Consiglio di Stato, Sez. IV, n.44, del 10 gennaio 2014
Urbanistica.Vincoli urbanistici non indennizzabili

I vincoli urbanistici non indennizzabili, che sfuggono alla previsione dell’articolo 2 della L. 19 novembre 1968, n. 1187, sono quelli che riguardano intere categorie di beni, quelli di tipo conformativo e i vincoli paesistici, mentre i vincoli urbanistici soggetti alla scadenza quinquennale, che devono invece essere indennizzati, sono: a) quelli preordinati all'espropriazione ovvero aventi carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà, se non discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore statale o regionale, attraverso l'imposizione a titolo particolare su beni determinati di condizioni di inedificabilità assoluta; b) quelli che superano la durata non irragionevole e non arbitraria ove non si compia l'esproprio o non si avvii la procedura attuativa preordinata a tale esproprio con l'approvazione dei piani urbanistici esecutivi; c) quelli che superano quantitativamente la normale tollerabilità, secondo una concezione della proprietà regolata dalla legge nell'ambito dell'art. 42 della Costituzione. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00044/2014REG.PROV.COLL.

N. 01026/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1026 del 2013, proposto da: 
Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Fiesole, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Ugo Serra, Giuseppe Gratteri, Giuseppe Femia, con domicilio eletto presso Giuseppe Femia in Roma, via Giunio Bazzoni, 15;

contro

Comune di Greve in Chianti, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Massimiliano Lombardo, Francesco Paolini, con domicilio eletto presso Massimiliano Lombardo in Roma, via Taro, 56;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della TOSCANA – Sede di FIRENZE - SEZIONE III n. 01100/2012, resa tra le parti, concernente silenzio serbato dall'amministrazione su approvazione di un piano attuativo - ris.danni



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Greve in Chianti;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2013 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Femia, in proprio e per delega dell'Avv. Gratteri, e Tretola, per delega dell'Avv. Lombardo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato chiesto dalla odierna parte appellante Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Fiesole, la declaratoria di illegittimità del preteso silenzio-inadempimento serbato dall’amministrazione comunale odierna appellata su una istanza per rilascio permesso di presentata il 18 novembre 2010.

Successivamente la stessa parte appellante aveva gravato, con ricorso per motivi aggiunti, il diniego di permesso di costruire n.24731 del 21 novembre 2011, emesso medio tempore e la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno conseguente all’emissione dell’atto impugnato.

Erano stati prospettati numerosi motivi di censura incentrati sui vizi di eccesso di potere e violazione di legge.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana– Sede di Firenze - con la impugnata sentenza ha innanzitutto dichiarati improcedibile il mezzo introduttivo proposto avverso il silenzio, in quanto era sopravvenuto il provvedimento reiettivo.

Ha quindi analiticamente e partitamente esaminato le doglianze proposte avverso quest’ultimo e le ha respinte.

In particolare, il primo giudice ha rilevato che secondo l’art.7 delle NTA del RU del Comune di Greve in Chianti, approvato con delibera c.c. n.68 del 4 agosto 2003, per il Lotto Libero 3 (L.L.3) in località S. Polo, in zona C a destinazione residenziale, in area soggetta a vincolo idrogeologico, l’edificazione era subordinata all’approvazione di un PA, con previsione della realizzazione del collegamento viario tra via B. Cellini e via L. da Vinci, anche mediante l’edificazione del ponte per l’attraversamento del borro di Rubbiana, con annessa area di sosta per veicoli; con delibera c.c. n.44 del 3 maggio 2006 veniva adottato il suddetto PA di iniziativa privata e quindi approvato con successiva delibera c.c. n.89 del 27 settembre 2006.

In data 6 marzo 2008 l’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero di Fiesole aveva presentato in Comune istanza di permesso di costruire per la realizzazione delle suindicate opere di urbanizzazione, a scomputo dei relativi oneri, in attuazione del predetto PA, sul terreno in catasto al foglio 19, particelle 804, 797; con delibera g.c. n.90 del 7 luglio 2008 veniva approvato il progetto per l’esecuzione dei lavori e lo schema dell’atto d’obbligo; la Provincia di Firenze rilasciava, con atto n.3409 del 12 settembre 2008, l’autorizzazione a fini idraulici per la realizzazione del ponte carrabile, con concessione in uso dell’area del demanio idrico interessata dall’intervento; veniva quindi rinnovata, in data 18 novembre 2010, l’istanza volta al conseguimento del permesso di costruire, previa sottoscrizione dell’atto d’obbligo l’8 novembre 2010.

