Causa Vitiello contro Italia (Ricorso n.6870-03)
Abusivismo edilizio. Demolizione (IN LINGUA ITALIANA)
Nel ricorso Vitiello c. Italie (decisione del 5 luglio 2005, ricorso n. 6780/03), la CEDU ha esaminato un caso di abusivismo edilizio dove i ricorrenti, pur essendosi costituiti parte civile in una procedura penale conclusasi con la condanna dei responsabili nonché con l'ordine di demolizione dell'immobile abusivo, non sono riusciti ad ottenerne l'abbattimento.
La CEDU ha dichiarato ricevibili le lamentele dei ricorrenti. In particolare, relativamente all'articolo 1 del Protocollo n. 1 (tutela della proprietà), facendo riferimento al fatto che gli stessi possono pretendersi "vittime" in quanto il mancato rispetto dell'ordine di demolizione può avere ripercussioni sulla loro proprietà; riguardo all'articolo 6 § 1 della Convenzione (diritto ad un equo processo), non esistendo a livello nazionale un ricorso per far valere il loro diritto ad ottenere la demolizione della costruzione abusiva. (a cura dell'Avv. A. Mascia)
CONSIGLIO D’EUROPA[1]
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI
DELL’UOMO
TERZA SEZIONE
DECISIONE FINALE SULLA
RICEVIBILITA’
del ricorso n° 6870/03
presentato da Raffaella e Salvatore Vitiello
contro l’Italia
La Corte europea dei Diritti
dell’Uomo (terza sezione), in camera di consiglio del 5 luglio 2005 composta
dai :
signori B.M. Zupančič, presidente,
J. Hedigan,
L. Caflisch,
C. Bîrsan,
V. Zagrebelsky,
signore A. Gyulumyan,
R. Jaeger, giudici,
e dal signor V.
Berger, cancelliere
di sezione,
Visto il ricorso sopramenzionato
introdotto il 12 febbraio 2003,
Vista la decisione parziale
del 18 settembre 2003,
Viste le osservazioni
presentate dal Governo convenuto e quelle presentate in risposta dai ricorrenti,
Dopo aver deliberato, rende
la decisione seguente:
IN FATTO
I ricorrenti, signora Raffaella
Vitiello e signor Salvatore Vitiello, sono cittadini italiani, nati
rispettivamente nel 1952 e 1923 e risiedono a Pompei (Napoli). Sono
rappresentati davanti alla Corte dai signori M. Balletta e R. Razzano, avvocati
a Pannarano (Benevento). Il Governo convenuto è rappresentato dal suo agente,
Signor I. M. Braguglia e dal suo coagente, signor F. Crisafulli.
I fatti di causa, cosi come esposti
delle parti, possono riassumersi nel modo seguente.
I ricorrenti sono
proprietari di un immobile sito a Pompei in prossimità della zona archeologia.
A una data non precisata, V.
e S. costruirono un magazzino destinato ad uso commerciale a fianco
dell’immobile dei ricorrenti.
A una data non precisata, fu
aperta una procedura penale contro V. ed S. per abuso edilizio.
I ricorrenti si costituirono
parte civile in tale procedura.
Con sentenza depositata in
cancelleria il 24 luglio 2000, il tribunale di Torre Annunziata condannò V. (S.
era nel frattempo deceduto) ad un anno e otto mesi di reclusione e ad
un’ammenda di lire 1.500.000 per abuso edilizio. Inoltre, il Tribunale ordinò
al Comune di Pompei di procedere alla demolizione della costruzione abusiva,
con spese per l’abbattimento a carico di V. con ordine di ripristino dei luoghi
allo stato precedente. Infine, riconobbe ai ricorrenti il diritto al
risarcimento dei danni, da accertarsi in sede civile davanti all’autorità
competente.
V. propose appello.
Con sentenza depositata in
cancelleria il 12 maggio 2001, la Corte d’appello condannò V. ad un anno di
reclusione e ad un’ammenda di lire 1.000.000. Inoltre, confermò l’ordine di
demolizione della costruzione abusiva e il diritto dei ricorrenti al
risarcimento dei danni, da quantificarsi in separato giudizio civile, ma revocò
l’ordine di ristabilire i luoghi al loro stato anteriore.
V. propose ricorso in
cassazione.
Con sentenza del 15 gennaio
2002, la Corte di Cassazione respinse il ricorso.
