unitario complesso archeologico in questione, la cui
parte più rilevante, la Villa romana, si trova su aree
pacificamente estranee al lotto 34, e l’esigenza di
preservarlo nella sua globalità, non giustificano
l’imposizione del vincolo anche su aree di gran lunga
eccedenti la superficie del ritrovamenti stradari localizzati sul lotto
34, risultando in assunto, proprio nell’impostazione
motivazionale prescelta dall’amministrazione e nelle
giustificazioni fattuali da questa addotte, che il sacrificio imposto
alla proprietà privata, risulta sproporzionato,
irragionevole e immotivato, come, in sintesi, ha rilevato la sentenza
impugnata, con argomenti dai quali quanto dedotto in appello non induce
a discostarsi.
L’esigenza di tutela del “vuoto
strutturale” legato all’esistenza di
“horti” e giardini ipotizzati come
“continuum” rispetto alla Villa romana, collegabili
alla struttura viaria localizzata in un’area delimitata del
lotto 34, infatti, in mancanza assoluta del ritrovamento di reperti
significativi, si rivela sprovvista dei caratteri della ragionevolezza,
adeguatezza e, in specie, proporzionalità che escluderebbero
la natura del tutto contraddittoria e immotivata
dell’estensione del vincolo a tutta l’area
interessata.
L’appello va pertanto respinto e alla soccombenza segue la
condanna nelle spese come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge
il ricorso in appello indicato in epigrafe, confermando per
l’effetto la sentenza impugnata.
Condanna l’appellante alla rifusione delle spese di giudizio,
liquidate in complessivi Euro 3000,00 di cui Euro 2500,00 per diritti
ed onorari, oltre ad oneri di legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2006 dal
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in
Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Claudio Varrone
Presidente
Gianpiero Paolo Cirillo
Consigliere
Giuseppe Romeo
Consigliere
Luciano Barra Caracciolo
Consigliere Est.
Giuseppe Minicone
Consigliere
Presidente
CLAUDIO VARRONE
Consigliere
Segretario
LUCIANO BARRA CARACCIOLO
ANNAMARIA RICCI
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il..19/01/2007
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
MARIA RITA OLIVA
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì...................................copia conforme alla
presente è stata trasmessa
al
Ministero..............................................................................................
a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Beni Culturali. Imposizione vincolo su complesso archeologico
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