Con l’ atto n.24731 del 21 novembre 2011 gravato con motivi aggiunti, il Comune aveva respinto l’istanza di permesso di costruire: precisato che difettavano gli spazi per impianti di interesse pubblico ad eccezione dei parcheggi nonché i presupposti pareri al titolo edilizio (ATO, ENEL, Telecom, Provincia, ASL) e che nell’atto d’obbligo non era fatto riferimento, per la realizzazione delle opere di urbanizzazione, al D.Lgs. n.163 del 2006, veniva rilevata la perdita di efficacia della previsione urbanistica in argomento, comportante vincolo preordinato all’espropriazione, essendo intercorsi oltre cinque anni tra l’approvazione del RU e la sottoscrizione dell’atto unilaterale d’obbligo, ex art.55 della L.R. n.1 del 2005.

Parte appellante aveva in proposito dedotto la violazione degli artt.55, comma 6 e 83 della L.R. n.1 del 2005 nonché l’ eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione, facendo presente che l’assenza dei suindicati pareri (ATO, ENEL, Telecom, Provincia, ASL)difettava di rilevanza, una volta che il progetto era stato approvato con la delibera g.c. n.90 del 7 luglio 2008 e rilevando che lo schema dell’atto d’obbligo, privo del riferimento al D.Lgs. n.163 del 2006, era stato parimenti assentito dalla suindicata delibera giuntale.

Ad avviso di parte appellante, la previsione urbanistica in argomento non poteva essere qualificata come vincolo espropriativo, bensì conformativo, trattandosi di procedimento ad iniziativa privata, che dunque non azzerava il diritto dominicale e non era soggetta a decadenza per decorso del termine quinquennale di legge.

Inoltre l’art.7 delle NTA del RU non prevedeva la realizzazione di una specifica opera pubblica, individuata concretamente solo nel successivo PA e nel conseguente progetto (chiedendo altresì la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno conseguente al denegato rilascio del titolo edilizio).

Il Tar ha affermato la infondatezza del petitum in quanto, da un lato la principale ragione di diniego di rilascio del richiesto titolo edilizio era rappresentata dalla perdita di efficacia della previsione urbanistica relativa alla realizzazione delle opere in esame (cfr. all.2 atti del Comune) e, la originaria parte ricorrente aveva omesso di controdedurre su una delle ragioni di diniego a contorno, concernente la rilevata carenza di spazi per impianti di interesse pubblico di cui al PA.

Sotto altro profilo, il primo giudice ha, più in particolare, osservato che le opere in argomento erano espressamente individuate e localizzate, anche nel tracciato, nell’art.7 delle NTA del RU, con l’indicazione del collegamento stradale tra via B. Cellini e via L. da Vinci, con attraversamento del borro di Rubbiana, mediante la realizzazione del relativo ponte carrabile e la previsione dell’area di sosta in corrispondenza del collegamento, all’interno dell’L.L.3, in S. Polo, lungo il predetto corso d’acqua, con a nord area pertinenziale urbana e a sud area a verde sportivo di progetto.

Inoltre, le predette opere, tra l’altro con valore stimato di gran lunga superiore agli oneri di urbanizzazione previsti, dovevano essere eseguite a cura e spese dell’Istituto nonchè cedute gratuitamente al Comune, senza previsione di una gestione dell’area da parte del privato (cfr. premesse del. g.c. n.90 del 2008 e atto d’obbligo, all.2 e 5 al ricorso) e che del pari andava ceduta gratuitamente all’Amministrazione la relativa area interessata dall’intervento (cfr. ancora all.2 e 5 al ricorso).

Da ciò discendeva che trattavasi di previsione urbanistica comportante vincolo espropriativo (cfr. anche Corte Cost. n.179 del 1999).

Il RU era stato approvato con delibera c.c. n.68 del 4 agosto 2003 e l’atto d’obbligo era stato sottoscritto in data 8 novembre 2010 (cfr. all.5 al ricorso).

Il RU disciplinava l’attività urbanistico-edilizia per il territorio comunale, con riferimento anche alle trasformazioni degli assetti insediativi, infrastrutturali ed edilizi (art.55, comma 1b l.R. n.1 del 2005), individuando e definendo gli interventi che per complessità e rilevanza si attuavano mediante piani attuativi (art.55, comma 4c l.R. n.1 del 2005).