La demolizione della
costruzione abusiva non è mai avvenuta.
ALLEGAZIONI
1. Invocando l’articolo
1 del Protocollo n° 1, i ricorrenti si lamentano di un pregiudizio al diritto
al rispetto dei loro beni, poiché la costruzione abusiva, di cui non possono
ottenere la demolizione, riduce il valore della loro proprietà.
2. Invocando l’articolo 13
della Convenzione, i ricorrenti si lamentano di non disporre in diritto italiano
di un ricorso effettivo davanti ad una giurisdizione nazionale per far valere i
loro diritti ed ottenere la demolizione della costruzione abusiva.
IN DIRITTO
1. I ricorrenti si lamentano
dei danni derivanti dall’impossibilità di ottenere la demolizione della costruzione
realizzata dai vicini. Invocano l’articolo 1 del Protocollo n° 1, che dispone:
« Ogni persona fisica o giuridica ha
diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua
proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste
dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti
non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da
essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse
generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o
delle ammende. »
Innanzitutto il Governo
solleva l’eccezione di non esperimento delle vie di ricorso interne, sotto
quattro profili.
Quanto al primo, il Governo
osserva che i ricorrenti non hanno promosso presso la giurisdizione civile
alcuna azione per ottenere la condanna di V. al risarcimento dei danni subiti
oltre che alla demolizione dell’edificio. A questo proposito, osserva che
un’azione di questo tipo sarebbe necessaria dato che l’ordine di demolizione
emesso dalla giurisdizione penale non è stato pronunciato per riconoscere tale
diritto ai ricorrenti, ma risponde piuttosto all’esigenza di protezione degli
interessi collettivi.
Quanto al secondo profilo,
il Governo espone che i ricorrenti non hanno introdotto davanti alla
giurisdizione civile competente l’azione di denuncia di nuova opera prevista
dall’articolo 1171 del codice civile, per ottenere la demolizione
dell’immobile.
Quanto al terzo profilo, il
Governo osserva che i ricorrenti avrebbero potuto introdurre davanti all’autorità
amministrativa competente una richiesta di demolizione della costruzione
abusiva. Nel caso in cui l’autorità amministrativa non avesse dato seguito a
tale richiesta, i ricorrenti avrebbero potuto impugnare il silenzio-rifiuto in
sede giurisdizionale.
Sotto il quarto profilo, il Governo
fa valere che i ricorrenti non hanno presentato al procuratore generale una
domanda volta ad ottenere l’esecuzione della sentenza penale che ordinava la
demolizione dell’immobile abusivo.
Inoltre, il Governo sostiene
che i ricorrenti non hanno la qualità di « vittime », poiché l’ordine
di demolizione pronunciato dalla giurisdizione penale risponde, in quanto tale,
all’esigenza di protezione degli interessi collettivi e non di quelli individuali.
Nel merito, il Governo inizialmente
riconosce che l’amministrazione non si è conformata all’obbligo di demolizione
dell’immobile, derivante dalla sentenza della giurisdizione penale.
Tuttavia ritiene che, data
l’inerzia dell’amministrazione, la giurisdizione penale si farà carico di
garantire l’esecuzione della sentenza.
Inoltre, il Governo osserva
che la Corte non ha ancora stabilito che sotto il profilo dell’articolo 1 del
Protocollo n° 1 possano sussistere obblighi positivi a carico dello Stato.
Peraltro, quanto alla
protezione della proprietà privata contro l’ingerenza operata dalle autorità,
il Governo osserva che una tale creazione giurisprudenziale è riservata alla
protezione dei diritti « più fondamentali ». Ora, l’interesse dei
ricorrenti ad ottenere la demolizione non può essere considerato alla stessa
stregua di tale categoria. Conseguentemente, secondo il Governo, l’assenza
della demolizione non può essere considerata come una violazione del diritto
dei ricorrenti al rispetto dei loro beni.
I ricorrenti si oppongono
alla tesi del Governo.
Relativamente all’eccezione
di non esperimento delle vie di ricorso interne, precisano che si sono
costituiti parte civile nella procedura penale e che gli altri ricorsi interni
menzionati dal Governo non possono essere considerati come effettivi per il
caso di specie.