Posto che le previsioni urbanistiche del RU, comportanti vincoli preordinati all’espropriazione, seguite da PA di iniziativa privata, perdevano efficacia una volta trascorsi cinque anni dall’approvazione del RU, senza che fosse stato sottoscritto l’atto unilaterale d’obbligo (art.55, commi 5, 6 l.R. n.1 del 2005) ne discendeva che l’Amministrazione aveva correttamente respinto la domanda di permesso di costruire, presentata in data 18 novembre 2010, con atto d’obbligo dell’8 novembre 2010 avendo le previsioni urbanistiche di realizzazione delle relative opere perduto efficacia il precedente 4 agosto 2008.

Ciò comportava che doveva essere del pari respinta la pretesa risarcitoria, correlata al mancato rilascio del titolo edilizio.

Avverso la sentenza in epigrafe la parte originaria ricorrente ha proposto un articolato appello evidenziando che la motivazione della impugnata decisione era apodittica ed errata.

L’appellante ha in via preliminare chiarito le tappe del procedimento avviato ed ha riproposto le censure contenute nel mezzo di primo grado sostenendo che la disposizione di cui all’art. 55 della legge regionale della Toscana n. 1/2005 si riferisse unicamente -prevedendo il limite temporale quinquennale- ai vincoli di natura espropriativa e negando che tale fosse quello imposto sull’area di propria pertinenza.

L’appellata amministrazione comunale ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato.

Alla camera di consiglio del 26 marzo 2013 la controversia è stata rinviata al merito.

Alla odierna pubblica udienza del 3 dicembre 2013 la causa è stata posta in decisione dal Collegio

DIRITTO

1.L’appello è infondato, e va pertanto respinto, con conseguente integrale conferma della gravata decisione e consequenziale reiezione anche del petitum risarcitorio.

2.Come già avvenuto in primo grado, l’appellante incentra la propria critica al provvedimento reiettivo (e, per conseguenza, alla sentenza che ne ha riconosciuto la legittimità) sostenendo che la disposizione regionale che regola la fattispecie preveda la perdita di efficacia unicamente allorquando il vincolo abbia natura espropriativa e che, nel caso di specie, le prescrizioni che interessavano il proprio compendio immobiliare avevano mera natura conformativa e, quindi, non si era verificata alcuna perdita di efficacia.

2.1. Il Collegio non condivide né dette censure, né la ratio interpretativa prospettata da parte appellante.

2.1.1. La circostanza che non vi sia contestazione alcuna sulla tempistica infraprocedimentale e sulla sequenza temporale, esonera il Collegio da una rivisitazione in fatto della complessa vicenda, potendosi fare in proposito riferimento alla completa ed analitica ricostruzione – rimasta in parte qua incontestata – resa nella decisione di primo grado, passando immediatamente allo scrutinio delle censure in diritto.

2.2. Si evidenzia in particolare che l’art. 55 della L.R. Toscana 3-1-2005 n. 1

(Norme per il governo del territorio) così dispone:

“1. Il regolamento urbanistico disciplina l'attività urbanistica ed edilizia per l'intero territorio comunale; esso si compone di due parti:

a) disciplina per la gestione degli insediamenti esistenti;

b) disciplina delle trasformazioni degli assetti insediativi, infrastrutturali ed edilizi del territorio.

1-bis. Con riferimento alle discipline di cui al comma 1, lettere a) e b), il regolamento urbanistico dà conto della conformità delle sue previsioni a quelle del piano strutturale, esplicita la relazione delle sue previsioni con i piani regionali e provinciali di riferimento; motiva le scelte di pianificazione con riferimento agli aspetti paesaggistici, territoriali, economici, sociali rilevanti per l'uso del territorio e per la salute umana, anche in attuazione di quanto previsto dall'articolo 53, comma 3, lettere c-bis) e c-ter) (86).

2. La disciplina di cui al comma 1 lettera a) individua e definisce:

a) il quadro conoscitivo dettagliato ed aggiornato periodicamente del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente e delle funzioni in atto;

b) il perimetro aggiornato dei centri abitati inteso come delimitazione continua che comprende tutte le aree edificate e i lotti interclusi;

c) la disciplina dell'utilizzazione, del recupero e della riqualificazione del patrimonio urbanistico ed edilizio esistente, compresa la tutela e la valorizzazione degli edifici e dei manufatti di valore storico e artistico;

d) le aree all'interno del perimetro dei centri abitati nelle quali è permessa l'edificazione di completamento o di ampliamento degli edifici esistenti;

e) le aree per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria nel rispetto degli standard di cui all'articolo 53, comma 2, lettera c);

f) la disciplina del territorio rurale ai sensi del titolo IV, capo III;

g) la disciplina delle trasformazioni non materiali del territorio;

h) la valutazione di fattibilità idrogeologica degli interventi anche ai fini del vincolo idrogeologico di cui alla L.R. n. 39/2000 in base all'approfondimento degli studi di natura idrogeologica, geologica ed idraulica;

i) le aree e gli ambiti sui quali perseguire prioritariamente la riqualificazione insediativa.

3. La disciplina delle trasformazioni non materiali del territorio di cui alla lettera g) del comma 2 detta criteri di coordinamento tra le scelte localizzative, la regolamentazione della mobilità e della accessibilità, gli atti di competenza del comune in materia di orari e la disciplina della distribuzione e localizzazione delle funzioni di cui all'articolo 58.

4. Mediante la disciplina di cui al comma 1 lettera b), il regolamento urbanistico individua e definisce:

a) gli interventi di addizione agli insediamenti esistenti consentiti anche all'esterno del perimetro dei centri abitati;

b) gli ambiti interessati da interventi di riorganizzazione del tessuto urbanistico;

c) gli interventi che, in ragione della loro complessità e rilevanza, si attuano mediante i piani di cui al presente titolo, capo IV, sezione I;

d) le aree destinate all'attuazione delle politiche di settore del comune;

e) le infrastrutture da realizzare e le relative aree;

f) il programma di intervento per l'abbattimento delle barriere architettoniche ed urbanistiche, contenente il censimento delle barriere architettoniche nell'ambito urbano e la determinazione degli interventi necessari al loro superamento, per garantire un'adeguata fruibilità delle strutture di uso pubblico e degli spazi comuni delle città;

g) la individuazione dei beni sottoposti a vincolo ai fini espropriativi ai sensi degli articoli 9 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità);

h) la disciplina della perequazione di cui all'articolo 60.

5. Le previsioni di cui al comma 4 ed i conseguenti vincoli preordinati alla espropriazione sono dimensionati sulla base del quadro previsionale strategico per i cinque anni successivi alla loro approvazione; perdono efficacia nel caso in cui, alla scadenza del quinquennio dall'approvazione del regolamento o dalla modifica che li contempla, non siano stati approvati i conseguenti piani attuativi o progetti esecutivi.

6. Nei casi in cui il regolamento urbanistico preveda la possibilità di piani attuativi di iniziativa privata, la perdita di efficacia di cui al comma 5 si verifica allorché entro cinque anni non sia stata stipulata la relativa convenzione ovvero i proponenti non abbiano formato un valido atto unilaterale d'obbligo a favore del comune.

7. Alla scadenza di ogni quinquennio dall'approvazione del regolamento urbanistico, il comune redige una relazione sul monitoraggio degli effetti di cui all'articolo 13. “

All’evidenza, la disposizione di cui al comma 6 detta una prescrizione specifica “dedicata” ai piani attuativi di iniziativa privata, che prescinde del tutto dalla natura della prescrizione vincolistica: costituisce illazione, infatti, non suffragata dalla portata testuale della norma, l’affermazione secondo la quale, per i piani attuativi privati, la disposizione vada restrittivamente intesa, nel senso che la perdita di efficacia operi soltanto allorchè i vincoli abbiano natura espropriativa e non conformativa.

2.3. Fermo il detto convincimento, aderente al dato letterale ivi contenuto, neppure persuade la ratio della necessità di una interpretazione restrittiva della detta disposizione, siccome postulato da parte appellante.

2.4. E’ ben vero che la legislazione nazionale è ancorata al binomio vincolo conformativo/durata indeterminata, vincolo espropriativo/scadenza prefissata.

Ma è altresì vero, che tale scissione concettuale “nasce” a tutela della posizione del privato e si rende necessaria alla stregua dei principi espressi dalla Corte costituzionale, con la “storica” sentenza 20 maggio 1999, n. 179 (dichiarativa dell'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 7, n. 2, 3 e 4 e 40 della L. 17 agosto 1942, n. 1150, e 2, primo comma, della L. 19 novembre 1968, n. 1187, nella parte in cui consente all'Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità, senza la previsione di un indennizzo).