Relativamente all’eccezione della
loro di qualità di “vittima”, i ricorrenti osservano che hanno potuto
costituirsi parte civile nella procedura penale e che tale giurisdizione ha
constatato la loro qualità di “vittima”.
Nel merito, i ricorrenti
sostengono che il loro ricorso non ha per oggetto i danni subiti in conseguenza
della costruzione dell’immobile abusivo, bensì quei danni derivanti dalla non
esecuzione della sentenza penale definitiva da parte delle autorità nazionali
competenti. A tale proposito, i ricorrenti ritengono che tale non esecuzione
costituisca una violazione diretta del diritto al rispetto dei beni, in
considerazione della riduzione del valore della loro proprietà per la presenza
dell’immobile abusivo.
Relativamente all’eccezione
di non esperimento delle vie di ricorso interne, la Corte ricorda che
l’articolo 35 § 1 della Convenzione prescrive solo l’esperimento di quei
ricorsi che al contempo riguardino la violazione sollevata, siano disponibili
ed adeguati. Questi devono sussistere con un grado sufficiente di certezza, non
solamente in teoria ma anche in pratica, senza che venga meno l’effettività e
l’accessibilità richieste; è a carico dello Stato convenuto dimostrare che
sussistono tali esigenze (vedasi, tra le altre, Navarra c. Francia, sentenza
del 23 novembre 1993, série A no 273-B,
p. 27, § 24). In più, un ricorrente che ha adito una via di ricorso
apparentemente effettiva e sufficiente, non dovrebbe essere rimproverato di non
averne tentate altre disponibili che presentavano poche possibilità di successo (vedasi, mutatis mutandis, les sentenze A. c.
Francia del 23 novembre 1993, série A no 277-B, p. 48, § 32, et De Moor c. Belgio del 23 giugno 1994, série
A no 292-A, p. 16-17, § 50).
La Corte osserva che i
ricorrenti, la cui azione aveva lo scopo di ottenere la demolizione
dell’immobile abusivo, si sono costituiti parte civile nella procedura penale e
hanno ottenuto una sentenza definitiva di accoglimento della loro richiesta.
Peraltro, il Governo non contesta l’efficacia dell’ordine di demolizione
impartito a V. dall’autorità penale in quanto tale.
La Corte ritiene che la
costituzione di parte civile nella procedura penale rappresenti una via di
ricorso apparentemente effettiva e sufficiente. Ma anche supponendo che le
altre azioni giudiziarie menzionate dal Governo avessero potuto portare ad un
nuovo ordine di demolizione, alcun elemento conduce a pensare che tali rimedi
presentino maggiori possibilità di successo riguardo alla possibilità di
esecuzione tale ordine.
Conseguentemente, i
ricorrenti non avevano l’obbligo di iniziare le procedure menzionate dal
Governo e l’eccezione di non esperimento delle vie di ricorso interne deve
essere rigettata.
Quanto all’eccezione della
mancanza della qualità di “vittima”, la Corte ricorda che, ai sensi dell’articolo
34 della Convenzione, essa può esaminare un ricorso di una persona che si
pretenda vittima di una violazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione o
dai suoi Protocolli commessa da una delle Alte Parti contraenti. Ora questo
articolo designa “vittima” la persona direttamente interessata dall’atto o
dalla omissione contestati, concependosi l’esistenza di un’infrazione secondo
le esigenze della Convenzione, anche in assenza di pregiudizio (vedasi Marckx
c. Belgio, sentenza del 13 giugno 1979, série A no 31,
§ 27, e Johnston e altri c. Irlanda, sentenza del 18 dicembre
1986, série A no 112, § 42). Nel caso di specie, i
ricorrenti si sono costituiti parte civile nel procedimento penale a carico di
V. e S. per ottenere la demolizione del magazzino contestato la cui presenza
riduceva il valore del loro immobile.
Tenuto conto dello stretto
legame esistente tra l’omissione contestata e le ripercussioni di questa sulla
proprietà dei ricorrenti, la Corte considera che questi ultimi possano
pretendersi “vittime” ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione. L’eccezione
deve quindi essere respinta.
La Corte ha esaminato gli argomenti delle parti riguardo alla pretesa diminuzione del godimento e del valore della proprietà dei ricorrenti. Ritiene che su questo punto il ricorso sollevi questioni di fatto e di diritto complesse che non possono essere risolte a questo stadio della procedura, ma che richiedano un esame nel merito. Pertanto, questa parte del ricorso non sarà dichiarata manifestatamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Alcun altro motivo d’irricevibilità è stato accertato.
2. I ricorrenti si lamentano di non disporre in diritto italiano di un ricorso effettivo per far valere il diritto ad ottenere la demolizione della costruzione abusiva. Invocano l’articolo 13 della Convenzione, che dispone:
« Ogni
persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (…) Convenzione siano
stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’istanza
nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che
agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. »
La Corte a comunicato
quest’ultima allegazione ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, che,
nelle sue parti pertinenti, dispone:
« Ogni persona ha diritto a che la sua
causa sia esaminata (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi
sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…).»
Relativamente all’articolo 6
§1 della Convenzione, il Governo osserva che l’articolo 6 della Convenzione non
può essere considerato applicabile al caso di specie, in quanto i ricorrenti si
lamentano dalla mancata esecuzione di una sentenza penale nei confronti di una
persona condannata.
Quanto all’articolo 13 della
Convenzione, il Governo osserva che i ricorrenti hanno rifiutato di promuovere
numerosi ricorsi interni, già menzionati sotto il profilo dell’articolo 1 del
Protocollo n° 1, decidendo di contare unicamente sull’azione
dell’amministrazione comunale. Ne consegue che i ricorrenti non hanno esperito
le vie di ricorso presenti in diritto interno.
I ricorrenti si oppongono
alla tesi del Governo, facendo valere in particolare che in diritto italiano
solo il pubblico ministero è competente a garantire l’esecuzione della sentenza
penale e che nessun rimedio effettivo è previsto contro l’inerzia dello stesso.
La Corte ricorda che
l’articolo 6 § 1 si applica anche quando l’azione ha contenuto “patrimoniale” e
si fonda su un pregiudizio lamentato di diritti pure patrimoniali o che la sua
conclusione sia determinante per diritti ed obbligazioni di carattere civile
(vedasi Ortenberg c. Austria, sentenza
del 25 novembre 1994, série A no 295‑B, § 28).
La Corte osserva che i
ricorrenti si sono costituiti parte civile nel procedimento penale a carico di
V. ed S. per ottenere la demolizione del magazzino contestato, la cui presenza
determina una riduzione del valore del loro immobile. Cosi facendo, hanno
voluto evitare un pregiudizio dei loro diritti patrimoniali.
Tenuto conto del legame
stretto tra il procedimento a cui gli interessati hanno partecipato e le
ripercussioni dell’esito della stessa sulla loro proprietà, la Corte considera
che la contestazione dei ricorrenti aveva per oggetto un diritto di carattere
civile.
In tali circostanze,
l’eccezione sollevata dal Governo sotto l’angolo dell’articolo 6 § 1 della
Convenzione non può essere accolta.
La Corte ritiene che l’allegazione tratta dall’articolo 6 § 1 della Convenzione solleva questioni di fatto e di diritto complesse che non possono essere risolte a questo stadio della procedura, ma che necessitino di un esame nel merito. Pertanto, questa parte del ricorso non sarà dichiarata manifestatamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Alcun altro motivo d’irricevibilità è stato accertato.
Quanto all’articolo 13 della
Convenzione, la Corte ricorda che quando si pone una questione di accesso a un
tribunale, le garanzie dell’articolo 13 sono assorbite da quelle di cui all’articolo
6 (vedasi Brualla Gómez de la Torre c. Spagna, sentenza
del 19 dicembre 1997, Recueil 1997-VIII, § 41).
Pertanto, la Corte ritiene
che non si debba esaminare se vi sia stata violazione dell’articolo
13 della Convenzione (vedasi Posti et Rahko c. Finlandia, no
27824/95, § 89, 24 settembre 2002)
Per questi motivi,
la Corte, all’unanimità,
Dichiara ricevibili, tutti i
motivi riservati nel merito, le allegazioni dei ricorrenti relative agli
articoli 1 del protocollo n°1 e 6 § 1 della Convenzione (accesso a un
tribunale) ;
Dichiara il ricorso
irricevibile per il resto.
Vincent Berger Boštjan
M. Zupančič
Cancelliere Presidente
[1] Traduzione in lingua italiana della decisione Vitiello contro Italia, dalla
versione francese, a cura di Antonella Mascia, giurista presso la Corte europea
dei diritti dell’Uomo di Strasburgo.