Il che ha portato la uniforme giurisprudenza amministrativa ad affermare (ex multis Cons. Stato Sez. V, 13-04-2012, n. 2116) che “i vincoli urbanistici non indennizzabili, che sfuggono alla previsione del predetto articolo 2 della L. 19 novembre 1968, n. 1187, sono quelli che riguardano intere categorie di beni, quelli di tipo conformativo e i vincoli paesistici, mentre i vincoli urbanistici soggetti alla scadenza quinquennale, che devono invece essere indennizzati, sono: a) quelli preordinati all'espropriazione ovvero aventi carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà, se non discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore statale o regionale, attraverso l'imposizione a titolo particolare su beni determinati di condizioni di inedificabilità assoluta; b) quelli che superano la durata non irragionevole e non arbitraria ove non si compia l'esproprio o non si avvii la procedura attuativa preordinata a tale esproprio con l'approvazione dei piani urbanistici esecutivi; c) quelli che superano quantitativamente la normale tollerabilità, secondo una concezione della proprietà regolata dalla legge nell'ambito dell'art. 42 Cost..”.

Non apparirebbe quindi contrario ad alcun principio, né collidente con la valutazione espressa dal Giudice delle leggi, una prescrizione contenuta in una legge regionale che prevedesse la perdita di efficacia anche dei vincoli conformativi (mentre, al contrario, lo sarebbe certamente, l’inversa ipotesi di una durata sine die di quelli espropriativi).

E d’altro canto, allorchè l’appellante richiama la consolidata interpretazione del Giudice delle Leggi secondo la quale “categorie” ed “istituti” contenuti del TU edilizia e nel TU espropriazioni hanno natura generale e vincolano i Legislatori regionali (ex aliis Corte Cost. n. 303 del 2003) è poi “costretto” a mentovare una disposizione del dPR n. 327/2001 (l’art. 9) che ben poco ausilio può portare alla tesi dallo stesso patrocinata, in quanto ivi è certamente affermato il principio della decadenza del vincolo preordinato all’esproprio, ma non il divieto di disporlo per quello zonizzante, per cui non è agevole comprendere quale prescrizione “nazionale” avrebbe violato il Legislatore regionale (e/o il Tar nell’interpretare secondo lettera la prescrizione legislativa regionale surriportata)

Se così è , e non pare al Collegio di ciò si possa dubitare, non v’è ragione né esigenza di forzare la lettera della prescrizione regionale in esame, limitandola ai vincoli di natura espropriativa, laddove invece esse fa generico ed indeterminato richiamo al “piano attuativo di iniziativa privata” senza aggettivazioni (vedasi punto 5 della memoria depositata in primo grado dalla resistente amministrazione comunale e datata 20.2.2012).

2.5. Ne consegue che: stante la univoca interpretazione della succitata norma, e la incontestata circostanza che l’atto d’obbligo venne sottoscritto a più di 5 anni di distanza dall’approvazione del RU non v’era neppure necessità di interrogarsi sulla natura della prescrizione attingente il compendio immobiliare di parte appellante, e ciò sarebbe sufficiente a disattendere l’appello.

2.6. A fortiori, osserva comunque il Collegio che neppure sotto tale ultimo angolo prospettico la critica appellatoria è fondata.

Come è noto, per costante considerazione della dottrina e della giurisprudenza i vincoli urbanistici non indennizzabili, che sfuggono alla previsione del predetto articolo 2 della L. 19 novembre 1968, n. 1187, sono quelli che riguardano intere categorie di beni, quelli di tipo conformativo e i vincoli paesistici, mentre i vincoli urbanistici soggetti alla scadenza quinquennale, che devono invece essere indennizzati, sono: a) quelli preordinati all'espropriazione ovvero aventi carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà, se non discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore statale o regionale, attraverso l'imposizione a titolo particolare su beni determinati di condizioni di inedificabilità assoluta; b) quelli che superano la durata non irragionevole e non arbitraria ove non si compia l'esproprio o non si avvii la procedura attuativa preordinata a tale esproprio con l'approvazione dei piani urbanistici esecutivi; c) quelli che superano quantitativamente la normale tollerabilità, secondo una concezione della proprietà regolata dalla legge nell'ambito dell'art. 42 Cost..

2.7. Nel caso di specie l’art. 7, lett. L.L.3 delle Norme Urbanistiche del R.U., non contiene previsioni conformative (siccome inesattamente affermato da parte appellante), bensì sostanzialmente espropriative nella parte in cui contempla la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria quali la strada di collegamento tra le due vie esistenti (che include la realizzazione di un ponte), ed un parcheggio pubblico (opere di urbanizzazione che si trovano poi specificamente dettagliate nel progetto approvato con Deliberazione G.C. 7.7.2008, n. 90 (doc. 9), che, in particolare, individua un’area complessiva di 1.670 mq. di proprietà dell’Istituto Diocesano, da cedere gratuitamente al Comune ai sensi dell’art. 127, comma 11 l. reg. n. 1/2005 previa realizzazione delle opere sopra ricordate).

Anche ad avviso del Collegio tale previsione avrebbe natura sostanzialmente espropriativa. In particolare, non vale a conferirle natura conformativa, contrariamente a quanto si prospetta ex adverso, il fatto che sia attuabile ad iniziativa privata: laddove la disciplina urbanistica prevede la realizzazione di un’opera pubblica che comporta l’azzeramento del diritto di proprietà dell’area su cui deve essere costruita in quanto ne annulla ogni possibilità di sfruttamento economico, essa configura un vincolo sostanzialmente espropriativo.

Costante giurisprudenza che proprio in tema di opere di urbanizzazione da realizzare a scomputo dei relativi oneri ha avuto modo di affermare che le relative previsioni urbanistiche, indipendentemente dal fatto che la realizzabilità dell’opera sia per mano pubblica o privata, hanno natura sostanzialmente espropriativa, in quanto determinano ex lege (v. art. 16 d.P.R. n. 380/2001 e il già citato art. 127 l. reg. n. 1/2005) la cessione gratuita della proprietà dell’opera e della relativa area all’ente pubblico, sottraendo la stessa al regime dell’economia di mercato (in questo senso: Cons. Giust. Amm. Sic., 19.12.2008, n. 1113; Tar Puglia, Bari, sez. II, 1.7.2010, n. 2815; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 7.5.2010, n. 6465; id., 22.4.2010, n. 5716).

Per altro verso, neppure può affermarsi che, avuto riguardo alla concreta natura delle opere predette, si trattasse di opere sfruttabili dal privato (ponte, strada, e parcheggio pubblico).

Solo per quest’ultima (parcheggio) potrebbe residuare qualche dubbio, senonchè anche la giurisprudenza “aperturista” ( di recente T .A.R. Puglia Lecce Sez. III, 24-06-2011, n. 1142) nel sottolineare che la destinazione nel P.R.G. a parcheggio pubblico, non costituisce necessariamente e ontologicamente un vincolo espropriativo, fa presente che dipende tale qualificazione, in concreto, dalla effettiva incidenza che la relativa previsione esplica sul contenuto del diritto di proprietà, elemento questo che necessariamente va coordinato con l'onere della prova.



Può dirsi pertanto che la destinazione a parcheggio pubblico, impressa dallo strumento urbanistico, concreta vincolo preordinato ad esproprio in quanto esula dall'ottica della suddivisione zonale del territorio e mira a individuare beni singolarmente determinati in vista della creazione di un'area non edificata all'interno di zona a spiccata vocazione edificatoria (Cassazione civile, sez. I, 7 febbraio 2006, n. 2613), privando il bene di qualsiasi utilità economica.

Anche con riferimento a tale caposaldo, pertanto, l’appello va disatteso.

2.8. La circostanza che la strada di collegamento tra via Cellini e via Leonardo da Vinci e la “realizzazione del onte per l’attraversamento del borro di Rubbiana fossero contenute sub art. 7 del Regolamento urbanistico rende ininfluente il rilievo per cui esse non fossero contemplate nelle Tavole del Regolamento, contrariamente a quanto ritenuto da parte appellante (pag. 13 del ricorso in appello).

3. Alla stregua di quanto si è finora affermato, l’appello va respinto, e parimenti, per conseguenza, va disattesa la domanda formulata da parte appellante volta all’accertamento della fondatezza del permesso di costruire ed alla conseguente condanna dell’Amministrazione resistente al rilascio del titolo edilizio, mentre tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso..

4.La particolarità e parziale novità delle questioni esaminate rendono possibile disporre la compensazione tra le parti delle spese processuali del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.



Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

Marzio Branca, Presidente FF

Sergio De Felice, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Francesca Quadri, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 10/01/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)